“A tutte le unità: triplo nove. Agente a terra” – Recensione Codice 999 (Triple 9) di John Hillcoat

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Poliziotti, criminali, sparatorie e sangue, misti ad un’ atmosfera quasi “noir”, solo le caratteristiche fondamentali per formare un prodotto quale “Triple 9” (“Codice 999” in Italia) rappresenta. Diretto da John Hillcoat, la pellicola – dopo brevi dialoghi – ci immerge subito nell’azione, senza alcuna premessa o un tentativo di conoscenza dei personaggi presenti sullo schermo. Cinque uomini, che attraverso conversazioni fra gli stessi capiremo essere: Russell Welch (Norman Reedus),  Michael Atwood (Chiwetel Ejiofor), Marcus Belmont (Anthony Mackie), Gabe Welch (Aaron Paul) e Franco Rodriguez (Clifton Collins Jr.), rapinano una banca con un unico obiettivo, ovvero ottenere il contenuto di una determinata cassa di sicurezza in meno di tre minuti, così da poter sfuggire senza troppi problemi dalla polizia.

Procedendo secondo un accurato piano, in maniera assolutamente efficiente, riescono a portare a termine il loro compito ma non senza i classici intoppi di norma. Veniamo così a scoprire che i nostri protagonisti sono, per la maggior parte, poliziotti corrotti divisi fra chi è ancora in servizio e chi invece ha abbandonato la propria vocazione già da tempo , incaricati di compiere il lavoro su comando di una rilevante frazione della mafia russa che opera in terra americana. Benché il loro accordo stabilisse questa sola operazione, i russi sembrano non essere ancora contenti, chiedendo alla squadra nuovamente la loro “collaborazione” che trova il dissenso di tutti. Ma la posta in gioco è troppo alta…

Triple 9, uscito nelle sale a febbraio 2016 (aprile in Italia), vanta un cast importante con stelle del calibro di Aaron Paul (Breaking Bad), Chiwetel Ejiofor (12 Anni Schiavo), Norman Reedus (The Walking Dead), Anthony Mackie (Captain America), Woody Harrelson (True Detective), Kate Winslet (Titanic), Gal Gadot (Wonder Woman) e tanti altri. Tuttavia, nonostante la presenza di notevoli attori che sicuramente non mancano al loro talento recitativo , l’opera di Hillcoat convince poco. Con buone premesse, ricade nei classici stereotipi dei poliziotti corrotti e delle società consumate dalla criminalità interna ed esterna, con mancanza di veri e propri colpi di scena.

Interessante, invece, è l’impegno messo nel creare del realismo coinvolgendo reali agenti della SWAT, poliziotti e paramedici americani per alcune scene di azione di rilievo. Nel complesso il film non è definibile come un fallimento nella maniera più assoluta, ma manca quello scatto in più per renderlo migliore.

                                                                                                                                                             Giuseppe Maimone

Corsa al CdA- Andrea Barbarello

12801422_10207885081117678_3047035626928670267_n“E’ la febbre della Gioventù che mantiene il resto del mondo alla temperatura normale. Quando la gioventù si raffredda, il resto del mondo batte i denti.” (George Bernanos, ispiratore della resistenza Francese).

E’ la frase citatami dal Presidente della commisione agli esami di Stato. Quanta responsabilità che abbiamo noi giovani, allo stesso tempo FORZA e SPERANZA delle nostre città.

Mi presento, sono Andrea Barbarello, rappresentante dell’ Associazione “FIGLI DI IPPOCRATE”, studente di Medicina al sesto anno, “Cittadino dello Stretto”. E già… grazie agli impegni universitari e sportivi, giocando nel Handball Messina, sono riuscito ad amalgamare le mie origini Reggine con le nuove esperienze Messinesi vivendo a pieno le due realtà.

Con l’associazione siamo diventati un punto di riferimento per i ragazzi: ponendoci da tramite con i professori, ottenendo agevolazioni ( esempi ne sono “La Libreria Dello Studente” ed il “CopyCenter”), attenzionando la didattica e i servizi dedicati agli studenti.

Desideroso di continuare il nostro lavoro per poter fare la differenza, chiedo il vostro sostegno.

Storia di un amore

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”Il 6 Maggio del 1923, in un piccolo paesino della Sicilia, Paola provò per la terza volta la sensazione ed il dolore di diventare mamma; ma per la prima volta, sentì l’emozione di stringere fra le braccia una femminuccia, con tanti capelli scuri e degli occhioni marroni. I due fratellini da mesi facevano a gara per scegliere il no me della sorellina, ma decisero soltanto quando la videro: Rosa – “ è bella proprio come il fiore”– disse uno dei due.

I genitori gestivano una piccola attività, simile ad una bottega…”

-“ Nonna, dai, arriva al punto! Io voglio sapere di Rosa e Marco!”

