Pancreas, i macrofagi Tam alimentano la crescita del tumore

Il tumore è una patologia nella quale si osserva una massa di tessuto che cresce di dimensioni in maniera scoordinata, senza garantire l’omeostasi e che continua a crescere nonostante lo stimolo che lo ha indotto cessa di esistere. In particolare, il tumore al Pancreas è uno dei più aggressivi e letali. Uno studio recente ha però scoperto il ruolo di alcuni macrofagi che, invece di annientare le cellule tumorali, promuovono la loro crescita.

  1. Cos’è il pancreas?
  2. Il succo pancreatico e gli ormoni secreti dal pancreas
  3. Perché il tumore al pancreas è spesso letale?
  4. I macrofagi Tam
  5. La scoperta rivoluzionaria

Cos’è il Pancreas?

Il pancreas è una grossa ghiandola accessoria dell’apparato digerente. Questo insieme di visceri è deputato alla digestione, all’assorbimento e all’espulsione del materiale di scarto attraverso le feci. Il pancreas è deputato alla formazione del succo pancreatico, cioè una miscela costituita da enzimi, acqua, elettroliti e ioni bicarbonato. Queste sostanze potranno essere prodotte dalle sue unità morfo-funzionali, dette acini, le quali potranno poi riversare il loro contenuto in un condotto che potrà poi unirsi al coledoco nella sua porzione finale, cioè una struttura che convoglia la bile secreta dal fegato e immagazzinata nella cistifellea. A seguito della fusione, sboccheranno nell’Ampolla di Vater, la cui apertura verrà finemente regolata grazie allo sfintere di Oddi.

Morfologia del pancreas. Fonte

Il succo pancreatico e gli ormoni secreti dal pancreas

Nel succo pancreatico troviamo enzimi come la tripsina, la carbossipeptidasi, la chimotripsina, l’amilasi pancreatica e le varie lipasi. Questi aiuteranno nella digestione di alcune macromolecole, cioè proteine, carboidrati e lipidi. Gli elettroliti, l’acqua e gli ioni bicarbonato invece aiutano a rendere più basico il duodeno, la prima porzione dell’intestino tenue nella quale sbocca il succo pancreatico mediante lo sfintere di Oddi. Questa ghiandola però è eccezionale. Infatti, non ha solo la capacità di aiutare la digestione secernendo enzimi – detta funzione “esocrina” – ma ha anche una funzione “endocrina”. Una ghiandola endocrina secerne ormoni direttamente nel circolo sanguigno. Per cui, oltre la porzione esocrina data dagli acini, avremo quella endocrina data dalle Isole di Langerhans. Vengono dette “Isole” perché sono sparse ed immerse tra gli acini. Queste sono costituite da varie cellule con capacità secernente diverse; in particolar modo, il pancreas secerne insulina, glucagone, somatostatina e il polipeptide pancreatico.

Perché il tumore al pancreas è spesso letale?

Il pancreas è quindi una ghiandola anficrina, cioè capace di secernere sia in maniera esocrina che endocrina. Questo ci fa capire il motivo per cui un tumore e quindi una perdita delle sue unità morfo-funzionali sia potenzialmente letale. A questo, bisogna aggiungere la resistenza alle terapie farmacologiche e ai sintomi spesso carenti o del tutto assenti che rallentano la velocità della diagnosi.

I macrofagi Tam

I macrofagi sono le cellule del sistema immunitario deputate alla difesa del nostro organismo. In particolar modo, queste si occupano della eliminazione di agenti patogeni, distruggere cellule infette e le minacce esterne. I tumori sono però capaci di poter modificare l’ambiente biologico a proprio favore. A volte, sono capaci di modificare i target del sistema immunitario e favorire quindi la proliferazione tumorale. Infatti se presenti in gran numero i macrofagi Tam, cioè “macrofagi associati al tumore”, abbassano drasticamente la possibilità di sopravvivenza del soggetto e alzano la probabilità di resistenza ai trattamenti. In questo modo, favoriamo anche il processo metastatico.

Come appare un macrofago al microscopio. Fonte

La scoperta rivoluzionaria

L’eterogeneità dei Tam e la loro complessità di interazioni con il microambiente che li ospita rende la ricerca estremamente difficile. Ancora una volta, la ricerca italiana fa luce su questo problema e potrebbe aver trovato la chiave per poter affrontare uno dei tumori più aggressivi. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature, una delle più prestigiose nell’ambito della ricerca, dall’Istituto San Raffaele di Milano, in collaborazione con l’Istituto Telethon di terapia genica, l’Università Vita e Salute, le Università di Torino e Verona, l’Istituto francese per la sanità e la ricerca medica (Inserm), il centro di ricerca Biopolis di Singapore e l’Università di Shanghai. Il team, gestito da Renato Ostuni, Professore associato all’Università Vita-Salute San Raffaele che ha guidato la ricerca, ha identificato i macrofagi possibili responsabili del circolo vizioso autoalimentato. “Oltre a essere caratterizzato da un sistema immunitario compromesso che limita l’efficacia anche delle più avanzate immunoterapie, il tumore del pancreas presenta una forte componente infiammatoria. Ciò è particolarmente rilevante poiché l’insorgenza di danni ai tessuti – e le risposte infiammatorie che ne conseguono, quali le pancreatiti – sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico”, riporta Renato Ostuni. Infatti, queste cellule svolgono una duplice funzione: promuovono il rilascio di alcuni fattori che inducono lo sviluppo e l’attivazione di altri macrofagi  e promuovono l’infiammazione. Inoltre, lo studio ha anche evidenziato come queste cellule, localizzate nei pressi delle cellule tumorali infiammate, possano ulteriormente aiutare nella progressione della malattia formando con loro tante piccole nicchie. Questo studio rappresenta il primo passo verso la cura nonchè una grande vittoria della Ricerca Italiana.

Dario Gallo

Bibliografia:

Cancro al Pancreas: Scoperta Italiana Promettente (microbiologiaitalia.it)

Tumore del pancreas, studio italiano fa luce sul meccanismo di crescita – la Repubblica

Neoplasia – Wikipedia

 

Tumori al seno: diagnosi più favorevoli rispetto vent’anni fa

La morte, a chi è stato diagnosticato un tumore al seno è diminuita di due terzi rispetto a quello degli anni 90.
Sono le donne a dover ricevere la notizia di essere destinate a una vita libera dal cancro.

Progressione del tumore al seno

Oggi si ha questa notizia tramite degli studi effettuati in linea generale su un mezzo milione di donne nel Regno Unito e pubblicati sul British Medical Journal il 13 giugno. 
L’analisi venne coordinata dall’oncologa dell’Università di Oxford, Crolyn Taylor.
L’analisi prevedeva il coinvolgimento di donne che avevano ricevuto la diagnosi di tumore al seno invasivo in fase precoce.
Gli scienziati presero in considerazione donne che avevano ricevuto la diagnosi dal 1993 al 1999, dove il rischio di decesso nei primi cinque anni della diagnosi era del 14,4%; invece, nelle donne che hanno ricevuto la diagnosi tra il 2010 e il  2015 il rischio di morte risultava del 4,9%.

