La Banca Centrale Europea, la “mamma” delle banche d’Europa

Spesso i media parlano di politica fiscale e politica monetaria, di emissione di moneta, di finanziamento del deficit, e così via. Sapevate che il Governo non può stampare moneta? E sapevate che, in quanto membri dell’UE, il sistema monetario italiano è tutelato e vigilato da un organismo sovranazionale, chiamato Banca Centrale Europea? Vediamolo insieme.

E’ necessario fare innanzitutto una chiara distinzione tra le due forme di politica citate:

  • La politica fiscale è attuata dal Governo, e comprende interventi tramite la spesa pubblica, i trasferimenti (=a favore di famiglie e imprese per scopi sociali o produttivi, es. contributi sociali, assegni familiari, pensioni, incentivi alla produzione) e il prelievo fiscale (=imposte);
  • La politica monetaria è attuata dalla Banca Centrale, in Europa dalla Banca Centrale Europea, ed è attuata tramite l’offerta monetaria (=banalmente, lo stock di moneta inserito nel sistema economico) e il tasso d’interesse.

Cos’è la BCE?

La Banca Centrale Europea, abbreviato BCE, è la banca centrale adottata dai 19 Stati membri dell’Unione Europea che hanno aderito all’euro come moneta comune. 

La Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali, insieme, costituiscono l’Eurosistema, il sistema di banche centrali dell’area euro. 

Qual è l’obiettivo della BCE?

Facendo riferimento all’articolo 105 del trattato di Maastricht, che nel 1992 sancì in modo ufficiale la nascita dell’UE, dopo i primi passi mossi fin dal 1951, il principale obiettivo dell’Eurosistema è mantenere la stabilità dei prezzi, ossia salvaguardare il valore dell’euro. Infatti, l’art. 105 recita:

L’obiettivo principale del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

La BCE è libera di svolgere le proprie funzioni?

La BCE è un’istituzione politicamente indipendente, e con ciò si concilia il raggiungimento dell’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi. Nel caso vi sia una dipendenza politica da parte della banca centrale, più precisamente una “dominanza fiscale” sulla politica monetaria, i governi potrebbero ricorrere al finanziamento monetario del disavanzo (= combattere il disavanzo di bilancio – uscite > entrate – con l’emissione di nuova moneta) con maggiore frequenza e questo potrebbe causare un alto livello d’inflazione. 

L’indipendenza politica è sancita dall’articolo 104 del trattato di Maastricht e dall’articolo 7 dello statuto del SEBC.  

Riportando l’art. 104:

È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE…alle amministrazioni statali […] o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.

Nessun governo o ente pubblico può, quindi, influenzare la BCE o le Banche Centrali Nazionali che fanno parte dell’Eurosistema e convincerle a modificare il proprio comportamento in modo da favorirle nell’attuazione della politica monetaria. 

Ad ogni modo, l’indipendenza per la BCE comporta anche degli oneri (=costi), in termini di necessità di trasparenza e in riferimento anche all’enorme peso delle responsabilità delle proprie azioni e strategie.

Cos’è il SEBC?

Il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) è composto dal governatore della BCE e dai governatori delle banche centrali di tutti i paesi membri dell’UE. L’Eurosistema, invece, è parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, poiché è formato dal governatore della BCE e dai governatori delle Banche Centrali dei paesi che hanno adottato l’euro come moneta legale (attualmente 19 paesi).

Nonostante il SEBC sia un sistema più ampio, l’Eurosistema è quello fondamentale e importante ai fini della politica monetaria.

Per raggiungere l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi, l’Eurosistema formula le proprie decisioni di politica monetaria su due approcci analitici complementari detti “due pilastri”: l’analisi monetaria e l’analisi economica.

L’implementazione delle decisioni relativa alla politica monetaria avviene attraverso gli strumenti di cui si avvale l’eurosistema. Questi strumenti sono:

  • operazioni di mercato aperto  (=acquisto/vendita titoli di Stato);
  • operazioni su iniziativa della controparte (standing facilities) (finalizzate a iniettare o assorbire liquidità nel mercato monetario);
  • riserva obbligatoria (percentuale dei depositi bancari per legge tenuta sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili).