-“ Ma ci sto arrivando, piano piano.”

-“ Ora! Racconta quella parte, per favore!”

-“ Va bene, Chiara! Allora. Era il 1940, l’anno in cui l’Italia sarebbe entrata in guerra.. la seconda guerra mondiale, tesoro!”

-“ Lo so, anche se sono piccola! So tante cose io!”

La nonna ridacchia e ricomincia il racconto“ Rosa era una brava sarta: cuciva per sé, per le amiche e per i signori del paesino, e guadagnava qualche soldo per aiutare la famiglia. Ma non è lavorando che conobbe Marco.

Era Maggio, da poco era passato il suo compleanno; le giornate erano più lunghe e le sere più calde.

Un pomeriggio della prima metà del mese, Rosa era ad una festa: aveva addosso un abito a fantasia, tessuto con le sue mani, ed i capelli raccolti con un fermaglio.

In mezzo a tutti gli invitati, gli occhi di Rosa inciamparono in quelli di Marco; questo ragazzo alto, dai capelli corvini, stregò il cuore della giovane.

Si avvicinarono e Marco le prese la mano, invitandola a ballare: non si erano presentati, ne avevamo scambiato alcuna parola mentre danzavano, eppure, sembrava parlassero con i gesti e con gli sguardi.

Erano due sconosciuti, ma davano l’impressione di conoscersi da sempre; si sfioravano le mani così dolcemente e si guardavano intensamente.” – Chiara ascolta con attenzione la nonna : “ E poi? Poi?”

“ Poi andarono a fare una passeggiata sulla spiaggia lì vicino. L’atmosfera era magica, surreale: le loro voci si intrecciavano alle risate, contornate da quel tramonto che era un’alba d’amore.

“ Promettimi che ci vedremo domani e dopodomani e il giorno dopo ancora!” – esclamò Rosa – “ Ogni giorno, al calar di sole.” – le promise lui.

Era il 12 Maggio, quando, con uno sguardo di approvazione, le labbra di Marco sfiorarono quelle di Rosa.

Da quel momento, il tempo corse e tutto l’amore sbocciato in un caldo pomeriggio, sembrava destinato a non finire.

Ma arrivò quel maledetto 10 Giugno, in cui Rosa guardò quel tramonto da sola e ne conosceva il motivo: l’Italia era in guerra e la chiamata alle armi stava segnando la fine di quella travolgente storia d’amore.

Marco non aveva il coraggio di salutare per l’ultima volta la sua amata, ma Rosa voleva vederlo prima che partisse.

La mattina seguente, corse in stazione: le lacrime bagnavano gli occhi degli innamorati che non avrebbero mai voluto dirsi addio, non in quel momento, non in quel modo. Rosa mise nella mano di Marco un fazzoletto che aveva cucito quella notte, con sopra ricamati i loro nomi – “ Asciugati con questo e stringilo nei momenti più difficili. Io sarò con te” – lui rispose solamente: “ Aspettami”.

Un amore così grande si stava concludendo così brevemente, con un treno che si allontanava sempre più velocemente da sembrare, ormai, irraggiungibile.

-“ È finita?” – interrompe Chiara– “ Non può essere finita così, non è giusto!”

-“ Non è esattamente finita, piccola.”

-“ Cosa aspetti allora? Continua!”

-“ La guerra costrinse Rosa e la sua famiglia a trasferirsi in una città poco più lontana dal suo paese natale. I mesi e poi gli anni passarono e Rosa conobbe un bel giovane, buono e abbiente, con il quale dopo poco tempo si sposò. Dopo il matrimonio, Rosa riuscì ad aprire una sartoria, ma ogni volta che cuciva pensava a Marco: il suo cuore, sarebbe sempre appartenuto al suo primo amore.

-“ E lui dov’era? Era vivo?”

-“ Si era vivo, ma un incidente gli aveva fatto perdere la memoria ed era in cura in un ospedale di una grande città. Proprio qui, aveva conosciuto un’infermiera della quale si era innamorato e con cui si sposò. Ma c’era sempre quel fazzoletto con lui, con il nome di Rosa e lui doveva sapere.

Dopo molti anni, cominciò a ricordare il suo passato e tornò nel suo paesino d’origine dove gli amici ed i parenti gli raccontarono della sua storia con Rosa e dove lei si trovasse ora.

Doveva rivederla ad ogni costo, così si mise alla ricerca della sartoria.

 

Era il 1955, quando la porta dell’attività di Rosa si aprì; lei stava sistemando alcuni rotoli di stoffa negli scaffali e appena si girò per accogliere il cliente, il suo cuore si fermò: era Marco, il suo Marco e si stavano guardando proprio come si guardarono la prima volta.

Lui le porse il fazzoletto e le disse: “ Non ricordavo nulla, avevo solo questo e ti ho trovata”.