Progressione del tumore Fonte

Come viene scoperta la presenza del tumore al seno?

La presenza del tumore viene scoperta dalle donne tramite degli esami di screening di routine, come: indagini radiologiche specifiche, quindi parliamo di mammografia e l’ecografia mammaria, o anche ricorrere alla risonanza magnetica.

Esame diagnostico del tumore: confronto negli anni Fonte

 

Come siamo arrivati a questo miglioramento?

Al momento non sappiamo a cosa sia dovuto questo netto miglioramento,  sicuramente è stata una sorpresa non solo per le donne, ma anche per i ricercatori, che sapevano di questo miglioramento ma non ne avevano inquadrato le dimensioni.
Sicuramente un contributo in questa svolta positiva è dato dalla grande percentuale di donne che, tramite degli esami di screening di routine, si tutelano e aiutano i ricercatori nel tenere sotto controllo la progressione del tumore.

Il miglioramento del tumore Fonte

 

Sofia Musca

Bibliografia

SM15, la molecola che “blocca” le cellule tumorali. Una scoperta tutta italiana.

Un gruppo di ricercatori italiani del CNR-IBPM, che fa a capo al Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza di Roma, ha scoperto la molecola SM15 in grado di interrompere il meccanismo di riproduzione sfruttato da alcune cellule tumorali. Questa formidabile scoperta potrebbe rappresentare il punto di inizio per sviluppare alcuni farmaci contro le neoplasie.

Indice dei contenuti

  1. Com’è fatta una cellula eucariote?
  2. Meccanismi d’azione della molecola
  3. Come può intervenire sulla mitosi?
  4. SM15: farmaci antitumorali

Com’è fatta una cellula eucariote?

Per poter apprendere al meglio come agisce la molecola SM15 dovremo prima spiegare alcuni concetti cellulari. La cellula eucariote deve il suo nome al termine greco “Eukaryota”, “vero nucleo”, nella quale vedremo il compartimento nucleare. Questa è la differenza principale con la cellula procariote. Questa cellula sarà caratterizzata da una membrana esterna che delimita la periferia dell’intera struttura e alcuni compartimenti all’interno della stessa, detti organuli, con ognuno un ruolo ben preciso. Questi possiamo distinguerli in base alla loro morfologia e alla loro funzione. Potremo apprezzare un:

  • compartimento nucleare, dotato di doppia membrana, nel quale potremo contenere il DNA, acido nucleico garante di tutte le nostre informazioni, nucleolo e alcune proteine.
  • Vari organelli immersi in una sostanza liquida prevalentemente costituita da acqua, detta Citoplasma: avremo mitocondri, lisosomi, perossisomi, reticolo endoplasmatico liscio e rugoso (RER e REL), apparato di Golgi e varie vescicole. Nel citoplasma e adesi al RER potremo apprezzare i ribosomi, strutture proteiche capaci di poter sintetizzare le proteine.
  • Potremo infine apprezzare un’impalcatura che da sostegno, forma e svolge moltissime altre funzioni all’interno della cellula che prende il nome di Citoscheletro: questo sarà dato da microtubuli, filamenti intermedi e microfilamenti di actina.
Immagine schematica della cellula eucariote. Fonte

La molecola SM15, come vedremo, sfrutterà alcuni processi con i quali potrà svolgere la sua azione sull’autofagia cellulare agendo sull’autofagosoma, sul lisosoma e sull’intero processo di divisione che sfruttano le cellule tumorali per replicarsi.

Meccanismi d’azione della molecola

La SM15 riesce ad inibire l’autofagia cellulare, processo sfruttato dalle cellule per rimuovere alcuni componenti danneggiati del loro citoplasma. In questo modo, è possibile non solo degradarli in parte ma riciclarli per non perdere componenti importanti. In particolare, tali pezzi vengono incorporati in una vescicola citoplasmatica detta autofagosoma. Questa potrà così raggiungere il lisosoma, organello deputato alla degradazione e al riciclo. Lo studio ha riportato l’attività della molecola SM15 sugli ultimi stati dell’autofagia, nei quali si vede la sua azione sulla proteina SNAP29, la quale fa in modo che l’autofagosoma arrivi al lisosoma.

“Nei tumori, l’autofagia svolge un duplice ruolo, perché è in grado di favorire la sopravvivenza o la morte delle cellule tumorali, a seconda del tipo e dello stadio del tumore”, afferma la ricercatrice del Cnr-Ibpm e coordinatrice dello studio, Daniela Trisciuoglio. Infatti questa cellula blocca non solo l’autofagia, ma anche la mitosi. Questa rappresenta quel processo di divisione cellulare dalla cui cellula madre otterremo due cellule figlie uguali tra di loro e uguali alla cellula madre. Un esempio di mitosi potrebbe essere dato dalle cellule dello strato più profondo dell’epidermide, cioè lo strato basale.

Come può intervenire sulla mitosi?

“L’attività della SM15 impedisce la degradazione ed il riciclo di materiali cellulari deteriorati, ormai tossici per la cellula. Durante la mitosi, ovvero il processo di divisione cellulare, la molecola si inserisce nelle regioni responsabili del movimento dei cromosomi, producendo cellule figlie fortemente sbilanciate nel numero di cromosomi, che muoiono in breve tempo”, spiega Francesca Degrassi, ricercatrice del Cnr-Ibpm.

Fasi della Mitosi. Fonte

SM15: farmaci antitumorali

La ricercatrice Francesca Degrassi conclude spiegando come questa ricerca possa avere una grande rilevanza nell’ambito preclinico. La molecola potrebbe infatti essere un potente inibitore di molti tumori che necessitano dell’autofagia per sopravvivere. Alcuni esempi possono essere il Glioblastoma e gli Adenocarcinomi Duttali Pancreatici. In questo modo, i farmaci antitumorali che sfrutterebbero tale molecola potrebbero essere funzionali seguendo due strade sinergiche: la morte in mitosi e l’inibizione dell’autofagia.

Dario Gallo

Bibliografia

Farmaci antitumorali, Cnr scopre nuova molecola che blocca crescita della neoplasia (farmacista33.it)

Scienza, trovata una nuova molecola che blocca le cellule tumorali | F-Mag (fmag.it)

Eukaryota – Wikipedia

Autotrapianto cellulare: una nuova tecnica di chirurgia pancreatica

Recentemente, un gruppo di ricercatori del San Raffaele Diabetes Research Institute e di chirurghi del Pancreas Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano ha elaborato un metodo innovativo che permette di ridurre le complicanze che possono svilupparsi a seguito di interventi chirurgici al pancreas, consentendo di migliorare le condizioni di vita dei pazienti in fase post-operatoria e favorire la gestione del diabete.
Secondo questo studio, si riescono ad attenuare le complicanze che seguitano interventi complessi, con una tecnica che prevede l’asportazione completa del pancreas insieme all’autotrapianto di isole pancreatiche del paziente stesso. Ciò permette di preservare, in parte, la produzione di ormoni pancreatici, specialmente insulina e glucagone.