 

Quali sono gli organi direttivi della BCE?

Gli organi decisionali della BCE sono il Consiglio direttivo, il Comitato esecutivo e il Consiglio Generale. Nel dettaglio:

  • Il Consiglio direttivo stabilisce la politica monetaria dell’Eurozona e fissa i tassi d’interesse applicabili ai prestiti erogati alle varie banche;
  • il Comitato esecutivo attua la politica monetaria, gestisce affari, riunioni del Consiglio direttivo ed esercita i poteri delegati da questi ultimi;
  • il Consiglio generale ha funzioni consultive e di coordinamento e preparatorie per un eventuale allargamento dell’Eurozona.

Vi è poi il Presidente della BCE, che rappresenta la banca nelle riunioni interne ed internazionali. Attualmente, ricopre la carica Christine Lagarde prendendo il posto dal 1° novembre 2019 di Mario Draghi. Lagarde era precedentemente ministra dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego in Francia, poi direttrice del Fondo monetario internazionale.

La BCE è quindi la madre delle banche nazionali appartenenti all’Eurozona, che vigila sul loro operato e fornisce gli strumenti finanziari con le opportune cautele e misure di regolamentazione. La moneta non si distribuisce senza un chiaro criterio, ma questo è un’altra analisi che spiegheremo presto.

 

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Marco Amato

Rossana Arcano

Recovery Fund. Ecco cos’è e perché è la chiave dell’intesa UE

Dopo aver parlato nelle settimane precedenti di PEPP e di MES e SURE, adesso è necessario analizzare il Recovery Fund, data l’importanza di effettuare degli investimenti pubblici oculati che permettano una crescita futura del sistema e una sostenibilità del debito pubblico, a fronte del basso tasso d’interesse che dovremo riconoscere in questi anni grazie agli interventi della BCE.

Spesso discusso dai media da quando, lo scorso aprile, il Presidente del Consiglio Conte aveva definito il Recovery Fund come “una parte essenziale nella trattativa con l’UE”, il 27 maggio sono state delineate le basi di questa forma di sostegno economico. La Commissione Europea, con a capo Ursula von der Leyen, ha infatti dato voce ad una proposta da 750 miliardi di euro.

Cos’è il Recovery Fund?

Così come suggerisce il termine stesso, il Recovery Fund è un fondo di recupero per arginare l’impatto devastante del Covid-19, posto a sostegno dei Paesi maggiormente colpiti.

Ancor prima della proposta UE alcuni Paesi, tra cui Francia e Germania, avevano avanzato una prima proposta sul fondo di recupero, prevedendo concessione di denaro a fondo perduto, cioè denaro da non restituire, interessi a parte.

Tuttavia, per i Paesi più solidi dell’UE, tra cui Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, ma anche dalla stessa Commissione, il recovery fund non avrebbe dovuto prendere le sembianze di contributi a fondo perduto ma di finanziamenti. Questo perché, altrimenti, si creerebbe un rischio di “debito perpetuo” europeo.

Infatti, è stato designato come un fondo con il compito di emettere Recovery Bond, con la garanzia del bilancio UE 2021-2027 che proprio per questa occasione aumenterà la propria portata, cioè verranno inserite delle imposte comunitarie come la carbon tax e la web tax per raccogliere maggiori risorse. Si tratta di condividere il rischio guardando il futuro, senza mutualizzare il debito passato.

Com’è finanziato?

Il Recovery Fund riceve i fondi grazie ad una raccolta di liquidità data dall’emissione di Recovery Bond. Una volta ricevute le risorse, queste sono distribuite agli Stati membri. I 750 miliardi di euro saranno suddivisi in 500 miliardi di sovvenzioni e 250 miliardi di finanziamenti, all’Italia dovrebbe spettare il 22,5% di queste risorse poiché è uno dei paesi più colpiti dalla crisi Covid. In termini numerici, all’Italia spetteranno 172 miliardi di euro di cui 90 in prestiti e 82 in sovvenzioni.

