Governo Draghi, si all’invio di armi in Ucraina e aumento fondi alla difesa ma la maggioranza si spacca

Per quanto sia unanime il riconoscimento all’Ucraina dello status di vittima della politica espansionistica regionale di Mosca, negli ultimi giorni l’opinione pubblica italiana e la maggioranza di governo sono stati attraversati da numerosi dubbi circa il ruolo che il nostro paese deve svolgere nel conflitto. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua infatti a sollecitare i paesi occidentali chiedendo l’invio di armi, mezzi e strumenti per far fronte all’esercito russo rimproverando a questi ultimi di non avere ancora fatto abbastanza.

Zelensky in collegamento con il Parlamento, fonte: meteoweb.eu

L’appello in realtà è stato prontamente raccolto dal Presidente del Consiglio Mario Draghi che, nel discorso effettuato successivamente al collegamento di Zelensky con il Parlamento riunito in seduta comune, si è dichiarato pronto ad aiutare il popolo ucraino con l’invio di ulteriori aiuti militari. La maggioranza parlamentare a sostegno dell’esecutivo si è però dimostrata divisa sulla strategia e gli obiettivi prefissati: specialmente sull’aumento della spesa militare.

 

L’invio di armi italiane a sostegno degli ucraini

I principali dubbi sull’accoglimento dell’appello di Zelensky ricadono sulle implicazioni etiche derivanti dall’invio o meno di armamenti. L’esecutivo però si è dimostrato sin da subito favorevole e questo perché la guerra in Ucraina è stata riconosciuta essere innanzitutto uno scontro ideologico. Ad essere contrapposti non sono solo Russia e Ucraina, ma anche quei valori conquistati dall’occidente europeo nel secondo dopoguerra e gli interessi di pochi oligarchi ad est.

Rimanere impassibili, o almeno limitarsi all’accoglienza delle centinaia di migliaia di profughi provenienti dall’Ucraina, senza dare un concreto supporto significherebbe tradire la nostra identità. Questa almeno è la narrazione condivisa dai principali leader europei ed occidentali e ribadita anche da Mario Draghi mercoledì scorso durante un intervento alla Camera. Incalzato sulla questione, alla domanda se con l’invio di armi l’Italia contribuisse alla carneficina che si sta perpetrando in Ucraina ha risposto: “La carneficina non distingue le divise ma distingue i bambini. È un terreno molto scivoloso. Perché se noi sviluppiamo le conseguenze di questo ragionamento, dovremmo dire di non aiutare i Paesi che vengono attaccati. Dovremmo sostanzialmente accettare di difendere il Paese aggressore non intervenendo. Dovremmo lasciare che gli ucraini perdano il loro Paese e accettino la schiavitù”.

 

L’aumento del budget per la difesa

Un altro tema caldo sull’agenda del governo è quello dell’aumento del budget della difesa. Attualmente a tale voce l’Italia destina circa 27 miliardi di euro l’anno ma l’esecutivo vuole aumentare tale cifra a 37 miliardi, circa il 2% del Pil. L’ordine del giorno, con cui il governo di impegnava al raggiungimento di tale obiettivo, ha raccolto il favore di una larghissima maggioranza (391 voti favorevoli e 19 contrari) ma col susseguirsi dei giorni sempre più malumori e dubbi sono stati sollevati dalle compagini parlamentari. Dal centrodestra solamente Fratelli d’Italia è rimasta favorevole all’iniziativa mentre la Lega sembra essersi accodata agli scettici facendo sapere, per voce del suo leader Matteo Salvini, che “le armi non sono mai la soluzione”. Anche il Partito Democratico spera nella possibilità di una nuova riflessione sull’argomento prima della nuova votazione, attesa in Senato per questa settimana. Chi si è dichiarato invece contrario a qualsiasi aumento è Giuseppe Conte. L’ex premier ha detto che il MoVimento 5 Stelle non potrebbe mai “assecondare un voto che individuasse come prioritario l’incremento delle spese militari a carico del nostro bilancio nazionale”. “…in un momento come quello attuale di caro-bollette, dopo due anni di pandemia, e con la recessione che si farà sentire sulla pelle di famiglie e imprese, non si capisce per quale motivo le priorità debbano essere le spese militari”. L’obiettivo però sembra essere in cima alle priorità dell’esecutivo che, stando alle fonti di Palazzo Chigi, qualora non riuscisse a ottenere la disponibilità dei partiti sarebbe pronto a porre la questione di fiducia  e ad aprire un eventuale crisi.

 

Quartiere residenziale di Mariupol raso al suolo, fonte: tgcom24

Ucraina, crisi umanitaria e nuovi incontri con la Russia

Mentre in Italia e negli altri paesi si discute sugli aiuti da fornire, a Kiev la guerra prosegue. Le forze di Putin non sembrano più intenzionate ad avanzare, rimanendo stanziate nelle zone già occupate, ma i bombardamenti continuano. Obiettivo principale dei russi a questo punto è il controllo nell’area della regione del Donbass con la città di Mariupol assediata ormai da diversi giorni. Il proseguirsi dei bombardamenti rende impossibile l’apertura di alcun corridoio umanitario in sicurezza e Zelensky stesso ha definito quanto sta succedendo nella città una catastrofe umanitaria.

“L’Ucraina non può abbattere i missili russi con fucili e mitra. È impossibile salvare Mariupol senza altri carri armati e aerei”

Ma anche in altri luoghi del paese i bombardamenti non si sono arrestati. Stando alla Difesa ucraina nelle ultime 24 ore la regione di Kiev è stata bombardata quasi quaranta volte mentre quella di Kharkiv circa duecento. Gli scontri dunque proseguono ma anche la macchina diplomatica non si è mai arrestata: domani e dopodomani i rappresentanti di Russia e Ucraina sono attesi a Istanbul per un nuovo round di incontri. Il Presidente Zelensky ha fatto sapere che l’Ucraina, al fine di ottenere la pace, è pronta ad accettare lo status di paese neutrale, rinunciando di fatto alla possibilità di entrare nella Nato, ed un accordo sul Donbass in cambio delle garanzie di sicurezza e l’integrità territoriale.

 

Filippo Giletto

Il dramma delle donne transgender: bloccate al confine ucraino in quanto “uomini”

Centinaia di donne transgender ucraine stanno tentando da giorni a mettersi in fuga dal conflitto.  A bloccarle è la presenza nei loro passaporti del genere maschile di nascita.

Ucraina: centinaia di transgender in fuga -Fonte:tgcom24.mediaset.it

La questione del riconoscimento del genere e dell’omosessualità risulta essere ancora un tabù e si configura come “una guerra nella guerra”. La mancanza di legittima identificazione comporta l’impossibilità per queste donne di attraversare il confine. Ciò accade in quanto, le regoli attuali in Ucraina, vietano ai residenti uomini dai 18 ai 60 anni di abbandonare il Paese poiché obbligati a imbracciare le armi e difendere la patria.

La legge marziale Ucraina: cosa prevede

Già introdotta nel 2018 durante le tensioni con la Russia nello stretto di Kerch, la legge marziale è stata nuovamente promanata dal Presidente Zelensky.

Dopo l’invasione su vasta scala è stata introdotta in tutto il Paese un sistema di governo straordinario. Si tratta di un ordinamento giuridico separato che cambia da Nazione a Nazione e che sostituisce quello normalmente vigente. Può entrare in vigore quando uno Stato si trova in guerra, oppure per eccezionali esigenze di ordine pubblico e anche dopo un golpe militare.