  1. Pancreas: Anatomia e Fisiologia
  2. Pancreas esocrino
  3. Pancreas endocrino
  4. Che cos’è il diabete?
  5. Tumore del pancreas
  6. Tipi di interventi chirurgici
  7. Complicanze post-operatorie
  8. In cosa consiste l’autotrapianto cellulare?

Pancreas: Anatomia e Fisiologia

Il pancreas è la più grande ghiandola extramurale annessa al canale alimentare dopo il fegato. È lungo circa 17-20 cm, pesa 70-80 g ed è di consistenza friabile. Si trova nello spazio retroperitoneale della cavità addominale, all’altezza delle prime due vertebre lombari, ed è formato da tre parti: testa, corpo e coda. Nella zona di passaggio tra testa e corpo, il pancreas si restringe, andando a formare una regione che prende il nome di istmo. E’ una ghiandola anficrina: presenta, infatti, una componente esocrina, gli adenomeri o acini pancreatici, e una più ridotta componente endocrina, le isole pancreatiche o di Langerhans.
Le funzioni del pancreas sono, dunque, prevalentemente due: la secrezione esocrina e la secrezione endocrina.
La secrezione endocrina è quel processo tramite il quale il secreto viene immesso direttamente nel circolo sanguigno; in quella esocrina, invece, il secreto viene immesso in una cavità naturale dell’organismo o rilasciato all’esterno.

Fonte: it.wikipedia.org

Pancreas esocrino

La componente esocrina del pancreas è indispensabile per l’ultimazione dei processi digestivi intestinali. Essa elabora e secerne un particolare succo digestivo ricco di acqua, elettroliti ed enzimi proteolitici, glicolitici e lipolitici: il succo pancreatico. Esso presenta un notevole grado di alcalinità che favorisce la neutralizzazione del pH del chimo gastrico quando questo giunge nel duodeno. Il pancreas riversa il prodotto della sua secrezione esterna nel duodeno, per mezzo di due condotti escretori, il dotto pancreatico principale o maggiore (di Wirsung) e il dotto pancreatico accessorio (di Santorini).

Pancreas endocrino

All’interno del pancreas sono presenti, inoltre, gli isolotti pancreatici, strutture che producono e secernono diversi ormoni, tra cui insulina e glucagone, essenziali per il controllo dei livelli di glucosio nel sangue.

Le isole classiche sono formate prevalentemente da tre tipi di cellule.

  • Le cellule A, o cellule α, che rappresentano il 15 – 20% della popolazione cellulare di un’isola, producono il glucagone, un ormone ad azione iperglicemizzante, che apporta glucosio in circolo facilitando la scissione del glicogeno epatico.
  • Le cellule B, o cellule β, che rappresentano il 75 – 80% della popolazione di un’isola, secernono l’insulina, un ormone ipoglicemizzante. L’insulina non ha un organo bersaglio specifico: essa trova i suoi recettori su quasi tutte le cellule dell’organismo su cui agisce promuovendo la penetrazione del glucosio all’interno delle cellule. E’ possibile “trasformare” le cellule α in β: questo argomento è stato trattato in un articolo precedente.
  • Le cellule D, o cellule δ, che rappresentano il 5% della popolazione insulare, secernono la somatostatina, un ormone che svolge azione paracrina, ovvero locale, di tipo inibitorio, modulando l’immissione in circolo di insulina e glucagone.

Nel pancreas si trova un altro tipo di isolotto pancreatico che si discosta da quello classico, in quanto, al posto delle cellule A, contiene un altro tipo cellulare che produce il polipeptide pancreatico (PP) contestualmente all’assunzione di certi tipi di cibo in cui prevale la componente proteica. Queste cellule costituiscono il 15 – 20% della popolazione di questo tipo di isola e sono note come cellule F o cellule PP.
Tutte le situazioni patologiche in cui si ha una ridotta disponibilità di insulina provocano il cosiddetto diabete mellito.

Che cos’è il diabete?

Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da un aumento anomalo della concentrazione di glucosio nel sangue, la cosiddetta iperglicemia.
Esistono due forme principali di diabete: il diabete di tipo 1 ed il diabete di tipo 2.

  • Il diabete di tipo 1 è caratterizzato dall’assoluta assenza di secrezione insulinica, a seguito alla distruzione delle cellule β che producono questo ormone. Riguarda circa il 10% delle persone affette da diabete e solitamente si manifesta nell’infanzia o nell’adolescenza. Il diabete di tipo 1 è incluso nella categoria delle malattie autoimmuni, patologie in cui è presente una disfunzione del sistema immunitario che induce l’organismo ad attaccare i propri tessuti.
  • Il diabete di tipo 2 è caratterizzato da una minore sensibilità dell’organismo all’insulina e/o da una ridotta secrezione di insulina da parte delle cellule β del pancreas. È la forma più comune di diabete e ne soffre circa il 90% dei soggetti interessati da questa patologia. La malattia insorge generalmente dopo i 30-40 anni e si instaura sulla base di una condizione preesistente di insulino-resistenza. La diagnosi avviene per lo più casualmente o a seguito di circostanze che arrecano stress fisico, come infezioni o interventi chirurgici.
  • Esistono, inoltre, altre forme di diabete. Queste possono essere legate a difetti genetici delle cellule β o dell’azione insulinica, a malattie del pancreas esocrino, indotte da farmaci o sostanze chimiche, o presentarsi per la prima volta proprio durante la gravidanza, dando origine al cosiddetto diabete gestazionale.
Fonte: it.dreamstime.com

Tumore del Pancreas

Le patologie del distretto duodeno-pancreatico, composto da pancreas, duodeno e  vie biliari extraepatiche, rappresentano la quarta causa di mortalità per cancro in Europa; si stima che diverrà la seconda entro il 2030.
Il tumore del pancreas insorge quando alcune cellule, principalmente le cellule di tipo duttale, si replicano in maniera incontrollata. La neoplasia del pancreas a maggiore incidenza è l’adenocarcinoma duttale. Circa il 70% dei tumori del pancreas, infatti, interessa la testa dell’organo e origina nei dotti che trasportano gli enzimi digestivi. Il 10% dei tumori pancreatici è, invece, rappresentato dai tumori neuroendocrini, neoplasie che hanno origine dalle cellule delle isole di Langerhans, ma possono insorgere anche a livello del duodeno.
Sfortunatamente, il tumore del pancreas in stadio precoce è asintomatico o provoca sintomi aspecifici: la diagnosi viene spesso effettuata quando il tumore ha raggiunto dimensioni notevoli, ha iniziato ad estendersi agli organi vicini, causando sintomi organo-specifici, o ha ostruito i dotti biliari e vasi importanti. Le cellule tumorali pancreatiche, infatti, si diffondono molto rapidamente ai linfonodi vicini e ad altri organi come fegato e polmoni; possono, inoltre, proliferare nell’addome dando origine ad una carcinosi peritoneale.
Soltanto il 20% dei pazienti attualmente ottiene la diagnosi quando il tumore non ha ancora dato metastasi e può essere quindi sottoposto ad asportazione chirurgica. Purtroppo, per questo tipo di interventi la mortalità può raggiungere il 10%; peraltro, non sono sempre praticabili, considerata la rapidità di diffusione.

