Un cambio di rotta politico possibile in Moldavia e Georgia

L’espansione russa, anche a causa della guerra con l’Ucraina, sembra aver preoccupato molti paesi, stanchi della continua ingerenza politica della Russia nei loro confronti. Infatti questi giorni sono stati decisivi per decidere il cambio di rotta politico di due paesi: Georgia e Moldavia.

Il quadro politico moldavo

La Moldavia ha sempre subito l’ingerenza e l’influenza della Russia, sia economica che politica. A ciò bisogna ricordare anche la presenza del territorio de facto indipendente della Transnistria, una regione autoproclamatasi indipendente a seguito della caduta dell’Unione Sovietica e che viene fortemente supportata dalla Russia. Questo piccolo territorio è diventato nuovamente oggetto di discussione a seguito dell‘ invasione russa dell’Ucraina nel 2022, infatti si è tenuta d’occhio questa regione a causa della forte presenza russa nel territorio, che ha portato a forti timori di una possibile escalation del conflitto sul suolo moldavo. Il suo territorio ha come capitale la città di Tiraspol, dove ha sede la società Sheriff, fondata da due ex membri del KGB russo. Essa ha un forte potere politico  ed economico sul piccolo Stato.

Chiesa della Natività, Tiraspol, Moldavia
Chiesa della Natività a Tiraspol, Moldavia

Le elezioni in Moldavia: tra ingerenze russe e voglia di libertà

Il 21 ottobre si sono tenute sia le elezioni presidenziali, dove la presidente uscente Maia Sandu è finita al ballottaggio col rivale Alexandr Stoianoglo (col turno di elezioni che si terrà il 3 novembre) sia un referendum per decretare o meno l’ingresso moldavo nell’Unione Europea. L’affluenza alle urne è stata importante, ma il risultato è rimasto incerto fino alla fine. Dalla Commissione Europea arrivano però allarmi di possibili interferenze russe per falsificare i risultati del referendum. Inoltre vi sarebbero stati casi di voto di scambio e compravendita di voti, oltre alla scoperta di tentativi russi di addestrare giovani per creare tumulti disordini durante le elezioni stesse.

urna di ballotaggio

Il risultato finale è stata la vittoria del , però è stata una battaglia combattuta fino alla fine. Questo perché il 49% della popolazione moldava ha votato negativamente l’ingresso nell’Unione Europea, ciò delinea una forte spaccatura all’interno dello stato moldavo. Infatti da un lato vi sono i giovani, che hanno votato per un cambiamento della sfera politica moldava, ma dall’altro lato vi sono i nostalgici, i più anziani e i filorussi, che hanno tentato di opporsi a questo cambiamento. Ciò significa che bisogna fare ancora tanta strada, nonostante il futuro del piccolo Stato sia più chiaro adesso.

Il background politico in Georgia

La Georgia è un altro paese dove la forte ingerenza politica russa è evidente. Così come i moldavi, anche i georgiani hanno dovuto far fronte a due questioni territoriali, tutt’ora irrisolte. I territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud hanno reclamato la loro indipendenza a seguito dello scioglimento dell’URSS, pur se non vengono riconosciute dallo stato georgiano. Quest’ultima regione inoltre è stata teatro della guerra russo-georgiana del 2008, che ha lasciato vari strascichi importanti nel Paese. Il governo georgiano è fortemente autoritario, con il partito Sogno georgiano che dal 2012 governa il Paese. Egli ha adottato delle leggi simile a quelle di Mosca, soprattutto per quanto riguarda i diritti degli omosessuali (che nonostante il tentativo di veto della presidente Zourabichvili è entrata in vigore) e i cosiddetti “agenti stranieri“. E’ chiaro quindi che la Georgia necessita di un cambiamento politico, per tentare di uscire dall’orbita russa.

Statua dell'amore, Batumi, Georgia
Statua dell’amore, Batumi.

I risultati delle elezioni georgiane

Nella giornata del 26 ottobre si sono svolte le elezioni parlamentari in Georgia. Il partito “Sogno Georgiano”, che governava il Paese da 12 anni, era alla ricerca dell’ennesimo mandato. A seguito delle leggi contro gli omosessuali, l’UE aveva temporaneamente fermato i negoziati per l’adesione del Paese. I partiti di opposizione pro-UE speravano in un grande cambiamento, che però non è avvenuto. Questo perché il partito ha stravinto le elezioni con il 54% dei voti, contro il 37% dei voti dell’opposizione. Nonostante questa vittoria netta, i rappresentanti delle opposizioni hanno dichiarato che non accetteranno questi risultati, a causa delle varie testimonianze di brogli elettorali ed intimidazioni nei confronti dei votanti. L’ennesimo mandato di  “Sogno Georgiano” porta non pochi problemi per il Paese in vista di una possibile entrata nell’Unione Europa, poiché nel corso degli anni esso ha mostrato atteggiamenti sempre più filorussi. Un avvicinamento sempre più imminente della Georgia alla Russia potrà significare un forte allarme per tutti coloro che speravano in un cambiamento della politica del loro Paese, che vedono il loro sogno (l’Ue) allontanarsi sempre di più. 

Samuele Di Meo

Un nuovo testo per regolare le intelligenze artificiali

Pochi giorni fa, a Strasburgo, il Parlamento Europeo ha approvato l’Artificial Intelligence Act (AI Act), il nuovo regolamento riguardante le intelligenze artificiali, accolta con 499 voti favorevoli, 28 contrari, e 93 astenuti.

Fra le proposte: l’istituzione di quattro livelli di rischio, il divieto per l’utilizzo di sistemi di Intelligenza artificiale per la sorveglianza biometrica nei luoghi pubblici e per la polizia predittiva. Sotto regolamentazione anche ChatGpt, con l’obbligo di dichiarare se un contenuto è stato generato dall’AI.

computer AI
Fonte: pexels

Intelligenze artificiali: standard Europei

Fra gli obiettivi prioritari che l’UE ha voluto assicurare fanno riferimento agli standard che i sistemi di intelligenza artificiale devono sottostare in termini di sicurezza, trasparenza, tracciabilità, soprattutto non discriminatori e rispettosi dell’ambiente. Il suo utilizzo sotto stretta supervisione degli esseri umani, per evitare conseguenze irreversibili.

Si è discusso tanto di regolamentare anche dei metodi d’utilizzo dell’intelligenza artificiale per combattere la discriminazione digitale, prevenendo la disinformazione e limitando l’utilizzo di deepfake: una tecnica basata su machine learning che permette di manipolare immagini al computer, spesso impiegata nella creazione di fake news.

“Un primo passo verso il futuro”, come afferma il Presidente di PTP Privacy Tech Professionals Rocco Panetta:

“Si tratta di una prima regolamentazione sull’intelligenza artificiale, una regolamentazione che copra da qui in avanti tutto quello che l’AI potrà anche generare e produrre, ma è parzialmente vero che sia la prima perché al momento non siamo senza rete. Abbiamo infatti già una o più regolamentazioni in grado di disciplinare l’intelligenza artificiale a partire dal GDPR e tutte le norme collegate”.

