Apri gli occhi

Curioso.

Curioso è essere cullato da un’alta marea di voci che sembrano chiamare il mio nome.

“ Nico, Nico….” – era un loop di suoni familiari che continuavano ad invocarmi e, in quel frastuono, c’era sicuramente qualche sconosciuto.

Mi sentivo sballottare da una parte e poi dall’altra: erano secondi, o forse minuti, o addirittura ore – non saprei dirlo con esattezza – ma so con convinzione che nella mia testa c’era una distinta confusione che avrei voluto si placasse.

Così, dissi fra me e me “ urla, Nico” e lo feci o almeno, così mi parse di fare.

In effetti, il rumore attorno a me era perpetuo, non smetteva, ed io piano piano realizzavo di essere disteso sulle bianche sfumature di un letto a rotelle.

Più sovrastante di tutte le voci, era lo strofinio continuo che percepivo sulla mia mano destra – credo – di un’energia inaudita.

Mi concentravo su quella sensazione e le voci erano ormai diventate una colonna sonora che imperturbabile cullava il disordine fra sogno e realtà.

Era questo il punto: cos’era? Un illusione? O stava accadendo davvero?

La domanda trovò subito una risposta nel mio spirito che osservava il mio corpo disteso su quello che, ora, mi appariva nitido come un lettino d’ospedale.

Un groviglio di pensieri martellava la mia testa.  

Finalmente riuscivo chiaramente a vedere cosa avevo intorno: le lacrime di mia madre, la mano della mia ragazza sopra la mia, le urla di mio padre ed i dottori che correvano con quella barella d’appresso, su cui io giacevo indisturbato.

Il caos, lo sgomento e la paura sembravano essersi impossessati di tutta quella gente, tranne che di me: avvertivo un’inspiegabile sensazione di pace.

Ricordo che d’un tratto arrivò Daniele e fu allora che ritornò il ricordo della sera precedente.

Il venerdì, io e Dani andavamo sempre in quel pub, vicino la piazza centrale, e quella sera passammo anche a prendere Peppe. Peppe…fu allora che pensai “Dov’è? Perché non è lì? Dov’è il mio amico?”

Quella quiete apparente in cui galleggiavo, aveva lasciato il posto al fracasso dei ricordi: un bicchiere di tequila, poi un altro e un altro ancora.. mi metto alla guida…le luci, l’autostrada…sbando. Il buio.

E Peppe dov’è?

Quasi come se la mia anima si staccasse leggiadra dal mio corpo, cominciai a gironzolare per l’ospedale guidato da un sesto senso non indifferente che mi portò in un’altra stanza: il mio amico era inerme, attorniato dai suoi familiari che piangevano cascate.

“Non poteva essere vero. Non succede mai che una volta esageri e muore qualcuno. Era un incubo.” – era la solfa che mi ripetevo per convincermi che non avevo distrutto la vita del mio amico, quella della sua famiglia e anche la mia.

Proprio in quel momento, in preda alla disperazione più totale, vidi in lontananza una luce soffusa e subito dopo un bagliore cosi forte da farmi chiudere gli occhi.

È li che pensai “ è finita.”

 

Curioso.

Curioso è svegliarsi da un incubo che altro non è che la conseguenza di una stupida azione sbagliata.

Curioso è dover continuare a vivere, quando il senso di irresponsabilità ha ucciso il tuo amico.

Curioso è aprire gli occhi ogni mattina e chiedersi “Perché l’ho fatto?”

Curioso è sentirsi vittima dei propri sbagli.

Curioso è credere di essere onnipotenti alla guida di una macchina.

 

Jessica Cardullo

Roboante CUS

 

Nella quindicesima giornata del campionato di Terza Categoria di Messina, il Cus Unime viene ospitato dal Malfa, fanalino di coda della classifica, nell’isola di Salina. Match importante per gli universitari che non possono permettersi di perdere il passo delle compagini dell’alta classifica. La partita viene diretta dal Sig. Muscherà di Messina con inizio alle ore 10,30.

Il viaggio all’alba in aliscafo è sempre traumatico per chi deve andare a disputare 90 minuti di grande intensità, tuttavia i ragazzi del Cus mantengono alta la concentrazione consapevoli dell’importanza fondamentale della posta in palio in questa partita.

Primo tempo: partenza forte del Cus che passa subito in vantaggio grazie a una conclusione di Insana da fuori area con la complicità di un’incertezza dell’estremo difensore eoliano. Al ventesimo, però, il Malfa trova il pari con un tocco sotto misura sugli sviluppi di un calcio d’angolo ad opera di Di Losa. Prima del termine della prima frazione di gara, nuovo vantaggio Cus firmato Oliva. Il nuovo acquisto della formazione dell’Università di Messina, riesce a controllare e domesticare una sporca palla all’interno dell’area di rigore e avversaria e conclude a rete con un preciso destro sotto la traversa. 2 a 1 e duplice fischio del direttore di gara.

Secondo tempo: dagli spogliatoi, per i primi 15 minuti esce una sola squadra ed è il Malfa. I padroni di casa riescono a trovare prima il pari con De Losa A. e subito dopo il vantaggio con Pirera che sfrutta una sciagurata uscita di un incerto Faranda. La tensione inevitabilmente aumenta. Tra il secondo e il terzo gol il Cus fallisce la sua probabile terza rete con Tiano, il quale si fa respingere il rigore da Di Cosa D..