I due si accomodarono su delle sedie e parlarono proprio come il loro primo appuntamento : sembrava che fossero tornati indietro di quindici anni.

Dopo un’ora di chiacchiere, Marco la salutò e sull’uscio della porta le disse: “ I primi di Maggio, quasi di passaggio, ti sfiorerà l’idea di me e ricorderai di aver scordato ogni nostro momento; ma, arrivando a metà maggio, ti toccherà il pensiero delle mie labbra sulle tue ed i nostri occhi che si incontrano da lontano.”

 

Chiara abbassa lo sguardo – “ Nonna, ti ricordi ogni singola parola che ti ha detto… a metà maggio lo pensi sempre, non è vero?”

-“ Sempre, piccola mia. Il suo pensiero è nel mio cuore.”

Jessica Cardullo

Moonlight: un film da non perdere

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Negli ultimi anni l’industria cinematografica e televisiva ha avuto come tema ricorrente la questione di genere e la comunità LGBT. Pochi film però sono stati così delicatamente incisivi e toccanti come “Moonlight”, film di apertura dei festival di Telluride e Roma di quest’anno, è stato proiettato anche al NYFF, al TIFF e al BFI di Londra.

Seconda opera di Berry Jenkins racconta la vita di un ragazzino di colore nei bassifondi di Miami e l’accettazione della sua sessualità.

Strutturato in tre capitoli, per tre fasce di età, denominati col nome con cui Chiron si fa chiamare o viene chiamato. Da piccolo Chiron attira l’attenzione di uno spacciatore (interpretato da Mahershala Ali il cui nome non vi dirà nulla ma che avete visto in molti film e tv series fra cui House of cards nei panni di Remy Danton, l’avvocato che diventa capo dello staff di Underwood) che , insieme alla moglie (la cantante Janelle Monae) lo accoglie in casa, e sopperisce alla figura paterna.

I bulli che lo perseguitano fin da piccolo lo faranno diventare un’ altra persona da adulto. O forse sarà una semplice corazza. Chiron è una persona taciturna, quasi muto, sensibilissimo e timido. Il mare dietro quello sguardo profondissimo. La spiaggia e il mare: i luoghi in cui è libero di essere se stesso.

E’ un film necessario per l’America dopo la strage di Orlando e per gli spettatori di tutto il mondo, perché racconta la battaglia interiore ed esteriore di un ragazzo di colore , sessualità e bullismo. Delicato e prorompente, non scade mai nel cliché. Jenkins ha una visione unica e mai vista fino ad ora , permette agli spettatori di riflettere sulle ferite visibili ed invisibili dell’altro, argomento che probabilmente non aveva mai sfiorato la loro mente.

Insomma è un’opera da non perdere.

Arianna De Arcangelis

Dimmi chi voti e ti dirò se ti rimuovo dalle amicizie Facebook!

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Delegare la possibilità di scegliere su questioni di vitale importanza è un topic la cui origine si perde nel tempo. Viste le imminenti elezioni di novembre (non Unime, ndr) che vedranno lo scontro tra la visione “rivoluzionaria” che ha del mondo Trump e la ricerca di una conferma della discontinuità (iniziata col periodo Obama) della Clinton, e vista l’importanza che rivestiranno nei confronti delle future politiche ed economie in tutto il globo, è impensabile credere che non possa accadere qualcosa che possa minare la credibilità di uno piuttosto che dell’altro candidato, vivendo nell’era dei Social Media. Non sono mancate infatti minacce di possibili attacchi informatici (si è bisbigliato negli ultimi giorni di furto di credenziali nei confronti della Clinton), con riversamento di informazioni e che potrebbero compromettere la campagna elettorale e veicolare quantità innumerevoli di voti da una parte o dall’altra.
h2>Sperimentiamo un po’
Al di là di quello che può essere un atto “piratesco” di attacco nei confronti di una persona, a prescindere da quella che sia la volontà di una persona di rivelare alcune informazioni, credo ci sia qualcosa di cui preoccuparsi ulteriormente, e sono i cosidetti “esperimenti social”. Da qualche giorno a questa parte è disponibile per gli utenti Facebook americani la possibilità di poter effettuare un “endorsement” nei confronti di uno dei due candidati attraverso un’applicazione che permette di scegliere chi è il personaggio politico di riferimento con un solo click, e che applica un badge alla propria immagine profilo.
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h2>Possibilità di accanimento
Se da un lato questo può far scaturire la voglia di perdere i legami con ogni singola persona che faccia uso di questa applicazione, dall’altro credo serva una profonda riflessione sul fenomeno, che inizia senza dubbio da un punto: rilasciare informazioni di questo tipo in pasto ad entità quali i Social Media può essere nocivo? Chi conosce il mio “endorsement” può veicolare alcune informazioni piuttosto che altre nei miei confronti, o spingermi ad espormi in un modo piuttosto che in un altro avendo come cassa di risonanza il mondo intero, e di conseguenza esponendomi a pericoli terzi, quali ad esempio atti di persecuzione politica? La risposta non è scontata ne immediata, e richiede sicuramente studi più approfonditi sulla privacy dei dati che forniamo “volontariamente” al Social Media di turno, che spesso non forniscono una panoramica così ampia in tal senso.
h2>Big Brother is coming
Nonostante questo non vuole essere un tentativo di terrorismo psicologico, non è impensabile che i dati immagazzinati nei vari server sparsi per il mondo possano essere successivamente venduti a terze parti, in modo singolo o aggregato, che possono utilizzarli per i più disparati fini.
Il tutto sta nel nostro buon senso e nella nostra sensibilità in merito all’argomento sicurezza, ma immaginare uno o più Big Brothers che interagiscono per controllare ogni tappa della nostra vita, elezioni comprese visto che da queste spesso dipendono i nostri destini, sembra sempre meno lontano.
Salvo Bertoncini