I quattro livelli di rischio delle intelligenze artificali

I fornitori e coloro che utilizzano i sistemi IA, nelle loro attività, devono prendere in considerazione un nuovo approccio basato sul rischio che può generare. Vietati, quindi, quei sistemi di IA con un livello di rischio inaccettabile per la sicurezza delle persone.

  • Rischio inaccettabile

Quei sistemi considerati una minaccia per le persone e, quindi, vietati. Sono inclusi:

  1. Manipolazione cognitivo-comportamentale di persone o specifici gruppi vulnerabili
  2. Punteggio sociale: classificare le persone in base al comportamento, allo stato socio-economico o alle caratteristiche personali
  3. Sistemi di identificazione biometrica remota e in tempo reale
  • Rischio alto

Quei sistemi che incidono negativamente sulla sicurezza o sui diritti fondamentali. Sono divisi in:

  1. Sistemi di intelligenze artificiali utilizzati nei prodotti soggetti alla legislazione dell’UE sulla sicurezza dei prodotti.
  2. Sistemi di AI che rientrano in otto aree specifiche che dovranno essere registrate in una banca dati dell’UE:
  1. Identificazione biometrica e categorizzazione delle persone fisiche
  2. Gestione e funzionamento delle infrastrutture critiche
  3. Istruzione e formazione professionale
  4. Occupazione, gestione dei lavoratori e accesso al lavoro autonomo
  5. Accesso e fruizione dei servizi privati essenziali e dei servizi e benefici pubblici
  6. Applicazione della legge
  7. Migrazione, asilo e gestione dei controlli alle frontiere
  8. Assistenza nell’interpretazione giuridica e nell’applicazione della legge.

Tutti i sistemi di Intelligenza Artificiale ad alto rischio saranno valutati prima di essere immessi sul mercato e anche durante il loro ciclo di vita.

  • Rischio limitato

I sistemi di Intelligenza Artificiale che comportano un rischio limitato dovrebbero comunque rispettare requisiti minimi di trasparenza che consentiranno agli utenti di prendere decisioni informate. Dopo aver interagito con le applicazioni, l’utente potrà quindi decidere se desidera continuare a utilizzarle.

Gli utenti dovrebbero essere informati quando interagiscono con l’IA, includendo, quindi, i sistemi di intelligenza artificiale che generano o manipolano contenuti di immagini, audio o video.

  • Rischio minimo

I sistemi IA che prevedono un rischio minimo non sono del tutto regolamentati, ma dovranno osservare obbligatoriamente i principi di trasparenza, di privacy e data protection. Sebbene molti sistemi di intelligenza artificiale comportino un rischio minimo, dovranno essere comunque valutati.

livelli rischio IA
Piramide con i quattro livelli di rischio. Fonte: startmag

I divieti agli usi e abusi di ChatGPT

Tra gli articoli del regolamento, il Parlamento Ue ha promosso il divieto tassativo all’uso intrusivo e discriminatorio dell’intelligenza artificiale: tra questi, i sistemi di identificazione biometrica remota “in tempo reale” e “a posteriori” negli spazi pubblici e il cosiddetto “scraping“, ovvero l’estrazione non mirata di dati biometrici da Internet o da filmati di telecamere a circuito chiuso per creare database di riconoscimento facciale basati su caratteristiche sensibili (il genere, l’etnia, la religione e l’orientamento politico).

Non solo: il testo respinge anche i sistemi di polizia predittiva, fondati su profilazione, ubicazione o comportamenti criminali passati, e i programmi di riconoscimento delle emozioni sfruttati dalle forze dell’ordine nei luoghi di lavoro, negli istituti d’istruzione e alle frontiere.

In questa prospettiva, per promuovere l’innovazione dell’AI e sostenere le piccole e medie imprese, i deputati hanno aggiunto delle esenzioni per le attività di ricerca e i componenti dell’AI forniti con licenze open source, a codice sorgente aperto. Vengono ulteriormente promossi i cosiddetti sandbox normativi, o ambienti di vita reale, istituiti dalle autorità pubbliche per testare l’intelligenza artificiale prima che venga implementata.

In materia di ChatGPT, i parlamentari puntano a rafforzare il diritto dei cittadini di presentare reclami sui sistemi di intelligenze artificiali e ricevere spiegazioni delle decisioni basate su sistemi ad alto rischio che incidono in modo significativo sui loro diritti fondamentali. Riformato anche il ruolo dell’Ufficio AI dell’Ue, che avrà il compito di monitorare l’attuazione del regolamento sull’AI.

Il regolamento specifica che il sistema di AI generativa dovrà rispettare i requisiti di trasparenza: per farlo, sono tenuti a rendere noto tramite una dichiarazione che “i contenuti sono stati generati dall’IA”. Questo permetterà di distinguere le immagini deepfake da quelle reali, contrastando anche la produzione e diffusione di contenuti illegali.

Victoria Calvo

Italia-UE, l’Unione rimprovera sulle concessioni balneari (e agisce legalmente)

Ancora una volta il diritto europeo sembra poter prevalere su quello italiano, in un sistema che i sovranisti definirebbero “di subalternità” e gli europeisti-globalisti “di collaborazione”. Comunque si consideri, l’ultimo atto di gestione UE mira a risolvere una questione molto particolare che interessa la nostra penisola: la questione delle concessioni balneari.

Il governo italiano ha spesso sostenuto la necessità di prorogare le concessioni, mentre l’Unione ne ha frequentemente richiesto la rapida rimessa al bando. Quali sono state le mosse legislative dell’una e dell’altra parte? Quali le loro ragioni? Di seguito un quadro dei recenti accadimenti per guardare al problema con più consapevolezza. 

Concessioni balneari, la proroga e i suoi perché

Riporta le informazioni Mondo Balneare. Lo scorso 23 febbraio, alla Camera dei Deputati, è stato approvato in via definitiva il decreto Milleproroghe, sancente, tra le varie proroghe, quella relativa alle concessioni balneari. Essenzialmente: la scadenza delle concessioni balneari è stata ufficialmente spostata dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024.

Curioso che già allora il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella avesse promulgato la norma con riserva, manifestando i suoi dubbi circa la compatibilità della stessa con le norme europee. 

Comunque, il regolamento precisa due motivazioni scusanti la proroga di un anno. La posticipazione sarebbe stata operata per effettuare la mappatura del demanio marittimo al fine di verificare «la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile», e per istituire un tavolo tecnico tra i ministeri competenti e le associazioni di categoria per concordare i contenuti della riforma delle concessioni balneari.

Tale d’altronde è stata avviata solo dal precedente governo Draghi, con la legge sulla concorrenza che per la prima volta in Italia ha introdotto la riassegnazione dei titoli tramite gare pubbliche.

UE
Spiaggia. Fonte: Wikimedia Commons

L’opposizione italiana e dell’UE

Sia la minoranza nel Parlamento italiano che l’UE come istituzione hanno presto fatto valere la propria opposizione sulla scelta. Chi ha contestato la decisione contenuta nel Milleproroghe si è appellato alla questione dell’imparzialità e della “proroga dei privilegi”.