Nella parte finale della partita il Cus Unime tira fuori l’orgoglio e rifila ben tre reti in trenta minuti ai padroni di casa. Reti di Stassi (sinistro a giro sul secondo palo dal limite dell’area), Papale (su meraviglioso assist di tacco di Stassi, che gli spiana un’autostrada verso il gol) e Iacopino, che trasforma il rigore della vittoria. Nel finale da segnalare il rigore fallito da parte di Martino per il Malfa, che centra il palo invece di rendere meno amaro l’ennesimo scivolone casalingo e l’espulsione (dubbia) di Stassi, che sarà costretto a saltare la prossima sfida contro la Sc Sicilia, in un derby messinese che promette emozioni.

Nonostante una partita non perfetta dal punto di vista del gioco a causa delle oggettive difficoltà del campo “Tre Pietre” di Malfa e del difficile viaggio in aliscafo, il Cus Unime si aggiudica 3 punti e torna a suonare la carica per il vertice della classifica, che oggi, a 7 giornate dal termine, dista appena un punto.

Prossima partita, dunque, al Marullo di Bisconte, Camaro, sabato 11 marzo alle 16,30 contro la Sc Sicilia: sfida che varrà tanto se non tantissimo per le sorti di questo fantastico campionato.

Formazione Cus (4-3-3): Faranda1; Rodà 2, Iacopino 4, Occhipinti 5, Cardella 3; Lombardo 8, Tiano 10, Monterosso 6; Insana 11, Oliva 9, Papale 7.

Panchina: Zito, D’Agostino, Costa, Al Hunaiti, Stassi.

Allenatore: Smedile.

PAGELLE:

Faranda voto 4: Assente dal campo da 2 anni, ne aspetterà altri 2 per ripresentarsi nuovamente. Legge malissimo ogni traiettoria possibile e ogni qualvolta la palla raggiunge la sua area di rigore, mister e compagni vengono assaliti da brividi lungo la schiena. La sua mossa migliore è quella di chiedere il cambio per il bene comune. “ANCHE QUESTO DIMOSTRA CHE SONO IL MIGLIORE

Roda’ voto 6: Dopo essersi esibito sull’aliscafo in versione “lap dance” , da bravo pastore si accorge subito che le reti del campo sono basse e che senza palloni avremmo vinto a tavolino. Nonostante i propositi non fossero dei migliori, svolge una partita pulita e senza “maschiate” da ricordare. ONESTO

Iacopino voto 7: Appena arrivato a Malfa gli avversari lo salutano col bacio, scambiandolo per un pastore di Alicudi. In campo la situazione è ben diversa, il capitano picchia e detta legge come suo solito, impreziosendo la sua prestazione con il sigillo finale. YATI

Occhipinti voto 5: Direttamente dal paese del commissario Montalbano, dove millanta di essersi allenato in questo periodo di ritiro spirituale, il buon Occhi si presenta a Malfa in condizioni psicofisiche da dimenticare. Parecchie volte in apnea nel primo tempo, la combina grossa regalando il calcio d’angolo dal quale nasce l’1a1. Finge palesemente un infortunio, per poter meditare sul profondo senso della vita osservando il mare. SAGGIO

Cardella voto 5: Ha l’alibi sacrosanto di giocare fuori ruolo, ha l’alibi meno sacrosanto di pesare più dello chef Cannavacciuolo, pur essendo a dieta dal 2008. In campo si trova spesso spaesato, talvolta poco aiutato da Papale in fase difensiva. E se il male minore fosse stato Costa? MISTERO

Lombardo voto 5.5: Arriva all’appuntamento carico a mille con almeno 8 hashtag per abbellire le sue storie. In campo perde un po di smalto anche a causa delle condizioni della partita che non favoriscono le sue geometrie. Poco importa, Picciolo si scatena con la macchina fotografica e lo immortala in tutto il suo splendore, garantendogli anche per oggi i suoi molteplici likes. #Calciopassione

Tiano voto 6: Partita non alla sua altezza, penalizzato anche lui dal contesto e dai pochi spazi a sua disposizione. Come ogni partita timbra il cartellino alla voce risse sfiorate. Poco freddo dagli undici metri e da la’ si spegne la luce. Mezzo voto in più perché in questo momento si starà inginocchiando sui ceci per punirsi. EMO

Monterosso voto 5.5: Arrivato a Malfa con gli occhi di chi è di nuovo, alla veneranda età di 40 anni, in gita scolastica. La sua partita non è però di quelle da ricordare negli annali, alcuni errori in fase di impostazione e molta macchinosita’. ER MOVIOLA

Insana voto 6.5: Si presenta a Malfa con un colorito che ricorda la Mozzarella di Battipaglia e un timbro dello 090 sul collo che non preannunciano nulla di buono. Tuttavia è tra quelli che si distinguono per sacrificio e qualità. CASPER

Papale voto 6.5 – Nel primo tempo si nota solo per le sue scarpe color evidenziatore che acciecano i gabbiani vicini. Sale in cattedra nel secondo tempo, prima bruciando i guantoni del portieri avversario, poi facendo assist e goal decisivi per il risultato finale. Dai suoi piedi sembra poter nascere sempre qualcosa. TIRO DEL DRAGONE

Oliva voto 6,5: Dopo aver stabilito il record di Travel Gum masticate, Peppe scende in campo con molta generosità e risulta determinate sia per il goal siglato , sia per aver tenuto su da solo un reparto contro i Pastori Malfesi. AGNELLO SACRIFICALE

Stassi voto 7: E’ l’arma spaccapartita e risulta devastante per qualità e mezzi tecnici. Fondamentale nella rimonta, entra in tutte le occasioni da goal. Peccato per la solita ingenua espulsione che gli farà saltare il Big Match contro l’Sc Sicilia. MIMMO BERARDI

D’Agostino voto 3: Inaccettabile puzzare di Negroni alle 6 di mattina sull’aliscafo. Sbiascica come se non ci fosse un domani, viene coinvolto spesso da sbalzi di umore che destabilizzano i compagni. Tenetelo d’occhio, questo è un potenziale Serial Killer. CRIMINAL MINDS

Zito voto 6

Osama voto 6

Mister Smedile voto 6: Tante defezioni lo condizionano nello schierare l’11 migliore ma lui ci mette del suo schierando un centrocampista ciccione a terzino sinistro. Poi ti giri in panchina e vedi D’Agostino che parla da solo e quel Costa che grida vendetta. Forse non aveva altre scelte. GIUSTIFICATO A META’

Mirko Burrascano

Dal Doodle di Google alla Giornata dei Giusti: scopriamo insieme il 6 marzo 2017

 

 

 

 

 

 

Il problema non è fare la cosa giusta. È sapere quale sia la cosa giusta.