Ucraina: legge marziale -Fonte:adnkronos.com

Le norme riducono generalmente alcuni dei diritti normalmente garantiti ai cittadini e in linea generale viene limitata la durata dei processi, prescrivendo sanzioni più severe rispetto alla legge ordinaria.

Ad incidere notevolmente c’è la sospensione di alcune leggi ordinarie e il controllo della normale amministrazione della giustizia che passa ai tribunali militari. Tra la compressione ulteriore delle libertà dei cittadini è altresì introdotto il divieto di riunioni politiche e uno stringente coprifuoco.

Secondo quanto riportato dall’attivista dei diritti umani e Presidente dell’organizzazione Lgbt+ Ucraina “Insight”, Olena Shevchenko

“La legge marziale dice che tutti i maschi sono obbligati a prestare servizio militare, quindi non possono lasciare il Paese. Tecnicamente, la legge si applica anche alle persone trans, inclusi uomini trans certificati e donne trans che non hanno cambiato i loro genere sui documenti. Ma sembra che le guardie di frontiera ucraine stiano impedendo anche alle persone trans con un certificato valido che riflette il loro nuovo genere di lasciare l’Ucraina, e nessuno sa perché.”

In Ucraina cambiare il genere e il nome sul passaporto richiede un lungo processo che induce molte persone a non portarlo a termine data la capziosa burocrazia e le molteplici valutazioni psichiatriche. Ciò che viene in rilievo da una delle principali associazioni di beneficenza transgender è che chiunque abbia scritto “maschio” sul passaporto rischia di essere respinto dal confine. Si stima che ci siano centinaia di donne trans che tentano di fuggire, ma che il 90% di quelle con cui è in contatto ha finora fallito, finendo per contrassegnare un ulteriore esempio di transfobia legale.

Le difficoltà di legittimazione

La forte emarginazione e discriminazione della comunità Lgbt+ ha origini ben anteriori alla situazione bellica attuale. Prima del 2017 infatti i membri della comunità trans dovevano sottoporsi per diverso tempo alla supervisione di un istituto psichiatrico, che potesse far attivare il processo di transizione. Sebbene oggi questa procedura sia stata snellita, non sono state istituite leggi antidiscriminatorie a tutela della comunità.

Donne transgender respinte al confine -Fonte:luce.lanazione.it

Lo si vede anche dalla posizione che occupa l’Ucraina nella classifica per il “trattamento complessivo delle persone Lgbtq+”. Secondo la International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex Association sarebbe al 39° posto su 49 Paesi europei. Ciò viene ad essere riconfermato dall’impossibilità dei matrimoni gay, seguendo la scia della Chiesa cristiano-ortodossa che considera l’omosessualità un peccato.

I racconti di Judis e Alice

Donne transgender “Ci spediscono a combattere” -Fonte:liberatv.ch

La vicenda raccontata al “The Guardian” mette in mostra il pericolo rappresentato dalle politiche transfobiche della Russia e la negazione del passaggio in Paesi più sicuri.

La storia di Judis tratta di una donna transgender il cui certificato di nascita la definisce femmina, ma che alle 4 del mattino del 12 marzo, dopo una lunga ricerca, le è stato negato dalle guardie della frontiera di arrivare in Polonia, stabilendo altresì che fosse un uomo. La donna ha così raccontato

“Le guardie di frontiera ucraine ti spogliano e ti toccano ovunque… Puoi vedere sui loro volti che si stanno chiedendo ‘cosa sei?’ come se fossi una specie di animale o qualcosa del genere.”

Esperienza simile è stata vissuta anche da Alice, donna trans di Brovary e da sua moglie Helen, non binaria.

“Ci hanno portato in un edificio vicino al valico di frontiera. C’erano tre agenti nella stanza. Ci hanno detto di toglierci le giacche. Ci hanno controllato le mani, le braccia, il collo per vedere se avevo un pomo d’Adamo. Mi hanno toccato il seno. Dopo averci esaminato, le guardie di frontiera ci hanno detto che eravamo uomini. Abbiamo cercato di spiegare la nostra situazione, ma a loro non importava.”

Un problema non solo ucraino

Il dramma provato dalla comunità riguarda anche i Paesi di arrivo, infatti, secondo le ultime stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) gli ucraini giunti in Polonia dall’inizio dell’invasione russa, lo scorso 24 febbraio, sono già due milioni.

Ecco che al fine di proteggere le persone transgender da potenziali discriminazioni, numerose organizzazioni si sono attivate per aiutare i rifugiati. L’attivista della “Warsaw Pride” in Polonia, Julia Maciocha ha dichiarato ai microfoni dell’organizzazione indipendente e no-profit “National Public Radio (NPR)”

“Non vogliamo che vengano tenuti in campi profughi o in grandi edifici o luoghi enormi dove non sono al sicuro perché ovviamente l’omofobia esiste ancora in Polonia. Vogliamo assicurarci che vengano collocati con persone che capiscano i loro bisogni.”

Si comprende come probabilmente molti di questi lasceranno presto la Polonia, spostandosi nell’Europa occidentale, dove le “leggi sono più amichevoli”.

Julia Maciocha -Fonte:transnational-queer-underground.net

La possibile soluzione

Trans in fuga dall’Ucraina -Fonte:ilsussidiario.net

Le centinaia di segnalazioni ricevute inducono le associazioni Lgbtq di Kiev a proporre un’unica soluzione. Al fine di “tutelare”, seppur marginalmente la delicata questione, invitano le donne trans ad andare dal proprio medico e poi, con il certificato, recarsi all’ufficio militare per essere eliminate dalla lista per l’arruolamento.  

Ciò di certo non minimizza la difficoltà di doverlo spiegare a chi è riuscita a raggiungere il confine portando con sé documenti ufficiali, schivando colpi di mortaio ed esplosioni.

Giovanna Sgarlata

Russia-Ucraina: la situazione dopo quasi un mese dall’inizio del conflitto

Nella notte tra il 23 ed il 24 Febbraio le forze russe hanno invaso il territorio Ucraino. Un mese di attacchi aerei, bombardamenti e cruenti battaglie che non accennano a placarsi. Continuano ad essere insufficienti gli sforzi da parte di Zelensky (che di recente ha parlato in video-collegamento con Palazzo Chigi) per risolvere per via diplomatica lo scontro. La guerra, inoltre, sta mettendo in dura crisi l’Occidente sia per ciò che concerne l’economia ma anche (e soprattutto) l’equilibrio politico internazionale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno sin da subito condannato l’operato di Putin ma, se da una parte, uno dei personaggi politici europei rilevanti come il Presidente francese Macron continua a cercare un punto d’incontro con Mosca attraverso dei colloqui diretti ad evitare ulteriori danni, d’altra parte il Presidente statunitense Joe Biden continua a rilasciare dichiarazioni e critiche molto dure nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin.

L’accusa di Biden

«Putin valuta l’uso di armi chimiche e biologiche»

Queste le parole del Presidente degli Stati Uniti dopo aver aggiunto che in questo momento la Russia si troverebbe «con le spalle al muro». Mosca ha subito smentito queste affermazioni e tramite un comunicato del Ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore statunitense John Sullivan. La tensione tra le due parti sembra crescere. Peraltro, il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov, di recente intervistato alla CNN, alla domanda su un possibile attacco nucleare da parte della Russia ha risposto:

«Solo in caso di minaccia all’esistenza della Russia stessa»

Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Fonte: ansa.it

Nel suo lungo intervento – documentato dalla giornalista Christiane Amanpour – si è potuto capire quanto l’attacco russo sia stato organizzato nei minimi dettagli. Queste le parole di Peskov:

«L’operazione procede secondo i piani»

Per quel che riguarda la durata ha aggiunto:

«Nessuno pensava che un’operazione militare speciale in Ucraina avrebbe richiesto un paio di giorni»

Tali dichiarazioni, così chiare e dirette, lasciano trasparire un’inquietante sicurezza da parte del governo di Vladimir Putin.

