Caso TikTok: origini, sviluppi e controversie. Tutto quello che c’è da sapere

TikTok è un social network cinese nato nel 2016.
Le sue origini, tuttavia, risalgono al 2014, quando viene lanciata la prima versione di musical.ly.

In seguito il servizio è stato acquisito dalla compagnia, sempre cinese, chiamata ByteDance.
In questo modo cambia la gestione del servizio: il nome sarà TikTok per il mercato mondiale, mentre per il mercato cinese prenderà il nome di Douyin.
Douyin è la versione cinese di TikTok, in linea con le disposizioni e le regole imposte dal governo cinese.

La risposta indiana

Nel 2019 era stato chiesto al governo indiano di vietare l’app, con le seguenti motivazioni: “incoraggia la pornografia” e mostra “contenuti inappropriati”.
TikTok era stata vietata dall’India, nonostante la rimozione da parte di Byte Dance di oltre 6 milioni di video che violavano le loro norme e linee guida sui contenuti.
Pochi giorni dopo il divieto è stato revocato a seguito di un appello dello sviluppatore.

La questione si è riaperta lo scorso giugno, quando TikTok insieme ad altre 58 app cinesi viene bandita a tempo indeterminato. La motivazione è di ordine politico: l’app infatti rappresenterebbe una minaccia alla sovranità e alle questioni di politica interna.

Le prime controversie

I primi dubbi sulla sicurezza dell’app sono sollevati dal famoso gruppo di hacktivisti Anonymous.
Questi infatti invitano, in un loro tweet, a “Cancellate TikTok in questo stesso momento” perchè si tratta di “una colossale operazione di sorveglianza di massa.”

L’accusa pare essere fondata da un’analisi concreta dei dati: un utente di reddit avrebbe infatti compiuto un’analisi con reverse-engineering dell’app, scoprendone i meccanismi.
Per gli addetti ai lavori, qui è possibile leggere qualcosa.

La posizione degli Stati Uniti

Un prima dichiarazione, dopo gli sviluppi di cui sopra, proviene dal segretario di Stato americano Mike Pompeo. Lo scorso luglio aveva infatti dichiarato che il governo stava valutando la possibilità di vietare TikTok.
La motivazione: acquisizione dei dati dei cittadini americani non autorizzata e in server cinesi.

A quel punto la famosa app poteva salvarsi solo con un processo di acquisizione da parte di una società molto americana. Questo infatti era l’unico modo per evitare il ban dagli USA.

Microsoft si era fatta avanti, intraprendendo le trattative.
In un primo momento ByteDance cercava di mantenere una partecipazione di minoranza ma in seguito aveva accettato di cedere TikTok a titolo definitivo.
Il primo accordo prevedeva che in caso di acquisizione, Microsoft sarebbe stata l’unica autorizzata nella gestione dei dati.

Nel frattempo, il 14 agosto scorso, Trump concede a ByteDance 90 giorni per vendere TikTok negli Stati Uniti, pur rimanendo diffidente nei confronti della società cinese.

Il 13 settembre Microsoft annuncia, in un comunicato ufficiale, che ByteDance non avrebbe venduto loro TikTok.

https://blogs.microsoft.com/blog/2020/09/13/microsoft-statement-on-tiktok/

Gli ultimi sviluppi

È recente l’annuncio del presidente Trump circa il divieto di WeChat e TikTok dal territorio americano.
A partire da domani, le due app saranno rimosse dagli app store e non sarà più possibile compiere operazioni di pagamento con le stesse.

Per TikTok tuttavia le restrizioni partiranno dal 12 novembre, in quanto è attualmente in corso una trattativa con la società americana Oracle.
Fino a quel momento non sarà possibile aggiornare l’app, ma chi la possedeva già potrà continuare ad usarla.

Angela Cucinotta

Trump vuole ritirare gli USA dall’OMS nel 2021. Ma i dem dicono no

Viva Trump che toglie la paghetta all'Oms filocinese - Giovanni ...

