Le mete perfette per ciascun segno zodiacale

Il 2019 è appena iniziato e fioccano le previsioni astrali per i prossimi mesi, che tra le altre cose, potrebbero rivelarci persino le mete dei nostri viaggi.

Per questo risulta curioso ed interessante stilare un oroscopo per viaggiatori provetti: ad ogni segno zodiacale è stata assegnata una destinazione da visitare durante il nuovo anno.

ARIETE

Un’avventura adrenalinica.

Un vero Ariete ama le scelte audaci, il brivido deve costituire un elemento chiave per il suo viaggio da sogno.

Chiunque appartenga a questo segno zodiacale dovrebbe visitare l’Arizona, un luogo eccitante, dove è possibile praticare immersioni, escursioni in grotte, bungee jumping, paracadutismo e rafting.
Inoltre, ogni Ariete si considera indipendente ed ama agire e viaggiare seguendo l’istinto, evitando qualsiasi mappa preventivata.

TORO

Per i toro amanti del lusso, un viaggio nella splendida Costiera Amalfitana potrebbe essere l’ideale.

Vino, cibo e dolci momenti trascorsi sulle scogliere e al mare: sono questi i consigli degli astrologi.

Il Toro è governato da Venere, per questo ama i piaceri terreni e carnali.

Inoltre, il Toro è un segno di Terra collegato spiritualmente alla natura, godrà pienamente delle viste panoramiche che la Costiera sa offrire.

GEMELLI

I Gemelli sono adatti a New York, la città che non dorme mai.

Le possibilità, le esperienze e le opportunità sociali offerte dalla metropoli soddisferanno questo segno frenetico e dinamico che ama spostarsi da un posto all’altro.
Questo è ciò che rende New York la destinazione perfetta, tutto è a portata di mano, in ogni momento e le possibilità sono davvero infinite.

 

CANCRO

Sebbene i Cancro siano noti per essere grandi padroni di casa e amanti del comfort del loro nido, quando escono dal loro guscio amano godersi il sole.

Collegandosi al loro elemento, che è l’Acqua, potranno fare un tuffo nella Grande Barriera Corallina al largo delle coste del Queensland, nell’Australia nord orientale.

Dalle gite in barca allo snorkeling alle immersioni subacquee e persino ai tour in elicottero: ecco il ventaglio di prospettive che questo luogo dona ai suoi visitatori.

LEONE

Bali, Indonesia

Secondo gli astrologi, i Leone amano i posti dove possono essere “reali, eleganti e naturalmente feroci”.

Questo è il motivo per cui Bali, all’interno di un contesto stimolante, è la soluzione perfetta.

Questa bellissima isola offre anche alcune delle più lussuose e invitanti spa del mondo, insieme ad esperienze di benessere uniche nel loro genere.

Questo segno zodiacale, che ama prendersi cura di sé, non potrà che esserne appagato.

VERGINE

I Vergine amano i panorama mozzafiato, ma anche il benessere e la natura: ecco perché adoreranno fare passeggiate a Machu Picchu e nei parchi del sentiero Inca in alta quota.

La Vergine è considerato il segno zodiacale “ultimo protettore della Terra”, il che significa che sarà in perfetta sintonia emotiva con la Valle Sacra, attraversata da giardini, montagne, fattorie e pascoli.

BILANCIA

Un viaggio a Parigi è l’emblema del romanticismo, e single o impegnati che siano, tutti i Bilancia vivranno in questo luogo momenti da favola.

Questo segno, che gravita attorno al pianeta dell’amore e della bellezza, potrà apprezzare serate piene di arte, musica, cultura e romanticismo vorticoso.

 

SCORPIONE

La City of Angels ha quasi tutto ciò che uno Scorpione può desiderare: dalla spiaggia alle montagne innevate che si trovano a breve distanza, fino alle magnifiche valli della California meridionale.

Palme, celebrità, pantaloni da yoga e passione: ecco cosa soddisfa i veri Scorpione.

La sensualità e la creatività sono le prerogative dominanti di questo segno, quindi non c’è da meravigliarsi che la terra di Hollywood potrebbe essere il approdo prediletto dagli appartenenti a questo segno.

SAGITTARIO

Alimentati da un’insaziabile necessità di viaggiare, i Sagittario sono sempre in movimento e sempre pronti a scoprire nuove sfumature.