Come abbiamo visto la scorsa settimana, MES e SURE sono interventi a breve termine, poiché il loro utilizzo dovrebbe essere quello di potenziare le strutture sanitarie e di erogare i sussidi di disoccupazione per i lavoratori che maggiormente soffrono la crisi. Il Recovery Fund, invece, al contrario di Mes e Sure, guarda più a lungo termine. Infatti, il Recovery Plan che bisogna presentare per ottenere tali fondi deve prevedere un progetto di importanti investimenti in infrastrutture, innovazione e ricerca.

In termini semplici, se l’Italia decidesse di spendere questi fondi in una nuova Quota 100 – ovvero in pensionamenti anticipati – non potrebbe accedervi. Questi fondi devono essere spesi per investimenti che stimolino fortemente la crescita economica, investimenti in infrastrutture, potenziamento del sistema d’istruzione; pensate se ci fossero delle autostrade nuove e senza interruzioni, significherebbe non solo maggiore sicurezza ma anche più facilità e tempi brevi nel trasporto di merci e persone.

Perché è così importate stimolare una costante crescita economica?

Dopo aver esaminato il quadro completo, è possibile addentrarsi in un’analisi più specifica. Da sempre si parla del problema del debito pubblico italiano, come ben sappiamo elevatissimo, con la possibilità di raggiungere quasi il 160% del PIL a seguito di questa crisi. Ma l’importante, secondo gli economisti, non è il livello del debito pubblico sul PIL, quindi il numeratore, ma la sua tendenza, cioè se questo numero tende a diminuire o ad aumentare ancora; da cosa vediamo questa tendenza? Dalla differenza tra il tasso d’interesse pagato sul debito e la crescita del PIL.

Il progetto del Recovery Fund è ancora lontano dall’essere totalmente definito nella sua interezza, ma l’opinione comune dei Paesi è potersi rialzare grazie a strumenti solidi e duraturi in un’ottica di lungo periodo.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting  Finance

Rossana Arcano
Marco Amato

 

Fase 2: arriva IMMUNI, l’app di Contact Tracing Digital per la prevenzione dei contagi

Il 4 Maggio inizierà la seconda fase della strategia elaborata dal Governo per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Il momento in cui usciremo di casa non avverrà però a “nuovi contagi 0”, bensì dovremo imparare a convivere con l’idea che qualsiasi occasionale momento di ritrovo o di condivisione comporti di per sé un rischio. Rischio abbattibile grazie all’uso di mascherine, guanti, il rispetto delle regole di distanziamento sociale e altri/nuovi strumenti.

Tra questi ultimi vi è il Contact Tracing Digitale, ovvero un sistema di tracciamento dei soggetti entrati in contatto con cittadini risultati positivi al Covid-19 e che si basa su una ratio molto semplice: viviamo in un mondo interconnesso in cui tutti hanno uno smartphone.

Nell’ottica di garantire una soluzione che permetta una convergenza da parte dei Paesi UE verso un approccio comune e che minimizzi il trattamento dei dati personali, limitando il rischio di violazioni della privacy e della sicurezza dei cittadini, la Commissione Europea ha dettato dei criteri inderogabili. Deve essere garantito l’anonimato, vietata ogni forma di localizzazione e l’adesione deve avvenire su base volontaria. Criteri che hanno ricevuto l’approvazione e il plauso da parte del Garante della Privacy. L’Ue si è soffermata in particolare sulla tecnologia più idonea per le app di tracciamento, individuata nel Bluetooth. Quest’ultimo deve stimare con sufficiente precisione (circa 1 metro) la vicinanza tra le persone per rendere efficace l’avvertimento se si è venuti in contatto con una persona positiva al Covid-19. Per garantire l’anonimato dell’utenza le app utilizzeranno un codice d’identificazione “anonimo e temporaneo”.