Con la notifica formale al Congresso, e al Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, il presidente Usa Donald Trump ha ufficialmente ritirato gli Usa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata dal tycoon di inefficienza e di appiattimento sulle posizioni della Cina durante la pandemia di Covid-19. La data di uscita, al termine della procedura prevista, è il 6 luglio 2021, nel frattempo gli Stati Uniti dovranno rispettare impegni e obblighi finanziari. Il bilancio annuale dell’OMS è di circa 6 miliardi di dollari, che provengono dai paesi membri di tutto il mondo. Nel 2019 gli Stati Uniti hanno contribuito con più di 400 milioni di dollari, circa il 10 per cento dei finanziamenti totali. Una sospensione potrebbe dunque avere conseguenze molto pesanti. Oggi, l’amministrazione Trump ha formalmente inviato un avviso al Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato. Il ritiro sarà effettivo tra un anno e Joe Biden, il probabile avversario democratico di Trump alle presidenziali del 3 novembre prossimo (vedi il nostro precedente articolo), è praticamente certo di scongiurarlo e di rimanere nell’OMS se vincerà le elezioni di novembre.

 

https://www.facebook.com/joebiden/posts/10157194265531104

 

I parlamentari Dem hanno accusato Trump di aver cercato di distogliere le critiche dalla sua gestione della pandemia negli Stati Uniti, che ha subito di gran lunga il più alto numero di morti di qualsiasi nazione. “Chiamare la risposta di Trump al coronavirus caotica e incoerente non le rende giustizia“, ha detto il senatore Robert Menendez, il massimo esponente democratico della commissione per le relazioni estere. “Questo non proteggerà le vite o gli interessi americani – lascia gli americani malati e l’America da sola“, ha scritto su Twitter.
(Fonte Rai News)

 

 

Le accuse di Trump all’OMS proseguono da tempo: il 14 aprile il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato di voler sospendere temporaneamente i finanziamenti all’Organizzazione mondiale della sanità, in attesa di un’indagine che ne verificasse «il ruolo nella cattiva gestione e insabbiamento della diffusione del coronavirus». La principale accusa del presidente americano era poi che pur essendo in gran parte finanziata dagli Stati Uniti l’organizzazione avesse avuto un’attenzione particolare per la Cina. A maggio era tornato a minacciare l’interruzione dei rapporti dicendo che l’OMS non aveva saputo affrontare adeguatamente l’emergenza coronavirus perché sotto il «totale controllo» della Cina.
(Fonte Il Post)

Dunque non ci resta che aspettare le prossime elezioni per capire se realmente il tycoon riuscirà a estromettere gli Stati Uniti dall’OMS che nel 1948 aveva contribuito a fondare.

 

Santoro Mangeruca

Si va verso le elezioni presidenziali USA: ecco le modalità, i candidati e le previsioni

Le 59esime elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America si terranno il 3 novembre 2020.
Ma quali saranno le modalità? Chi sono i candidati? E quali sono gli sviluppi recenti?

Come voteranno gli americani: la legge elettorale

Si tratta di elezioni “indirette”.
Significa che il 3 novembre i cittadini voteranno quelli che sono definiti “grandi elettori”, i quali formeranno poi il Collegio Elettorale.
Ogni Stato votando, con la sua legge elettorale e in base alla sua grandezza, contribuirà alla formazione del Collegio Elettorale: 538 membri in tutto.
Sarà poi il Collegio ad eleggere presidente e vice presidente, il 14 dicembre 2020.

Ogni membro del Collegio Elettorale è legato alla lista di un candidato presidente, quindi è molto improbabile che dopo voti per un diverso candidato presidente.