Le 7 tipologie di parenti degli Universitari

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Se sei una matricola, questo articolo potrà esserti utile a difenderti dalle trasformazioni che la tua intera famiglia subirà non appena varcherai la porta di casa da Universitario.  Se invece sei una vecchia gloria dell’Ateneo, ti divertirai a riconoscere i tuoi parenti in queste 7  esasperate categorie. Scopriamole insieme.

1. “Mio figlio studia all’Università”

Qui vanno piazzate di sicuro tutte quelle mamme che, dall’immatricolazione in poi, se ne andranno in giro esibendoti come un trofeo. La sorprenderai al telefono con la sua migliore amica, mentre elenca tutte le materie del tuo corso di laurea. Vi capiterà di sentirla persino alla cassa del supermercato che esordisce con un “Niente sconto? Mio figlio va all’Università”. Stai tranquillo, non è una cosa duratura. Prima o poi si renderà conto del fatto che non sei un super eroe.

2. “Hai preso 28?”

Ecco, proprio quando tua madre smetterà di crederti un extra terrestre, succederà più o meno questo: Tu che torni a casa, sei stanco ma contento di aver finalmente passato l’esame per il quale hai penato per circa 2 mesi, rinunciando alla tua vita sociale e pure a quella igienica (perchè diciamocelo, sotto esami pure il tempo che impiegheresti a fare una doccia diventa prezioso). Lei ti scruta curiosa, non sta più nella pelle. Tu non vedi l’ora di mostrarle soddisfatto il tuo libretto, glielo dai. Lei lo apre, lo guarda, ti guarda, lo riguarda, ti riguarda e finalmente esclama: “Solo 28? hai preso solo 28?”. Ecco, forse non smetteranno mai di crederci degli extra terrestri.

3. “Stai mangiando, vero?”

Tua nonna. Da sempre la miglior infornatrice di parmigiana di melanzane, e la migliore decoratrice di torte del quartiere. Ti ha ingozzato fin dai tempi dell’asilo, nascondendoti nel piccolo zaino il panino salame, formaggio e pomodori secchi che, se lo riportavi indietro rischiavi di farla finire al pronto soccorso e allora ti inventavi le peggiori trattative coi tuoi compagni che i cartelli messicani ciao proprio. Ecco, nella sua testa l’ostacolo adesso è ai massimi livelli. Ti vede andare a lezione, poi studiare e passare le notti insonni a ripetere. Sente l’ansia gironzolare per casa e vorrebbe abbatterla al posto tuo, a colpi di mattarello e lievito di birra. Ma lei ha di sicuro la ricetta perfetta: Sta già infornando l’ennesima teglia di pasta al forno perchè oh, “ti vedo sciupato”. E niente, forse tua nonna non è troppo cambiata da quando facevi l’asilo.

4. “Quando ti laurei?”

Se sei single ti chiederà: “Ma quando ti trovi un/a  fidanzato/a?”.  Se il/la  fidanzato/a  ce l’hai già, ti chiederà: “Ma quando ti sposi?”. Se sei felicemente sposato/a ti chiederà: “Ma quando te li fai due bei bambini?”. Se nessuna di queste categorie ti appartiene perchè sei fermo al primo punto e ti sei pure arreso al fatto che no, non ti fidanzerai mai perchè una relazione richiede troppo tempo, allora preparati perchè lei sarà lì. Tua zia, quella che sei costretto a vedere una volta ogni quattro mesi alle riunioni di famiglia. Colei che non aspetta altro che infierire sulla tua già infelice vita da studente senza bambini, ne matrimonio, ne fidanzata/o. Puntualmente ve lo chiederà con quel ghigno malefico “Ma quanto ti manca alla laurea, ancora molto?” e tu magari ti sei appena immatricolato e vorresti solo metterle del lassativo nel bicchiere.