In Europa esiste già un progetto che soddisfa questi criteri e verso cui sia Francia che Germania stanno convergendo: il Pepp-Pt (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) al quale lavorano attualmente un gruppo di 130 scienziati e 32 fra aziende e istituti di ricerca di 8 Paesi diversi.

Un secondo progetto, ancora senza nome, vede interessate congiuntamente Apple e Google.  I due giganti della Silicon Valley, che assieme garantiscono la quasi totalità dei sistemi operativi degli smartphone, garantirebbe un minore sforzo per i governi che dovrebbero unicamente appoggiarsi, con le loro app, alla rete già costruita dalle due aziende americane.

In Italia il Commissario Domenico Arcuri, con l’ordinanza n°10 del 16 Aprile pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ha dato il via libera «alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d’uso sul software di Contact Tracing e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons Spa».

La Bending Spoons ha creato, insieme al Centro Medico Santagostino, alla società di marketing digitale Jakala, a quella di localizzazione GeoUniq e all’avvocato esperto di privacy Giuseppe Vaciago, «Immuni», l’applicazione italiana di tracciamento e contenimento dell’epidemia. La sperimentazione avverrà in alcune regioni pilota per poi essere estesa sull’intero territorio nazionale con l’auspicio di «una massiccia adesione volontaria da parte di tutti i cittadini». Luca Foresti, amministratore delegato del Centro Medico Santagostino, in un’intervista al Corriere della Sera del 17 Aprile ha confermato che l’app «una volta scaricata sul cellulare, permetterà di sapere se nelle settimane precedenti si è entrati a contatto con una persona positiva al Covid-19 e quindi se si è a rischio contagio. Sarà inoltre dotata di un diario clinico che monitora gli eventuali sintomi e permetterà agli utenti di comunicare in modo anonimo se hanno tosse, raffreddore, perdita dell’olfatto e simili».

Filippo Giletto

L’UE preoccupata per la deriva autoritaria di Orbán in Ungheria

Il Parlamento Ungherese ha approvato, con 137 voti favorevoli e 53 contrari, una legge che attribuisce al Primo Ministro Viktor Orbán poteri eccezionali per un tempo indeterminato al fine di fronteggiare la minaccia rappresentata dal Covid-19.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sta monitorando la situazione ungherese poichè si è detta molto preoccupata che queste misure vadano oltre e, in tal caso, l’UE dovrà agire. A seguire ben 14 Paesi – Italia inclusa –  in una lettera firmata hanno sottolineato e ribadito il rischio di una violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali.

Perché?

Una doverosa premessa: anche in altre esperienze europee, compresa quella italiana, è costituzionalmente previsto il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo come metodo per fronteggiare situazioni eccezionali che possono arrecare un pregiudizio allo Stato. A tali poteri – che devono essere proporzionali alla minaccia e temporalmente limitati – devono essere contrapposti gli adeguati strumenti di supervisione da parte dell’organo preposto a rappresentare i cittadini: il Parlamento.

Nel caso dell’Ungheria il discorso è diverso dato che la legge recentemente approvata riconosce in capo al Primo Ministro poteri sostanzialmente illimitati controbilanciati da meccanismi parlamentari di difficilissima attuazione. Il tutto va analizzato tenendo in considerazione come fin dal 2010, anno della sua nomina a Primo Ministro, Viktor Orbán abbia progressivamente attuato un piano di svuotamento di alcuni diritti e libertà fondamentali per rafforzare la propria leadership e la maggioranza del suo partito, Fidesz, all’interno del Parlamento Ungherese.

I leader di 14 partiti nazionali inseriti nel Partito Popolare Europeo hanno chiesto con una lettera a Donald Tusk l’espulsione del Fidesz di Viktor Orbàn dalla più grande politica dell’Ue. Si legge nel testo della lettera:

Il virus non può essere usato come pretesto per estendere indefinitamente lo Stato d’emergenza. Temiamo che il primo ministro Orbàn userà i suoi nuovi poteri per estendere il controllo del governo sulla società civile”.