Gli astrologi sostengono che spesso sono attratti dalla filosofia, dal misticismo e dallo studio delle culture antiche, saranno soddisfatti da Angkor Wat, sede di uno dei più grandi monumenti religiosi del mondo.

CAPRICORNO

I Capricorno lavorano duro, quindi quando possono staccare hanno bisogno di un viaggio per rilassarsi davvero.

L’isola di Pasqua, isola vergine e praticamente disabitata, sarà il luogo perfetto per questo segno zodiacale.

Inoltre, i Capricorno hanno una resistenza incredibile, quindi la distanza non sarà un problema e l’esplorazione dell’isola sarà vera libido.

ACQUARIO

Gli Acquario sono non convenzionali: immergersi in una cultura completamente diversa, come quella orientale proposta dal Giappone, e scoprire e percorrere le grandi città tecnologiche a velocità supersoniche è la scelta più adatta.

PESCI

I ghiacciai, le lagune e le scogliere medievali islandesi sapranno regalare vibrazioni adeguate ai Pesci, spirituali e misteriosi.
In Islanda, potrebbero ritrovare se stessi.

Purificazione, disintossicazione, panorama splendidi: l’Islanda è la vacanza da sogno che può diventare realtà per chiunque sia nato sotto il segno dei Pesci.

Antonio Mulone

Lonely Planet premia Sri Lanka e Italia

L’autorevole rivista australiana di viaggi e turismo Lonely Planet, come ogni anno, propone la classifica delle migliori 10 destinazioni da raggiungere.

Lo scorso anno a piazzarsi primo nella speciale graduatoria per i turisti più impavidi era stato il paese “dalla foglia d’acero”, mentre nella lista delle città la prima classificata era stata Siviglia.

Lo scettro, quest’anno, spetta allo Sri Lanka, un paese risorto dalle ceneri dopo decenni di conflitti.

Definita l’isola perla dell’Oceano Indiano, si pregia di una vegetazione lussureggiante, spiagge da sogno affacciate sulle acque cristalline, straordinarie tradizioni locali che comprendono danze, processioni, sfilate di elefanti a cui si accompagnano le meravigliose architetture dei templi e del mondo antico.

Medaglia d’argento alla Germania, che mescola futuro e tradizione e ti permette di “scalare montagne, rintanarsi in castelli medievali, bere ottima birra e attraversare i paesi in bicicletta”.

Lo Zimbawe occupa il terzo gradino del podio, considerata “una delle destinazioni più sicure in Africa, impreziosita da un popolo ospitale, parchi nazionali, rovine archeologiche, montagne e cascate”.

La migliore città da visitare nel 2019 è invece Copenhagen, la capitale della Danimarca dal fascino senza tempo unisce la bellezza della storicità alla qualità di vita che solo le metropoli più moderne posso offrire, seguita da Shēnzhèn, in Cina e Novi Sad, in Serbia.

Tra i consigli di Lonely Planet spicca anche l’Italia, con il Piemonte in testa alla classifica delle migliori regioni davanti a “The Catskills” negli USA e al “Northern Peru”.

Per la prima volta l’Italia in testa alla classifica delle regioni, grazie al lavoro lungimirante ed efficace svolto dalla regione Piemonte in termini di ricezione turistica e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico .

Antonio Mulone

Budapest: la città attraversata e divisa in due dal Danubio

               “Una Buda da vedere, una Pest da vivere”

Lo scrittore Claudio Magris, nel suo libro “Il Danubio”, definisce Budapest una città signorile e imponente.

Budapest, la capitale dell’Ungheria, è divisa in due parti, “Buda” e “Pest”, dal fiume Danubio. Buda è il centro storico costituito da meravigliosi palazzi, castelli e monumenti, che raccolgono in essi la storia di questa città. Pest è la parte moderna dove si concentra la maggior parte della popolazione, anch’essa ricca di grande bellezza.

Budapest è tutta da vedere, ogni singolo angolo, ma i posti che non puoi assolutamente perderti sono:

1) Il Palazzo del Parlamento

E’ il simbolo della città e si trova sulla sponda del Danubio dalla parte di Pest ed è la sede dell’Assemblea nazionale ungherese. L’interno è un vero spettacolo per gli occhi, curato nei minimi dettagli, lascia senza fiato. Fu concepito nell’Ottocento per sottolineare, con un palazzo fastoso e rappresentativo, l’indipendenza finalmente raggiunta degli ungheresi all’interno dell’impero austro-ungarico.