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5. “Tua sorella ha finito in tempo”

Tutti abbiamo una sorella più intelligente. Anche tu, figlio unico che di sorelle e fratelli non ne hai mai visto nessuno. Una volta entrato a far parte del mondo universitario, ti ritroverai a dover lottare non solo con dispense, professori ed esami improponibili. La tua sarà una gara contro il modello perfetto al quale ti paragoneranno costantemente. Non hai una una sorella ne un fratello? Sono sicura che se ti fermi 30 secondi a pensare al tuo albero genealogico, ecco che ti salta in mente il 110 e lode in giurisprudenza di tua cugina, il master in ingegneria nucleare del fratello di tua cugina, la laurea in medicina e chirurgia della tua vicina di casa, tutte rigorosamente conquistate lontano dal fuoricorso che mamma mia, ho l’ansia solo a pensarci mi sa che vado a studiare.

6. “C’è sempre il prossimo appello”

Ecco, forse è il momento di descrivere gli alleati. Si, perché in mezzo a tutta questa ansia avrai di sicuro degli alleati. Se sei cresciuto in una famiglia numerosa, i compagni di gioco non ti saranno mancati; I tuoi cugini coetanei o semi coetanei, quelli con i quali dividevi il ruolo dei power rangers (io sono quello rosso che è il più forte, se vuoi giocare resta solo quello rosa) o delle super chicche. Adesso siete chiaramente tutti in lizza per il titolo più prestigioso della famiglia, ma stavolta siete tutti seduti dalla stessa parte del tavolo. “Io lo do al prossimo appello, tu?”  e finalmente ti sembra di aver trovato un oasi in mezzo al deserto.

7. “Il super eroe di te stesso”

E alla fine,  ci sei tu. Tu che volente o nolente, una volta oltreppassata la linea da studente universitario, ti sentirai un po cambiato. Tu che riesci a rinunciare ad una birra il venerdì sera, per rimanere a casa e non sentirti in colpa. Tu che non hai paura di rinunciare al sonno, per finire di sfogliare tutte le pagine che avevi previsto sulla tua tabella di marcia. Tu che ti siedi, senza timore, davanti al peggior professore d’Ateneo, anche se sai solo l’argomento a piacere. Tu che punti 7 sveglie ad intervalli di 3 minuti, per non fare tardi a lezione. Tu che hai scelto, con coraggio, di continuare gli studi, rinunciando a zappare la vigna di tuo nonno. Tu che in fondo, ogni giorno, sei il super eroe di te stesso. 

Vanessa Munaò

Scusate il Disordine!

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La musica non la si prendeva. Mai!”

 

 

 

In “Scusate il disordine” Luciano Ligabue lascia di nuovo, dopo “Il rumore dei baci a vuoto”, senza parole. Una raccolta di racconti che lascia sempre incompleti e liberi di interpretare a modo proprio quello che succederà dopo. Una chiave di lettura: la musica. Presente in tutte le sue inclinazioni, con diversi amore verso di essa ma racchiusa tutta in uno spartito che ha proprio il sapore di Ligabue.

Ogni racconto si concentra sulla musica e sul rapporto che il personaggio ha con essa, fama o non fama, portandoci realtà che conosciamo ma spesso ignoriamo. Come Anchise che, nonostante la sua età, pur di continuare a suonare paga i componenti della sua band di tasca propria e si lega le bacchette alla mano a causa dell’artrosi; o un rapper che raggiunto il successo crede di potersi permettere una qualsiasi azione, probabilmente l’aspetto più raccapricciante dell’essere famosi.

Durante il primo pezzo ti hanno mitragliato di foto. Poi hai chiesto se adesso potevano mettere via macchinette e telefonini. Non c’è stato verso, hanno continuato a scattare ininterrottamente. Sei lì. È inevitabile. Per un attimo ti chiedi se non sanno, ma poi ti dici che sanno, sanno

Ligabue usa un linguaggio semplice e diretto, cambiando spesso registro a seconda del messaggio che vuole trasmettere. Consigliato a chi non ha paura di mostrare il disordine dei pensieri dentro di sé, le proprie emozioni e i propri dolori. A chi non nega il disordine della propria vita perché, per quanto si cerchi di regolarla, di dirigerla, non ci riusciamo e dobbiamo ammetterne l’impotenza. Non si può controllare.

Recentemente, il 24 e il 25 settembre, il ritorno live di Ligabue al Parco di Monza.

 

Serena Votano

Game Over: ultime memorie di un (quasi) neo laureato

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Game over. È finita (quasi). Mi sto per laureare. Veramente molto bello. No dai, una buona fetta di sarcasmo ce la metto perché non è bello manco per niente. È come trovarsi alla fine della maratona, dopo aver percorso 42 km e aver faticato tantissimo per un lungo periodo di tempo e iniziare a vedere davanti a te, finalmente, il traguardo. Peccato questa sia la maratona di Boston.