Fonte: www.ihy-ihealthyou.com

Tipi di interventi chirurgici

Esistono diversi tipi di interventi chirurgici in base alla localizzazione del tumore.
Nei tumori di corpo e coda, vengono asportate unicamente queste porzioni, talvolta insieme alla milza, così da non compromettere altri organi dell’apparato digerente.
Nel caso dei tumori della testa, viene effettuato l’intervento di duodenocefalopancreasectomia, che comprende l’asportazione del duodeno, dell’ultima porzione dello stomaco e delle vie biliari, oltre che della testa del pancreas. Esso è, infatti, uno degli interventi più difficili e a più elevato rischio di complicanze di tutta la chirurgia addominale. Tra queste, la più ricorrente, è la fistola pancreatica, cioè la fuoriuscita di succhi pancreatici che può compromettere i tessuti circostanti e provocare infezioni ed emorragie.

Fonte: medicinaonline.co

Complicanze post-operatorie

L’asportazione totale o parziale del pancreas può provocare, nel post-operatorio, un’insufficienza endocrina, caratterizzata da disfunzioni nel metabolismo del glucosio, fino alla comparsa di diabete mellito conclamato; ciò è dovuto all’assenza di una porzione più o meno rilevante delle isole di Langerhans. Il diabete può dare origine a varie complicanze di tipo acuto o cronico.
Le complicanze acute, più frequenti nel diabete tipo 1, dipendono dalla carenza pressoché totale di insulina. La complicanza più comune in questo caso è il coma chetoacidosico, in cui si ha l’accumulo di alcuni prodotti del metabolismo, i chetoni, che provocano perdita di coscienza, disidratazione e importanti alterazioni ematiche.
Nel diabete tipo 2 sono molto più ricorrenti le complicanze croniche a carico di diversi organi e tessuti, come occhi, reni, cuore, vasi sanguigni e nervi periferici.
A seguito di resezioni pancreatiche parziali, è verosimile che nel primo post-operatorio si abbia una fase di scompenso glicemico. Si tratta, in genere, situazioni transitorie che prevedono un semplice monitoraggio della glicemia o una blanda terapia antidiabetica. Il diabete può insorgere anche diversi anni dopo l’intervento, per eventi infiammatori cronici di natura ostruttiva che inducono una sostituzione fibrosa del normale tessuto.
Al contrario, dopo pancreasectomia totale, l’insufficienza endocrina con insorgenza di diabete mellito è immediata e inevitabile; per di più, si verifica anche una mancata secrezione di glucagone e di polipeptide pancreatico.

In cosa consiste l’autotrapianto cellulare?

Tramite il trapianto delle isole pancreatiche del paziente è possibile ridurre la gravità del diabete che deriva dall’asportazione parziale o totale del pancreas. La ricerca, infatti, dimostra come la pancreasectomia totale con l’autotrapianto di isole, in alternativa al tipico intervento di duodenocefalopancreasectomia, è in grado di salvaguardare parzialmente la produzione di ormoni pancreatici.

«Nel caso in cui il pancreas sia molto fragile, il chirurgo è cosciente del fatto che in seguito all’intervento è possibile che insorga una fistola pancreatica; ciononostante non asporta del tutto il pancreas, poiché si preoccupa delle conseguenze metaboliche che ne scaturirebbero. Tramite questo studio, si è stati in grado di dimostrare, per la primissima volta, che le nuove tecniche di trapianto cellulare costituiscono una valida alternativa e che l’autotrapianto di isole pancreatiche consente di avvalersi della pancreasectomia totale senza così peggiorare la qualità di vita del paziente», afferma il dottor Gianpaolo Balzano, chirurgo del Pancreas Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

L’autotrapianto delle isole pancreatiche prevede la rimozione del tessuto endocrino dal pancreas asportato e la sua incorporazione nella vena porta, in modo tale da ingegnerizzare il fegato affinché produca insulina senza che sia necessaria la somministrazione di una terapia immunosoppressiva.

«Nel tempo, l’autotrapianto è stato applicato prettamente in pazienti affetti da pancreatite cronica sottoposti ad asportazione pancreatica, quando questa non può essere gestita con procedure mediche e chirurgiche ordinarie. Questo studio mostra come il trapianto di isole possa essere impiegato, in modo sicuro, anche per altre patologie come, ad esempio, il tumore del pancreas», precisa il professor Alessandro Zerbi, responsabile Chirurgia Pancreatica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.

«Attraverso questo studio, è stato possibile sviluppare sicure ed efficienti alternative per pazienti che possiedono caratteristiche e rischi chirurgici differenti. Si tratta di un tipico esempio di medicina di precisione, in cui ci si avvale di una terapia cellulare personalizzata, volta a realizzare il miglior risultato per ciascun paziente», aggiunge, infine, il professor Lorenzo Piemonti, direttore del San Raffaele Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Fonte: it.dreamstime.com


Erica D’Arrigo

 

 

Bibliografia

https://www.hsr.it/news/2022/ottobre/autotrapianto-isole-pancreatiche-nuove-scoperte

https://www.epicentro.iss.it/diabete/

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/guida-ai-tumori/tumore-del-pancreas

https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/apparato-digerente/pancreas/

Immagine in evidenza: Tumore al pancreas: cause, sintomi, diagnosi e terapia | MEDICITALIA.it

Crioablazione: nuove frontiere nella ricerca al Rizzoli di Bologna

L’istituto Rizzoli di Bologna mediante la tecnica della crioterapia, è riuscito a curare i primi sei pazienti affetti da fibromatosi desmoide.

  1. Cos’è la fibromatosi desmoide?
  2. Il trattamento convenzionale
  3. Cos’è la crioablazione?
  4. Procedura clinica
  5. Intervento al Rizzoli di bologna
  6. Conclusioni

Cos’è la fibromatosi desmoide?