(Lyndon Baines Johnson)

 

Esistono ben 1052 siti in tutto il mondo considerati Patrimonio dell’Umanità (secondo l’UNESCO). Tra questi, uno, oggi 6 marzo 2017, viene ricordato dal Doodle di Google: Il Parco Nazionale di Komodo.

Con un piccolo test, il doodle, mette alla prova le nostre conoscenze riguardo, per l’appunto, un animale molto particolare: il Komodo.

I Draghi di Komodo sono delle lucertole originarie dell’Indonesia e sono cento volte più grandi delle lucertole più piccole che esistono: possono raggiungere i tre metri di lunghezza e hanno una coda lunga tanto quanto il corpo.

Oggi, 37 anni fa, fu inaugurato il parco che ospita, appunto, questi antichi animali e li protegge. Ma non illudetevi: sono antipatici, un po’ aggressivi e mangiano cadaveri. Insomma, non esattamente tra le specie più simpatiche del regno animale.

6 Marzo 2017. Tra due giorni, l’8 marzo (ndr), è la festa della donna. Il 4 marzo è stato il compleanno di Lucio Dalla. Il primo del mese il suo anniversario di morte.

Ogni giorno c’è un santo, un onomastico, un compleanno, un anniversario o una ricorrenza.

6 Marzo 2017. Vorrei che l’abbiate, per sempre, ben impressa in mente questa data. Correva il 10 maggio del 2012 quando, essa, divenne importante. Il 10 maggio 2012 il Parlamento Europeo ha approvato, con 388 firme, la proposta di Gariwo di istituire, il 6 marzo, una Giornata europea dedicata ai Giusti per tutti i genocidi. Dal 6 marzo 2013 celebriamo quindi l’esempio dei Giusti per diffondere ovunque i valori della responsabilità, della tolleranza, della solidarietà.

Le persone Giuste, umane. Chi sono i Giusti? Sono quelle persone che, nonostante il momento storico che stanno vivendo, si ribellano in nome della giustizia. È dedicata a quelle persone che hanno combattuto contro le ingiustizie, ingiustizie dettate dalla religione, dalla politica, dall’essere umano che non sempre sa rispettare gli altri esseri umani.

Sono quelle persone che non hanno seguito la massa solo perché fosse più sicuro farlo, che hanno deciso di proteggere i più deboli, anche al costo delle loro stesse vite.

Gariwo: è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide, l’ONLUS che ha proposto ed ha ottenuto questa giornata. Ha sede a Milano e riconosce collaborazioni internazionali.

Dal 1999 lavora per far conoscere i Giusti: pensano che la memoria del Bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’Umanità.

Come si muovono? Bonificando e creando parchi, che loro stessi chiamano i Giardini dei Giusti.

Ogni anno, dal 2012, la Giornata dei Giusti esalta un tema che abbia sempre, come obiettivo principale, quello di spronare tutti noi ad affiancare la giustizia, anche se può fare paura, anche andando contro agli ideali della massa.

Quest’anno, 2017, il tema scelto per la cerimonia, al Monte Stella, è: “I Giusti del dialogo: l’incontro delle diversità per superare l’odio”. Tantissime figure parteciperanno alla riunione mondiale che verterà intorno ad esso.

Figure che, probabilmente, la maggior parte di noi, io stessa, disconosceva fino a questo momento: Raif Badawi, ad esempio, un blogger saudita condannato a mille frustate e arrestato per aver espresso le sue idee di laicità dello stato, per essersi ribellato all’idea di Religione che gli stati musulmani impongono.

E, ancora, Lassana Bathily, giovane ragazzo nero, originario del Mali, che ha salvato gli Ebrei durante l’attacco al supermercato Kasher, mettendosi contro i terroristi Islamici, rischiando la sua stessa vita. Pinar Selek, sociologa turca (e queste, QUESTE, sono le donne da cui dovremmo prendere esempio e che dovremmo festeggiare l’8 marzo) attivista per la pace e i diritti umani, che fu arrestata solo perché dichiara a gran voce che tutti, TUTTI, siamo uguali a questo mondo. Mohamed Naceur, guida turistica che ha salvato gli italiani al Bardo.

Ogni regione, città, nazione può, a proprio modo e libertà (soprattutto), celebrare la Giornata dei Giusti: in Sicilia, la città di Palermo è attiva a riguardo, con manifestazioni in tutto il territorio. Ancora, l’Università di Catania. Agrigento: L’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento, in collaborazione con il Parco Valle dei Templi di Agrigento, con la Prefettura di Agrigento, l’Ufficio Scolastico Provinciale di Agrigento, celebrerà la “Giornata Europea dei Giusti”, al Teatro “Pirandello” e nella Valle dei Templi.

E noi? Siamo dei Giusti, o vogliamo ricordarli? Vogliamo rendere partecipe il nostro territorio messinese, le nostre scuole, la nostra università, di questa giornata? Vogliamo fare parte dei Giusti?