Ebbene sì, ho deciso di congedarmi con una buona dose di black humor. E, suvvia, non fate i moralisti proprio adesso, sto scherzando. Però la metafora rende perfettamente il concetto. Sì, perché ho faticato veramente tanto in questi tre anni, ho fatto esami, seguito lezioni e altre cose stupende che si fanno all’università. E adesso sono qui, con la mia manina protesa a prendere “il mio bel pezzo di carta” che dovrà darmi un futuro, ma il futuro non lo vedo. No dai, non voglio farvi deprimere, lo siete già abbastanza probabilmente. Cioè siete studenti universitari, per lo più, non può essere altrimenti. La mia è solo una considerazione sulla vita, sul futuro, sulle possibilità del nostro paese.

Vi confesso subito una cosa: io non ci capisco molto di politica e non sono nella posizione di fare un’analisi sull’argomento. Ma me ne frego altamente e la faccio lo stesso: BENVENUTI IN ITALIA, SE NON VI STA BENE EMIGRATE CHE QUI STIAMO DIVENTANDO UN PO’ TROPPI. Già, alla faccia del Fertility Day. Ma torniamo a noi, il futuro. Ora, visto che ho aperto il mio cuore con voi e sapete bene che non ho le conoscenze adatte per parlare del futuro di un giovane laureato in Italia, mi limiterò ad utilizzare un’espressione che su entrambe le rive dello stretto viene adoperata per descrivere al meglio la situazione: “Non c’è nenti”.

Esatto, la sentite la satira? Tutto in una frase, poche parole ed hai già detto tutto. Argomentare? Pff, lasciamolo fare a quei cervelloni che governano il paese. Ma, ora, mi chiedo se sia veramente così… Beh probabilmente sì. Mi riferisco soprattutto al sud, dove le alternative spesso mancano e dove i giovani sono costretti ad emigrare. E lo fanno veramente. Secondo una statistica, fatta da me, 3 ragazzi su 3 una volta finita la triennale al sud decidono di proseguire gli studi al nord. Ok, ammetto che non ho fatto un gran lavoro di ricerca. Ho chiesto ai miei tre colleghi che si stanno laureando con me dove pensano di proseguire gli studi e mi hanno risposto: “Lontano da qui!”. Pensavo bastasse come ricerca statistica. Forse non ho seguito al meglio i corsi di statistica sociale.

Eppure non sono completamente convinto che qui, al sud, non ci sia niente. Basta avere un po’ di fantasia, estro e creatività. Non vedete possibilità? Createle voi! Alzate il vostro bel culetto dal divano e cercate di cambiare le cose. Beh sì, forse mi faccio sgamare un’altra volta, ma non è che sono la persona più adatta di questo mondo per dire una cosa del genere. Ehi, non biasimatemi però, non è colpa mia se Netflix decide di aggiornare il suo catalogo ogni santo giorno. EHILÀ VOI DI NETFLIX? QUI C’È UN’ORDA DI GIOVANI CHE STA CERCANDO DI COSTRUIRSI UN FUTURO. POTETE, PER FAVORE, SMETTERLA DI PRODURRE COSÌ TANTI PRODOTTI DI QUALITÀ? GRAZIE. Già sempre a dare la colpa agli altri… Ho già detto “benvenuti in Italia”?

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Ed eccomi che mi trovo qui, in procinto di prendere una laurea considerata sfigata (anche più sfigata di quella in “Scienze della comunicazione”, quella quantomeno a furia di prenderla in giro è diventata famosa), che mi guardo indietro e ripenso a questi anni passati qui all’università. Sono stati dei begli anni. Beh forse lo devo dire per forza, non posso mica dire che mi hanno fatto schifo… Vi immaginate se dovessi ricevere qualche denuncia o qualche querela per questo? Sono troppo povero per potermi permettere di pagare un avvocato e se mi dovessi difendere da solo continuerei a dire qualcosa del tipo: “Ehm mi appello all’Articolo 21… quello sulla libertà d’espressione… o almeno credo sia il 21… no no, ne sono sicuro è il 21… l’ho studiato all’università… vedete, qualcosa l’ho imparata!” Non finirebbe tanto bene per me.

Però anche se probabilmente “il mio pezzo di carta”, di questi tempi, non mi garantisce un futuro lavorativo, sono contento di aver passato questi anni all’università. È un’esperienza e come ogni esperienza ti segna nel profondo. Ora, per i più svariati motivi personali (di cui non ve ne frega niente), probabilmente non utilizzerò le conoscenze acquisite in questi anni nel mondo del lavoro. Ho semplicemente deciso di cambiare percorso. Ma non sono abbattuto, anzi sono felice di aver provato questa esperienza e di aver vissuto così tante cose. E credetemi ne ho viste di cose strane e assurde all’università, dagli esami, alle lezioni, ai professori, alle code in segreteria. Tutte queste cose mi hanno formato e mi hanno fatto crescere, in un modo o nell’altro. Potrei raccontarvene tantissime e rimanere qui a discutere per ore. Ma vi ricordate il discorso sull’avvocato, l’articolo 21, ecc…? Ecco, come vi dicevo, sono stati veramente degli anni bellissimi.