La fibromatosi desmoide è una neoplasia fibrosa benigna (raramente maligna), che origina dal tessuto connettivo, rappresentando il 3% delle neoplasie dei tessuti molli.
È una malattia rara che colpisce soggetti giovani (10-40 anni di età), con maggiore prevalenza nel sesso femminile. Si manifesta con crescita anomala dei tessuti molli delle estremità e delle cellule fibromuscolari a livello addominale. Ne consegue dolore, compressione degli organi interni e disturbi della motilità.
Esistono forme sporadiche e forme genetiche. Le prime sono dovute, nell’ 80% casi, alla mutazione del gene beta-catenina, mentre nel restante 20% al gene APC. Le seconde, invece, sono correlate alla poliposi familiare per alterazione del gene APC.

 

https://conganat.uninet.edu

Il trattamento convenzionale

Il trattamento convenzionale, fino ad oggi utilizzato, comporta l’asportazione chirurgica combinata alla chemioterapia o radioterapia. 
A causa delle numerose recidive riscontrate nel 60% dei pazienti, si è notato però che non è preferibile intervenire chirurgicamente ma farmacologicamente, bloccando unicamente la crescita del tumore.
Grazie alla tecnica della crioterapia, è stata studiata la possibilità di eliminare la neoplasia attraverso crioablazione, riducendo così il deficit derivante all’intervento chirurgico tradizionale.

Che cos’è la Crioablazione?

La crioablazione è una tecnica della radiologia interventistica eseguita sotto guida radiologica, che consiste nel congelare letteralmente le cellule. Gli ambiti di applicazione variano dalla cardiochirurgia, utilizzata nella cura delle aritmie, fino alla rimozione di tumori, come avvenuto al Rizzoli di Bologna per sei pazienti affetti da fibromatosi desmoide.

 

https://cdn.gvmnet.it/

Procedura clinica

L‘intervento avviene in anestesia locale, inserendo uno o più aghi nella massa tumorale. Attraverso questi viene inoculato gas di temperatura inferiore ai -20 °C. In tal modo l’acqua presente nelle cellule tumorali si condensa in ghiaccio, causando necrosi cellulare e liberando gli antigeni tumorali. Ciò induce una risposta immunitaria contro il tumore.
Dunque la crioablazione consente di agire solo sulla massa tumorale senza intaccare tessuti sani, come avviene difatti con la chemioterapia.

Intervento al Rizzoli di Bologna

Il primo intervento in Italia è stato eseguito a luglio 2020 su un paziente di 39 anni. Il soggetto soffriva di dolore intenso e debilitante nella zona di crescita del tumore. Ha portato a scomparsa quasi completa della massa tumorale con una singola seduta.
Lo studio è stato diretto dal dottor Costantino Errani e dal radiologo interventista Giancarlo Facchini, basandosi sui primi risultati di uno studio americano del Memorial Sloan Kettering Cancer Center ed uno studio multicentrico francese.

 

http://www.ior.it/

Conclusioni

Offrire ai malati non solo una valida alternativa a un trattamento aggressivo o invasivo ma soprattutto una tecnica più efficace è ciò che ogni medico desidera per i propri pazienti”
Anselmo Campagna

Livio Milazzo

Bibliografia

Congelare il tumore con la crioterapia. Al Rizzoli di Bologna curati con questa tecnica i primi 6 pazienti affetti da fibromatosi desmoide | ISTITUTO ORTOPEDICO RIZZOLI (ior.it)

Fibromatosi di tipo desmoide – irccstumori (istitutotumori.mi.it)

Poliposi adenomatosa familiare – Disturbi gastrointestinali – Manuali MSD Edizione Professionisti (msdmanuals.com)

Correlazione 5G e Covid-19, tra verità e menzogna

Ennesima teoria complottista associa la tecnologia 5G al COVID-19, ma il mondo scientifico smentisce

Fra le varie teorie complottiste, non poteva di certo mancare un collegamento tra la rete 5G e il COVID-19.

Ebbene sì, a quanto pare è stato pubblicato uno studio, sulla rivista “Toxicology Letters”, di Ronald Neil Kostoff, un ricercatore di Scienze Spaziali presso la Georgia Institute of Technology, in cui si evidenzia come la rete 5G abbia indebolito il nostro sistema immunitario, tanto da renderci facili prede del virus che sta tenendo il mondo col fiato sospeso.

In Italia, la notizia ha ottenuto popolarità grazie anche al tweet di Gunter Pauli, il consigliere economico del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che recita: “La scienza deve dimostrare e spiegare la causa e l’effetto. Ma la scienza prima osserva le correlazioni: fenomeni che sono apparentemente associati. Applichiamo la logica della scienza. Qual è stata la prima città al mondo coperta dal 5G? Wuhan! E quale la prima regione 5G d’Europa? Il Nord Italia”.

 

Tweet di Gunter Pauli

 

Ovviamente è una fake news, come ha tenuto a sottolineare il Ministero della Salute, ma è necessario, prima di entrare nel merito, fare un po’ di chiarezza.

Che cos’è la rete 5G e come funziona?

Per rete wireless, o Wi-Fi, si intende la tecnologia che ci permette di inviare dati da un dispositivo ad un altro, senza la necessità di una connessione fisica.

Nel settore della telefonia mobile, 5G è l’acronimo di 5th Generation, e indica tutte quelle tecnologie e quegli standard che porteranno a significativi miglioramenti, in termini di velocità e prestazioni, delle moderne tecnologie di trasmissione dati wireless.

Una rete LAN (Local-Area Network) utilizza le onde elettromagnetiche per collegare dei dispositivi, come cellulari e PC, alla rete wireless di quel determinato locale.

Ma cosa sono le onde elettromagnetiche?

Le onde elettromagnetiche sono perturbazioni dello spazio-tempo dovute a variazioni locali dei campi elettrico e magnetico.

Le onde elettromagnetiche possono essere classificate a seconda della loro frequenza (cioè al numero di oscillazioni al secondo) e, in base ad essa, si dividono in: onde radio, microonde, infrarossi, luce visibile, ultravioletti, raggi X e raggi gamma.

A loro volta esse si differenziano per la loro proprietà ionizzante, ovvero la capacità di trasportare abbastanza energia da strappare elettroni da atomi o molecole, ionizzandoli (da qui il nome “ionizzanti”). Quelle radiazioni che hanno questa capacità, ovvero le ionizzanti (che vanno dall’alto UV fino ai raggi gamma), sono dannose per l’uomo, soprattutto per il rischio che esse possano contribuire alla produzione di cellule tumorali da parte del nostro organismo, mentre le radiazioni non ionizzanti (dal medio UV fino alle onde radio) sono totalmente innocue.

Esistono evidenze sperimentali per le quali la rete 5G possa essere dannosa per il corpo umano?

La risposta è: assolutamente no. Diversi studi sono stati fatti sulla questione, e tutti portano allo stesso risultato, e cioè che non esistono prove a suffragio della dannosità della rete 5G: lo affermano l’American Cancer Society, l’Istituto Superiore di Sanità, lo Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks (SCHEER), laFood and Drug Administration, International commission on non‐ionizing radiation protection (ICNRIP), ecc.

