Recensione “Un Bacio” di Ivan Cotroneo

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Siamo in un piccola cittadina del Nord, precisamente ad Udine, lo sfondo è una scuola che sembra una fabbrica. Arriva un uragano di colori sgargianti : Lorenzo.
 
Lorenzo è un ragazzo rimasto orfano che viene adottato da una coppia piena di buone intenzioni e, a differenza del contesto, accetta la diversità. Lorenzo è estroverso, simpatico, sicuro di sé e della sua omosessualità. Il mondo ostile che lo circonda non intacca la sua fantasia e solarità.
 
Fa amicizia con Blu, una ragazza che tutti odiano e definiscono una facile e con Antonio, un ragazzo taciturno e giocatore di basket che quotidianamente fa i conti con la morte del fratello. I tre emarginati grazie all’amicizia vivranno esperienze uniche, se non entrassero poi in gioco i meccanismi dell’attrazione e della paura del giudizio altrui.
 
Ivan Cotroneo oltre a essere il regista è anche lo sceneggiatore (il film è infatti tratto dal suo omonimo racconto uscito nel 2010) e ha dato nuovamente prova della sua bravura (v. "La kryptonite nella borsa") narrando chiaramente, e anche con l'ironia di alcuni passaggi, le vicende di omofobia e bullismo che spesso accadono nelle scuole e nei sentimenti degli adolescenti.
 
I protagonisti sono tutti e tre ragazzi alla prima esperienza cinematografica e hanno dato prova di avere la stoffa per continuare egregiamente in questo settore.
La colonna sonora è composta volutamente da soli brani musicali, di cui uno appositamente prodotto per questa opera : To the wonders degli STAGS. Poi abbiamo Hurts di Mika, con il quale i ragazzi hanno girato proprio il video della canzone.
E’ un film sulle prime volte, sulla adolescenza, sui problemi che tutti abbiamo affrontato o che ci hanno semplicemente sfiorato.
Sulla accettazione di se stessi prima dell’altro perché spesso ciò che più difficile è guardare dentro di sé ed accettarsi, anzi, per dirla con una strofa della canzone che Lorenzo cita spesso “Don’t hide yourself in regret/ Just love yourself and you’re set/ I’m on the right track baby/ I was born this way” (Born this way – Lady Gaga).

Mi piace definire questi tre personaggi come i tre moschettieri dell’amicizia, come ripete Blu nel film: “l’amicizia ti salva” ; infatti non ci sarà mai nessuno che potrà capirti e coinvolgerti come un vero amico. Come l’amicizia, questo film si infiltra nel nostro cuore e ci soddisfa pienamente.
 

Arianna De Arcangelis

Chi la dura la vince: la Nostra lotta contro la leucemia

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Come spesso succede, a discapito di quello che può sembrare, la ricerca italiana fa grandi progressi nell’ambito medico.

Questa volta parliamo di Leucemia, malattia che ha purtroppo un ruolo protagonista tra le patologie tumorali, soprattutto per quanto concerne l’ambito pediatrico. Questa patologia è caratterizzata da un’improvvisa proliferazione midollare che, però, non produce cellule della linea bianca (i globuli bianchi) mature ma immature. Queste cellule rimanendo in questo stato di immaturità non sono, chiaramente, funzionanti.

Esistono vari tipi di cellule bianche: tra queste un team di ricercatori del San Raffaele ne ha identificate alcune particolari facenti parte dei linfociti e chiamate ‘’memory stem T’’, che permangono a lungo tempo nell’organismo. Sono state quindi modificate geneticamente e programmate per uccidere selettivamente le cellule tumorali, consentendo inoltre, visto la lunga permanenza, la protezione del paziente stesso.

Tali risultati, a detta dello stesso Times, sono rivoluzionari. Era il 2002 quando l’ematologa Chiara Bonini, insieme al suo team, ha scelto 10 pazienti affetti da leucemia (precedentemente sottoposti a trapianto midollare) ed ha iniziato questo studio. I presupposti, per lei, erano ovvi: se già i linfociti sono programmati per eliminare le cellule tumorali, bisogna trovare un modo per potenziarne gli effetti e per renderli a lungo termine. La Bonini paragona questi linfociti modificati a dei ‘’soldati scelti’’, che una volta infusi ai pazienti non solo essi li guariscono, ma danno una protezione duratura anche contro possibili recidive, una sorta di vaccino.

Ovviamente non è stato tutto ‘’cotto e mangiato’’: ci sono voluti 12 anni e tanti fallimenti, ma finalmente sono arrivati i primi risultati positivi che hanno dimostrato la completa guarigione. Lo studio è stato presentato durante l’annuale conferenza dell’American Association for the advancement of science, a Washington ed ha già fatto il giro del mondo. Un altro po’ di pazienza, quindi, per i nostri pazienti: si attendono i finanziamenti per poter far diventare la ricerca da sperimentale a effettiva.