Perché non rilanciare la concorrenza invece di conservare l’esclusività dei possedimenti? Perché non dare moto a un mercato più libero? Queste le domande più assiduamente proposte, insieme ad altre provocazioni del tipo: che il governo, nell’interesse dei partiti che lo costituiscono, si comporti così per non perdere i consensi di chi ora gode delle zone balneari a basso costo?

L’azione UE 

Riporta le informazioni Ansa.it.

Le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente. I giudici nazionali e le autorità amministrative italiane sono tenuti ad applicare le norme pertinenti del diritto europeo, disapplicando le disposizioni nazionali non conformi

Questo recita una vertenza della Corte di giustizia UE, coinvolgente l’Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato e il comune di Ginosa (Taranto), decisa ieri mattina. Il processo in merito pone le sue origini nel dicembre del 2020, quando il comune di Ginosa, nel rispetto della normativa nazionale, aveva automaticamente prorogato le concessioni balneari, attirando l’ostilità dell’Agcm, ora risultata vincitrice nel contenzioso.

La rassicurazione di Meloni 

Dopo la simbolica sentenza, che potrà fare da precedente e da prova legale, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rassicurato che il Paese si allineerà alle leggi comunitarie.

Non è la prima volta che Meloni si mostra cedevole sulla faccenda, diversamente da altri membri del suo entourage. Per questo è plausibile credere al suo indirizzo, ora giustificato in risposta a un’avversione europea più tangibile di prima.  

Gabriele Nostro

Boris Johnson fa dietrofront su Brexit: pronta una proposta di legge contraria agli accordi con l’Unione Europea

Boris Johnson, a capo del governo britannico, ha avanzato una proposta di legge sullo status commerciale dell’Irlanda del Nord, che va in contrasto con gli accordi precedentemente presi con l’Unione Europea. Se la proposta di legge fosse approvata, violerebbe un trattato internazionale.

La situazione dell’Irlanda del Nord

Il governo inglese non intende rispettare gli accordi presi con l’Unione Europea in seguito alla Brexit riguardo la posizione commerciale dell’Irlanda del Nord. Infatti, il paese, che fa parte del Regno Unito, rimane nel mercato comune europeo e nell’unione doganale, quindi rispetta gli standard qualitativi europei e lascia all’Europa la gestione dei controlli sulle merci. Questo, d’altronde, è quello che prevede il Protocollo dell’Irlanda del Nord, uno dei punti dell’accordo Brexit. Tale misura è ritenuta necessaria se si vuole evitare l’interruzione dei rapporti con l’Irlanda, la quale fa parte dell’Unione Europea. Non vogliamo assistere, infatti, a situazioni simili a quelle avvenute dopo la seconda guerra mondiale: episodi di violenza e lotta armata tra Irlanda e Irlanda del Nord, risolti poi con gli accordi di pace del Good Friday Agreement del 1998.

La proposta di legge

A causa della posizione commerciale dell’Irlanda del Nord, le merci che arrivano dal Regno Unito sono sottoposte a controlli e pratiche burocratiche che possono durare anche giorni, creando difficoltà alla popolazione di questa terra di mezzo. Così, il Regno Unito ha proposto una legge per alleggerire il carico di controlli: Johnson vuole creare una “corsia verde” e una “corsia rossa”. La prima per le merci provenienti dalla Gran Bretagna dirette in Irlanda del Nord, in modo che i controlli siano ridotti quasi a zero e quindi ci sia un lasciapassare. La seconda per le merci dirette nell’Unione Europea, che, invece, dovrebbero subire tutti i controlli del caso. Questo, chiaramente, violerebbe gli accordi con l’Europa.

Una corsia verde farebbe arrivare la merce in Irlanda del Nord senza alcun controllo; una volta giunta su questo territorio – che ricordiamo far parte del mercato europeo – nessun controllo sarebbe più richiesto per entrare nei territorio dell’Unione. Ciò, in poche parole, significherebbe che le merci del Regno Unito possono entrare tranquillamente all’interno dell’Unione Europea anche senza rispettare i suoi standard e il suo regime fiscale.

Le proposte di Boris Johnson non sono finite qui. Il governo britannico vorrebbe applicare all’Irlanda del Nord le stesse agevolazioni fiscali di cui beneficiano le regioni del Regno Unito: in questo modo la merce giungerebbe in Irlanda del Nord e quindi sul mercato europeo a prezzi stracciati. Inoltre, vorrebbe che fosse un un arbitrato indipendente a risolvere le controversie tra Regno Unito e Unione Europea, e non la Corte di Giustizia dell’Unione, com’è invece previsto dal protocollo su alcuni argomenti particolari.

Bandiere del Regno Unito, dell’Unione Europea e dell’Irlanda (Fonte: lawyersforbritain.org)

La precedente proposta dell’Unione

L’Unione Europea, nell’ottobre 2021, aveva proposto delle modifiche per alleggerire le pratiche burocratiche per alcuni prodotti in arrivo dalla Gran Bretagna. La carne refrigerata – fondamentale in Irlanda del Nord per la produzione di salsicce -, i medicinali e le piante sarebbero arrivate a destinazione con meno della metà dei controlli fino quel momento previsti. Il Regno Unito, però, ha rifiutato la proposta, portando la Commissione a non voler più aprire trattative.

La risposta dell’Unione e del partito laburista

La Commissione Europea, in risposta all’iniziativa britannica, ha riaperto una procedura d’infrazione, avviata nel 2021, nei confronti del Regno Unito, per presunta violazione del Protocollo dell’Irlanda del Nord. Oltre a due procedure d’infrazione minori per presunta mancata esecuzione dei controlli necessari e per la fornitura di dati statistici commerciali.

Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione Europea, afferma:

“La fiducia presuppone l’adempimento degli obblighi internazionali. L’azione unilaterale non è costruttiva, la violazione degli accordi internazionali non è accettabile. Il Regno Unito non rispetta il protocollo: è il motivo per cui oggi avviamo queste procedure d’infrazione.”

Anche i laburisti si schierano per il rispetto del protocollo, contro Johnson. David Lammy, il deputato laburista, esprime il suo pensiero in un articolo del Guardian:

“Fu l’accordo di Boris Johnson che introdusse barriere nel Mare d’Irlanda dopo aver promesso che non l’avrebbe fatto. I conservatori devono assumersi la responsabilità dei problemi del protocollo che devono essere risolti.”

Manifestazione contro Boris Johnson (Fonte: informazione.it)

Le supposizioni sulla proposta di Johnson

La Brexit è realmente un argomento che Boris Johnson ha a cuore o solo un tentativo di spostare l’opinione pubblica su altri argomenti? Negli ultimi mesi, le feste organizzate dal primo ministro in casa sua durante il lockdown, tra il 2020 e il 2021, stanno facendo scalpore. Queste violavano le limitazioni imposte dal governo stesso contro la pandemia.

Inoltre, a causa delle diverse polemiche attorno alla figura di Johnson, 54 parlamentari conservatori avevano chiesto il voto di fiducia sul ministro. Tale voto ha avuto esito positivo, ma con una scarsa maggioranza: 148 parlamentari su 359 hanno votato contro il proprio leader. Questo dimostra quanto sia fragile l’equilibrio interno e fa riflettere sull’improbabile lunga durata del governo.