Il perché è facilmente intuibile: la rete wireless di cui usufruiamo ha una frequenza tale da essere collocabile tra le onde radio e le microonde che, come detto prima, rientrano tra le radiazioni non ionizzanti, e quindi non dannose per l’uomo.

 

Spettro elettromagnetico, con l’intervallo coperto dalla rete 5G

 

Torniamo, dunque, alla notizia principale.

Può la rete 5G debilitare il sistema immunitario, rendendoci facile preda per il COVID-19?

Come potrete facilmente intuire, la risposta è no, per gli stessi motivi elencati fino ad ora. La rete 5G è completamente innocua per il nostro organismo: non sortisce nessun effetto sul sistema immunitario in quanto non può assolutamente ionizzare gli atomi o le molecole del nostro organismo.

Se questa presunta ionizzazione è impossibile, vien da sé che in alcun modo la rete 5G possa far parte di una supposta debilitazione del nostro sistema immunitario. Di conseguenza, non ha favorito l’azione del COVID-19.

Quindi possiamo catalogare questa ennesima notizia collegata al 5G come una colossale fake news.

 

 

Giovanni Gallo

Addio Lorenzo, morto il giovane medico affetto da linfoma che aveva raccolto i fondi per fare l’immunoterapia negli Stati Uniti

La speranza è l’ultima a morire e questo ragazzo, in tal senso, rappresenta un gran esempio.

Lorenzo Farinelli era un giovane medico di Ancona, che a poco più di 30 anni ha dovuto fare i conti con una diagnosi: linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B. Lo scorso 1 Febbraio ci ha raccontato brevemente la sua storia in un video registrato dopo “tanta chemioterapia, radioterapia, e immunoterapia“, le quali si sono rivelate inutili per un tumore che si è mostrato resistente. Il suo appello è stato condiviso da associazioni, sportivi e politici di tutti i colori. Nonostante avesse “cominciato a perdere l’autonomia, l’uso delle gambe parzialmente, la capacità di andare in bagno da solo” il messaggio appariva ben chiaro: “Non è finita finché non è finita“. Lorenzo ha continuato a sperare e lottare fino alla fine, tanto da chiedere, attraverso il video, un supporto economico per viaggiare negli Stati Uniti ed accedere ad una terapia chiamata CAR (Chimeric Antigen Receptor) T Cell Therapy.

La metodica, che rientra nell’immunoterapia cellulare, è stata approvata nel 2017 negli Stati Uniti per il trattamento di tumori resistenti come quello di Lorenzo, e rappresenta, al momento, l’ultima speranza per tutte le persone nella sua condizione. Si sfruttano delle cellule citotossiche (linfociti T) del sistema immunitario del paziente stesso, le quali vengono estratte, modificate e reimmesse nel paziente. Queste cellule sono capaci attraverso un recettore “chimerico” di riconoscere dei segnali sulla superficie delle cellule tumorali e ucciderle selettivamente. Gli studi hanno mostrato, per la condizione di Lorenzo, una sopravvivenza a 5 anni del 60% dei pazienti sottoposti al trattamento, che altrimenti avrebbero avuto una prognosi molto sfavorevole. Si tratta comunque di una possibilità, molto costosa, ristretta a pazienti che non hanno beneficiato delle terapie classiche che al momento risulta approvata solo per due tipi di tumori. Dallo scorso anno esiste la possibilità teorica di somministrare la terapia anche in Europa nonostante la situazione sia burocraticamente nebulosa e i costi, particolarmente alti, a carico dei pazienti; ma questi sono comunque solo i primi passi.

Tuttavia dopo essere tornato a casa dall’ospedale in previsione della partenza, mentre erano in preparazione tutti i documenti per volare negli Stati Uniti, Lorenzo è morto l’11 Febbraio a causa di alcune complicanze legate alla sua condizione.

Nella lotta contro il tempo, questa volta, ha vinto il tempo. Piange la famiglia, piange Ancona, piange chiunque fosse a sostegno della causa, anche solo moralmente.

Come dichiarato nella pagina raccolta fondi, i soldi donati verranno devoluti in beneficenza per promuovere la ricerca o per supportare cause parallele a quella di Lorenzo. Perché, comunque, non si deve mai smettere di lottare e di sperare.

Ciao Lorenzo.

Antonino Micari

Qual è il futuro della lotta al cancro? – In esclusiva il Prof. Alberto Mantovani

“Immunità e salute: sfide, dal cancro ai vaccini”, questo il titolo della Lectio magistralis che il Professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas, Accademico dei Lincei e Socio corrispondente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, ha tenuto lunedì 26 Novembre nell’Aula Magna dell’Ateneo. Di fronte ad una platea affollata di medici, professori, specializzandi e studenti ha riassunto in una breve ma esaustiva trattazione, i traguardi di quello che lui ama ricordare come un “sogno”: l’immunologia applicata all’oncologia. Il Prof. Mantovani è lo scienziato italiano più citato al mondo, vanta pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche mondiali, è stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra gli ultimi il Premio Milstein, International Cytokine and Interferon Society, nel 2015, il Premio Roma allo sviluppo del Paese, nel 2016 ed il Premio Zanibelli – Leggi in salute, nel 2017, ma nonostante ciò ripete più volte di essere, citando Bernardo di Chartres, “un nano su spalle di giganti” . Noi di UniVersoMe siamo riusciti ad incontrare il Prof. Mantovani poco prima della lectio ed a fargli qualche domanda. Il professore ci ha risposto dedicandoci tutta la sua disponibilità ed esperienza.

Prof. Mantovani, i suoi studi hanno portato ad una nuova concezione della patologia neoplastica, mostrando come e quanto il tumore, per crescere, abbia bisogno di un microambiente favorevole e di un sistema immunitario “corrotto” in qualche suo elemento. Qual è il ruolo di questi due elementi nel cancro?

All’inizio del nuovo millennio l’essenza di essere cancro era stata cristallizzata in sei proprietà che avevano tutte a che vedere con la cellula tumorale. Gli immunologi, le persone come me, la pensavano un po’ diversamente. Nei primi anni del 2000 è stata accettata una visione un po’ diversa, per cui il microambiente e la nicchia ecologica in cui cresce la cellula tumorale vengono considerati di pari importanza alla cellula tumorale stessa. Ecco, della nicchia ecologica fanno parte, in particolare, componenti cellulari e molecolari della cascata dell’infiammazione. Io uso una metafora “se gli eventi genetici sono il cerino che accende l’incendio che chiamiamo cancro, i meccanismi dell’infiammazione sono la benzina che tiene acceso l’incendio”.

L’immunoterapia sembra essere la strada più promettente per una cura del cancro sempre più efficace. Tuttavia, ad oggi, lo è stata solo in un quinto dei casi dei pazienti eleggibili a questo tipo di terapia. Quali sono le strade percorse finora che hanno portato a questo piccolo ma fondamentale traguardo?