Il numero dei soldati russi caduti durante la guerra

Apparsi e poi spariti dopo pochi minuti, il dato che chiariva il numero dei soldati russi deceduti sul campo di battaglia era stato pubblicato su un tabloid pro-Putin. 9861 sembrerebbero essere i morti e 16153 i feriti. Il giornale, dopo aver cancellato la notizia, ha parlato di attacco hacker. Ingenti le perdite per Mosca, che secondo alcune fonti sarebbe sull’orlo di una crisi sanitaria, con la maggior parte dei posti letto occupati dai feriti di guerra. In alcuni ospedali sono stati sospesi i servizi medici essenziali per la popolazione.

Immagine dal campo di battaglia. Fonte: lanotiziagiornale.it

Problemi al fronte per i soldati russi

«Tutti abbiamo visto i soldati russi che saccheggiavano i supermercati»

Il portavoce del Pentagono John Kirby descrive così la condizione dei militari russi al fronte. Nelle ultime ore, infatti, si parla di come le «forze di Kiev stiano riguadagnando terreno» e probabilmente ciò è dovuto alle numerose difficoltà logistiche che sta affrontando l’esercito di Mosca, tra cui appunto la reperibilità del cibo.

Mariupol: la distruzione della città

L’elevato numero di combattenti russi deceduti testimonia quanto la voglia di arrendersi da parte dell’Ucraina sia veramente poca, ma soprattutto fa prendere atto di come, in situazioni come questa, sia difficile trovare un vinto o un vincitore ma solamente distruzione e morte su entrambi i fronti. Basti pensare alla città di Mariupol, continuamente presa di mira dall’esercito russo che ha iniziato a bombardarla quasi ininterrottamente. Un comune che – secondo i dati – prima dell’attacco contava ben 480.000 abitanti, adesso – secondo la BBC – vede il numero di persone scendere a circa 300.000. Le condizioni di vita dei cittadini rimasti sono disperate, privati dei beni di prima necessità, costretti a vivere senza acqua corrente né riscaldamento. Mettendo a confronto le immagini risalenti a più di un mese fa – prima dell’inizio del conflitto armato – con quelle attuali si fatica a trovare somiglianze. Il sindaco Vadym Boychenko ha affermato che ormai ben l’80% degli edifici della città sarebbe andato distrutto. In seguito, ha definito la sua città come una «nuova Hiroshima», ennesimo paragone con scenari bellici che credevamo ormai essere di esclusiva pertinenza storica e che invece, purtroppo, non sembrano più lontani nel tempo, bensì quanto mai attuali.

Immagini dal satellite: Mariupol prima e dopo i bombardamenti. Fonte: fanpage.it

Francesco Pullella

 

Zelensky in video-collegamento con Palazzo Chigi, ma non tutti sono presenti

Ospitato nelle scorse settimane, tramite collegamento video, al Parlamento Europeo, a Berlino, Londra, Washington, Ottawa e Gerusalemme, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky è atteso oggi a Palazzo Chigi. Un viaggio virtuale per il mondo, iniziato il 1° marzo, per chiedere aiuti per il suo Paese, dilaniato dal conflitto con la Russia.

 

Zelensky in collegamento con il Parlamento tedesco qualche giorno fa (fonte: evenpolitics.com)

Le polemiche e gli assenti

L’incontro con il Parlamento italiano è stato preceduto dalla polemica. Alcuni parlamentari, nelle scorse ore, avevano annunciato la loro assenza al Parlamento stamattina, in segno di protesta contro il premier Draghi, accusandolo di non essersi confrontato con il governo prima di prendere la decisione di accettare l’incontro:

«Il Parlamento è stato zittito da Draghi. – ha detto il senatore Crucioli – È inaccettabile che non sia previsto un dibattito o una interlocuzione tra i parlamentari, per prendere una risoluzione con voto rispetto a quello che il presidente Zelensky ci dirà. Parlerà solo il presidente del consiglio Draghi nella casa del Parlamento italiano e solo lui potrà tirare le somme ed esprimere la posizione del Paese, senza nessun dibattito democratico.».

Mattia Crucioli, ora nel gruppo di Alternativa, sostiene che, accettare di ascoltare le richieste che Zelensky da tempo fa al mondo, ancora una volta e in questa modalità, equivalga a schierarsi a favore delle scelte, in termini di guerra, dell’Ucraina e dunque contro la Russia, abbandonando una netta neutralità, almeno a livello teorico.

«Noi siamo contro l’invio delle armi, che, oltre ad essere contrario al nostro ordinamento, butta solamente benzina sul fuoco. E oltre alle questioni etiche, la nostra neutralità avrebbe evitato il rischio di una escalation militare e avrebbe permesso alla diplomazia, anche italiana, di fare la sua parte nel velocizzare le trattative per la pace.».

Ricevere il presidente significa, così, secondo alcuni, assecondare la sua linea d’azione, non vista di buon occhio, per le incessanti richieste di intervento nella dinamica della guerra rivolte al resto del mondo, come, ad esempio, con l’istituzione della no fly zone o l’invio di truppe. Se accontentato decreterebbe lo scoppio di una terza guerra mondiale.

L’incontro in agenda è visto, a detta di alcuni, come un “evento mediatico” svilente per il Parlamento, “un comizio tra il presidente Zelensky e Draghi, senza possibilità di interazione alcuna.”

Oltre il gruppo Alternativa, la pensano così, e avevano già dichiarato di aderire all’“ammutinamento” di stamane, il leghista Simone Pillon, Enrica Segneri del M5S, Emanuele Dessì, passato al PD e reduce da una trasferta in Bielorussia, e Gianluigi Paragone, leader di Italexit. Preannunciate anche due assenze tra le file di Forza Italia, quelle di altri parlamentari prima eletti con il Movimento 5 Stelle: Veronica Giannone e di Matteo Dall’Osso.

Quest’ultimo aveva pronunciato parole scottanti: “Sono orientato a non esserci, si dà visibilità solo a una parte. Anche Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene”.

Ospitare Zelensky e non ascoltare quello che magari avrebbe da dire Putin, qualora gli venisse fatto e accettasse un invito, sarebbe una via più democratica, a quanto sembra, ascoltando le dichiarazioni di alcuni politici italiani.

Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, si è espresso duramente sulla questione, dimostrando anche lui malcontento: l’Italia non dovrebbe affatto inviare armi, di cui il più recente convoglio è partito proprio stamattina dall’aeroporto civile di Pisa, tra altre critiche, per essere stato inserito sotto la dicitura di “aiuti umanitari”. Attenersi strettamente aun ruolo super partes”, promuovendo l’azione della diplomazia e la ricerca della pace immediata, per il presidente è l’unica cosa da fare.

 

Il “tour” per il mondo del presidente ucraino sta abbassando il sentiment nei suoi confronti?