Perché, sinceramente, ci comportiamo da tali? Possiamo dire di essere dei bravi esseri umani?

È facile essere buoni. Difficile è essere giusti.

Elena Anna Andronico

Dieci Minuti per il resto della tua vita.

“E a che serve questo gioco dei 10 minuti?”
“Boh, la dottoressa non me l’ha spiegato. Credo serva fondamentalmente a impegnarmi la testa, a riempire il vuoto e a fare ordine nella confusione che mi ritrovo al posto della vita”

Capita che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto, che il tuo compagno di sempre ti abbandoni e che il tuo lavoro di sempre venga affidato a un altro. E allora cosa si fa?  Chiara Gamberale non ha più nulla da perdere e allora ci prova. In “Per Dieci Minuti” ci mostra come i cambiamenti spaventano tutti ma sono necessari per ridarci il resto della vita che da soli bruciamo quando qualcosa va storto.

 “Vorrei assicurarle che non c’è verso: dentro momenti come questo bisogna cadere con le braccia, le gambe, il cuore, i polmoni. Tutto. 

Bisogna andare in fondo, bisogna marcire. 

Vorrei prometterle che non lo sa, che ora non può immaginarlo: ma arriverà il giorno in cui scoprirà di essere sopravvissuta.”

Dieci minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Fare una cosa nuova, fuori dagli schemi senza aver timore di sbagliare, senza aver paura dell’oblio. Gettarsi in avanti e vivere quello che capita.

“Hai paura di perdere tutta te stessa, perdendo lui.”

Il modo di scrivere di Chiara, che si denota in questo libro come negli altri, è semplicemente istantaneo, ti tiene incollato alle righe finché non giri l’ultima pagina e arrivi all’ultima parola. È diretta e sintetica, a volte ironica nonostante il tema del dolore e della sofferenza, a convincere è proprio il ritmo incalzante della narrazione, dato dall’uso di continui flashback del passato inseriti ad arte, e dal soffermarsi sapientemente sull’analisi dei sentimenti e degli stati d’animo.

Questa è una lettura consigliata a chi è pronto a seguire il consiglio di Chiara, uscire dalla monotonia, sperimentare, scoprire nuove passioni, migliorarsi. Alla fine si scoprirà che può diventare un gioco di fantasia da prendere sul serio, quasi senza accorgersene.

Combattere gli schemi e ricominciare.

“Quanto è assurda la vita, quando non tocca a noi.”

Serena Votano

 

Cinefilia per idioti: il musical

Tutti canticchiamo.
Chi appena sveglio, chi sotto la doccia, chi in macchina, chi mentre si fa il bidet.
Tutti abbiamo sempre sognato di poterlo fare, magari sul tram, sull’autobus, sul treno accompagnati da un’ipotetica colonna sonora della nostra vita. Ed esistono solo due tipi di persone, chi lo ammette e chi mente.
Il lapalissiano successo di La la land mi obbliga a farvi dono di questo articolo per questo mese speciale che è Marzo (pazzerello esci con il sole e prendi l’ombrello).
Il genere che ho deciso di analizzare in modo sempre totalmente professionale e mai soggettivo, è proprio quel genere di film che o lo ami o lo odi (un po’ come i tuoi genitori): il MUSICAL. Genere che fin dalla culla ha accompagnato ognuno di noi, che ci piacesse o meno, ha creato delle colonne sonore che ancora oggi tutti conosciamo e qualsiasi serie tv che si rispetti vanta tra le proprie puntate, una versione musical.
Ma più di Sanremo, più del dentifricio che ti macchia i vestiti mentre ti lavi i denti, in modo inspiegabile, e tua madre ti dice ” ma tu perché ti lavi i denti vestita?” più della gente che dice “che vita sarebbe senza nutella”, più di tristi trentenni con la parrucca, che fanno video fingendo di essere delle ragazze, più di tutto questo io odio i musical.
Dopo quest’affermazione così decisa e del tutto inaspettata (non è vero) voi vi chiederete; Ma Elisia sei cresciuta a latte e Nesquik, fiabe sonore e cartoni animati Disney, come puoi dire una cosa del genere? E io vi risponderei come ad ogni domanda che mi viene posta ogni giorno della mia vita da quando sono nata: NON LO SO.
Il mio amico Nicola mi dice sempre di dover essere in grado di argomentare qualcosa, specie se, questo qualcosa, non mi piace.
Io sono dell’idea che non vi sia bisogno di argomentare un genere che agli occhi di un qualsiasi individuo, dotato di buon senso e poca pazienza, appaia odioso; ma per evitare di congedarci precocemente, facciamo un passo indietro.
La fonte certa di cui mi avvalgo sempre (Google) sostiene che il musical nasca negli USA il 12 settembre 1866, dalla fusione fra una compagnia di ballo e canto importata dall’Europa, con una compagnia di prosa, in quanto la prima era rimasta senza un teatro in cui esibirsi mentre, la seconda, era alle prese con una produzione che si stava rivelando più dispendiosa del previsto.
Bastano questi pochi accenni, a mio avviso, per capire che una cosa nata per caso e per risparmiare non possa generare nulla di buono. Superando quelli che sono i preconcetti , sempreverdi, legati al musical : che sono venerati da qualsiasi americano e dagli omosessuali, notiamo fin da subito che non si adattano proprio ad ogni genere cinematografico o teatrale. Basti pensare ad un contesto horror o drammatico, perché in quei casi credo si abbia altro di cui preoccuparsi anziché cantare.
Questo genere si sposa perfettamente con trame banali e cariche a loro volta di cliché tipiche del loro genere ( come quando una modella sposa un anziano milionario). Ma a noi, l’ovvio misto allo stravagante ci piace e quindi assistiamo a personaggi estremamente caratterizzati che si presentano a noi con canzoni di gruppo esaltando i loro più banali aspetti caratteriali (in viaggio con Pippo docet), tutti estremamente intonati e ballerini professionisti.