Nicola Ripepi

Film Cult: la cruda verità delle nostre trame preferite

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La rubrica delle recensioni si occupa di recensire (oh, quale SORPRESA) cose belle e farle conoscere allo studente medio. MA, la rubrica delle recensioni non PUO’, in coscienza, occuparsi solo di questo. Da buoni CRITICI, ma sì diamoci cariche a caso senza motivo alcuno, abbiamo deciso che è nostro compito aprirvi gli occhi su fatti sconvolgenti: ebbene, ci sono certi film, certi CULT, che vogliono prenderci tutti in giro con un mix di banalità e fatti senza senso che essi narrano.

Siamo stanche, stanche di chi non apre gli occhi così, dentro una cabina telefonica, abbiamo indossato la nostra tuta da super eroine per aprirveli noi e mostrarvi, a muso duro, la realtà.

In queste trame si susseguono una serie di fatti volti a dimostrare che l’AMORE VINCE SEMPRE. No, non è così. Che tu abbia 18, 30 o 40 anni, alla fine rimarrai sempre con il tuo ‘’MAI NA GIOIA’’ in tasca.

Si sa che nel dolore ci si sente tutti più vicini, accomunati. Sarà per questo motivo che, almeno ogni anno, un qualche regista a caso (ma anche sempre lo stesso) decida di sfornare un film tratto da un libro su malati terminali. Storie d’amore tra adolescenti con problemi inimmaginabili, con la personalità e la maturità di un quarantenne. A quale film di incassi ci stiamo riferendo? COLPA DELLE STELLE, pubblico di UniVersoMe, che non ha solo vinto svariati premi per il film ma anche, appunto, per il romanzo. E sapete dove sono le stelle? Nello champagne che i due gustano prima di andare a fare all’ammore. Perchè, è ovvio, quale medico non consiglia una bella dose di alcol in questi casi. 97469

Ovviamente sarà la malattia ma anche il loro carattere unico che li farà innamorare con un solo sguardo perché, si sa, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ovviamente questi ragazzi si vedranno quando vorranno, a qualsiasi ora del giorno e in posti improbabili, perchè i loro genitori sono sempre libertini e permissivi, mica come i nostri che ci mandano un messaggio alle 23.00 dicendoci di tornare a casa in quanto si è fatto tardi.

Alla fine? Uno dei due muore e all’altro, fondamentalmente, gliene sbatte poco, mentre guarda le stelle ridendo (strafatto di farmaci).

Uno dei film che tutti adorate, se lo analizzaste bene sapreste davvero di cosa parla. Il protagonista, il solito poveraccio di turno, bello, con un gran cuore (praticamente inesistente nella realtà), in cerca di un sogno, che ci prova in modo molesto con la ricca di turno, che sta con il cattivo di turno, che fa anche nascere spontaneamente una domanda in ognuno di noi: ” ma se è sempre stato così stronzo, ma perchè ci stava insieme?”. Avete capito, no? TITANIC. Titanic-sinking

Ovviamente parliamo sempre di amori al primo sguardo: “sarà sicuramente una donna meravigliosa, anche se si comporta da stronza viziata, perchè guarda l’orizzonte in modo enigmatico“.  Dopo essere inevitabilmente nato, questo piccolo grande amore (cit.), il tempo di bere un bicchiere d’acqua ed aver consumato in posti improbabili il loro amore, il tempo di alzare una serranda, capita una catastrofe che sommata a drammi vari, crea panico e speranza.

Alla fine? Uno dei due muore e all’altro, fondamentalmente, gliene sbatte poco, mentre butta a mare un medaglione da 3944039 $.

E se avessi 40 anni, la mia età fertile stesse volgendo al termine e non fossi Carrie Bradshaw? Potrei conoscere un gran figo in un bar che mi offre un caffè e mi fa innamorare follemente mentre mastica pancake con la bocca aperta. Mi ricordo del mio fidanzato stronzo solo sulla soglia del locale e, mentre le nostre strade si dividono, non mi volto nemmeno indietro. Meglio, perché la Morte quella mattina si è svegliata ed ha deciso di farsi un giro di shopping sulla terra, ha scelto il figaccione come corpo e lo fa finire crudelmente sotto un camion che lo sbatte all’aria più e più volte (spoiler: alla fine del film il tizio resuscita e poi mi dovete spiegare come lo spiega alla sua famiglia, ma va bene). E’ lui, è proprio lui: Vi Presento Joe Black. vi_presento_joe_black

A parte che già è assurdo di per sé che la Morte venga a farci una visita, ma che essa sia anche “vestita” da Brad Pitt, diventi nostra amica e si stabilisca come un barbone abusivo a casa nostra è molto BOH (per usare termini eruditi). Successivamente scopriamo anche che ha dei sentimenti e che le piace il BURRO DI ARACHIDI, particolare che per il regista, non se ne capisce il motivo, sembra di VITALE importanza.