Tutto ciò avviene all’indomani di una drastica svolta al Parlamento Ucraino: dopo la sospensione di 11 partiti e forze parlamentari, che non erano allineati al nazionalismo più oltranzista.

La stretta politica ha dato forza ai sospetti di chi già non apprezzava la linea di difesa di Zelensky, non disposto a ottenere la pace a tutti i costi, non fin quando questa prevedrà la cessione di anche solo una parte dei territori ucraini alla Russia, come proposto da quest’ultima in occasione degli scontri a Mariupol.

Negli scorsi giorni, inoltre, il presidente Ucraino, in collegamento con Gerusalemme, durante il suo intervento ha usato espressioni shock, che hanno scandalizzato molti, soprattutto il presidente israeliano. Ha paragonato quanto sta succedendo in Ucraina alla soluzione finale usata dalla Germania nazista contro il popolo ebreo.

«La nostra gente ora vaga per il mondo. Questa guerra totale vuole distruggere la nostra terra, la nostra cultura, i nostri figli» ha sbraitato Zelensky.

Queste parole non hanno suscitato sentimento positivo, anzi hanno scatenato critiche e proteste a Gerusalemme e Tel Aviv. Il presidente israeliano Naftali Bennett ha, infatti, dichiarato:

«Non credo che l’Olocausto dovrebbe essere paragonato a nessun altro evento. È stato un evento unico nella storia umana, con uno sterminio di un popolo metodico e su scala industriale in camere a gas. Un evento senza precedenti».

Zelensky, alla dura risposta ricevuta, ha controbattuto, dicendo che l’Ucraina scelse di salvare gli ebrei 80 anni fa. “Ora è tempo che Israele faccia la sua scelta“, ha proseguito. Bennett, però, non ci sta a paragonare Putin a Hitler, la guerra in Ucraina alla Shoa, anzi, ha ritenuto il paragone particolarmente oltraggioso.

Il presidente israeliano Bennett non ammette paragoni tra Ucraina e Shoa (fonte: lastampa.it)

Nonostante questo, Zelensky non si arrende, continuando a lottare per la sua causa. La pace a tutti i costi, per ora, non è una scelta contemplata, anche se è stata, nelle ultime ore, avanzata l’ipotesi di indire un referendum tramite il quale avere un riscontro dalla popolazione ucraina sulla linea adottata dal suo governo e quella da adottare in futuro.

 

Rita Bonaccurso

Putin appare in pubblico per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea

Nel mezzo del conflitto in Ucraina, in Russia si festeggia l’anniversario dell’annessione della Crimea nel 2014. L’evento, svoltosi ieri 18 marzo, ha subito attirato l’attenzione di tutto il mondo, perché connotato da un forte significato simbolico e per l’improvvisa e strana scomparsa di Vladimir Putin dal palco dal quale ha parlato alla folla. Il presidente russo ha infatti deciso di presenziare all’evento e per questo ha suscitato molto stupore. Dallo scoppio della guerra, quasi non vi sono state affatto apparizioni in pubblico, a parte rarissime eccezioni.

Putin allo stadio per parlare alla gente (fonte: stampa-tuttigiorni.com)

L’evento per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea

Mosca, Stadio Luzhniki, 90mila spettatori e il presidente Putin al centro della scena, sul palco su cui poi si sono esibiti musicisti e cantanti per le celebrazioni. Intorno una folla esultante, in ovazione sugli spalti per le parole pronunciate. Numerosissime le bandiere dei nazionalisti sventolate. Nel frattempo, circa 100mila persone all’esterno, almeno secondo quanto raccontato dai media russi.

Una festa dalle sfumature patriottiche per l’importante ricorrenza: l’ottavo anno dalla data di annessione dei territori della Crimea alla Russia.

Queste, immagini completamente diverse da quelle viste nelle scorse settimane, per le strade delle città russe, dove sfilavano in pacifici cortei migliaia di cittadini contrari alla guerra in Ucraina, contrari alle scelte del loro presidente, repressi dalla polizia, e tra questi molti arrestati.

 

Il discorso di Putin: la lode alla Crimea e all’eroismo dei soldati russi

In mezzo allo stadio pieno, un Putin in un giaccone blu da più di un milione di rubli, circa di 13mila euro, di marca italiana. Per tutto lo stadio moltissimi slogan sugli striscioni: “Per un mondo senza nazismo!”, “Per il presidente!“, “Per la Russia!“. Moltissime “Z” sui vestiti di presentatori, musicisti e partecipanti all’evento, perché ormai simbolo importante, già visto sulle divise dei soldati e sulla carrozzeria dei mezzi militari russi, impegnati in Ucraina. Secondo quanto riferito dal ministero della Difesa russo, il segno starebbe per “Za pobedu“, cioè “Per la vittoria”. Inoltre le Z sono state realizzate con un nastrino, uguale a quello indossato ogni 9 maggio, il giorno di San Giorgio, giorno in cui ricorre anche l’anniversario della vittoria della Russia sulla Germania nazista, durante la Seconda guerra mondiale.

Gli slogan a favore della guerra (fonte: notizie.virgilio.it)

Il presidente ha pronunciato un discorso tutt’altro che conciliante: dalla celebrazione dell’anniversario ricorrente, si è, poi, pronunciato sulla situazione in Ucraina:

«Sono gli abitanti della Crimea che hanno fatto la scelta giusta, si sono opposti al nazionalismo e al nazismo, che continua ad esserci nel Donbass, con operazioni punitive verso quella popolazione. Sono stati loro le vittime di attacchi aerei ed è questo che noi chiamiamo genocidio. Evitarlo è l’obiettivo della nostra operazione militare in Ucraina»

Ancora una volta ha parlato di un’“operazione militare speciale lanciata per evitare il genocidio dei russi” nella regione del Donbass per mano del governo ucraino. Ancora una volta ha rivendicato le sue scelte, dimostrando un’ostinatezza inscalfibile: “Sappiamo cosa deve essere fatto e come farlo. E sicuramente attueremo tutti i piani”, ha poi aggiunto. Ha lodato la Crimea per aver voluto tornare a un destino comune alla sua storica patria, bloccando l’avanzata di presunti neonazisti, in nome di un’unità. Appare, dunque, chiaro l’intento dietro il parallelo Crimea-Ucraina.

Poi, anche un riferimento al linguaggio biblico, alzando i toni della sua retorica: “Non c’è amore più grande che donare la propria anima per i propri amici. Questo è un valore universale per tutte le confessioni in Russia e in particolare per il nostro popolo“.

Il discorso di Putin sembra dunque non lasciare dubbi sulle sue attuali intenzioni riguardo l’Ucraina. Un “Paese in mano a un regime neonazista”, che vuole sconfiggereper liberare un popolo che ritiene uguale e parte di quello russo. Abbiamo imparato a capire le convinzioni del presidente russo, con l’evento al “Luzhniki” di Mosca abbiamo capito che non sono cambiate.

Pare riuscire a mantenere il consenso anche di molti cittadini, oltre che di quello di personaggi potenti e facenti parte della sua cerchia politica più stretta, Putin punta tutto sul ricorso al patriottismo e alla lode dell’eroismo del proprio esercito. Di questo ha parlato anche il suo fedele sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, giudicando l’intervento delle forze armate russe in Ucraina, le quali starebbero combattendo per nobili valori, per la difesa di quella fetta di popolazione russofona vessata da “continui bombardamenti aerei” in atto nella regione del Donbass, per mettere fine al “genocidio”. Quindi, è per estinguere queste sofferenze che la Russia avrebbe deciso di attuare ciò che non definisce mai attacco militare.