La prima “vittima” dei nuovi poteri del premier è la comunità LGBT: da ieri le autorità ungheresi non potranno più registrare sui documenti di identità il nuovo gender di qualsiasi persona che si sia sottoposta al cambio di sesso escludendo di fatto tali individui all’accesso a ogni beneficio per le famiglie. Ciò rappresenta una misura discriminatoria in assoluta controtendenza con lo spirito innovatore delle pronunce della CEDU degli ultimi anni e sottolinea maggiormente come, quella del Covid-19, non fosse null’altro che un pretesto per promulgare leggi figlie di una mentalità tutt’altro che attuale.

Si tratta dell’ennesimo smacco nei confronti di Bruxelles da parte di uno dei Paesi che maggiormente ha beneficiato dei finanziamenti provenienti dall’Unione Europea fin dalla sua adesione nel 2004 in concomitanza con quelle di Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Insieme a quest’ultime costituisce, infatti, il cosiddetto Gruppo di Visegrad, divenuto nel corso degli ultimi anni punto di riferimento delle politiche euroscettiche e volutamente ostruzionistiche verso l’UE. Basti ricordare la ferma opposizione nei confronti delle decisioni, risalenti al settembre 2015, concernenti il ricollocamento delle quote dei migranti che al tempo non trovarono seguito e che sono state oggetto della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Ciò che accade in Ungheria deve essere un campanello di allarme poiché costituisce la prima svolta autoritaria all’interno dell’Unione Europea. Sebbene, infatti, l’entrata all’interno dell’Unione sia possibile solamente con il superamento di controlli molto rigidi e il rispetto di precisi criteri di democraticità, trasparenza e libertà, l’incapacità della stessa di prevenire o bloccare sul nascere svolte autoritarie successive. Attualmente il TUE (Trattato sull’Unione Europea) prevede unicamente la sospensione del diritto di voto per quegli Stati che violano in maniera grave e persistente i valori dell’Unione ma per azionare questo meccanismo “sanzionatorio” si rende necessaria l’assenza in seno al Consiglio Europeo del minimo sostegno per lo Stato membro sotto accusa. Cosa, come abbiamo visto, difficile data la vicinanza dei Paesi di Visegrad.

La questione si inserisce tristemente in un contesto politico-comunitario che vede l’incapacità dei paesi europei di elaborare una strategia comune nonostante la gravità del momento che si concretizza in politiche completamente in controtendenza da paese a paese. Non ultima la decisione della Svezia che – contrariamente all’Ungheria – ha rinunciato per ora ad ogni misura di restringimento delle libertà personali e ha deciso di lasciare che i suoi cittadini siano liberi di riprendere le loro attività quotidiane con solamente alcune limitazioni.

Il tutto, dunque, deve fare riflettere sull’endemica debolezza dell’Unione Europa di garantire quei diritti e valori di cui vuole e deve essere garante.

Filippo Giletto

Mario Draghi e la sua lettera all’UE: il debito pubblico è l’unica strada

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità” – Spider Man

Con una lettera inviata al Financial Times l’ex Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi si è espresso sulla via finanziaria che dovrebbe seguire l’Europa, prefigurando le misure economiche che porterebbero all’uscita dal vortice coronavirus che rischia di devastare l’UE e – in particolare – la già fragile economia italiana.

Resa pubblica e gratuita dall’autorevole giornale economico-finanziario del Regno Unito, la lettera descrive l’inevitabilità della recessione che la pandemia mondiale provocherà. Una recessione che, però, secondo l’ex presidente non deve tramutarsi in una depressione prolungata.

Per vincere questa sfida di epocali dimensioni c’è un solo mezzo: l’aumento del debito pubblico.

Situazioni critiche hanno contraddistinto la vita dell’ex Presidente della BCE, che nel 2011 dovette gestire la più grande crisi finanziaria della storia dell’euro. Celebre la frase Whatever it takes, pronunciata in un discorso che passerà alla storia, per tranquillizzare gli investitori sulle misure che sarebbero state adottate dalla BCE per salvare l’euro e garantire la solidità finanziaria dell’Unione Europa.