Ancora una volta, quindi, possiamo dire di essere orgogliosi delle nostre menti tutte italiane: chi la dura la vince.

Elena Anna Andronico

Mettiamo in play Orange Is The New Black

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Se dovessi definire in una sola parola Orange Is The New Black? Eccezionale. Caro lettore, sicuramente dopo questa dichiarazione potrai subito pensare "Elisia sei sicura di non aver appena fatto un affermazione azzardata?". Probabilmente si! Ma adesso ti spiegherò subito perché la penso così. (Orange Is The New Black  è una serie televisiva statunitense tratta dal libro autobiografico scritto da Piper Kerman, trasmessa in streaming su Netflix, ideata da Jenji Kohan e prodotta da Lionsgate Television). Tale serie il cui titolo viene abbreviato come " OITNB" è ambientato in un carcere federale femminile, fino ad ora consta di tre stagioni, la data d'uscita della quarta stagione è stata resa nota solo di recente ( 17 giugno 2016).
 
Il tempo e le storie all'interno di ogni episodio sono ben distribuite, non assistiamo a "buchi" nella trama, sbavature o inutili forzature, tutto viene ben spiegato e scorre facendo si che, quei minuti che prima ti sarebbero sembrati infiniti, volino. Tra le modalità con cui vengono narrate le storie è frequente l'uso dei flashback (spesso anche ad inizio puntata), che diventano quasi il punto forte della serie: tramite questi noi conosciamo la storia dei personaggi coinvolti, non solo delle detenute ma anche di chi nel penitenziario ci lavora.

Nel momento in cui "mettiamo in play" noi non vediamo delle storie, viviamo le storie. Riusciamo a giustificare il reato commesso da un personaggio perché è umano. Perché è come noi. Questo tipo di emozione scaturisce dalla forte elaborazione del carattere, complesso, dei personaggi e delle loro storie. Carattere in continua evoluzione. Nulla è statico. Noi cambiamo con loro. E se fin da subito eravamo impazienti di sapere come e perché certi personaggi fossero in prigione, una volta divenuti parte di noi questo non ha più importanza. Conta chi erano e come sono adesso e chi potrebbero essere.

Come nella vita fuori dal carcere, dentro questo, assistiamo alla presenza di gruppi culturali diversi che si comportano come "grandi-piccole famiglie" con i loro disguidi, principi e regole. Definirei quasi affascinanti le dinamiche di interazione tra questi gruppi che hanno  bagni separati,  posti precisi a mensa e zone-notte ghettizzate. Un tema d'impatto è quello dell'omosessualità che riesce  ad eclissare,  per la maggioranza, quello che in realtà è il fulcro della trama. Gli autori decidono di trattare questo argomento, perché  attuale nel contesto delle carceri, insieme a quello della sessualità in genere in modo molto forte ed esplicito.
 
Entriamo a Litchfield con Piper Chupman, per poi conoscere tutte le altre detenute con il giusto ruolo e spazio all'interno della serie che, evolvendosi in modo sempre nuovo e sorprendente, rende tutte protagoniste.
 
E se tutti questi motivi non dovessero bastare,  se per caso qualcuno dovesse chiedervi perché abbiate cominciato a vederlo, potreste sempre rispondere "perché me lo ha consigliato Elisia".
 
Elisia Lo Schiavo

Ninni Bruschetta e la sua carriera da “attore non protagonista”

Ninni Bruschetta, regista teatrale, attore, sceneggiatore e direttore artistico del Teatro Vittorio Emanuele, torna presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali, dove viene accolto con un calore che lui stesso aveva trovato e riscontrato nel lontano 2010, quando ebbe modo di presentare il suo libro intitolato “Il mestiere dell’attore”, con prefazione di Franco Battiato.

Questo suo nuovo lavoro, edito da Fazi Editore e intitolato “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista”, è un libro che racconta di un Bruschetta che inizia a fare un bilancio del suo mestiere fin qui svolto, mettendo a nudo con professionalità le proprie esperienze teatrali, televisive e cinematografiche, svolte nl corso di una quindicina di anni.

Raccontare, afferma l’attore messinese, è la cosa più bella che esiste.