Probabilmente Johnson vuole solo distogliere l’attenzione dai problemi che stanno interferendo con la sua carriera politica. D’altronde, come afferma David Carretta, un esperto giornalista che copre le istituzioni europee:

“Ogni volta che si è trovato in difficoltà, Johnson ha usato la carta Brexit.”

 

Eleonora Bonarrigo

 

50 giorni dall’invasione in Ucraina: le parole di Zelensky. Si stringe la morsa russa su Mariupol

Il 14 aprile ha segnato il cinquantesimo giorno di conflitto dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, lo scorso 20 febbraio. Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha commentato la ricorrenza affermando che nessuno pensava che il popolo ucraino avrebbe resistito così a lungo, «ma non sapevano quanto sono coraggiosi gli ucraini, quanto amano la libertà». Zelensky si è poi soffermato sull’eroismo del suo popolo:

«Siete diventati tutti eroi. Tutti, uomini e donne ucraini che hanno resistito e non si arrendono. E che vinceranno, che riporteranno la pace in Ucraina. Ne sono sicuro».

Intanto, il conflitto continua tra tentativi di de-escalation dell’Unione Europea, che pensa anche ad un embargo graduale sul petrolio russo (da discutere, però, al termine delle Presidenziali francesi), e tra una Finlandia che preme sempre più per l’adesione alla NATO. Il ministro finlandese per gli Affari europei Tytti Tuppurainen ha affermato, infatti, che il rapporto con la Russia sarebbe cambiato in seguito alle ultime azioni della Federazione, che – continua – sarebbero un «campanello d’allarme per tutti noi».

Mariupol sempre più in difficoltà

Peggiora la situazione a Mariupol, ormai rasa al suolo e accerchiata dalle truppe russe, che hanno preso il controllo della parte centrale della città, dividendo le forze ucraine al porto da quelle che si trovano nel quartiere industriale a est. I combattimenti si stanno concentrando soprattutto intorno all’acciaieria Azovstal, nel porto. Un vice comandante separatista russo avrebbe descritto alla TV di Stato russa l’acciaieria come: «la fortezza dentro la città».

Dentro l’acciaieria si nasconderebbe il cosiddetto Battaglione Azov, che rappresenta uno dei principali obiettivi di Putin.

Inoltre, il consiglio comunale della città di Mariupol afferma che gli occupanti russi hanno iniziato a riesumare i cadaveri sepolti nei cortili dei blocchi residenziali. Lo scrivono i funzionari su Telegram, citati dalla Bbc. A Mariupol ci sarebbero, secondo Kiev, 13 forni crematori mobili e le autorità cittadine sospettano che i russi stiano cercando di coprire i crimini di guerra. (ANSA)

(fonte: dailynews.ansneed.com)

Il caso dell’incrociatore russo affondato

Giovedì sera l’incrociatore russo “Moskva” è affondato mentre veniva rimorchiato, dopo aver perso stabilità a causa dei danni subiti dallo scafo durante un incendio avvenuto a bordo ore prima. Questa la versione ufficiale del Ministero della Difesa russo, che imputerebbe l’incidente, appunto, ad un incendio. Tuttavia, la controparte ucraina afferma di aver affondato l’incrociatore con due missili “Neptune” antinave.

Ad ogni modo, per ora nessuna delle due versioni sembra essere stata verificata. L’incrociatore “Moskva” era una delle navi più importanti di tutta la flotta russa, e l’affondamento è considerato da molti un duro colpo per l’esercito russo, sia dal punto di vista militare che simbolico.

Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha detto che cinque navi da guerra russe che si trovano nel Mar Nero settentrionale si sarebbero spostate verso sud, lontano dalle coste ucraine, poche ore dopo l’affondamento dell’incrociatore. Secondo diversi esperti militari potrebbe essere una conferma della versione ucraina: allontanandosi dalle coste ucraine le navi russe potrebbero voler prevenire un altro possibile attacco.

Tra l’altro, questa mattina a Kyiv sono stati confermati i bombardamenti di una fabbrica di sistemi missilistici antiaerei a lungo e medio raggio e di missili antinave.

(L’incrociatore Moskva. Fonte: analisidifesa.it)

Mosca blocca un giornale indipendente. Nell’ambasciata russa a Washington una lotta tra proiettori

Venerdì l’agenzia russa delle comunicazioni ha bloccato l’accesso nel paese al sito in lingua russa del Moscow Times, giornale online indipendente, per un articolo pubblicato dal sito il 4 aprile in cui si raccontava che alcuni agenti delle forze speciali russe si sarebbero rifiutati di combattere in Ucraina. L’agenzia ha giudicato la notizia falsa, procedendo a bloccare l’accesso al sito.

Intanto, è diventato virale un video pubblicato su Twitter che ritrae la bandiera ucraina proiettata sulle mura dell’ambasciata russa di Washington, opera di un piccolo gruppo di attivisti, a cui sembra che i funzionari dell’ambasciata abbiano provato a “porre rimedio” inseguendola con un altro proiettore. La didascalia del tweet recita: «Il gatto e il topo».

https://twitter.com/benjaminwittes/status/1514422654152982529?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1514422654152982529%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2Fflashes%2Fambasciata-russa-bandiera-ucraina-washington%2F

Biden contro Mosca: «è un genocidio»

Negli ultimi giorni il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha accusato la Vladimir Putin di essersi macchiato di genocidio nei confronti della popolazione civile ucraina, in seguito all’ennesimo blocco dei corridoi umanitari in varie parti del paese mercoledì scorso. Inoltre, Kyiv ha affermato di star raccogliendo prove per dimostrare l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito russo.

Il Presidente Biden ha anche affermato – riporta il Daily Mail – di essere pronto per una visita ufficiale a Kyiv. Sembrerebbe che nelle ultime ore si stia decidendo su una visita da parte di un membro dell’Alta amministrazione americana. L’impegno del Presidente nei confronti della situazione ucraina sembra auspicare anche ad una rimonta nei sondaggi, che vedono a favore di Biden solo un 33%.

Valeria Bonaccorso

L’Unione Europea taglia sul carbone russo. Si pensa ad embargo anche su petrolio e gas

Ieri sera, durante una riunione dei suoi ambasciatori, l’Unione Europea ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra queste spicca l’approvazione dell’embargo al carbone russo. Si tratta di una misura presa in considerazione e auspicata già settimane fa, ma che arriva in seguito alle pressioni derivanti dai sospetti di crimini di guerra perpetrati negli ultimi tempi in Ucraina dall’esercito russo. Così ha commentato la proposta la Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen «che – aggiunge – costerà circa quattro miliardi di euro l’anno».

La proposta della Commissione prevedeva, inoltre, il divieto a navi ed autotrasportatori russi di entrare nei territori dell’Unione, con alcune eccezioni per determinati prodotti agricoli, aiuti umanitari ed energetici. Quest’ultimo punto è stato accolto nel pacchetto definitivo di sanzioni, cui si aggiunge l’incremento di personalità russe inserite nella black list europea e ulteriori divieti dal valore di circa 15,5 miliardi.