La peculiarità che mi lascia sempre esterrefatta (quasi infastidita), è la nonchalance con la quale tutti continuino a fare ciò che stavano facendo, prima che iniziassero a cantare e ballare, appena la musica finisce. E nonostante io abbia apprezzato Gesù e Giuda cantare in Jesus Christ superstar, o aver apprezzato Jessica Fletcher guidare un letto in pomi d’ottone e manici di scopa, e nonostante io mi compiaccia mi ogni volta che riesco a dire correttamente supercalifragilisitchespiralidoso; credere in un cavallo con il corpo da uomo che parla (Bojack horseman) oppure nell’esistenza in un sottosopra (Stranger Things ) lo ritengo più semplice.
Più del vedere uomini, donne, bambini e anziani ballare e cantare improvvisamente (con spunti futili, ad esempio riordinare una stanza) anche da soli in mezzo alla gente o sotto la pioggia.
Ma forse la magia dei musical è proprio questa: possono essere apprezzati solo dai sognatori. Oltre che dagli omosessuali.

Elisia Lo Schiavo

 

Cyber warfare e diritto internazionale

Negli ultimi anni si è spesso parlato di “attacchi informatici” “cyber guerra” ecco l’occasione adatta per capire qualcosa di più a riguardo!

Lunedì 6 Marzo, presso la Sala Accademia dei Pericolanti, il IV ciclo di seminari organizzato dall’ILSA Chapter Messina sulle attualità del diritto internazionale.
Avrà inizio alle ore 10 con un intervento del prof. Marco Roscini, professore di International Law alla Westminster Law School, sul tema: “Cyber warfare e diritto internazionale”, affrontando quindi l’attualissimo tema delle guerre cibernetiche.
Interverranno i proff. Livio Scaffidi Runchella, ricercatore di Diritto internazionale dell’Università di Messina e il dottore Marco Longobardo (Università di Messina e University of Westminster, London).
I lavori saranno presieduti e moderati dalla  la prof.ssa di diritto interazione dell’Università di Messina Marcella Distefano.

Agli studenti di Giurisprudenza verranno assegnati 0,25 CFU.

 

Arianna De Arcangelis

Abbatti lo Stereotipo- Gli studenti di Chimica

Nelle sperdute periferie delle città risiedono dei poli universitari molto particolari (o, per lo meno, nella nostra periferia): i poli scientifici.

Ma non scientifici a caso, proprio scientifici scientifici. Proprio quelli che ti riportano all’era delle medie: matematica, fisica, chimica. Lì, camminano degli zombies nerd, che ripetono a bassa voce e tra sé, formule, radici, calcoli.

In mezzo a questa fauna, alcuni spiccano: hanno i capelli elettrizzati e in aria, sono sporchi in faccia, hanno i camici strappati.

Sono gli studenti in Chimica. Ta ta taaaan. Studiano in padiglioni sotterranei dove ci sono i loro laboratori segreti e, in combutta con i professori, sintetizzano droghe e sostanze che un giorno permetteranno loro di conquistare il mondo.

Ma, c’è sempre un ma, come sempre è arrivata, là dove nessun altro arriva, la rubrica di UniVersoMe Abbatti lo Stereotipo. Abbiamo preso, quindi, un esemplare abbastanza normale: altezza media, donna, bionda, non troppo intelligente (si scherza) e le abbiamo chiesto di aiutarci nell’impresa di sfatare gli stereotipi sul suo corso di laurea.

E quindi? Ci ha detto di . Per cui, ecco a voi, signori, io e la mia amica Chimica che abbattiamo i 5 stereotipi sugli studenti in chimica!

  1. Sono tutti drogati: iniziamo dal nocciolo della questione. Perché, si sa, appena il ragazzo carino di fronte a te, con cui stai prendendo una birra per la prima volta e ti sembra proprio un ammmooooreeee, ti dice che fa chimica, scatta il pensiero:’’ è un cocainomane. Chissà cosa mi ha messo dentro la birra. Aiuto’’.

Per il mondo, Bob Marley è il prototipo dello studente di chimica. Tutti fattoni, don’t worry be happy e ohi maria ti amo. Ma no ragazzi, no no. Intanto, non tutti si sfondano di crocodile sintetizzata nei laboratori universitari e poi, la vera domanda è: ma perché tu che fai giurisprudenza/medicina/agraria/sto cazzo non fumi? Da te i fattoni non ci sono? Questo stereotipo non sta proprio in piedi. Alcuni si rilassano in un modo, altri in un altro.

Ebbasta.

  1. Sono tutti geni pazzi: eeeeeh, ciuffo rosso naso all’insù camice bianco e stivaletti da schiaaaanto!

Cartoon Network docet. Chi non hai mai guardato il laboratorio segreto di Dexter? È per colpa di questo cartone che ci immaginiamo gli studenti in chimica così fiiighi come occhialini sexy e ciuffo rosso Dexter. Ho investigato. Ho buttato giù le librerie di vari amici, ho spostato sedie, cercato bottoni, scomparti segreti. Niente. Nessun laboratorio nascosto. Nessuna sorella stramba, altissima e stupida. Nessun bambino di 12 anni loro nemesi. Gli unici laboratori in cui vanno sono sempre quelli universitari dove ci sono, a malapena, mezza beuta e due palloncini per le feste.