Abbiamo avuto accesso a questo nuovo mondo sostanzialmente attraverso due strade: uno è un cambio di paradigma, ovvero, come dicevo, si è accettato che il nostro sistema immunitario lavori tutto il giorno per eliminare cellule tumorali, e che il microambiente sia fondamentale per la crescita tumorale; la seconda è stata identificare i freni del sistema immunitario. Il sistema immunitario è come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità: per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori che la fanno partire e correre, ma anche di freni che le consentono di rallentare e, quando è il caso, fermarsi. Al momento siamo capaci di togliere due tra i tanti freni al sistema immunitario (CTLA4 e PD-1/PD-L1 ndr) e questi sono bastati a raggiungere questo piccolo obbiettivo. Stiamo oggi esplorando un continente nuovo.

Ha definito, nel suo ultimo libro, il tumore come un “bersaglio mobile”. In che modo sarà possibile aumentare l’efficacia dei trattamenti ed aumentare il range di pazienti eleggibili alla terapia?

La cellula T ha molti altri freni, ed altre cellule possono essere frenate. Due nuovi freni sono stati scoperti qui in Italia. Uno nel laboratorio di Carlo Riccardi a Perugia, GITR, ed un uno nel mio, IL-1R8. Si sta affacciando in questo periodo un mio editoriale sul New England Journal of Medicine in cui prospettiamo una nuova “era” di immunocheckpoints sulla cellula T, che sono al momento una promessa per il futuro dell’immunoterapia. Abbiamo anche le cellule dell’immunità innata, in particolar modo i linfociti NK, che possono essere stimolati in senso anti-tumorale. Infine la regolazione delle cellule mieloidi le quali, modificate eliminando una proteina segnale “Don’t eat me signal” CD47, hanno dato risultati clinici straordinari.

Si può ipotizzare quindi un futuro vaccino anti-cancro?

Non un vaccino anti-cancro, ma diversi vaccini anti-cancro, personalizzati. Non dimentichiamo però che esistono già due vaccini: il vaccino contro il virus del papilloma umano (HPV) e contro l’epatite B (HBV) che sono sicuramente preventivi nei confronti del cancro della cervice uterina (ma non solo) e del fegato provocati da questi virus. La prossima speranza è quella di un vaccino contro l’Helicobacter Pylori, tra le maggiori cause di cancro allo stomaco. Questi sono vaccini preventivi. I vaccini terapeutici, quelli che invece potrebbero curare il cancro quando è già presente, sono una sfida per il futuro della ricerca.

Cento anni fa con l’avvento degli antibiotici, la medicina si è plasmata intorno allo schema contrai una malattia -> prendi un farmaco -> elimini l’agente patogeno. Una metafora talmente potete che per un secolo ha guidato la farmacopea secondo questa successione. Oggi però sembra che la gerarchia del paradigma terapeutico possa essere invertita in senso ascendente. Lei ritiene che il futuro della medicina sia quindi concentrarci su una triade cellula -> organismo -> ambiente ?

Certamente è il futuro, ma questo dovrebbe già essere il presente! 
Le risorse dedicate alla prevenzione sanitaria sono ancora insufficienti in tutto il mondo occidentale. Prevenzione che però va intesa in senso trasversale così come le malattie più frequenti oggi sono sostenute da meccanismi trasversali. Vi invito a leggere il lavoro CANTOS di Paul M. Ridker pubblicato su Lancet. Un trial-clinico per la prevenzione delle complicanze dei fenomeni aterosclerotici che mostra che bloccando l’interleuchina-1 con un anticorpo monoclonale diminuisce del 50% la mortalità di cancro del polmone, si riduce il rischio di gotta, artrite e tante altre condizioni.

Per me l’immunologia è la metanarrazione della medicina contemporanea. Se non esistessero il fumo attivo e quello passivo il cancro al polmone sarebbe un tumore raro. Io abito all’ottavo piano e se non ho le valigie prendo sempre le scale, mentre oggi i bambini si alimentano male e fanno una vita sedentaria già dalla tenera età, tanto che il 10% dei bambini italiani ad oggi è obeso e tutto questo lo pagheremo caro fra qualche anno.

In definitiva, anche se migliorare l’ambiente in senso più lato è la sfida del futuro, per iniziare bastano poche raccomandazioni che io riassumo nella formula 0-5-30:
– 0 sigarette
– 5 volte al giorno frutta e verdura fresca  
– 30 minuti al giorno di esercizio fisico.


Grazie ad i suoi studi oggi possiamo affermare che un ambiente infiammatorio favorisce la progressione del cancro. In termini evoluzionistici, lei come si spiega che un meccanismo innato difensivo come l’infiammazione abbia in questi casi un effetto negativo?

È stato pubblicato tempo fa un lavoro molto importante sul New England in cui veniva detto che “il cancro sono ferite che non si rimarginano”. Ci si riferisce al fatto che l’oncogenesi è un meccanismo di riparo dei tessuti che va fuoristrada. La riparazione dei tessuti è una priorità per l’organismo ma quando la stimolazione della crescita cellulare è esagerata l’ambiente infiammatorio ha una azione oncoprogressiva.

Nel suo libro “Non aver paura di sognare” stila un decalogo per gli aspiranti scienziati. Quali sono i tre punti che, secondo lei, sono necessari per i giovani che vogliono cimentarsi in questa avventura?

Il primo senza dubbio la passione. Sono innamorato del mio lavoro. Anche se sono vecchio (ride), ieri ho iniziato a lavorare nel primo mattino, dopo un’ora di corsa, ed ho finito alle 23, perché sono appassionato di ciò che faccio! Il secondo è il rispetto dei dati, ed è questo un messaggio che, chi fa medicina e chi fa scienza, deve sempre osservare. E’ in verità un messaggio che dò all’intera società, che avrebbe bisogno di imparare a tenere in considerazione i dati. In ultimo, non per importanza, la voglia di cambiare il mondo intorno a sè, e chi fa scienza e chi fa medicina deve aver voglia di cambiarlo.

Alessio Gugliotta,Antonio Nuccio

Vaccini tumore-specifici, uno spiraglio di luce

Piccoli passi possibili: sono quelli che, progressivamente, l’immuno-terapia oncologia sembra capace di compiere nella lotta al tumore.

Si può facilmente consultare sulla rivista “Nature”,  l’esito positivo di una terapia sperimentale sviluppata in due distinti laboratori di ricerca, uno a Boston – Massachusetts, l’altro a Meinz – Germania. I due diversi team guidati rispettivamente da Catherine Wu ed Ugur Sahin, sono stati in grado di elaborare un vaccino anti tumorale specifico per i loro pazienti, tutti affetti da melanoma (= in questo caso le cellule malate sono quelle della pelle).