La prima stilettata all’energia russa

L’embargo sul carbone rappresenta un primo colpo all’energia russa, ossia il punto più discusso in materia di sanzioni. L’Unione Europea (ed in particolare l’Italia, assieme alla Germania) ha una forte dipendenza dalle fonti di energia importate dalla Russia, soprattutto dal suo gas naturale e dal petrolio. Ma gli ultimi eventi – ed in particolare il massacro di civili verificatosi a Bucha – hanno compattato la linea UE verso l’inasprimento delle sanzioni. Chiarisce la Presidente della Commissione Von Der Leyen:

Queste atrocità non possono e non rimarranno senza risposta.

D’altronde, lo stesso Premier italiano Draghi ha aperto alla possibilità di un embargo (oltre che sul carbone) sul gas russo, con un già “rinomato” quanto criticato aut-aut:

Preferite la pace o il condizionatore acceso?

Ma ad ogni modo – chiarisce il Premier – sarà l’Unione a decidere. Una linea, quella dell’Esecutivo, sempre più certa sul da farsi, a discapito delle voci di diverse aree del Parlamento che invitano alla negoziazione, anziché alle sanzioni e all’invio di armi a favore della difesa ucraina.

E l’embargo sul carbone trova l’accordo anche della Germania, che fino ad ora si era duramente opposta (assieme all’Ungheria di Orbán) allo stop collettivo di tutte le importazioni di energia russa. Il Ministro della Finanza tedesco Christian Lindner aveva infatti suggerito di considerare separatamente petrolio, carbone e gas, poiché la velocità per la sostituzione dei fornitori potrebbe variare.

Ed infatti, opponendosi ancora aspramente all’embargo sul gas, ha affermato:

Ci troviamo davanti ad un criminale di guerra, è chiaro che dobbiamo porre fine ai legami economici con la Russia il prima possibile, ma il gas non potrebbe essere sostituito nel breve periodo. Farebbe più male a noi che a loro.

(fonte: au.sports.yahoo.com)

Stop all’energia russa sì, ma quando?

Corre veloce la Francia, che col suo Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, si ritiene «pronta ad uno stop alle importazioni non solo di carbone, ma anche di petrolio russo». Ed aggiunge:

La realtà è che bloccare le importazioni di petrolio dalla Russia è la cosa che le farebbe più male.

Tuttavia, anche La Maire riconosce l’importanza di un intervento a livello comunitario, più che nazionale. «Importante convincere anche gli altri Stati membri».

Peraltro, lo stop a tutte le importazioni energetiche da Mosca non è tra i piani a breve termine dell’Unione. Né lo stop immediato al carbone: la Germania ha infatti ottenuto di posticipare di quattro mesi l’entrata in vigore del divieto, in modo tale da realizzare il piano nazionale per l’indipendenza dal carbone russo entro l’estate. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. (Il Post)

Ad ogni modo, testate come EuroNews hanno immaginato le possibili conseguenze di uno stop alle forniture di gas russo: tra le soluzioni proposte, quella di ricorrere al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti.

Sostituire il carbone russo e ridurre le emissioni

È possibile che tagliare il carbone russo non faccia poi così male: dopotutto – afferma Bloomberg – già prima delle sanzioni le compagnie energetiche europee faticavano a trovare il suddetto carbone, anche per via delle banche che ne negavano i finanziamenti. Nota il centro di studi Bruegel, poi, che le importazioni di carbone a livello europeo erano calate drasticamente dai 400 milioni di tonnellate nel 1990 ai 136 milioni nel 2020.

Sostituire il carbone russo non sarà difficile, ma sarà più costoso: i principali esportatori sono infatti Australia Indonesia, Paesi molto più distanti dall’Europa rispetto dalla Russia. Si tratterà di aumentare i costi di spedizione.

(fonte: balkaninsight.com)

Infine, si tenga a mente l’impegno delle varie città europee verso la decarbonizzazione, uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Secondo un report della Commissione Europea, gli edifici europei sarebbero responsabili di circa il 40% delle emissioni comunitarie e del 36% delle emissioni di gas serra.

Ottimizzare l’efficienza energetica rappresenta, quindi, la chiave per l’obiettivo “zero emissioni”: secondo Caterina Sarfatti, direttrice dell’azione della C40 Climate Leadership Group, permetterebbe anche di risolvere il crescente problema della povertà energetica in Europa. Politico ha delineato una serie di azioni che aiuterebbero nel raggiungimento di tale scopo a livello cittadino.

Valeria Bonaccorso

Ucraina: svolta nei negoziati. Sì alla neutralità, ma non come vuole Putin. “Garanzie di sicurezza contro la Russia”

«Ogni guerra termina con un accordo», ha affermato questa notte il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un videomessaggio dove ha reso noto che i negoziati con la Russia stanno procedendo «in modo più realistico». Si tratterebbe di un prima grande svolta nel panorama del conflitto che ha coinvolto l’Ucraina dal 24 febbraio scorso: svolta confermata per la prima volta anche da fonti ufficiali russe, quali il Ministero degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov, che ha aperto alla possibilità di un compromesso.

Mi baso sulle valutazioni fornite dai nostri negoziatori, i quali dicono che i negoziati non stanno andando bene per ovvi motivi, ma che c’è comunque un margine di speranza di raggiungere un compromesso.

Tuttavia, il ministro Lavrov ha subito ribadito le richieste della Russia: smilitarizzazione dell’Ucraina e sicurezza delle popolazioni russofone nell’Est del Paese, oltre che rinuncia all’adesione al Patto Atlantico.

L’uso della lingua russa e la libertà di espressione sono importanti.

L’Ucraina rinuncia alla NATO: ma quale neutralità?

La notizia giunge in seguito ad un discorso tenuto in videoconferenza da Zelensky nel quale ha ammesso che «L’Ucraina non è nella NATO e non possiamo entrarci, va riconosciuto». Un passo indietro significativo, che ha subito indotto a credere che il Paese di avvii verso la neutralità.

Nelle ultime ore, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto sapere che la neutralità dell’Ucraina potrebbe basarsi sul modello austriaco o svedese, ma Zelensky ha rigettato la proposta, chiedendo garanzie di sicurezza. (ANSA)

L’Ucraina è in uno stato di guerra diretto con la Russia. Pertanto il modello può essere solo ucraino.

Ha spiegato così il motivo del rifiuto dei modelli austriaco o svedese Podolyak, il consigliere presidenziale e negoziatore di Kyiv.

(fonte: ilmessaggero.it)

In un articolo dell’ISPI di alcuni giorni fa, si sostiene che il problema dei negoziati non verterebbe sulla neutralità di Kyiv, su cui entrambe le forze sono d’accordo: «La grande differenza è sull’interpretazione del principio». Sembrerebbe che Putin voglia fare dell’Ucraina una nuova Bielorussia, sbarazzandosi dell’attuale esecutivo per imporvi un presidente-marionetta alla stregua del bielorusso Lukashenko; eppure – scrive ISPI – i colloqui tenutisi in Turchia tra Lavrov e Kuleba, Ministro degli Esteri del “governo nazista” di Kyiv, indicherebbero un sostanziale segno di debolezza del Cremlino, ormai giunto al limite del default.