Non sono geni. Non inventano cose strane. Sono un po’ noiosi. Quasi quasi alcuni non capiscono una ceppa di niente e parlano mezzo a rallentatore perché soffrono di disattenzione. Niente pazzia, visioni, invenzioni fuori dal normale. Un po’ di esaurimento da sessione. Che peccato. Una delusione, in realtà.

  1.  Si sentono in Breaking Bad: ovvia conseguenza dei primi due punti. Sono dei geni pazzi e fattoni, non possono che non sentirsi parte di questa serie Tv. Beh, no. È come se io andassi in giro per il Policlinico di Messina a provarci con tutti i neurochirurghi o i chirurghi plastici del policlinico (mi fa giustamente notare la mia amica Alessandra, ndr).

È chiaro che io non sono dentro grey’s anatomy e loro non sono dentro breaking bad. Non travisiamo: diciamo che per loro, questa serie tv, è l’apoteosi di quello che vorrebbero essere (e che probabilmente non saranno mai). Anche se, ad onor del vero, molti preferirebbero e si sentono di più proprio dentro Dexter che dentro Breaking Bad e tanti saluti.

  1. Si sentono Onnipotenti: PERCHE’ IO SO COME FUNZIONA LA VITA, IL MONDO, L’UNIVERSO. Siamo solo atomi, orbite, molecole. NOI CONOSCIAMO E STUDIAMO L’ESSENZA DELLA VITA, LA MATERIA.

Ecco, applauso. Dopo i 10 minuti di megalomania pouf, tornano a sbavare davanti alla play station. C’è poco da sentirsi onnipotenti nel sapere che siamo fatti di acqua e altri 4 elementi. Si puliscono il sedere con la carta igienica con la stampa della tavola periodica.

  1. Sono sporchi: sono dei selfisti anonimi anche loro e i loro selfie li ritraggono in laboratorio con gli occhialoni e i camici bianchi. No, non bianchi: grigi e bucati e schifosi. Ma questo non vuol dire che sono tutti sporchi o che sono sempre sporchi. Si sporcano a lavoro e cazzomene di pulire il camice, ma quando tornano a casa si fanno la doccia pure loro. Giurin giurello, fanno profumo. Ricordatevi pure voi di fare la doccia ogni tanto, soprattutto quando avete in programma di prendere un mezzo pubblico AD ESEMPIO.

Un abbraccio

Elena Anna Andronico

Alessandra Frisone

Da Stromboli a Idea di un’isola. La Sicilia e i siciliani per Roberto Rossellini

In occasione dei 40 anni dalla morte, la rassegna BAM – Biennale Arcipelago Mediterraneo, alla sua prima edizione, ha ospitato a Palermo nella sala dei Cantieri Culturali alla Zisa intitolata a Vittorio De Seta, una due giorni (17-18 febbraio) dedicata allo stretto legame intercorso tra il cinema di Roberto Rossellini e il soggetto che ha ispirato alcune delle sue pellicole più celebri.
Nell’incontro che ha preceduto le proiezioni sono intervenuti nel dibattito Bruno Roberti, critico ed esperto di Rossellini, il regista Franco MarescoRenzo Rossellini, figlio di Roberto e produttore cinematografico (ricordiamo, in mezzo alle centinaia di titoli famosissimi Il Marchese del Grillo di Mario Monicelli, Fanny e Alexander di Ingmar Bergman, La città delle donne e lo stralunato film a sfondo sociale Prova D’Orchestra di Federico Fellini).

Renzo Rossellini ha anche collaborato insieme al padre alla scrittura di quella che è la testimonianza diretta del suo rapporto d’elezione con la Sicilia e con la sua anima popolare: Idea di un’Isola è un documentario pensato per la TV americana con il contributo della Rai alla fine degli anni ’60 e di recente riproposto nella programmazione di Fuori Orario. Una terra sempre cara al cineasta che ha fornito una lettura attenta per raccontare in poco meno di 60 minuti i luoghi e le espressioni salienti sedimentate in secoli di storia della più grande isola del mediterraneo: “la mitica rupe di Scilla e il gorgo di Cariddi sono i pilastri dello stretto che la divide dal continente”.
A fare da raccordo a una carrellata che mette in simbiosi il teatro dei pupi, il vivo fuoco del folclore religioso, l’arte e l’islam, le saline e lo sguardo sulle industrie attive in quegli anni tra Gela e Milazzo, i tratti tipici del siciliano che quasi per abitudine secolare, costretto ad avere sempre un nuovo oppressore, ha maturato diffidenza, prudenza e segretezza: “in Sicilia certe cose non si dicono; si alludono. Per cui si è sviluppato un linguaggio più discreto di quello verbale, fatto di gesti. Più significativo”.

La voce fuori campo del palermitano Corrado Gaipa (doppiatore di Burt Lancaster nel Gattopardo) mostra uno spaccato interessante della realtà di alcuni luoghi, anche se non privo di una impostazione didattica un po’ cartolinesca, se vogliamo, del resto tipica di questo genere di produzione rosselliniana anche negli anni a venire, accompagnata a delle immagini documentarie comunque ricche di freschezza e leggerezza. Fu per effetto della forte presenza di immigrati italiani se nel ‘67 una famosa TV statunitense chiese a Rossellini di realizzare un cortometraggio che avesse come tema la Sicilia. Lui, che di Palermo conosceva ogni angolo, compresi i migliori ristoranti – ha precisato il figlio – accolse come un’opportunità irripetibile l’occasione del soggiorno nell’isola per realizzare le riprese. Alcuni critici osservarono come la rappresentazione idilliaca e pacifica di Idea di un’isola occultasse, al di là di una superficiale coloritura, ogni riferimento problematico alla mafia. Una decisione imputabile in buona misura alle direttive dell’emittente. Certo è che sono ancora lontani gli anni in cui le trattative stato-mafia, anche se già attive storicamente, sarebbero venute a galla.