(fonte: gazzettadelsud.it)

Il presidente russo, chiuso nella sua ostinatezza

Eppure, sembra che l’evento non sia andato realmente come raccontato. Ci sarebbero stati fischi contro Putin e, proprio per questo, la regia avrebbe interrotto il discorso del presidente della Russia con qualche secondo di musica.

È lo scenario delineato da un video pubblicato su Telegram dal canale Ateo Breaking. Secondo la ricostruzione, a fischiare sarebbero stati soprattutto studenti presenti tra il pubblico, contrari alla guerra in Ucraina.

Il Cremlino, invece, ha ufficialmente dichiarato che l’interruzione sia stata dovuta ad un problema tecnico ad un server. In ogni caso, quello che ha generato sospetto sull’accaduto è la scomparsa di Putin dal palco, per poi non tornare più. Alcuni hanno addirittura pensato che il presidente, in realtà, non fosse realmente lì, che il suo intervento sia stato architettato ad hoc con il computer.

Potrebbe esser stato, comunque, davvero un problema della diretta, ma ciò non cambia che l’evento abbia avuto un forte impatto sull’opinione pubblica.

Non era per niente scontato assistere a ciò che è stato organizzato: il politico attualmente con più nemici nel mondo, fino ad adesso è rimasto nel suo isolamento ben pianificato, sotto la massima protezione e un gruppo di assaggiatori personali per i suoi pasti. Lo avevamo visto in compagnia di Macron, qualche tempo fa, ma seduti agli antipodi di un lunghissimo tavolo, che segnava una grande distanza tra lui e il francese, e allo stesso tempo, lanciava un forte messaggio: quello che il presidente russo sembra davvero distante dal resto del mondo che lo supplica di segnare la parola fine.

 

Rita Bonaccurso

Ucraina: svolta nei negoziati. Sì alla neutralità, ma non come vuole Putin. “Garanzie di sicurezza contro la Russia”

«Ogni guerra termina con un accordo», ha affermato questa notte il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un videomessaggio dove ha reso noto che i negoziati con la Russia stanno procedendo «in modo più realistico». Si tratterebbe di un prima grande svolta nel panorama del conflitto che ha coinvolto l’Ucraina dal 24 febbraio scorso: svolta confermata per la prima volta anche da fonti ufficiali russe, quali il Ministero degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov, che ha aperto alla possibilità di un compromesso.

Mi baso sulle valutazioni fornite dai nostri negoziatori, i quali dicono che i negoziati non stanno andando bene per ovvi motivi, ma che c’è comunque un margine di speranza di raggiungere un compromesso.

Tuttavia, il ministro Lavrov ha subito ribadito le richieste della Russia: smilitarizzazione dell’Ucraina e sicurezza delle popolazioni russofone nell’Est del Paese, oltre che rinuncia all’adesione al Patto Atlantico.

L’uso della lingua russa e la libertà di espressione sono importanti.

L’Ucraina rinuncia alla NATO: ma quale neutralità?

La notizia giunge in seguito ad un discorso tenuto in videoconferenza da Zelensky nel quale ha ammesso che «L’Ucraina non è nella NATO e non possiamo entrarci, va riconosciuto». Un passo indietro significativo, che ha subito indotto a credere che il Paese di avvii verso la neutralità.

Nelle ultime ore, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto sapere che la neutralità dell’Ucraina potrebbe basarsi sul modello austriaco o svedese, ma Zelensky ha rigettato la proposta, chiedendo garanzie di sicurezza. (ANSA)

L’Ucraina è in uno stato di guerra diretto con la Russia. Pertanto il modello può essere solo ucraino.

Ha spiegato così il motivo del rifiuto dei modelli austriaco o svedese Podolyak, il consigliere presidenziale e negoziatore di Kyiv.

(fonte: ilmessaggero.it)

In un articolo dell’ISPI di alcuni giorni fa, si sostiene che il problema dei negoziati non verterebbe sulla neutralità di Kyiv, su cui entrambe le forze sono d’accordo: «La grande differenza è sull’interpretazione del principio». Sembrerebbe che Putin voglia fare dell’Ucraina una nuova Bielorussia, sbarazzandosi dell’attuale esecutivo per imporvi un presidente-marionetta alla stregua del bielorusso Lukashenko; eppure – scrive ISPI – i colloqui tenutisi in Turchia tra Lavrov e Kuleba, Ministro degli Esteri del “governo nazista” di Kyiv, indicherebbero un sostanziale segno di debolezza del Cremlino, ormai giunto al limite del default.

Ci sarebbe poi il modello di neutralità finlandese, che ben si concilierebbe ad un immaginario democratico e da membro dell’Unione, status a cui il Paese guidato da Zelensky aspira ormai da tempo.

Improbabile un intervento militare NATO

Durante un simbolico incontro tra Zelensky ed una delegazione europea composta dai vertici di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, il vice primo ministro polacco Kaczyński ha detto che la NATO dovrebbe inviare in Ucraina una forza di peacekeeping «armata». Si tratterebbe al momento di una strada altamente improbabile.

Nella giornata odierna è in corso un incontro d’emergenza dei membri del Patto Atlantico. Il Segretario per la Difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato:

Rimarremo uniti in supporto dell’Ucraina, sostenendo il loro diritto ad autodifendersi.

È previsto che i vari Ministri per la Difesa impongano ai relativi comandanti militari di designare nuove strategie per scoraggiare la Russia, tra cui più truppe e difese missilistiche sul fianco orientale della NATO.  «Dobbiamo riadattare il nostro atteggiamento militare a questa nuova realtà», ha dichiarato martedì il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.

(fonte: nato.int)

Alcuni giorni fa, delle fonti della BBC hanno rivelato che la NATO sta facendo il possibile per evitare un’escalation e, di conseguenza, l’attivazione dell’Articolo 5 del Patto Atlantico, ossia il principio della difesa collettiva, che prevede che un eventuale attacco armato contro una o più delle parti in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza si conviene che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, potrà procedere anche all’utilizzo della forza armata.

«Tuttavia – afferma Jenny Hill, corrispondente a Mosca per la BBC – più le truppe russe avanzano ad ovest, più aumenta il rischio di un attacco accidentale (o intenzionale) in territorio NATO». Per di più, il 13 marzo dei missili russi hanno colpito una base ucraina al confine con la Polonia, membro del Patto Atlantico, allarmando immediatamente il Paese confinante.

Altri bombardamenti nella notte. In arrivo controffensiva ucraina

Intanto, nelle ultime ore, Mariupol è stata attaccata anche dal mare di Azov. Lo riferisce Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco della cittadina ucraina, precisando che gli attacchi delle navi da guerra vanno ad aggiungersi ai raid aerei.

Anche Kharkiv è stata attaccata durante la notte, con due morti confermati e due edifici residenziali distrutti (The Guardian). Le navi russe presenti nel mar Nero hanno iniziato a bombardare le coste vicino alla città di Odessa, porto principale del paese. A Kyiv è stato distrutto un palazzo di dodici piani, causandone il parziale collasso. Le operazioni di soccorso sono state particolarmente difficili per questa ragione.

Secondo quanto rivelato da Podolyak, le forze armate ucraine starebbero lanciando «controffensive in diverse zone operative», ma al momento non sono stati aggiunti ulteriori dettagli.