Ci sarebbe poi il modello di neutralità finlandese, che ben si concilierebbe ad un immaginario democratico e da membro dell’Unione, status a cui il Paese guidato da Zelensky aspira ormai da tempo.

Improbabile un intervento militare NATO

Durante un simbolico incontro tra Zelensky ed una delegazione europea composta dai vertici di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, il vice primo ministro polacco Kaczyński ha detto che la NATO dovrebbe inviare in Ucraina una forza di peacekeeping «armata». Si tratterebbe al momento di una strada altamente improbabile.

Nella giornata odierna è in corso un incontro d’emergenza dei membri del Patto Atlantico. Il Segretario per la Difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato:

Rimarremo uniti in supporto dell’Ucraina, sostenendo il loro diritto ad autodifendersi.

È previsto che i vari Ministri per la Difesa impongano ai relativi comandanti militari di designare nuove strategie per scoraggiare la Russia, tra cui più truppe e difese missilistiche sul fianco orientale della NATO.  «Dobbiamo riadattare il nostro atteggiamento militare a questa nuova realtà», ha dichiarato martedì il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.

(fonte: nato.int)

Alcuni giorni fa, delle fonti della BBC hanno rivelato che la NATO sta facendo il possibile per evitare un’escalation e, di conseguenza, l’attivazione dell’Articolo 5 del Patto Atlantico, ossia il principio della difesa collettiva, che prevede che un eventuale attacco armato contro una o più delle parti in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza si conviene che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, potrà procedere anche all’utilizzo della forza armata.

«Tuttavia – afferma Jenny Hill, corrispondente a Mosca per la BBC – più le truppe russe avanzano ad ovest, più aumenta il rischio di un attacco accidentale (o intenzionale) in territorio NATO». Per di più, il 13 marzo dei missili russi hanno colpito una base ucraina al confine con la Polonia, membro del Patto Atlantico, allarmando immediatamente il Paese confinante.

Altri bombardamenti nella notte. In arrivo controffensiva ucraina

Intanto, nelle ultime ore, Mariupol è stata attaccata anche dal mare di Azov. Lo riferisce Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco della cittadina ucraina, precisando che gli attacchi delle navi da guerra vanno ad aggiungersi ai raid aerei.

Anche Kharkiv è stata attaccata durante la notte, con due morti confermati e due edifici residenziali distrutti (The Guardian). Le navi russe presenti nel mar Nero hanno iniziato a bombardare le coste vicino alla città di Odessa, porto principale del paese. A Kyiv è stato distrutto un palazzo di dodici piani, causandone il parziale collasso. Le operazioni di soccorso sono state particolarmente difficili per questa ragione.

Secondo quanto rivelato da Podolyak, le forze armate ucraine starebbero lanciando «controffensive in diverse zone operative», ma al momento non sono stati aggiunti ulteriori dettagli.

Valeria Bonaccorso

 

Ucraina nell’Ue: una strada difficile, ma possibile

Lunedì la Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) ha pubblicato un tweet dichiarando che il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato la domanda di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

La domanda è stata seguita dall’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, di una risoluzione in cui l’istituzione europea ha dichiarato di essersi assunta l’impegno (più politico che giuridico, dal momento che l’atto in questione non risulta vincolante) di permettere una tale adesione.

Il Presidente ucraino è poi intervenuto durante una plenaria straordinaria dell’Europarlamento dedicata al conflitto russo-ucraino. Dalle sue parole è emerso un desiderio di incoraggiamento ed inclusione dell’Ucraina negli ambienti europei, oltre i semplici rapporti di vicinanza:

Vogliamo essere membri a pari diritti dell’Ue. Stiamo dimostrando a tutti che questo è quello che siamo.

D’altronde, la richiesta – pur giungendo in un momento particolarmente difficile per l’Europa intera – si cala all’interno di una politica coerente perseguita da Zelensky sin dalla sua elezione, a partire dal 2019, quando la Verchovna Rada ha legalmente incluso nella Costituzione dell’Ucraina il percorso per l’adesione alla NATO e all’Unione Europea. La riforma dell’articolo 102 ha inoltre ampliato i poteri del Capo di Stato in tal senso, rendendone «il garante dell’attuazione».

Ucraina nell’Ue: i possibili scenari

Il percorso di adesione all’Unione Europea è spesso lungo e tortuoso e può durare molti anni. Per questa ragione la Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, oltre ad accettare di buon grado la richiesta dell’Ucraina, ha fatto riferimento al fattore tempo:

Abbiamo un processo con l’Ucraina che consiste, ad esempio, nell’integrazione del mercato ucraino nel mercato unico. Abbiamo una cooperazione molto stretta sulla rete energetica, per esempio. Così tanti argomenti in cui lavoriamo a stretto contatto e in effetti, nel tempo, ci appartengono. Sono uno di noi e li vogliamo dentro.

(fonte: frontnews.eu)

Sembra difficilmente apprezzabile, invece, un percorso di adesione facilitata in vista delle condizioni che affliggono attualmente l’Ucraina, sebbene auspicata da Paesi come la Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca.

Ma anche supponendo un’entrata immediata dell’Ucraina nell’Unione Europea, ci si chiede quali conseguenze una tale decisione assumerebbe. Come già affermato anche dalla Presidente von der Leyen, innanzitutto inclusione nel mercato unico. A tal proposito, uno dei requisiti fondamentali di adesione è l’esistenza di un’economia stabile che sia in grado di far fronte alla concorrenza e alle esigenze di mercato interne ed esterne all’UE.

Dal punto di vista militare, gli Stati dell’Unione sono legati da una clausola di difesa reciproca introdotta dal Trattato di Lisbona che li obbliga ad intervenire in aiuto dello Stato membro vittima di un’eventuale aggressione nel proprio territorio. Ciò significherebbe – nel breve termine – coinvolgere l’Unione nel conflitto con le forze russe.

Una conseguenza più sul lungo termine sarebbe quella di mettere a rischio la sostanziale funzione pacificatrice dell’Unione Europea, che, come affermava Giorgio Amendola nel 1974, «può avere solo una politica di neutralità, non di rivalità con le due potenze [Russia e Stati Uniti]».

Infine, libertà di movimento in tutto il territorio dell’Unione, soprattutto per le centinaia di migliaia di cittadini ucraini sfuggiti al conflitto. A tal proposito, Reuters ha riportato che la Commissione Ue sarebbe al lavoro per approvare la proposta di concedere ai rifugiati ucraini dei diritti di residenza temporanei senza dover passare attraverso lunghi iter burocratici per le richieste d’asilo.

Michel: «attenzione all’allargamento»

L’adesione è una richiesta di vecchia data dell’Ucraina, ma ci sono opinioni e sensibilità diverse sull’allargamento.