Ma la Palermo tanto amata da Roberto Rossellini, città dell’accoglienza e scenario in cui civiltà diverse avevano convissuto (la Sicilia è la chiave di ogni cosa, diceva Goethe), è anche lo specchio del suo modo di operare con la cinepresa; tanto che, questa volta in tempi non sospetti, scrisse una sceneggiatura destinata a una serie in cinque puntate mai realizzata e pubblicata poi da Renzo col titolo Impariamo a conoscere il mondo musulmano (1975). Una storia dell’Islam rivolta alla televisione. Per Rossellini che nell’ultima lettera al figlio scriveva “ho cercato di fare per tutta la vita del cinema un arte utile agli uomini” il cinema doveva essere diretto non al “pubblico”, ma all’intelligenza della gente. Anche la televisione poteva quindi diventare uno strumento utile per non subire l’influsso della propaganda e per non diventare vittime di dittatori o come oggi, di politici prepotenti.
Bruno Roberti ha ricordato in proposito come il suo fosse un cinema senza uniforme: “È imprendibile, non può essere catalogato e storicizzato, per questo è attuale”.

Per molti abitanti di Stromboli l’arrivo della troupe insieme alle macchine da presa coincise con la scoperta del cinema. Il film del 1950 racconta l’incontro di una profuga con un prigioniero di guerra palermitano in un campo per stranieri alla fine della seconda guerra mondiale. Impossibilitata a tornare in Argentina la giovane decide di sposare l’uomo e, partendo da Messina, di trasferirsi con lui a Stromboli. Il tenore di vita e gli usi locali, molto lontani dalle sue abitudini, porteranno la ragazza a ripudiare il posto in cui si trova e desiderare di scappare dal giogo di un’isola primigenia e primitiva.

Stromboli – Terra di Dio (oggi in versione restaurata grazie alla cineteca di Bologna) è un film spiazzante e modernissimo, in cui polemicamente si è tentato di ravvisare un indizio di conversione al cattolicesimo ma che racchiude una spiritualità diversa, concreta e sofferente, che risiede nell’asperità selvaggia che riveste i tratti delle coste, che investe la severità del vulcano pronto ad esplodere, le case dei pescatori, e in generale l’umanità dei personaggi, cioè gli uomini e le donne dell’isola. Non traspare alcun giudizio morale o parodia macchiettistica costruita nel caratterizzare i siciliani che collaborarono a fianco di Ingrid Bergman (proprio a Stromboli nacque la sua storia d’amore con Rossellini. E per ripicca Anna Magnani lavorò a un altro film alle Eolie; Vulcano).
Prima di iniziare a girare il regista proiettò un film da mostrare abitanti di Stromboli per spiegare loro quello che stavano per fare. “Stromboli è un film sull’umanità, sulla cattiveria, e sulla capacità del cinema di redimere. Racconta delle cose vicine a quelle che viviamo oggi: un personaggio che arriva dall’estero e viene visto come un intruso. Un essere umano che viene trattato come straniero. Quello che sta succedendo un po’ oggi in Italia e in Europa”.
Così dopo il restauro è potuta riaffiorare tutta l’intensità delle immagini e la potenza feroce della natura. L’avventura di Stromboli non è soltanto quella legata a un film, e non si conclude una volta terminate le riprese, ma consiste nella capacità del cinema di entrare in contatto con un luogo e diventare parte delle memoria di una comunità.

Stromboli ha segnato un punto di svolta che non ha mancato di condizionare la Nouvelle Vogue francese.
Ma Rossellini ha inserito riferimenti alla Sicilia anche in Paisà e Viva l’Italia!. Se avesse potuto scegliere, ha detto Renzo con convinzione, avrebbe voluto essere siciliano; di loro ammirava l’intelligenza e il senso dell’umorismo: “Era anche innamorato della cucina siciliana e forse pure di qualche signora siciliana. Diceva che senza stima non si può amare. Lui stimava e si innamorava. Questa è la storia di Roberto Rossellini”.

Eulalia Cambria

Due team messinesi volano alla finale nazionale, EBEC Italy

Atomic Group”, team composto da Ambra Cancelliere, Maria Orifici, Anna Bonfiglio e Dario Morganti e “gli inCIVILI”, composto da Stellario Marra, Pietro Tripiciano, Gianmarco Amico, Rosella Audino: sono questi i componenti delle due squadre dell’ateneo messinese che hanno vinto il round locale della Competizione Ingegneristica più importante d’Europa, EBEC Messina, rispettivamente per le prove del Team Design e Case Study.

La competizione, giunta alla nona edizione, ha visto coinvolti studenti della facoltà di Ingegneria e di Scienze che si sono sfidati nel corso di due differenti prove: il Case Study, risoluzione di un problema manageriale fornito dall’azienda emergente nel territorio messinese “Innesta” (un incubatore di imprese nato per sostenere e dare nuova linfa vitale all’ecosistema imprenditoriale locale) e il Team Design, ovvero la realizzazione di un prototipo funzionante in un tempo limitato e con  risorse fornite. L’obiettivo di quest’anno è stato quello di creare una struttura usufruendo esclusivamente di pasta, scotch, colla e spago. Quattro ore di grande competizione, in cui ogni team ha messo in campo ingegno e creatività, ma non solo: tanto divertimento e lavoro di squadra hanno caratterizzato questa entusiasmante edizione di EBEC Messina.