I protagonisti

Donald Trump, attuale e 45esimo presidente USA

Trump ha iniziato la sua campagna elettorale meno di un mese dopo l’assunzione della carica, cioè già nel 2017.
Tuttavia nell’ultimo periodo le controversie sono aumentate.
Il presidente ha infatti alle spalle il processo di impeachment, di cui è stata presentata una richiesta formale il 12 luglio 2017.
Diventa così il terzo presidente ad essere messo sotto accusa, dopo Johnson e Clinton.
L’accusa riguardava il tentativo di Trump di ostacolare le indagini per il caso Russiagate (interferenza russa nelle elezioni del 2016).

In questi ultimi giorni invece c’è un’aria fortemente critica nei confronti del presidente: il modo in cui ha gestito l’emergenza Coronavirus e le proteste dei movimenti Black Lives Matter hanno fatto discutere parecchio.

Anche gli stessi esponenti dell’ala repubblicana sembrano incerti.
Recentemente Colin Powell (ex segretario di Stato di George W. Bush, quindi repubblicano) ha dichiarato: “Non ho votato per lui allora” e “non posso certamente sostenerlo quest’anno”.

Chiaramente, queste controversie non sono da considerarsi come l’unica prospettiva, che lo da per spacciato.
C’è ancora molto tempo perchè Trump ribalti la situazione in suo favore, organizzando un’efficace strategia comunicativa, come spesso in passato ha dimostrato di saper fare.

Così potrebbe essere interpretato il suo recente Tweet a proposito dei lavori di costruzione del muro lungo il confine con il Messico.

 

Joe Biden, il candidato per i Democratici

Ex vicepresidente di Barack Obama (dal 2009 al 2017), è stato soprannominato da Trump “Sleepy Joe”.
È un democratico moderato ed ha un programma progressista. Di seguito, sinteticamente, i punti principali:

  • Sanità: ripartire dall’Obamacare, riforma sanitaria attuata da Obama e da sempre contrastata da Trump. Questa prevede l’aumento del numero di persone tutelate dal sistema sanitario che secondo l’attuale presidente, invece, costerebbero troppi agli americani.
  • Economia: investimenti in infrastrutture per far crescere il numero di posti di lavoro per la classe media.
  • Armi: ha intenzione di attuare provvedimenti per adottare misure stringenti sull’uso di armi da fuoco.
  • Immigrazione: Biden ritiene l’immigrazione una risorsa per il paese. Vuole cancellare il Travel Ban (legge che vieta l’ingresso in USA ai cittadini provenienti da Paesi a maggioranza musulmana).

La dichiarazione del rapper Kanye West

Recentemente il rapper Kanye West ha dichiarato, in un tweet, di volersi candidare per le elezioni 2020.
Tuttavia il suo staff non ha ancora ufficializzato l’annuncio.

In ogni caso, tale dichiarazione ha suscitato diverse perplessità.
Il rapper era sempre stato un forte sostenitore di Trump, quindi non è ancora chiaro il motivo della sua mossa.

Angela Cucinotta

Uccisione Soleimani: l’Iran emette un mandato d’arresto per Trump e alcuni americani

È stato annunciato ieri, dal procuratore capo di Teheran, il mandato d’arresto internazionale per “omicidio e terrorismo” nei confronti del presidente americano Trump e di un’altra trentina di persone, tra militari e civili.
La motivazione è l’uccisione dell’influente generale iraniano Qassem Soleimani, lo scorso gennaio.

Il generale era una figura di spicco, capo infatti delle milizie al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione, la forza d’élite dell’esercito della Repubblica islamica.

Ma cosa è accaduto lo scorso gennaio?

Il 3 gennaio 2020 un attacco drone statunitense ha ucciso il generale sull’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq.
Tuttavia, per comprendere questa azione è necessario che si ricordi anche il contesto precedente.

In Iraq, tempo prima, era stato ucciso un contractor americano (che è un soldato professionista con contratto per svolgere attività militari) a causa del lancio di alcuni razzi.

Il presidente Trump, in risposta, aveva richiesto quindi un raid contro la milizia irachena coinvolta nell’attacco, e fortemente legata all’Iran.