‘’Tutto ciò che sia necessario’’ fu realmente messo in

atto, con iniezioni di capitale al ritmo di 60 miliardi di euro al mese che metteranno in risalto la figura di Mario Draghi sul panorama internazionale come 2colui che ha salvato l’euro”.La sua parola conta ancora moltissimo, ed ogni volta che la crisi internazionale chiama, “Supermario” risponde. Ed anche questa volta l’ha fatto con l’editoriale pubblicato su FT che – secondo molti – può già essere considerato un Manifesto della politica economica contemporanea. Una ricetta tra “lacrime e sudore”:

La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato — e l’indebitamento necessario per colmare il divario — dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello stato. Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

La soluzione secondo Draghi, è chiara ed inequivocabile: l’indebitamento privato deve essere assorbito dal pubblico tramite debito governativo, ovvero ampliare i bilanci pubblici per proteggere i cittadini da uno shock economico irreversibile.

Draghi non si limita a spiegare cosa deve essere fatto, ma indica anche lo strumento imprescindibile per raggiungere lo scopo:

L’unica strada efficace per raggiungere ogni piega dell’economia è quella di mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario…immediatamente, evitando le lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, raggiungono ogni angolo del sistema economico e sono in grado di creare denaro all’istante devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo esse si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sotto forma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi

Ricorrere quindi al settore finanziario per proteggere la capacità produttiva dei paesi, sfruttare i mercati obbligazionari per finanziare le imprese. Le banche dovrebbero prestare fondi a tasso zero alle imprese, per impedire che si perdano posti di lavoro e chiaramente tutto questo è possibile, soltanto con garanzie fornite dallo Stato. Questo significa: abbandonare l’obiettivo del deficitdifferenza tra entrate e uscite fiscali di uno stato, che in caso di valore negativo dà origine ad un disavanzo pubblico da finanziare con l’emissione di un nuovo debito pubblico –  pari al 2%, ma accettare valori pari all’8% o addirittura il 10% del Pil. Percentuali eccezionali, per una situazione eccezionale.

Un uomo che sembra nato per gestire le crisi, quelle economiche così come quelle umane.

La sua filosofia resta la stessa del 1962 – anno che cambiò la sua vita a causa della morte di suo padre: “Ricordo che a sedici anni, dopo una vacanza al mare con un amico, lui tornò a casa e poteva fare quello che voleva, io invece trovai ad aspettarmi un cumulo di corrispondenza da sbrigare e di bollette da pagare. Ma i giovani non pensano a quello che gli succede e a come reagirvi. Reagiscono e basta. È molto importante, salva dalla depressione anche in situazioni difficili”, dichiarava in un’intervista del 2015 a Repubblica.

Toccare il fondo ma reagire, dunque. Come ne usciremo, è presto ancora per dirlo. Niente e nessuno, però, può impedirci di sperare che a condurre il periodo post Covid-19 ci sia lui, Supermario Draghi.

Marco Bavastrelli

 

Sospensione del Patto di Stabilità: decisione storica per l’UE

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E’ di ieri la notizia storica della sospensione del patto di stabilità. Il via libera dato dall’UE, viene ufficializzato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der  Leyer attraverso il suo profilo Twitter.

I governi potranno così pompare nell’economia tutta la liquidità di cui hanno bisogno per fronteggiare la crisi legata al coronavirus.

Per capirci meglio, il patto di stabilità è un accordo internazionale, stipulato e sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell’Unione europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Eurozona) ovvero rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht. (Wikipedia)

Dunque una data storica per l’Europa, che si ritrova a fronteggiare una pandemia che di giorno in giorno miete sempre più vittime, stabilendo il triste primato di oltre la metà dei contagi nel mondo solo nel “vecchio continente”. Ragion per cui, l’emergenza sanitaria – che ricordiamo sta portando al collasso tutti gli ospedali del nostro paese e non solo – ha inevitabilmente delle ripercussioni anche in ambito economico.