 

A decretare i vincitori, una giuria composta da professionisti e soci dell’azienda partner: Giuseppe Arrigo, Marcello Perone e Lillo Giacobbo per Innesta, Gabriel Versaci, rappresentante delll’Ordine degli Ingegneri della provincia di Messina, Paolo Patanè dal Technology Transfer Office, Riccardo di Pietro, Candida Milone, Massimo Villari dall’ Università di Messina.

Le due squadre vincitrici parteciperanno al round nazionale presso il Politecnico di Milano, dal 31 marzo al 2 aprile. In questa occasione si sfideranno tutti i team vincitori provenienti dagli altri cinque atenei italiani coinvolti nella competizione: Roma “La Sapienza”, Roma Tor Vergata, Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Federico II di Napoli.

 

Grandi novità sul piano degli sponsor e partner che, quest’anno, hanno sostenuto l’iniziativa dell’Associazione studentesca; si ringraziano, in particolare: Pentel, leader sul mercato globale degli strumenti di cancelleria, MindtheGum, produttore di integratori alimentari per lo studio e anche UniVersoMe, radio ufficiale dell’ateneo messinese, che ha seguito in diretta la competizione. Ultimo ma non per importanza, si ringraziano i patrocini degli Ordini degli Ingegneri, dell’Università di Messina e del comune.


Il project manager, Giuseppe Ipsale, il presidente di BEST Messina, Francesca Callà, e l’associazione tutta, sono molto orgogliosi dei risultati ottenuti: l’evento, unico nel suo genere a Messina, ha avvolto gli studenti con puro entusiasmo in un sano clima di competizione, evadendo dalla routine universitaria.

Laura D’Amico

Vivere sportivi: la passione

“Lo sport come educazione di vita sociale” è la tipica frase che il grande dice al piccolo. Il piccolo cresce, apprende e applica. Ma cosa apprende? Cosa applica?

Nella nostra Italia è oggettivamente accertato che lo sport più applicato sia il calcio, vuoi per cultura o vuoi per interazioni mediatiche. Il gioco del calcio, bellissimo e interessantissimo se si approfondiscono studi tattici o schematici, trova dal canto suo molteplici interpretazioni che talvolta possono risultare in contrasto con l’esclamazione di cui sopra.
divertimento

 

 

 

 

Il mondo del “pallone” può essere suddiviso in tre branche: professionistico, dilettantistico e amatoriale. Ognuno di questi tre rami ha valenza nella vita di uno sportivo, ma con le relative attenzioni derivanti dagli interessi propri.

Cos’hanno in comune queste tre tipologie? La risposta è molto semplice. Sono infatti due i punti in comune: le regole del gioco e la passione.

Ecco la passione. La passione è, o quantomeno dovrebbe essere, il fulcro di ogni azione (sportiva e non), ma è chiaro che il mondo politicizzato e strumentalizzato in cui viviamo ha fatto venir meno quest’essenziale prerogativa. Fortunatamente, però, non dappertutto.

Ed è proprio qui che passiamo alle differenze tra questi tre “tipi di calcio”. C’è chi è deciso nell’affermare che il calcio dilettantistico è la porta del calcio professionistico e c’è poi chi, invece, quasi disdegna il calcio dei professionisti consegnando anima e corpo a quello dei dilettanti.

Lo sport mediatico ha oggi un’importanza non banale sulla cultura di massa, in particolare nel calcio, dove diritti televisivi e sponsor hanno preso il controllo del gioco e di conseguenza delle menti di quei piccoli, i quali, nel tentare di imitare i professionisti, spesso e volentieri perdono di vista il significato dello sport in senso stretto: passione e aggregazione (…come educazione di vita sociale!)

Discorso diverso va fatto per il calcio amatoriale: probabilmente il calcio più sano e amichevole che esista, non perché non vi è competizione, bensì perché l’unico reale obiettivo di questa tipologia è lo svago, che a sua volta si può interpretare come salutare attività motoria con fini socializzanti, incentivato per lo più anche da autofinanziamenti.

È chiaro che il calcio professionistico offre molto di più dal punto di vista tecnico-tattico e se è vero che anche l’occhio vuole la sua parte non si può che avallare tutto l’audience che genera su ogni formato di pubblico, senza diversità d’età o di genere. Paradossalmente però il calcio dilettantistico offre qualcosa di più profondo in valore assoluto: la competizione non manca e in più vi è quella voglia e quell’amore per lo sport necessaria per compensare i limiti tecnici. Limiti che da sempre e per sempre impediranno di fare dello sport la propria professione, ma che mai riusciranno a ostacolare ne frenare il sentimento del dilettante.Scuola calcio: Temporary e Iper

Pertanto, qualunque tipo di calcio si preferisca può fare da esempio o stile di vita, ma solo se accolto in modo soggettivo e sempre e comunque in tutela del sentimento per lo sport.

In conclusione, il problema non sta nelle differenze tra i vari tipi di calcio, perché sia in quello professionistico che in quello dilettantistico e amatoriale, il gioco è sempre lo stesso e con le stesse regole. Il problema consiste nell’interpretazione che ognuno di noi prova a dare a queste tre realtà sportive.

L’auspicio è dunque che il piccolo, mentre cresce, apprenda i molteplici valori dello sport tanto dal punto di vista dell’attività fisica quanto da quello della competizione e dell’aggregazione, indipendentemente dalla categoria in cui lo andrà a praticare. Così da diventare egli il grande di domani che trasmetterà al “nuovo” piccolo questi essenziali principi per non tralasciare e trascurare il senso dello sport (e della vita).

Essere sportivi significa vivere sportivi. Vivere sportivi significa vivere sani e competitivi.

 

Mirko Burrascano