2) Il Palazzo Grassalkovich

E’ un palazzo in stile barocco della cittadina ungherese di Gödöllő, costruito tra il 1741 e il 1760.
E’ sia il più grande palazzo barocco dell’Ungheria che la seconda tenuta più grande dell’Europa. Questo palazzo è noto anche per essere stato il favorito dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, che insieme al marito, ne fece la propria residenza estiva. Nella parte posteriore del castello si estende un meraviglioso parco di 28 ettari.

3) Szimpla Kertmozi

E’ un pub composto da più stanze e un lungo e grande corridoio, decorato nei modi più assurdi con gli oggetti più assurdi, la quantità degli oggetti presenti in questo pub è enorme, parte dell’arredamento è anche un auto d’epoca. Tutto ciò è stato creato all’interno di una fabbrica abbandonata. Questo pub si trova nella zona ebraica di Budapest.

4) Bagni Széchenyi

Sono dei bagni termali di Budapest che si trovano nel parco Városliget nella XIV Circoscrizione. L’edificio più antico del complesso risale al 1881 ma, a causa della forte popolarità, prima della Prima guerra mondiale vennero costruiti altri edifici che hanno reso i Bagni Széchenyi il più grande centro termale d’Europa. Il complesso venne ultimato nel 1913. Aperti tutto il giorno, tutti i giorni, tutto l’anno, ospitano anche eventi notturni con tanto di dj e musica.

 

5) Traversata sul Danubio (DA FARE)

Una cosa che si deve assolutamente fare se si va a Budapest è la traversata sul Danubio, è consigliabile farla la sera poiché sarà possibile ammirare tutti i palazzi, che costeggiano il Danubio, illuminati.

Uno spettacolo mozzafiato, accompagnato da musica e degli ottimi cocktail.

6) Il Mercato Centrale

E’ una sala neogotica restaurata ed usata come mercato alimentare, si estende su due piani e al suo interno ci si può trovare di tutto. Il primo piano è interamente dedicato ai prodotti alimentari, tipici e non di Budapest, mentre il secondo piano è colmo di souvenir.

7) La Piazza degli Eroi

E’ una delle più importanti piazze di Budapest, ricca di elementi politici e storici. Si trova alla fine di Andrássy út, vicino al parco municipale Városliget. E’ anche una delle più belle piazze di Budapest.(Dopo averla visitata ci si può fare la foto nella scritta!!!)

 

Budapest è una città piena di cultura e di storia, e non sono solo questi i posti da visitare, consiglio di passarci più tempo possibile perché è tutta da vivere.

 

Andrea de Stefano

Museo di Messina: l’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani

Il sabato scorso, dopo mesi e mesi di attesa trepidante, ho finalmente potuto varcare la soglia della sede definitiva del Museo Regionale di Messina, che dalle 20:30 alle 22:30 apriva i suoi battenti gratuitamente al pubblico: la prima apertura completa della struttura museale, a distanza di oltre cento anni dalla sua nascita. Insieme a me una folla notevole (lascio ai contabili del giorno dopo la stima dei numeri, per me erano e resteranno sempre “chio’ssai d’i cani i Brasi”, come si dice a Messina) composta da gente di ogni età, ceto e condizione sociale accorsa da tutta Messina e anche da fuori, anche a seguito della notevole campagna pubblicitaria che questa volta ha coinvolto anche le reti televisive nazionali.

Nel mio personale sentire, il Museo Regionale di Messina, fin dalle prime volte in cui lo visitai da piccolo, è sempre stato un luogo speciale, quasi sacro. Uno scrigno della memoria, come ebbi modo di scrivere in un articolo in occasione della apertura parziale di Dicembre. Un grande tempio laico dedicato a Messina. Mi piace pensare che nessun altro museo al mondo possa vantare una storia simile, anche se forse non è così. La sua storia si intreccia indissolubilmente con quella del Terremoto del 1908: prima era poco più che una pinacoteca comunale sorta dal confluire di collezioni private.