Al raid americano gli iracheni, probabilmente spinti dall’Iran, reagiscono assaltando l’ambasciata USA a Baghdad creando diverse proteste violente. È il 31 dicembre 2019.

Assalto ambasciata USA a Baghdad, ilsussidiario.net

La risposta americana alle immagini delle violenze dei manifestanti alle strutture dell’ambasciata è repentina: il 3 gennaio 2020, Trump ordina l’attacco aereo che ucciderà il generale Soleimani.

L’Iran aveva promesso di vendicarsi e adesso è stato emesso il mandato d’arresto.
Teheran, la capitale dell’Iran, ha chiesto l’emissione di una “red notice” all’Interpol.
Questo sistema prevede che venga inviata una richiesta alle forze di polizia mondiali di localizzare e mettere in fermo una persona.
Tuttavia, già ieri, è stato dichiarata la volontà di non prendere in considerazione una richiesta del genere.
L’organizzazione infatti non può compiere atti di natura politica, o che influenzino le relazioni politiche tra le nazioni.

Anche se ufficialmente il mandato d’arresto non verrà formalizzato, l’Iran ha voluto compiere un’azione di grande impatto che risuona in tutti i media internazionali.

Un’altra vendetta l’Iran l’aveva compiuta all’inizio di questo giugno.
Il 9 giugno infatti è stata dichiarata la condanna a morte di Mahmoud Mousavi Majd. L’uomo, un cittadino iraniano, è stato dichiarato colpevole di spionaggio.
L’accusa è quella di aver lavorato per conto della Cia e del Mossad, agenzie di intelligence rispettivamente americana e israeliana.
Tra le informazioni fornite ci sarebbe anche la localizzazione del generale Soleimani. Il portavoce della magistratura iraniana, Gholamhossein Esmaili, ne aveva annunciato l’imminente impiccagione.

Sul mandato d’arresto gli esperti suggeriscono si tratti di una mossa propagandistica, tipica della narrazione iraniana sulla volontà di non voler essere da meno nelle dimostrazioni di forza con gli Stati Uniti.

Anche per questo motivo i media statunitensi e il presidente Trump al momento non stanno riservando particolari attenzioni all’emissione di questo mandato d’arresto.
Tuttavia non sono esclusi nuovi sviluppi, perchè il confornto Iran-USA di certo non finisce qui.

Angela Cucinotta

Usa, ultime stime Coronavirus: probabili 23 milioni di contagiati

Gli Stati Uniti affermano di star riaprendo in sicurezza e in maniera responsabile, nonostante un’impennata dei casi in alcune aree del sud del Paese.

Lo ha detto il vicepresidente americano Mike Pence, quasi un messaggio inviato a Bruxelles e all’Europa nelle ore in cui la commissione UE sta decidendo se riaprire i propri confini ai turisti americani.

Per Pence l’aumento dei casi è proporzionale al numero elevato di test condotti, tesi condivisa da Donald Trump, smentita solo in parte dagli esperti, perché le stime allarmanti di queste ore dove sarebbero in realtà 10 volte maggiori i contagi negli Usa si basano sui campioni di sangue raccolti su scala nazionale, provette che rivelano la presenza di anticorpi, come spiegato dal Cdc.

Anthony Fauci, il virologo a capo della task force organizzata della Casa Bianca, ha espresso grande preoccupazione per quello che è diventato “un grave problema”, così ha definito il boom di contagi in alcuni Stati.

Le parole arrivano, stridenti, subito dopo la tentata rassicurazione sulla situazione.

“Indossate la mascherina per non diffondere il virus”, ha ribadito con vigore l’epidemiologo Fauci, affinchè venga contrastata la diffusione del Covid.

Tutte alte sfere della Casa Bianca hanno espresso la ferma volontà che il Paese riapra e che l’economia riparta, ma tutto ruota attorno alla grave e destabilizzante possibilità che si possa propagare il virus in modo inconsapevole.