Rispetto al suo primo libro, dove Bruschetta offre le sue riflessioni ben documentate su quello che è il ruolo dell’interprete rispetto al testo e rispetto al contesto in cui esercita il mestiere, in questo secondo suo lavoro, lo sceneggiatore è critico nei confronti dei meccanismi del mondo dello spettacolo. Bruschetta parla dello spettatore e di come questa figura, nel tempo, sia andata sempre più a peggiorare in quanto, in spazi brevi non solo è costretto a leggere la storia del protagonista che in quel momento l’attore recita, ma perde, al tempo stesso, il significato di che cosa è il cinema.

Al tempo stesso però, lo stesso spettatore, diventa colui che ti coccola, ti rende euforico. E’ all’interno dell’inquadratura che si trova il senso del cinema anche se, l’attore cinematografico, rispetto al collega teatrale, non avrà mai il senso di quello su cui sta lavorando. Il direttore artistico del Teatro Vittorio Emanuele spiega, ai ragazzi presenti del progetto cinema, coordinati dal professore Parisi, che “l’ attore deve essere sempre responsabile del linguaggio che usa e per confrontarsi con altre realtà, deve stare in continuo movimento”.

Nel corso dell’incontro, altro tema toccato è stato quello del settore cinema , fortemente in crisi e la comunicazione che si fa sui social, per promuovere i prodotti, non rappresenta nulla a livello nazionale in quanto chiusa e per questo motivo, non ha peso di alcun genere. Bruschetta, in base alla sua forma di pensiero, spiega che i giovani navigano su un piano completamente diverso da quello su cui viaggia lui e coloro che sono a lui coetanei. Non si sente di dar loro nessun consiglio ma, nello stesso tempo, afferma che un bravo attore, nel momento in cui va in scena, deve esser pronto a sospendere i propri giudizi personali su fatti e personaggi che sta andando a rappresentare. Da venti anni a questa parte, afferma a conclusione del suo intervento l’attore messinese, si è fatto all’interno del nostro paese uno scempio di cultura e solo un uomo di cultura, di cui lui non fa il nome, poteva distruggere la cultura stessa.

L’incontro con l’autore del libro “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista” e moderato dal professore Dario Tomasello, è poi proseguito con la proiezione di alcune clip che vedevano impegnato Bruschetta all’interno di vari contesti: da “La Trattiva” di Guzzanti a “Paolo Borsellino” passando per i “Cento Passi”.

Da ricordare che grande è stato il successo avuto da Bruschetta durante la tournée teatrale “Amleto di William Shakespeare” dove, all’interno del contesto, l’uomo Amleto acquisisce la consapevolezza di una caduta spirituale e sceglie di abbandonare il paradiso terrestre per essere un comune mortale con le sue imperfezioni.

Piero Genovese

 