Poi accadde il disastro, e secoli interi della storia e del patrimonio artistico di Messina furono cancellati dalla faccia della Terra. Il moderno Museo Regionale nasce da quelle macerie, dal lavoro paziente di tanti messinesi che si misero a frugare in quelle rovine, a tirarvi fuori tutto ciò che potesse avere un qualche valore storico e artistico, ed ad ammucchiarlo, accatastarlo nella antica sede del convento del SS. Salvatore dei Greci, dove si trovava la filanda Barbera-Mellinghoff, che per tanti anni ne è stata la sede provvisoria. Il loro sogno era che un giorno tutto potesse tornare a vivere, che la antica Messina dei secoli d’oro, la Messina che il terremoto aveva sfregiata, distrutta, annichilita, potesse in parte tornare a esistere. Melior de cinere surgo: come l’araba fenice, anche Messina con la sua storia e la sua cultura sarebbe un giorno risorta dalle sue ceneri.

Ci sono voluti oltre cento anni affinché questo sogno divenisse realtà. Oggi, finalmente, Messina ha il suo Museo Regionale. Un percorso espositivo unico, fra i più estesi del Meridione, in grado di raccontarci secoli di storia: dalla Zancle greca al Medioevo arabo-normanno, dal Quattrocento della Scuola fiamminga e di Antonello fino al Rinascimento, Montorsoli, Calamech, Polidoro Caldara, Alibrandi, allievi di Michelangelo e Raffaello. E poi il seicento, Caravaggio e i caravaggeschi, gli splendori del barocco, gli argenti e i marmi a mischio del Settecento, la lenta decadenza dell’Ottocento. Un viaggio nella storia di Messina dalle origini ai giorni nostri attraverso i suoi capolavori più belli e preziosi. 

Insomma, l’Italia è stata fatta (e finalmente, aggiungerei). Adesso, però, si devono fare gli Italiani. L’apertura completa del Museo Regionale è senza dubbio un traguardo: ma deve essere il primo di una lunga serie. Un Museo così grande e importante come quello che ha appena aperto le sue porte rappresenta una risorsa invalutabile per quello che è e che sarà il turismo culturale nella Città dello Stretto e nei suoi dintorni. Non può né deve permettersi di restare confinato al margine della sua vita sociale; deve, al contrario, rivendicare orgogliosamente il ruolo e la posizione di fulcro, di guida e di punto focale per la rinascita culturale della città. 

Questa nuova apertura pone dunque alla direzione grandi responsabilità, apre nuovi orizzonti e offre nuove sfide. Una ad esempio potrebbe essere quella di porre il Museo, da sempre in una posizione periferica rispetto al centro storico, nel posto che si merita all’interno dei già ridotti circuiti turistici della città. La stagione estiva è alle porte, visitatori e croceristi cominciano timidamente ad affollare le vie del centro; se già adesso è difficile che si spingano oltre il “triangolo magico” incluso fra Piazza Duomo, l’Annunziata dei Catalani e Palazzo Zanca, e forse del Museo Regionale ignorano persino l’esistenza, chi li porterà fino al Torrente Annunziata per vederlo?

Insomma, il lavoro è appena cominciato e servirà un rinnovato impegno, e la formazione di nuove sinergie con il Comune e con gli enti pubblici, affinché il nuovo Museo possa sviluppare in pieno le sue potenzialità benefiche per l’intera città di Messina. A noi visitatori resta la speranza che la recente apertura completa si riveli non un comodo letto di allori su cui sdraiarsi a riposare, ma la prima tappa di un lungo percorso di rinascita: un percorso che abbia come obiettivo finale la riscoperta, agli occhi dei messinesi e del mondo intero, di Messina e della sua bellezza. 

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco

Dove terra e mare si congiungono: Il Santuario della Madonna di Dinnammare

Messina sarà sicuramente piena di bei posti dai quali ammirare i paesaggi che la terra e il mare ci offrono, ma quale posto migliore del monte Dinnammare per ammirare la bellezza degli abissi?

Sembra, infatti, che il nome “Dinnammare” derivi dal termine latino “bimaris”, poiché dalla sua vetta è possibile avere visuale del mar Jonio e del mar Tirreno, ammirare la città di Messina in tutta la sua grandezza e lo Stretto nella sua maestosità.

Facente parte della catena montuosa dei Peloritani e alto 1127 m, il monte ospita sul suo imponente cucuzzolo il Santuario della Madonna di Dinnammare. La sua edificazione in loco è spiegata da due leggende.