Quindi si innamora della figlia del tizio che dovrà morire ma che sta risparmiando solo perché gli serve una guida turistica sulla terra e, ullallà, ci prova con l’espressione e la personalità di un acciuga in scatola. Ovviamente lei, che è solo bella, ci casca e poi gli insegna anche a fare all’ammmore. La Morte che fa l’amore ma non lo sa fare e viene sverginata. OK.

Alla fine? La Morte muore.

 

E, adesso, buona visione.

Elena Anna Andronico

Elisia Lo Schiavo

Gli Aspiranti Giornalisti

giornal

Siamo tornati! Dopo aver cercato di abbattere lo stereotipo legato al modo di portare i capelli (se non hai letto, oltre ad essere una brutta persona, clicca qui ), oggi affronteremo un argomento ancora più spinoso, ancora più deprimente, ancora più stereotipato: gli aspiranti giornalisti.

Come se non fosse già abbastanza dover fare a pugni con una società che ha di te la stessa considerazione che hanno gli studenti per la bibliografia dei testi universitari, e con tante persone che ti accollano epiteti poco simpatici come giornalista terrorista, si aggiungono una serie di stereotipi poco simpatici.

Cercheremo di sfatarne giusto 5.

1- Sì, esiste il corso di laurea di Giornalismo. Sembra lapalissiano, ma non tutti (anzi, la quasi totalità delle persone con cui mi trovo a discorrere in merito all’argomento) sanno che esiste in tanti Atenei, soprattutto nel nostro, un indirizzo giornalistico. Sfido tutti voi aspiranti giornalisti che frequentano questo corso, ad affermare che non si sono mai sentiti dire: “Ti piacerebbe fare il giornalista? E che studi? Scienze della comunicazione?”. Sì, cari amici, esiste.

2- Non esiste solo il giornalismo sportivo. Questo poi, forse è quello che mi è più caro. La dimensione che tante persone hanno del giornalismo è distorta: sei giovane, segui lo sport = farai il giornalista sportivo. No, fortunatamente non è un dogma nemmeno questo, e per quanto lo sport possa essere appassionante, non esiste un settore del giornalismo che viene univocamente ambito dagli aspiranti giornalisti.

3- Non ci ispiriamo per forza a qualcuno. Tanti hanno un modello, un riferimento, qualcuno cui ci si ispira. È tipico degli amici dell’aspirante giornalista iniziare ad etichettarlo: “Oh Travaglio!”. “Ti senti più Di Marzio o Marianella?”. Quello che dovete sapere, amici, è che non ci ispiriamo per forza ad un altro giornalista: ognuno, nel corso della propria formazione, assume un determinato stile (e sarebbe strano se così non fosse), senza dover emulare quello di un altro professionista del settore. P.S. Mi hanno davvero chiesto: “Ma se fossi un commentatore sportivo, esulteresti alla  Caressa o alla Compagnoni?”, qui non mento, MARIANELLA ORA E SEMPRE, MERAVIGLIOSAMENTE.

4- L’aspirante giornalista non vive in un film americano. Avrete certamente presente i classici film americani in cui il giovane giornalista passeggia nervosamente in redazione nella propria stanza (vedi tu, una stanza tutta tua…) , fumando venti sigarette ed aspettando che “la fonte” lo chiami per rivelare chissà quali segreti di Stato. Ecco, nella vita reale non è proprio così: più che altro ti trovi ad aspettare comunicati stampa o notizie del calibro “Rubata gallina sulla Tommaso Cannizzaro”, cercando disperatamente una rete Wifi, il più delle volte scrivendo da device poco adatti come telefonini che puntualmente saranno scarichi.

5- Non per forza moriremo di fame. Uno su mille ce la fa. Ringraziando Gianni Morandi che ci concede la licenza poetica, ammettiamo che questo è lo stereotipo più difficile da abbattere. Sarà forse uno strano senso sadico a portarci ad intraprendere la strada del giornalismo, pur sapendo le difficoltà del mestiere, ma il requisito fondamentale per essere un aspirante giornalista è una fiducia sconfinata nei propri mezzi ed un pizzico di illusione verso la vita. Per sfatare questo stereotipo, contattate i membri della redazione fra vent’anni. O in alternativa lanciateci una moneta al semaforo.

Alessio Micalizzi