Valeria Bonaccorso

 

Russia-Ucraina: dal conflitto alla lotta contro le fake news. Oggi, nuovo round di negoziati

Le sirene continuano a risuonare in 19 regioni Ucraine su 24, il che lascia presagire un attacco su larga scala. Il conflitto che da 19 giorni sta interessando Russia, Ucraina ed economia mondiale, deve anche far fronte all’enorme dilagare di fake news. Così viene minacciata un chiara e veritiera ricostruzione dei fatti, inficiando l’informazione globale e le sorti del conflitto.

Nella giornata di oggi, due incontri diplomatici fondamentali per la risoluzione del conflitto, che nelle ultime settimane ha cambiato radicalmente il quadro geopolitico, strategico e di sicurezza dell’Europa. Il ministro degli Esteri italiano, Di Maio si è detto positivo in vista dei vertici:

“Abbiamo sentito i cinesi, i turchi, gli israeliani bisogna parlare con tutti per arrivare prima a una tregua umanitaria e poi ad un accordo di pace”.

Il vertice Usa-Cina

È attualmente in corso, a Roma, l’incontro del consigliere alla Sicurezza nazionale americano, Jack Sullivan, e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, Yang Jiechi, per cercare “una forte risposta internazionale e per delineare una strategia di sicurezza globale“. Il vertice arriva in un momento denso di indiscrezioni sulla richiesta della Russia di assistenza militare e potrebbe disattendere le aspettative. Non è escluso che, al termine del colloquio, la Cina decida di rispondere alle richieste di aiuto militare di Mosca.

Per fronteggiare tale eventualità, gli Stati Uniti avrebbero preparato il warning per gli alleati.

La posizione della Cina nel corso dei 18 giorni di guerra non è mai apparsa troppo chiara: nessuna condanna è stata avanzata e Pechino si è astenuta sulla risoluzione dell’Onu di condanna nei confronti della Russia.

Tuttavia, solo nel corso di una chiamata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron, la Cina ha pronunciato per la prima volta il termine ‘guerra. Però, ha subito controbilanciando con le critiche rivolte alle sanzioni occidentali che “danneggeranno la ripresa dell’economia globale dalla pandemia del Covid-19“.

Intanto l’ambasciata cinese a Washington ha dichiarato:  “Speriamo con sincerità che la situazione si allenti e la pace torni presto“, precisando “di non aver mai sentito parlare” della richiesta di aiuto militare. La priorità della Cina è di:

“Impedire che la situazione di tensione in Ucraina possa sfuggire dal controllo. È una situazione davvero sconcertante”.

Le sanzioni

Gli Usa sfrutteranno il tema sanzioni per mettere pressione alla Cina.

“Ogni mossa da parte di Pechino o di altri Paesi per offrire un’ancora di salvezza alla Russia o aiutarla a evadere le sanzioni occidentali avrà conseguenze. Faremo in modo che né la Cina, né nessun altro, possano risarcire Mosca per queste perdite”.

Le parole del consigliere Sullivan non lasciano spazio a fraintendimenti, gli Stati Uniti punteranno a convincere Pechino a entrare in campo in modo più diretto per fare pressioni su Mosca e cercare di trovare una via d’uscita alla guerra. Inoltre, come molte fonti diplomatiche fanno notare, le sanzioni destinate a durare nel tempo avrebbero gravi ripercussioni anche all’economia cinese.

 

Le fake news sull’attacco russo all’ospedale di Mariupol

Continua il braccio di ferro tra i colossi dei social media e la propaganda di Mosca sulla guerra in Ucraina. Al centro dell’ennesimo tentativo di disinformazione, poi inevitabilmente sfociata in misinformazione, è l’attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol del 9 Marzo.

Nel post pubblicato dall’ambasciata russa in Gran Bretagna, questi ultimi sostenevano che le immagini delle vittime dell’attacco all’ospedale fossero false. “L’ospedale – si legge nei post poi rimossi – non era più operativo da tempo, perché passato sotto il controllo delle forze armate ucraine che avrebbero fatto evacuare pazienti e personale medico. Di conseguenza i soggetti che compaiono nelle immagini altro non sarebbero che attori.“.

La denuncia innescata ha coinvolto altre rappresentanze diplomatiche russe in altri Paesi. La sede italiana, ad esempio, ha parlato del “tentativo di gonfiare lo scandalo” da parte dei media occidentali e ucraini.

Attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol (fonte: lasicilia.it)

Le informazioni diffuse hanno sin da subito innescato la caccia alla verità da parte di giornalisti e lettori. Il giornalista James Clayton della BBC, ha rintracciato un post Facebook del nosocomio del 2 marzo in cui si chiede supporto di gasolio e altri strumenti per fare funzionare la struttura.

L’intervento di Anonymous 

L’intervento di Anonymous in funzione della divulgazione delle informazioni sulla guerra continua a dimostrarsi fondamentale.

Il gruppo GhostSec, come riportato su Twitter da uno degli attivisti, avrebbe violato centinaia di stampanti governative e militari russe.

“Questa non è la tua guerra. Questa è la guerra del tuo governo. Mentiamo a fratelli e sorelle. I soldati di alcune unità militari pensano di eseguire attività di formazione” si legge. “Ma quando raggiungono il loro obiettivo, vengono accolti da ucraini che vogliono vendicarsi per la distruzione della loro terra portata avanti dai burattini di Putin”.

 

Elidia Trifirò 

“Zombie” e “Bella Ciao”: i canti della resistenza a Putin

Sono passati vari giorni da quando il presidente Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina: in quel momento si è spezzato un altro filo nella “tela dell’umanità”, in quell’istante il tempo si è fermato, migliaia di persone si sono ritrovate senza cibo, acqua, le loro vite sono cambiate per sempre e la loro innocenza è stata distrutta.

Una parte del popolo russo si è rivoltato contro il proprio Presidente (o per meglio dire dittatore), scendendo in piazza, protestando con cartelloni, fiori e simboli di pace. Per dire a Putin, ma specialmente al mondo, che loro non stanno dalla parte della disumanità, mettendo spesso a rischio la loro stessa libertà, la loro vita. Qualche giorno fa un gruppo di russi è stato arrestato dalla polizia, proprio mentre manifestava il proprio dissenso verso la guerra.

Incatenati e portati sopra il furgone come bestie dalle forze armate, armati di coraggio e di sorrisi anziché di bombe, i manifestanti hanno iniziato a cantare a squarciagola la canzone Zombie, dando esempio di disobbedienza civile.

 Chi non conosce la melodia di Zombie? O almeno una volta l’ha sentita passare in radio o mentre faceva zapping da un canale all’altro? Appena i manifestanti russi hanno iniziato a cantare, siamo quasi stati riportati indietro nel tempo, a quando ancora questa guerra non c’era. Guardando sui nostri cellulari quel video ormai diventato virale, ci siamo sentiti cittadini del mondo, il patriottismo per un attimo ha lasciato il posto all’empatia e ci siamo trovati a condividere la resistenza del popolo russo al suo dittatore.

La storia dietro Zombie

“Nella tua testa stanno ancora combattendo
Con i loro carri armati e le loro bombe
E le loro bombe e i loro fucili
Nella tua testa
Nella tua testa stanno morendo”

Zombie, è una canzone del gruppo rock Irlandese The Cranberries, pubblicata il 12 Settembre del 1994 (28 anni fa). Considerato il maggior successo del gruppo irlandese, ha vinto durante gli  MTV Europe Music Awards del lontano 1995 il prestigioso premio di  “Canzone dell’anno”.