La prima narra di un pastore, che trovandosi un giorno sulla montagna, inciampò su una tavoletta di marmo con su impressa l’immagine della Vergine Maria. Tornato a casa con la tavoletta, la mattina seguente, non la trovò più; iniziò a cercarla, e infine la ritrovò nello stesso posto in cui il giorno prima ebbe la fortuna di imbattersi. Il parroco di Larderia, paese di origine del pastore, una volta venuto a conoscenza del fatto, volle che questa miracolosa lastra di marmo fosse conservata nella chiesa del paese. Così fu fatto; ma anche da lì la tavoletta scomparve per essere ritrovata sul monte, nel medesimo luogo. A quel punto la decisione da prendere fu semplice: tutti furono d’accordo che la lastra di marmo fosse destinata a quel monte, e che dovesse essere edificata una chiesa per custodire e pregare la Madonna di Dinnammare.

La seconda leggenda riporta, invece, che la sacra Immagine provenisse dal mare, trasportata da due mostri marini, i quali la lasciarono sulla spiaggia di Maregrosso. Alcuni pescatori iniziarono ad adorare l’icona, e nel tempo quel tratto di spiaggia si trasformò in un santuario, tanto era il numero dei fedeli che si riunivano in preghiera. In seguito, su iniziativa degli stessi pescatori, l’immagine della Madonna fu portata sul monte, dove adesso sorge la chiesetta.

Nonostante questo, non sappiamo di preciso il periodo di costruzione della chiesetta, ma si preferisce l’epoca bizantina.

Questa, d’ispirazione medievale, è stata ricostruita nel 1899 dai militari che l’avevano abbattuta per edificare l’omonimo forte, che doveva servire per il controllo di tutta l’area dello stretto dalle incursioni provenienti da sud e da nord.

Recenti restauri hanno riportato alla luce, dopo aver tolto tutti gli intonaci, la naturale bellezza delle murature in mattoni a faccia vista. Al suo interno si conserva un rilievo marmoreo dell’‘800 raffigurante la “Madonna di Dinnammare”: l’iconografia è quella tipica, la Madonna col Bambino in trono, retta da due mostri marini o delfini. Semplice, completamente in pietra e poco luminosa, ogni anno, il 3 Agosto, ospita il pellegrinaggio che parte di notte dal Villaggio Larderia per giungervi sulle prime ore del mattino, attraverso sentieri tracciati nella montagna, con in testa il quadro della Madonna; il 5 Agosto il quadro ritorna, ripercorrendo gli stessi passi dell’andata, alla chiesa di San Giovanni Battista, a Larderia, nella quale avviene l’emozionante ingresso tra le navate.

Erika Santoddì

Ph: Giulia Greco

Messina, la memoria negata: passato, presente e futuro

Poco più di un anno è trascorso da quando ho iniziato la mia avventura qui ad UniVersoMe. Ricordo che inizialmente volevo dedicarmi alla rubrica di Scienza e Ricerca, ma che, alla prima riunione di redazione, proposi assieme ad Alessio Gugliotta di lavorare a una rubrica di cultura locale, che adesso curo come referente assieme a quella sui personaggi storici, e che il 9 marzo dello scorso anno uscì col suo primo articolo, con il nome di Messina da Scoprire. 

“Questo se la sta suonando e cantando da solo”, starete pensando. Ok, forse avete ragione, ma chiariamoci, non è della mia rubrica che voglio parlare in questo editoriale, quanto della città di Messina e del controverso rapporto della sua cittadinanza con il suo patrimonio storico, artistico e culturale.Si tratta di una tematica con la quale personalmente sono fissato al limite dell’ossessione, e nemmeno io so bene perché: forse perché Messina, come scrivevo nel mio primo articolo, è una città dove la Storia gioca a nascondino, perché le peculiari vicende che ne hanno segnato lo sviluppo storico e urbanistico oggi fanno sì che solo poche tracce di quello che è stato il suo passato riescano ad emergere distintamente dal tessuto urbano novecentesco, successivo al terremoto del dicembre 1908, su cui oggi la città si sviluppa.

Che la storia di Messina sia stata davvero importante è qualcosa che forse non tutti i suoi cittadini oggi percepiscono: eppure non è becero campanilismo, basta sfogliare qualche pagina dai libri di storia della Sicilia per farsene una idea; basti pensare che nel Cinquecento Messina si contendeva addirittura con Palermo il ruolo di capitale della Sicilia (Messana, nobile Siciliae caput, Messina nobile capitale della Sicilia, recita un motto latino dell’epoca) e che comunque fino alla fine del ‘600 era la seconda città della regione per importanza economica, politica, militare e culturale.