Così il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha commentato la richiesta di adesione dell’Ucraina, esprimendo alcune perplessità. Da anni si è palesata la contrarietà di molti Stati Ue all’allargamento – dal momento che includere nuovi Stati significa includere anche nuove opinioni sensibilità, quindi anche nuovi possibili contrasti. Già nel 2005 l’allora Commissario per la Politica europea di vicinato e negoziati di allargamento Olli Rehn aveva affermato che bisognava «consolidare l’agenda di allargamento dell’Unione, ma anche essere cauti coi nuovi impegni».

Zelensky e Michel (fonte: consilium.europa.eu)

Inoltre, Nel marzo 2016, l’allora Presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha dichiarato che «ci vorranno almeno 20-25 anni perché l’Ucraina aderisca all’UE e alla NATO».

Draghi: «Putin ascolti i suoi cittadini e abbandoni i piani di guerra»

Anche il Premier italiano Mario Draghi si è rivolto nei confronti del Capo di Stato russo con parole molto dure, durante un discorso tenuto in Parlamento circa l’approvazione della proposta di invio di armi all’Ucraina. La proposta in Parlamento ha incontrato alcune perplessità a cui il Presidente del Consiglio ha risposto:

Mandare aiuti militari, un sostanziale inedito anche per il nostro Paese, non significa, essere “rassegnati” alla guerra. Chi ha più di 60 chilometri di carri armati davanti le porte di Kyiv non vuole la pace in questo momento.

Intanto, l’Esecutivo si impegna ad approvare un piano contro la crisi energetica che colpirà l’Europa – specialmente l’Italia – ora che i rapporti di scambio con la Russia sono stati tagliati. A tal proposito il Governo ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza per intervento all’Estero.

Valeria Bonaccorso

Bruxelles trattiene i fondi europei destinati alla Polonia. Decisione storica dell’UE

Da diversi mesi circolavano degli attriti tra l’UE e la Polonia, iniziati a settembre 2021 con l‘ammenda da parte della Corte di Giustizia pari a 500 mila euro per ogni giorno che avrebbe tenuto aperta la miniera e le centrali di carbone a Turow, nei pressi del confine con la Repubblica Ceca, poiché viola gli standard ambientali europei. È la prima volta nella storia che la Commissione utilizza questo strumento a sua disposizione, creando così un precedente che si allinea con altre irregolarità commesse dalla Polonia.

 

(fonte: la Repubblica)

I dettagli della decisione

Secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea, la Polonia avrebbe dovuto pagare il primo mese di multe – in tutto 15 milioni di euro più gli interessi per un periodo che va dal 20 settembre 2021 al 19 ottobre 2021 – entro 60 giorni. Varsavia però, da allora, non ha chiuso né la miniera né versato un centesimo alla Commissione europea, poiché il governo ha ritenuto che tali risorse fossero indispensabili per fornire energia al Paese, soddisfano infatti il 7% della domanda domestica. Questo ha provocato un importante aumento della multa che ha raggiunto circa 60 milioni di euro, e può aumentare ancora se la Polonia non decide di chiudere gli impianti. Nonostante un portavoce della Commissione europea abbia dichiarato che decurteranno entro dieci giorni lavorativi la prima rata, da Varsavia il portavoce del governo Piotr Müller fa sapere che presenteranno ricorso utilizzando:

tutti i mezzi legali

ricordando inoltre che il 3 febbraio era stato firmato un accordo tra Varsavia e Praga per porre fine alla loro disputa (la Polonia dovrà versare 45 milioni di euro come risarcimento). Questo accordo amichevole comporterà l’interruzione del procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia, che deve ancora emettere un’ordinanza per chiudere il caso.

Altri casi emblematici in contrasto con l’Unione Europea

La Polonia si era resa già protagonista in negativo agli occhi della Commissione Europea in un caso separato. La Commissione europea aveva infatti aperto una procedura d’infrazione per le così dette “LGBT-free zones”, ossia le aeree del paese libere dalle persone LGBT istituite da vari enti locali, limitando la libertà d’espressione e il diritto a manifestare per il pride, provocando una pesante discriminazione nei territori. La procedura consisteva nel rimuovere dei fondi destinati alle regioni di Cracovia, Rzeszow e Lublino, ed infatti ha ottenuto il suo obiettivo poiché queste ultime hanno revocato le disposizioni. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nell’informativa aveva rincarato la dose dichiarando che l’Unione Europea è fondata:

sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze

 

(Marcia per l’uguaglianza a sostegno dei diritti delle comunità LGBT. Fonte: euractiv.it)

 

Un altro caso decisamente grave risale ad ottobre 2021, quando la Corte di Giustizia europea decise di condannare la Polonia a una multa di un milione di euro al giorno per non aver sospeso l’attività della Sezione disciplinare della Corte Suprema polacca, cioè un organo che secondo la Corte limita l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici, e che quindi non garantisce il rispetto dello stato di diritto in Polonia. Questo atteggiamento decisamente anti-europeo infatti, mina i valori dell’Unione che si basano su una forte collaborazione e coesione tra gli Stati membri, e ha posto seri dubbi in merito all’adesione della Polonia all’UE. Al momento questa multa ha raggiunto circa 100 milioni di euro: non è chiaro se e quando la Commissione intenderà iniziare a riscuoterla trattenendo ulteriori fondi che spettano alla Polonia.

L’importanza dei fondi e l’equilibrio instabile della Polonia

La Polonia è uno dei paesi più poveri dell’Unione, e come tale uno dei maggiori beneficiari dei fondi del bilancio europeo: fra il 2021 e il 2027 infatti dovrebbe ricevere in tutto circa 78 miliardi di euro, fondamentali per alcuni settori della propria economia e per la gestione delle tratte migratorie. Per l’analista del New York Times George Riekeles:

Nel lungo termine questa situazione non è sostenibile. La Polonia sarà costretta a prendere una decisione politica.

Si spera che questa situazione possa migliorare, anche perché lo scenario politico europeo non naviga in acque tranquille. Da molto tempo la Russia minaccia di invadere l’Ucraina e più i giorni passano, più le trattative si fanno sempre più difficili. In merito alla situazione il presidente polacco Duda ha dichiarato:

Ciò di cui ha bisogno la Polonia in questo momento è la calma. Davanti a tutte le minacce esistenti sulla scena internazionale servono un dialogo pacato e l’unità

La Polonia, dal canto suo, si trova paradossalmente in una posizione di equilibrio instabile. Geograficamente vicina alle zone minacciate dal conflitto e guidata da una classe politica sempre più vicina alle posizioni di Vladimir Putin corre il rischio di vestire i panni, suo malgrado, di attore principale negli equilibri della nuova “cortina di ferro”.  Urge dunque un dialogo costruttivo con l’Unione Europea e soprattutto un’azione che metta da parte gli interessi politici per ristabilire l’equilibrio dello scacchiere politico europeo.

 

Federico Ferrara

 

 

 

Rivolta in Kazakistan: adesso è repressione a guida del Cremlino. Ecco cosa sta succedendo in Asia centrale

Fonte: it.notizie.yahoo.com

Le prime due settimane di gennaio iniziano con una forte tensione in Asia centrale: una protesta del gas, cominciata il giorno di Capodanno in Kazakistan, si è rapidamente trasformata in una rivolta – tutt’ora in corso – contro l’oligarchia al potere, effetto di una più ampia lotta tra fazioni dell’élite del Paese.