Noi, voi, gli altri…

Ci sono storie che non esistono” diceva uno dei (troppo) famosi trailer di Maccio Capatonda: lo sapeva anche lui, lo sanno tutti, che certi episodi, certi eventi dovrebbero esistere solo nelle (peggiori) favole che non leggeremmo mai. Mentre il freddo pervade ogni anima pia (ma anche no) dell’Ateneo messinese, mentre gli esami si avvicinano e molti di noi non hanno ancora capito come prenotarsi (fingiamo bene vero ragazzi?) e mentre la città sprofonda nell’immondizia ma abbonda di autobus rossi arancioni e bianchi (la fantasia non ci manca) il peggio del peggio di peggiore ci travolge e ci deprime troppo facilmente. Chi ad esempio non è depresso ma ha tanta voglia di ridere è uno dei tanti oscuri candidati messinesi all’esame di abilitazione alla Professione Medica, che il 4 Febbraio scorso non ha potuto sostenere l’esame per via di un errore di CINECA, consorzio che si occupa della predisposizione delle prove a livello nazionale, che molto genialmente ha inviato 125 plichi per 150 candidati. Immaginiamolo li, seduto al suo posto con tre quarti dei muscoli in tensione per un giorno che potrebbe cambiare la sua vita, vestito al meglio, oppure di fretta per aver studiato tutta la notte ed essersi svegliato tardi , e ad un certo punto gli viene detto che l’esame è stato rinviato a “data da destinarsi”. A poco servono le scuse del rettore Navarra (anche perchè è gia un bel po’ che facciamo “CINECA akbar) e l’avvio di un azione risarcitoria a carico del consorzio, considerato che gia nel 2014 questo era stato protagonista di un pasticcio simile con i test d’ingresso alle scuole di specializzazione in medicina. Come dire “fatti una domanda e datti una risposta”: chi dovrebbe maledire per primo, sempre il nostro oscuro candidato, mentre conta la dose di tranquillanti che ha ingerito per “star sereno” all’esame? Qualcuno ha sussurrato che, in tutta questa storia, la fortuna abbia voltato le spalle ai poveri studenti: se dovessimo fare un elenco però, andremmo sicuramente indietro nel tempo e scopriremmo, ancora una volta, “una storia che non esiste”. Riflettiamo ancora su di loro, professionisti rientrati anche dall’estero per non perdere questa opportunità, e che hanno atteso per almeno 6 ore presso il padiglione F del Policlinico notizie dal MIUR, sentendosi infine sentenziare che sarà preparato un test ad hoc per il “caso Messina”. Poco importa se l’articolo 4 del Regolamento del 2001 prevede che “ciascuna prova scritta si svolge contemporaneamente nelle diverse sedi individuate con contenuto identico in tutto il territorio nazionale”. Ma si dai, cosa vuoi che sia, in un paese dove la legge è un optional e non vince il piu bravo neanche ai concorsi, bensi’ “il piu bravo che è magari il piu fortunato”. Merita in questo editoriale, uno spazio dedicato al “caso Tomasello” (anche se di caso ha ben poco, è proprio tutto chiaro). Nel 2013 il prof. Dario Tomasello, figlio dell’ex rettore Francesco Tomasello ma soprattutto noto per essere una persona affabile con i propri studenti, di compagnia e sorprendentemente erudito, vince il concorsone per Ordinario battendo il piu anziano Fontanelli, allievo (come Tomasello) del luminare di Letteratura Italiana Giuseppe Amoroso. Si dirà “capita” ma lo sconfitto non si arrende e alla fine scopre che il vincitore ha “copiato e incollato” pagine e pagine dei lavori di Amoroso, senza le famose virgolette che avrebbero reso il tutto assolutamente normale. Quel che lascia di stucco è la risposta del Ministero:”Visionata la documentazione» la commissione (che lodava il vincitore anche per i «contributi originali») ritiene di «non dover modificare il giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del prof. Tomasello”. Tradotto in italiano (materia tanto cara ai contendenti): se io scrivo una seconda Divina Commedia, di piu o meno quattro righe, ma poi copio uno o due enciclopedie Treccani da qualcuno, posso tranquillamente ottenere una cattedra, magari anche con tanto di genuflessioni in serie della commissione. Ora, a parte il farsi quattro risate (perchè questo stiamo facendo, nient’altro) vogliamo credere che ai piani alti abbiano riflettuto bene prima di dare questa risposta e vogliamo soprattutto credere all’onestà di Tomasello. Certo è che il messaggio allo studente che si vorrà accostare in futuro all’insegnamento non può che essere la modifica di quello precedentemente scritto: “ai concorsi vince il piu bravo, che il piu fortunato e che magari è anche il piu furbo”.

Mo’ me lo segno, avrebbe detto Massimo Troisi. Noi amiamo dire:”esistono storie che non esistono”

Unime e la “bellezza ovunque”

“Ovunque è bellezza” è il titolo del nuovo laboratorio teatrale che l’Ersu sta organizzando in collaborazione con UniversiTeatrali, il Centro Internazionale di Studi sulle Arti Performative del Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e Studi Culturali.

In questo momento in cui tutto si fa sempre più difficile, occorre immediatamente ritrovare il contatto con la Bellezza, rialzare lo sguardo al mondo. Lo si percepisce nel silenzio dei tram, nei lunghi corridoi dei centri commerciali, negli sguardi alienati della gente davanti ai loro telefoni cellulari. In quegli sguardi persi nel vuoto è come se ognuno, senza saperlo, si chiedesse: “cosa ci sta accadendo?”

Ecco perché dedicare, a partire da uno studio del Verbo degli uccelli del maestro persiano Farid-ad-din Attar (1145-1220), un laboratorio alla Bellezza che sta nella riscoperta dell’altro come altrove, familiare e straniante al contempo, giacché quella familiarità e quella estraneità sono, in primo luogo, dentro di noi e nessun “social” potrà rivelarle quanto un confronto franco, diretto, autentico.

Gli organizzatori dell’evento sottolineano che mai come oggi, il teatro ha la grande responsabilità di sciogliere i nodi e i travisamenti dell’io. Il lavoro del drammaturgo, del regista, dell’attore, deve puntare verso un senso più alto di responsabilità. L’Arte tutta è, infine, un percorso di ricerca che parte da un’urgenza, da una necessità. Solo quando questa vocazione è autentica, la mente e il corpo cospirano affinché, di là da essi, tale necessità possa essere espressa, nella sua più̀ profonda essenza.

Il primo incontro del laboratorio, aperto a tutti gli studenti, sarà martedì 19 gennaio 2016 alle ore 16.00 presso il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e Studi Culturali sito via Concezione 6.

Pietro Genovese