 

Se è dunque vero che il messinese medio spesso e volentieri non ha affatto contezza del grande passato della sua città, è anche vero che non glie ne si può fare del tutto una colpa: certo non è colpa sua se la storia della città è stata costellata di guerre, carestie e calamità naturali culminate in un terremoto devastante. Quello su cui però dovremmo iniziare a porci delle domande è perché quel poco che resta (indubbiamente poco, ma sotto certi aspetti più di quanto si tenda a pensare) venga così colpevolmente ignorato e trascurato. 

 

Da quando scrivo su Messina da Scoprire ho fatto un po’ il callo a vederne e sentirne davvero di cotte e di crude a riguardo. Gli esempi si sprecano e non pretendo affatto di essere esaustivo ed elencarli tutti (dovrei scrivere pagine su pagine e vi annoiereste a leggermi), ma qualche sassolino dalla scarpa voglio togliermelo. Al centro a due passi dal Duomo c’è uno dei più caratteristici monumenti dell’arte arabo-normanno-bizantina in Sicilia, un ibrido stilistico assolutamente peculiare e unico nel suo genere che è l’Annunziata dei Catalani: sembra banale, ma in anni che frequento Messina l’avrò vista aperta se è vero due o tre volte, praticamente un terno al lotto. Una altra piccola perla dello stile arabo-normanno si trova poco lontano da lì in via Romagnosi, è la chiesa di San Tommaso il Vecchio: sorvolando sul discutibile restauro novecentesco, anche lì i cartelli riportano un orario di apertura decisamente striminzito (dalle 8 alle 11) che a mia memoria difficilmente viene rispettato. E se questo succede in pieno centro, immaginiamoci poi cosa succede un po’ più lontano, e le condizioni in cui si trova la monumentale chiesa normanna della Badiazza, decisamente più periferica.

 

Di quella che una volta era la roccaforte principale di Messina, il castello di Rocca Guelfonia o Matagrifone, oggi resta solo una torre e qualche frammento di mura; l’antico portale cinquecentesco è abbandonato in un vicolo cieco, Via delle Carceri, senza neanche un segnale per raggiungerlo. La piccola chiesa di Sant’Elia, anche questa in pieno centro, a due passi da Cairoli, è una delle pochissime strutture ad essere sopravvissute in buona parte ai terremoti e dentro preserva i magnifici stucchi settecenteschi originali: altrove forse sarebbe un fiore all’occhiello dei percorsi turistici, invece è quasi totalmente sconosciuta a gran parte della cittadinanza, spesso chiusa, e i suoi interni sono anche deturpati da alcuni discutibilissimi interventi fuori stile che farebbero rabbrividire il buon Vittorio Sgarbi. Ciliegina sulla torta, ha fatto di recente discutere l’opinione pubblica l’“apertura” della “nuova” sede del Museo Regionale: virgoletto “nuova” perché in realtà i lavori si protraggono dagli anni ’80, e “apertura” perché comunque si è trattato di una apertura “a metà”, frettolosa e parziale, in cui, ieri come oggi, ancora una grande parte della vastissima collezione del Museo attende di essere mostrata al pubblico. 

Chiudo qui l’elenco non perché si sia concluso, ma perché non è mia intenzione trasformare questo mio editoriale in un rigurgito di lamentele generiche, che restano assolutamente fini a se stesse finché le problematiche che esse evidenziano non diventano di interesse pubblico. Del resto, la situazione non è proprio nera come potrebbe apparire e di recente abbiamo assistito a interventi di salvaguardia e valorizzazione assolutamente lodevoli, come quello sugli scavi di Largo San Giacomo, o sulla Galleria Vittorio Emanuele, ad opera di una associazione basata sull’iniziativa popolare, PuliAmo Messina. La lista però continua ad essere lunga ed è importantissimo che se ne parli, che la cittadinanza sia resa cosciente ogni giorno della grandezza e bellezza del proprio patrimonio culturale e artistico in modo da spingerla ad esigerne la rivalutazione. Davanti a un passato glorioso ma dimenticato, e a fronte di un presente da dimenticare, non ci resta che sperare in un futuro migliore. 