Gli studiosi hanno quindi sfruttato il razionale che sta alla base del comune vaccino – ovvero una soluzione contenente materiale biologico inattivo, o comunque, incapace di scatenare un’infezione violenta, assieme anche ad altre molecole coadiuvanti-  al fine di stimolare nel sistema immunitario una risposta anti-tumorale specifica. Come? Sfruttando l’evidenza per cui alcune componenti del nostro sistema immunitario (immaginatevelo come un qualcosa di molto più potente della stessa US. Army) sono in grado di riconoscere specifici antigeni presenti sulle nostre cellule, attivarsi (a determinate condizioni, sulle quali si gioca tutta l’attività dei ricercatori, fondamentalmente) e mandare in lisi le stesse.  Infatti, grazie alle ultime, assai versatili, tecnologie sviluppate negli ultimi anni, i ricercatori sono riusciti a sequenziare i geni codificanti per proteine nel tumore di ciascun paziente. Dopodiché sono stati attenti nello scegliere quelle proteine mutate che più verosimilmente avrebbero potuto determinare una risposta del sistema immunitario, utilizzandole, così, per preparare la base dei vaccini specifici.

Entrambi i gruppi di ricerca hanno quindi potuto concludere i loro lavori riportando l’esito positivo riscontrato nel trattamento del melanoma con questo mezzo assolutamente innovativo.

I risultati di queste ricerche, pertanto, dimostrano che “l’immunoterapia dei tumori sta facendo passi da gigante”, commenta Michele Maio, direttore del Centro di Immuno-oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Siena.  Anche Cornelius J.M. Melief, parte del dipartimento di Immuno-ematologia dell’Università di Leiden, conclude la sua presentazione al lavoro della Wu e Shain affermando: “Entrambe le ricerche confermano il potenziale di questo tipo d’approccio terapeutico al tumore, nonostante non si possa ancora parlare di validità assoluta, considerato il numero esiguo di pazienti coinvolti; il passo successivo sarà proprio continuare a provare con un maggior numero di partecipanti, in modo da poter stabilire con esattezza l’efficacia di questo trattamento terapeutico contro tutti quei tipi di cancro che producono abbastanza mutazioni da poter fornire sufficienti antigeni tumorali, necessari in questo tipo di approccio.

Ivana Bringheli

 

Può una chiamata provocare un tumore?

Recentemente un dipendente di Telecom si è ammalato di neurinoma, un tipo di tumore benigno a carico del sistema nervoso. Purtroppo una volta sottopostosi all’asportazione del nervo acustico, è diventato sordo. La persona in questione ha visto riconosciuto il danno professionale e ottenuto un risarcimento, in quanto il tribunale di Ivrea ha ritenuto plausibile il collegamento tra l’uso intenso del cellulare per lavoro e l’insorgere del tumore. Pochi giorni dopo il tribunale di Firenze è arrivata a simile conclusione per un altro lavoratore. In passato c’è stata un’altra sentenza simile risalente al 2009 a Brescia.

Innanzitutto c’è da dire che una sentenza di tribunale non è un riconoscimento scientifico: dopo queste sentenze non abbiamo nessun elemento in più per valutare se esista o meno una correlazione tra l’uso dei cellulari e i tumori. I giudici decidono con criteri differenti da quelli scientifici, la domanda a cui devono rispondere è se la persona danneggiata dal tumore abbia o meno diritto ad un indennizzo, o all’invalidità professionale, cosa che dipende solo parzialmente dalle nostre conoscenze sul legame causale.

Il principale lavoro di rassegna sull’argomento è quello svolto dall’IARC, che, nel 2013, ha classificato le esposizioni alle onde radio dei telefoni cellulari come “possibili cancerogeni” (categoria 2b). L’articolo analizza in dettaglio tutti gli studi disponibili, sia epidemiologici sia su animali che in vitro, trovando una debole evidenza relativa a due tipi di tumori, il glioma e, appunto, il neurinoma acustico.

Su quasi un centinaio di studi analizzati dall’IARC, metà dei quali scartati per scarsa qualità, solo pochissimi mostrano un aumento dell’incidenza di tumori. Questi sono stati svolti indipendentemente e il gruppo di ricercatori ha ottenuto gli stessi risultati solo in alcuni dei lavori. Gli studi in vitro non mostrano in generale effetti, se non a potenze molto elevate, in grado di produrre un riscaldamento apprezzabile dei tessuti.

C’è da aggiungere che non esiste alcun effetto fisico noto che possa giustificare un’azione delle onde radio, alle frequenze alle quali siamo più esposti, sui tessuti viventi e sul DNA, che dovrebbe essere alla base dei risultati osservati nei pochi studi che ne evidenziano.

Per tutte queste ragioni l’IARC ha ritenuto che gli studi in vitro o su animali non forniscano evidenze utilizzabili per valutare la cancerogenicità delle onde radio, e si è focalizzata sugli studi epidemiologici. Di questi, i soli che hanno mostrato alcuni effetti, sono relativi al neurinoma e al glioma.

In sintesi il centro di ricerca ha constatato che esiste una possibilità che il cellulare causi un neurinoma (o un glioma), ma è improbabile che questa possibilità sia reale. Nelle conclusioni si sottolinea inoltre che la decisione sulla classificazione come “possibile” (ma non “probabile”) cancerogeno è stata presa a maggioranza, con una consistente minoranza che optava per una classificazione in categoria 3, “cancerogenicità non valutabile”. Questi ricercatori sottolineavano come tutti gli studi di popolazione mostrano che tutti i tumori considerati, inclusi i neurinomi, non sono assolutamente aumentati nel tempo, nonostante la rapida diffusione dell’uso dei cellulari.

Va sottolineato come la valutazione dell’IARC si riferisca solo al collegamento tra uso intenso del cellulare e alcuni tumori cerebrali, in pratica solo il glioma e il neurinoma. Sono esclusi gli effetti dovuti a wireless, wifi, ripetitori, bluetooth, e anche l’uso normale del cellulare, e tutti i tumori differenti da quelli esplicitamente indicati. Ovviamente questo non ci deve in alcun modo far arrivare a conclusione che tali onde causino tumori cerebrali.

In generale non vi è alcuna  conoscenza sui possibili effetti, al nostro organismo, causati da questa enorme mole di nuove tecnologie. Queste si stanno diffondendo molto velocemente e sempre di più le utilizziamo quotidianamente. Unico modo per poter evitare un’eccessiva esposizione è la presa di alcuni accorgimenti: utilizzare il cellulare attraverso gli auricolari e utilizzarlo in ambienti in cui il segnale sia alto, così da minimizzare le onde rilasciate dallo strumento. Infine non fa di certo male smettere di utilizzarlo in continuazione: a pranzo, al cinema, durante una passeggiata, al bar, al mare…ogni tanto cercate di dimenticarlo.

Francesco Calò