Dolores O’Riordan,cantautrice e frontman del gruppo, ha affermato che la canzone è stata scritta in seguito all’attentato di Warringotn del 1993 da parte dell’IRA, in cui avvenne la morte di un bambino. Il testo contiene dei riferimenti alla Rivolta di Pasqua (una sommossa scoppiata durante la settimana di Pasqua in Irlanda) avvenuta nel 1916.  

Erroneamente si associa Zombie alla denuncia della situazione nordirlandese, ma in realtà è più una canzone che si schiera contro la violenza in generale.

Per quale motivo infatti è diventata anche il simbolo dei “partigiani” russi?  Cosa la rende adatta a raccontare anche questa guerra?

Come ci indica già il titolo, coloro che portano la guerra sono zombie che eseguono ordini, smettono di pensare e camminano lasciandosi dietro terrore e e distruzione. Gli stessi Cranberries affermarono di aver scritto Zombie come simbolo di pace per il proprio Paese, per far capire come la violenza travestita di ideali politici e religiosi possa portare alla perdita di vite innocenti.

“Un’altra testa ciondola umilmente
Il bambino viene lentamente preso e
La violenza ha causato un tale silenzio
Chi stiamo fraintendendo?”

Bella Ciao: la canzone di ogni resistenza

Bella Ciao è un’altra canzone simbolo della resistenza, ma quella ucraina stavolta.  E’ stata riadattata infatti dalla cantante ucraina Khrystyna Solovij, con il testo nella sua lingua madre e con due soli strumenti: chitarra e voce.

Che storia nasconde dietro di sé Bella Ciao? Per noi italiani è simbolo di libertà assoluta, è la canzone che ha accompagnato la liberazione dal morbo fascista. Ancora oggi la cantiamo per affermare quei diritti che ancora non hanno una legge a loro tutela; con essa invochiamo la ribellione per riportare l’ordine ( si, sembra quasi un paradosso).

Gli storici non conoscono le sue origini, molti la associano addirittura al ‘500 francese o ai canti di lavoro delle mondine. Non si conosce né la penna né la data di composizione: il mistero rende questa canzone ancor più affascinante. Anche se associata alla lotta partigiana, dietro di sé non ha precisi riferimenti religiosi e politici: è libera da qualsiasi vincolo, è pura.

“E se muoio da partigiano
Tu mi devi seppellir”

Oggi Bella Ciao è stata riscoperta a livello internazionale anche per via della serie tv La Casa Di Carta, o di migliaia di cover che girano su Youtube. Possiamo considerarla una canzone universale, che fa nascere nell’essere umano la voglia di apportare qualche cambiamento.

La musica è l’unica lingua (se così possiamo definirla) che unisce e mai divide, l’eccezione alla regola: con essa, come con la scrittura e con le azioni, diamo il via a moti rivoluzionari. Ogni evento, ricorrenza, ma soprattutto ogni ideale è rappresentato da una melodia capace di accomunare popoli con lingue e tratti diversi, abbattendo non solo le differenze ma anche i poteri forti.

 

Vignetta satirica di Mauro Biani. Fonte: LaRepubblica

Di Putin si può dire solo una cosa: con i suoi interessi e il proprio potere, ha perso ogni tipo di senso morale, è diventato piccolo come i coriandoli, mentre il “suo” popolo – che non è più suo – si sta dimostrando più forte di lui. Le urla e le azioni dei dissidenti, ma soprattutto i loro canti sono più assordanti delle bombe. 

Alessia Orsa

 

 

 

La Russia e le operazioni “false flag”. Di cosa si tratta e cosa l’esercito russo potrebbe stare architettando

Durante gli antecedenti al conflitto tra Russia e Ucraina, si è parlato di tentativi, da parte degli Stati Uniti, di infiltrazione nella dinamica, tramite operazioni militari false flag”, cioè “falsa bandiera”: fingersi il nemico per creare un pretesto per attaccarlo, compiendo una terribile azione e facendo poi passare la stessa come compiuta per mano dell’avversario.

Oggi lo stesso presidente americano, Joe Biden, ha più volte cercato di avvertire il mondo del fatto che proprio la Russia sia, invece, pronta a usare questa strategia nel conflitto ormai aperto da più di due settimane.

L’espressione “false flag” è nata per descrivere una tecnica adoperata spesso nella pirateria: i pirati brandiscono bandiere amiche e false, per attirare navi mercantili da attaccare, le quali, a loro volta, credono si stia avvicinando un soggetto, appunto, non offensivo.

Nel tempo, è stato poi usato per descrivere genericamente qualsiasi attacco – reale o simulato – per incriminare un avversario e creare le basi per un’offensiva.

(fonte: globalist.it)

 

Un presunto attacco russo “false flag” a un villaggio bielorusso presso il confine con l’Ucraina

Diverse agenzie di intelligence occidentali hanno avvertito che la Russia utilizzerà operazionifalse flagcome parte del suo piano di disinformazione, durante il suo attacco all’Ucraina. Sappiamo come questa sia una delle armi più potenti, se non la più potente a questo punto del conflitto, in mano al Cremlino: la disinformazione.

Il popolo russo ne è la prima vittima, che, da lunedì 14 marzo, non potrà usufruire di Instagram, dopo che su Facebook ha iniziato ad aleggiare già da giorni la morsa della censura da parte del governo russo.

L’accusa di Kiev che ha fatto emergere l’ipotesi è quella secondo la quale Mosca avrebbe sparato contro un insediamento in Bielorussia vicino al confine con l’Ucraina, facendo credere che sia stata proprio quest’ultima a sferrare l’attacco.

Il Comando aereo ucraino ha, a tal proposito, dichiarato, nella giornata di ieri 11 marzo, che le autorità di frontiera hanno ricevuto informazioni dettagliate su come gli aerei russi siano decollati da un aeroporto della stessa Bielorussia, hanno attraversato lo spazio aereo ucraino e poi hanno sparato contro il villaggio bielorusso di Kopani.

«Questa è una provocazione! Obiettivo: coinvolgere le forze armate bielorusse nella guerra in Ucraina» ha dichiarato il Comando dell’aeronautica ucraina in una nota stampa.

L’esercito ucraino ha detto che anche altri due insediamenti bielorussi sarebbero stati presi di mira nella stessa operazione. I servizi di sicurezza hanno proceduto con una dichiarazione ufficiale via Telegram: «Dichiariamo ufficialmente: l’esercito ucraino non ha pianificato e non prevede di intraprendere alcuna azione aggressiva contro la Repubblica di Bielorussia».

Poi è arrivato l’appello alla Bielorussia, di non farsi coinvolgere con l’inganno nella guerra dalla Russia:

«Facciamo appello al popolo bielorusso: non lasciatevi usare in una guerra criminale!»

 

La risposta del governo Bielorusso

La portavoce del Ministero della Difesa bielorusso, Ina Harbachova, ha respinto la dichiarazione del Comando dell’aeronautica ucraina, additandola come falsa.

«Il ministero della Difesa afferma inequivocabilmente che le informazioni su un attacco missilistico in un villaggio bielorusso sono sciocchezze» ha detto Harbachova.

Il rapporto dall’Ucraina è arrivato lo stesso giorno in cui il presidente bielorusso Alyaksandr Lukashenko è stato ricevuto da Vladimir Putin, a Mosca.