Gianpaolo Basile

 

Messina: la città dove la Storia gioca a nascondino

Inauguriamo con questa prima uscita sulla testata universitaria “UniVersoME” la rubrica “Messina da scoprire”, nella quale proporremo, con cadenza settimanale, approfondimenti tematici volti alla divulgazione del patrimonio storico, artistico e culturale della città di Messina, la città sede del nostro Ateneo. Scrivere di arte e cultura locale a Messina, è innanzitutto un atto d’amore e, per certi versi, una provocazione.

Messina è una città antichissima, con secoli di storia sulle spalle: ciò nonostante, oggi, la sua struttura urbana per la maggior parte ha su per giù appena un centinaio d’anni, essendo successiva al terribile terremoto del 28 dicembre 1908 che la rase al suolo pressoché totalmente, uccidendo circa 70.000 dei suoi abitanti e distruggendo buona parte dei principali monumenti storici. L’ammirevole fervore ricostruttivo dei primi decenni successivi al sisma dovette scontrarsi con il corso della storia di quel tumultuoso XX Secolo: due Guerre Mondiali, le difficoltà dei relativi dopoguerra, il progressivo degrado urbanistico (si pensi alla cementificazione selvaggia iniziata negli anni ’60 e forse non ancora conclusa…) hanno dato alla città il suo volto odierno, ed è un volto carico di cicatrici fin troppo evidenti.Scrivendo di Messina dunque, scriviamo di una città che, per uno sfortunato destino, è stata violentemente privata non soltanto di gran parte del proprio patrimonio artistico ed architettonico, ma, quel che è peggio, del rapporto con il proprio passato e quindi, inevitabilmente, con la propria cultura. Da qui la provocazione: che senso ha, dunque, parlare di Storia e di Arte in una città in cui l’Arte ha subito, dalla Storia, un così doloroso colpo?

Cercheremo insieme di trovare una risposta a questa domanda, guardando a ciò che Messina è stata in quel passato con cui il presente pare aver perduto contatto: un passato che inizia dalla Zancle degli antichi greci, e passa attraverso le molteplici dominazioni, bizantine, arabe e normanne, il Rinascimento, i fasti del seicento barocco, i secoli a venire nei quali Messina crebbe e fiorì come ricca città portuale, imprescindibile piazzaforte strategica, porta della Sicilia e del Mediterraneo. Di una storia cittadina così importante oggi non resta che qualche vaga traccia, mascherata nel contesto di una realtà urbana caotica e spesso trascurata: vestigia di un passato glorioso disseminate, e talvolta dimenticate, qua e là in un presente dai colori non troppo rosei. Eppure, forse proprio in questo risiede il fascino della nostra città: a Messina la storia e l’arte non vanno “addosso” al visitatore; si lasciano inseguire, si fanno cercare, e si rivelano solo a chi sa dove trovarle. Così, per esempio, mentre si attraversa un trafficato incrocio in pieno centro, fra Viale Boccetta e Via Cavour, si potrebbe senza accorgersene abbassare lo sguardo sull’elegante profilo settecentesco della Fontana della Pigna; o ancora, magari mentre si cerca parcheggio un po’ disorientati fra i vari sensi unici e le macchine in doppia fila, ci si potrebbe imbattere, in via Romagnosi, in una curiosa chiesetta risparmiata dai terremoti, dedicata a San Tommaso il Vecchio, datata 1531 ma la cui architettura tradisce origini più antiche, influssi arabi e bizantini; e se uscendo dalla sede dell’Università in centro ci si dirige verso il Duomo passando da via Venezian, seminascosto fra i rami degli alberi si potrebbe notare, ricostruito e murato, l’antico portale monumentale del collegio gesuita che di quell’Università rappresenta il primo nucleo storico; mentre se si entra in un palazzo al numero 171 di via I settembre si può avere la gradita sorpresa di trovarsi sopra la testa nientemeno che le campate gotiche della antica e perduta chiesa di rito greco di Santa Maria del Graffeo, inglobata nella struttura dell’atrio. Insomma, a Messina è come se la Storia, più che avere realmente fatto perdere le proprie tracce, si divertisse a giocare a nascondino: e quello che questa rubrica si propone di fare, almeno nelle nostre intenzioni, è guidarvi virtualmente in questo gioco, che speriamo possa tramutarsi, per chi è interessato, in una affascinante caccia al tesoro…

Gianpaolo Basile