“Abbiamo promesso che faremo di tutto per sostenere gli europei e le imprese europee per fronteggiare la crisi – ha spiegato von der Leyen – ieri abbiamo messo in atto le regole sugli aiuti di Stato più flessibili di sempre per aiutare le persone e le aziende. Oggi attiviamo la clausola per allentare le regole di bilancio, consentendo ai governi di pompare euro nell’economia. Il blocco della nostra vita pubblica è necessario per contenere il virus, ma rallenta pesantemente la nostra economia”, ha poi aggiunto la tedesca.

 

Risultato immagini per corona bond

 

Quest’ultima non esclude la possibilità di emettere dei coronabond, ossia delle obbligazioni emesse dai singoli Stati nazionali ma garantite da tutti i paesi dell’Unione Europea, allo scopo di finanziare le spese legate al contenimento del virus sia in campo sanitario sia per far fronte alle ricadute economiche delle misure di contenimento. In pratica, significherebbe emettere almeno 500 miliardi di titoli garantiti dalla Bei, la Banca Europea per gli Investimenti, o da altre istituzioni ad hoc (ma non la Bce), allo scopo appunto di combattere il virus nei Paesi più colpiti (in primis l’Italia), e in quelli che lo saranno nelle prossime settimane, soprattutto Francia e Germania, investendo in strutture sanitarie, nuovi ospedali, miglioramento di quelli esistenti, reparti di terapia intensiva, assunzioni di medici e infermieri. (QuiFinanza)

 

Risultato immagini per gentiloni e sassoli

L’attuale Commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, asserisce che la possibilità di attivare l’”escape clause” del Patto di Stabilità potrebbe non bastare, con molte resistenze specie tra i Paesi nordici, che rifuggono da qualsiasi mutualizzazione (aiuto reciproco) per il debito. Non a caso viene usata più spesso la formula “coronabond”, dato che parlare di “Eurobond” ad alcuni Paesi equivale a sventolare il drappo rosso davanti a un toro. Il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli  ha detto esplicitamente che l’opzione Mes è tra le possibilità sul tavolo. Si vedrà se le ultime resistenze cadranno.

Non si è fatto attendere il commento del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che sintetizza:

Con una emergenza di questa portata l’Italia ha la necessità di spendere tutto il denaro necessario per poter garantire la tutela dei propri cittadini. […] (La sospensione del Patto di stabilità) ci permetterà di fare tutti gli interventi necessari per sostenere la nostra sanità, le nostre aziende, le nostre famiglie. Siamo in una fase di emergenza e per uscirne abbiamo bisogno di strumenti straordinari.
Dobbiamo far ripartire l’Italia.

Santoro Mangeruca

Scandalo UE, i dipendenti dell’EASO si ribellano

L’Easo (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), l’agenzia UE che si occupa dei rifugiati, sta attraversando giorni agitati a causa delle pesanti accuse che gli sono state mosse dai suoi stessi dipendenti.
Accuse tra cui violenza psicologica, irresponsabilità e molestie.
Tutto ciò è stato riportato dal sito Politico che ha anche annunciato l’inizio di un’indagine interna sulle condizioni dei dipendenti da parte dell’Ufficio anti-frode della Commissione UE, l’Olaf.
Il primo a denunciare è stato il capo delle risorse umane dell’Easo, il francese Emmanuel Maurage, dimessosi subito dopo dal suo incarico, che ha parlato di vera e propria violenza psicologica sui dipendenti, di sistema ricattatorio nei confronti dei lavoratori e di spionaggio interno; anche il responsabile degli appalti Bjarni Nash ha successivamente dichiarato di esser stato lui stesso oggetto di violenze che lo hanno portato ad un isolamento professionale.
Il direttore dell’Easo ha negato ogni coinvolgimento e resta ancora da accertare se sia tutto vero; restano però pesanti accuse che hanno infangato il nome di un’agenzia da sempre conosciuta per essere d’aiuto ai rifugiati nelle situazioni d’emergenza.