Foto da un vecchio incontro tra Lukashenko e Putin (fonte: en.news-front.info)

La Bielorussia ha aiutato la Russia a lanciare il suddetto attacco, lasciando che il suo territorio venisse utilizzato come terreno di sosta per le truppe russe. Lo stretto rapporto tra i due Stati, d’altronde, non avrebbe potuto farci pensare che la Bielorussia avrebbe vacillato davanti a dichiarazioni così forti contro il suo fidato partner. Inoltre, ormai queste operazioni vengono ritenute largamente possibili, non perché siano comuni, ma perché la storia ci ha insegnato che in guerra, i governi, i potenti, siano assolutamente e facilmente inclini a non avere alcuno scrupolo.

 

Il sospetto di un’operazione false flag a Chernobyl

Secondo quanto dichiarato dall’intelligence ucraina, vi sarebbe un altro tentativo sotto false flag, di cui la notizia è arrivata stamattina: la Russia starebbe accumulando dei corpi di soldati ucraini morti per inscenare un attacco false flag che coinvolgerebbe Chernobyl. Putin avrebbe, dunque, ordinato alle sue truppe di rilasciare scorie radioattive nei pressi dell’impianto nucleare, per poi procedere a incolpare i sabotatori ucraini e giustificare così un’altra escalation nella guerra.

«I frigoriferi per auto russe che raccolgono i corpi dei difensori ucraini morti sono stati avvistati vicino all’aeroporto Antonov di Hostomel. C’è la possibilità che vengano presentati come sabotatori uccisi nella zona di Chernobyl».

La centrale – ricordiamo – è stata presa dalle forze russe il primo giorno dell’invasione. Da allora i lavoratori al suo interno svolgono le loro mansioni sotto la minaccia delle armi.

Il disastro di cui si ipotizza causerebbe problemi con le scorie radioattive anche alla Russia. Uno scenario sconvolgente e assurdo, ma sarebbe usato per giustificare l’uso di ulteriore forza contro l’Ucraina e tentare di far vacillare la comunità internazionale nel sanzionare la Russia e fornire armi all’Ucraina.

Ma ci sono timori che ci possa essere anche una perdita accidentale nel sito nucleare perché i russi che lo presidiano “non hanno alcuna idea dei protocolli di sicurezza nucleare”, come ha avvertito la figlia di un membro dello staff che lavora di notte nell’impianto.

Chernobyl (fonte: ilsussidiario.net)

Tutto questo arriva mentre i bombardamenti sono continuati durante la notte in tutta l’Ucraina. Il bilancio delle vittime di Mariupol sale a 1.600, mentre i russi si avvicinano ancora a Kiev che si sta preparando per un brutale assalto: c’è l’alto rischio che essa diventi la nuova Stalingrado.

 

 

Rita Bonaccurso

 

Crisi Ucraina: la Russia corre il rischio di andare in default. Fuga delle multinazionali

Con l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, è diventata sempre più concreta la possibilità che la Russia vada in default, cioè che non sia più in grado di ripagare il suo debito. Sarebbe un evento straordinario, le cui conseguenze sono piuttosto difficili da prevedere: per avere un’idea dei suoi effetti – sia sull’economia russa sia sui creditori occidentali – bisognerà aspettare di capire come questo probabile default sarà gestito, e soprattutto se si limiterà ai titoli di stato o si estenderà anche ai bond societari, cioè ai debiti che le imprese russe hanno con i creditori internazionali. In merito alla questione, il Presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che:

La priorità adesso è adattare il sistema economico alle circostanze, dobbiamo sostenere i cittadini e le imprese in questo periodo di turbolenze

 

Banca centrale della Federazione russa (fonte: ansa.it)

 

Cos’è il default

Si definisce “default” lo stato di insolvenza in cui il governo di un Paese non è in grado di pagare in tutto o in parte il proprio debito. Un caso analogo è stato quello della Grecia. Per la Russia, sarebbe il primo default su debiti detenuti da creditori internazionali dagli anni successivi al 1917, quando il governo bolscevico appena istituito si rifiutò di pagare i debiti dello zar. La Russia era andata in default anche nel 1998, ma per 40 miliardi di dollari di debiti detenuti internamente e fu proprio a seguito a quella crisi, peraltro, che il presidente russo Vladimir Putin fu eletto, con la promessa di risollevare l’economia. Allo stato attuale, tecnicamente, la Russia non è ancora in default poiché dall’inizio della guerra, non ha dovuto ripagare scadenze o interessi sul debito. Le cose, però, potrebbero cambiare nel giro di poche settimane. Il 16 marzo scade il termine per il pagamento di 107 milioni di dollari di interessi agli investitori stranieri, anche se per questi pagamenti è concesso un “periodo di grazia” di 30 giorni, nel corso dei quali il debitore non è ancora considerato insolvente. Se però il pagamento non arriverà entro il 15 aprile, allo scadere del “periodo di grazia”, la Russia sarà ufficialmente in default.

 

Cosa è cambiato dopo le sanzioni occidentali

Fino a poche settimane fa, comprare titoli di stato russi era considerato un buon investimento. Il paese ha un debito basso, un eccellente rapporto tra il debito e il PIL e – prima della guerra – più di 640 miliardi di dollari in riserve di oro e valute straniere conservate dalla Banca centrale, che rendevano il pagamento del debito praticamente garantito. Le cose sono cambiate radicalmente con l’invasione e dopo l’imposizione delle durissime sanzioni occidentali. Nel giro di pochi giorni, il governo russo è passato da avere una grande disponibilità teorica di liquidi a esserne a corto: le sanzioni hanno ridotto le disponibilità economiche della Russia sia tagliando varie fonti di ricavo sia bloccando più della metà delle riserve che la Banca centrale russa deteneva in valuta straniera. A seguito di ciò, la Russia non può ottenere prestiti da otto delle dieci più grandi economie mondiali e, anche senza le sanzioni, la guerra e la crisi economica hanno spaventato grandemente i creditori.

La fuga delle multinazionali e le probabili perdite dei creditori internazionali

 

Punto vendita McDonald’s a Mosca (fonte: repubblica.it)

Un altro problema che influisce sul bilancio economico della Russia, è che le sanzioni dei governi sono seguite dalla fuga delle multinazionali. McDonald’s ha chiuso 850 punti vendita su tutto il territorio federale. Amazon ha deciso di terminare le operazioni. L’Oreal, Unilever, Coca Cola e Pepsi hanno fatto lo stesso. Per lo Stato significa meno entrate del fisco e più uscite per politiche sociali. Al riguardo dei creditori internazionali, essi detengono una cifra pari a 40 miliardi di dollari di debito russo denominato in dollari ed euro e una pari a 28 miliardi di dollari denominati in rubli. A seguito di ciò, il Presidente Putin ha emanato un decreto che obbliga a pagare in rubli i creditori che appartengono a paesi “ostili”. Ciò significa che i creditori riceverebbero il pagamento presso la cassa di compensazione russa. Stando a quanto dichiarato sul sito dell’Avvenire, i soldi sarebbero di loro proprietà, ma non sarebbero accessibili, dato che con le sanzioni non è possibile cambiare in dollari o in euro quel denaro. Per i creditori sarebbe una grave perdita, ed è probabile che ci saranno dispute legali sulle questioni.

A fronte di questa situazione, la Russia, senza potersi rifinanziare sui mercati e con una costosa guerra in corso, rischia uno dei peggiori collassi economici degli ultimi decenni. Se spera di reintegrarsi nell’economia globale, dovrà ristabilire la fiducia dei mercati e trovare il modo di pagare i propri debiti.

 

Federico Ferrara