Nel giro di pochi giorni le manifestazioni sono dilagate in tutto il Kazakistan, provocando un preoccupante numero di morti, feriti e arresti, e mettendo in difficoltà il regime di Kassym-Jomart Tokayev, che grazie all’aiuto militare della Russia è riuscito a reprimere gran parte delle rivolte.

Dura la reazione da parte degli Stati Uniti, mentre l’Ue si mostra neutrale con l’invito alla responsabilità delle parti. Il tutto nell’incertezza di eventi accompagnati dal blackout nazionale di Internet.

Proteste in tutto il Paese

L’aumento delle tariffe del gas – e in particolare del Gpl – annunciato nei giorni precedenti dal presidente Tokayev si è presentato come il casus belli perfetto di una rivolta che, a dire il vero, era nell’aria già da un po’ di tempo a causa dell’insofferenza nei confronti di un intero sistema fondato e guidato per un trentennio dall’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Nazarbayev si era dimesso nel 2019, ma da allora ha comunque continuato – fino a prima della rivolta – ad esercitare un forte controllo sul Paese in quanto presidente del Consiglio di sicurezza e “Leader della nazione”.

Le prime proteste hanno avuto inizio nel Mangystau, principale provincia petrolifera affacciata sul Mar Caspio, seguita da Almaty (cuore economico del Paese) ed estesesi poi a macchia d’olio in tutto il territorio kazako.
Stando ai bollettini più recenti, le vittime ufficiali sfiorerebbero quota 200, migliaia di manifestanti sarebbero stati incarcerati e, secondo la televisione di stato, uccisi 16 poliziotti e altri 1.300 sono rimasti feriti.

Fonte: euronews

Internet assente

È impossibile dire con precisione quale sia il bilancio delle violenze anche a causa di un blocco quasi generale di internet e della rete dei telefoni cellulari iniziato il 4 gennaio, che ha improvvisamente riportato il Kazakistan ai primi anni ’90.

Ciò sarebbe dovuto al provider Internet Kazakhtelecom che ha disabilitato l’accesso alla rete in tutto il paese e alle interruzioni dei maggiori operatori di telefonia mobile Kcell, Beeline e Tele2. I siti di notizie locali non sono disponibili.

Fonte: newsmeter.in

Si tratta di un’interruzione accertata anche dal servizio britannico NetBlocks, che monitora lo stato della rete in tutto il mondo, il quale sostiene che le interruzioni a livello della rete non possono essere aggirate, nemmeno con l’aiuto di un software speciale o di una VPN:

«Il Kazakhstan sta attualmente vivendo un blackout di Internet a livello nazionale dopo una giornata di interruzioni di internet mobile» e altre «restrizioni parziali», ha affermato l’ong, annunciando che questo «potrebbe limitare gravemente la copertura delle proteste antigovernative che si stanno intensificando», ha denunciato qualche giorno fa il gruppo di monitoraggio su Twitter.

È certo che questo accaduto porta con sé delle conseguenze che dipenderanno soprattutto dalla durata del blackout, ancora non del tutto chiara.

La missione in Kazakistan

Al momento la situazione nei maggiori centri urbani sembra essere relativamente più calma, chiara conseguenza dell’intervento di 2.500 militari provenienti da un’alleanza di Paesi guidati dalla Russia.

È la prima volta che la “Collective Security Treaty Organization” (CSTO), nella sua storia, autorizza l’invio di truppe nei territori di un Paese membro: di fronte al precipitare della crisi, al presidente Tokayev non è rimasto che proclamare lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale e ricorrere all’aiuto di Putin per fermare le agitazioni.

Così, in un comunicato, il governo kazako ha scritto che varie «infrastrutture strategiche» ora sono sotto il controllo della forza militare inviata dalla Russia, la quale ha in particolare contribuito a riprendere il controllo dell’aeroporto di Almaty, occupato fino ad allora dai rivoltosi.
Il comunicato di un altro collaboratore del presidente ha per giunta criticato i media occidentali per aver dato «la falsa impressione che il governo kazako abbia colpito manifestanti pacifici».

Fonte: geopolitica.info

Lotta tra fazioni politiche

Intanto che la repressione infuria in Kazakistan, lo scorso sabato il governo kazako ha annunciato l’arresto di Karim Massimov, ex primo ministro e leader del Comitato per la sicurezza nazionale.
Accusato di tradimento e di aver fomentato le rivolte, Massimov era una delle persone più potenti del Kazakistan e stretto alleato dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Anche Nazarbayev, come già detto, pur avendo lasciato la presidenza manteneva il controllo informale sugli apparati di sicurezza del paese. Eppure, è stato costretto a dimettersi da ogni incarico pubblico al momento dello scoppio delle rivolte, e lo stesso è avvenuto con altri suoi importanti alleati politici.
Ciò ha spinto molti analisti a pensare che dietro alle rivolte ci sia stata una più ampia lotta per il potere tra la fazione politica fedele a Tokayev e quella fedele a Nazarbayev.

La dottrina Putin

A condurre ora il gioco del Paese (dove la minoranza russa è consistente) è quindi il Cremlino, che ha imposto un’interpretazione forzata dell’articolo 4 del Trattato di cooperazione sulla sicurezza, secondo cui un’aggressione militare giustifica l’intervento di forze congiunte, e riadattando le norme alle circostanze di una serie di rivolte qualificate come aggressione di bande terroristiche formatesi all’estero:

«La dottrina Putin è ormai consolidata nella tolleranza zero nei confronti di tutte quelle che una volta erano state chiamate rivoluzioni colorate, che hanno interessato appunto diverse repubbliche ex sovietiche rette dalla caduta del Muro da ex funzionari del Partito comunista: Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Azerbaijan, Bielorussia. Putin non tollera più nel suo tentativo di ricostruire la grande Russia sovietica alcun tipo di richiesta di democratizzazione che possa allontanare questi Stati dalla sfera di influenza di Mosca», ha spiegato il sociologo Massimo Introvigne.

Le posizioni di Usa e Ue

L’occidente intanto segue dall’esterno la vicenda restando vigile sui fatti, specialmente gli Stati Uniti, il cui portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto che essi “sorvegliano” per verificare eventuali abusi dei diritti umani da parte delle truppe russe in Kazakistan:

«Gli Stati Uniti e il mondo intero monitorano tutte le eventuali violazioni dei diritti umani e sorvegliano anche eventuali azioni che possano gettare le basi per una presa di controllo delle istituzioni del Kazakistan».

Fonte: middleeastmonitor.com

Mentre l’Unione europea mantiene una posizione neutrale, come si evince in una nota del portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell:

«Invitiamo tutti gli interessati ad agire con responsabilità e moderazione e ad astenersi da azioni che potrebbero portare a un’ulteriore escalation di violenza».

L’Europa, insomma, sta seguendo da vicino gli sviluppi, precisando che:

«Il Kazakistan è un partner importante per l’Unione europea e contiamo sul fatto che mantenga i suoi impegni, tra cui la libertà di stampa e l’accesso alle informazioni online e offline».

Gaia Cautela