Benedetta Sisinni

Gaetano Martino: missione europeista di un siciliano

Gaetano Martino in una foto del 1954

Questo articolo della rubrica “Personaggi” lo dedicheremo a colui che rappresenta uno dei tasselli più importanti della storia di Messina, dell’Italia e dell’Italia all’estero: Gaetano Martino. 

Il nome non vi sarà sicuramente nuovo, e scommetto che la prima cosa a cui lo collegate è proprio il Policlinico Universitario G. Martino. Mentre qualcuno che si interessa di politica, vivendo con enfasi quella dello Stretto, potrebbe invece collegarlo ad Alberta Stagno D’Alcontres e Antonio Martino, suoi genitori: a suo padre, sindaco di Messina prima e dopo il terremoto del 1908, si deve la rimessa in piedi della città. È proprio dal padre che Gaetano eredita la vena politica che lo porterà a ricoprire cariche importanti. Tuttavia, prima di addentrarci negli affari pubblici, voglio parlare della sua carriera da fisiologo e del suo importante contributo alla medicina. 

Laureatosi in medicina all’Università di Roma, nella quale ricoprirà le cariche di professore alla cattedra di Fisiologia umana e di Magnifico Rettore, Martino si dedica alla ricerca scientifica tra Berlino e Parigi, e allAteneo peloritano, sarà professore di Fisiologia umana e Chimica biologica, e Rettore per ben 13 anni. Sulle orme del maestro Amantea, viene considerato il maggiore fisiologo al mondo, grazie anche al suo “Trattato di fisiologia umana”. Subito dopo la pubblicazione di quest’ultimo, ha inizio l’intensa e proficua attività politica del Martino che, nelle file del Partito Liberale Italiano, viene eletto Deputato e poi Presidente alla camera. Il primo passo mosso in politica, e prima della nomina a Presidente del partito Liberale, è da percepire nella gestione del dibattito, da lui tenuta, per l’annessione dell’Italia al Patto Atlantico.

Nel ’54 e per appena sette mesi, sarà Ministro della pubblica istruzione e precursore di importanti provvedimenti legislativi quali la nota “Legge Martino-Romita”. A questo periodo risale anche la carica a Ministro degli Esteri: In meno di due anni, Martino riuscì a liberare l’Italia dal pesante carico ereditario del Fascimo, guidando la delegazione italiana alla firma dei Trattati di Roma, riuscendo a far riannettere Trieste all’Italia e facendo ammettere quest’ultima all’ONU. Il nome di Gaetano Martino sarà infatti ricordato per il primo discorso di un ministro italiano all’Assemblea ONU, e per il suo farsi precursore dell’integrazione economico-politica dell’Europa. Dopo il fallimentare tentativo di istituzione della Comunità Europea di Difesa ( C.E.D) nasce per mano sua la Unione Europea Occidentale ( U.E.O), sicuramente meno compiuta e perfetta della precedente, ma rappresentante la prima tappa di una nuova politica europeistica. Martino aveva compreso, infatti, che l’unità politica si sarebbe raggiunta tramite una manovra fortemente economica, ed al fine di inculcare la sua idea agli altri cinque paesi, indisse la  Conferenza di Messina, tenutasi a Messina nel ’55, al fine di impartire forte segnale di ripresa dell’integrazione, soprattutto economica, riuscendo ad ottenere l’assenso di massima al suo piano.

Dalla Conferenza di Messina, la missione europeista di Martino è proseguita con slancio ed impegni crescenti, anche nelle vesti di Presidente del Parlamento Europeo, Capo della delegazione parlamentare e di Presidente Generale del Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori.

Rimarrà impegnato in politica fino alla morte, datata il 21 Luglio 1967. 

Oggi, nei pressi del Municipio di Messina, è a lui dedicata una statua.

Erika Santoddì

Image credits:

By Unknown – Italian magazine Epoca, N. 214, year V, page 73, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49869541