In un suo tweet Donald Trump ha fatto riferimento al tasso di mortalità come “uno dei più bassi del mondo”, richiamando il dato dei decessi da Covid in netto calo.
Il cinguettio è stato poi concluso col solito spirito provocatorio:

 La nostra economia sta ripartendo e non sarà chiusa di nuovo.

Il comunicato social di Donald Trump suona come un monito a quegli stati Usa che, travolti da un’ondata di contagi stanno cominciando a frenare sul ritorno alla normalità.

Le parole del capo della White House sono apparse subito in contrasto con le stime promulgate dal direttore del Centers for Disease Control and Prevention: per ogni caso di Coronavirus accertato ci sarebbero almeno altre dieci persone infette, questo l’allarme lanciato da Robert Redfiled, massima autorità federale in materia di salute pubblica.

Anthony Fauci, il massimo esperto ingaggiato come consulente medico gestionale dal governo americano, ha ammesso che dal punto di vista strategico qualcosa non sta funzionando.

Timore confermato del resto dai numeri usciti questo week-end che ha fatto registrare 400 mila nuovi casi e 2.500 vittime.

Le autorità sanitarie stanno dunque vagliando un nuovo approccio, quello dei “pooltesting”: fare i test su più persone contemporaneamente per individuare più rapidamente i casi di contagio e procedere con il conseguente ed immediato isolamento.

La task force guidata dal VP Mike Pence starebbe lavorando all’abolizione dell’ObamaCare, la riforma sanitaria di Barack Obama ritenuta incostituzionale, con l’amministrazione Trump che ha chiesto alla Corte Suprema americana di cancellarla. Un colpo basso con finalità elettorale, che significherebbe privare dell’assicurazione sanitaria milioni di americani in piena pandemia, quello che è stato definito come un vero e proprio “atto di incomprensibile crudeltà”.

La situazione si fa sempre più drammatica in Florida e Texas, dove sono scoppiati un boom di 9000 nuovi contagi ed oltre 16 mila casi in tre giorni nella zona texana; rimane invece critico il contesto newyorkese, con la metropoli letteralmente in ginocchio.

L’America, apparentemente grande e invincibile, soffre e combatte un nemico invisibile ed un Presidente che pare essere più interessato alle elezioni che alla salute del suo paese.

Antonio Mulone

Il comizio di Trump è flop. Sospetto sistema di boicottaggio partito da TikTok

A Tulsa, in Oklahoma, doveva andare in scena il ritorno in pompa-magna del Presidente Trump ai comizi, con 1 milione di persone registrate (secondo il suo staff). Ma se ne sono presentate molto meno, anche per l’ingegnosa trovata di alcuni utenti di TikTok

Tenendo fede al suo stile, il Presidente degli Stati Uniti ce l’aveva messa tutta per fare del suo ritorno in campo un momento di tensione: oltre alle parole incendiarie e provocatorie delle scorse settimane sulle manifestazioni contro il razzismo, c’era stata la scelta della data per il primo comizio dall’inizio della crisi coronavirus, e cioè il 19 giugno, che era parso uno sfregio al movimento Black Lives Matter e agli afroamericani, poichè proprio il “Juneteenth” – ovvero il giorno che commemora la liberazione degli schiavi dopo la Guerra civile – e proprio a Tulsa, nel 1921 una folla di suprematisti bianchi avevano massacrato dozzine di neri nel quartiere di Greenwood.

Troppe le polemiche, alle quali il presidente col ciuffo bizzarro c’ha da sempre abituato, che hanno fatto sì che l’evento venisse spostato al 20, il giorno seguente.

Brad Parscale, il manager della campagna di Donald Trump, aveva annunciato raggiante che per la convention di Tulsa erano arrivate un milione di prenotazioni virtuali, sebbene i contagi fossero in aumento sensibile in tutto lo stato ed ai partecipanti non fosse richiesto né il distanziamento fisico né le mascherine.

Sembrava la serata perfetta per l’inizio della riscossa trumpiana dopo mesi durissimi. E invece Trump non è neanche riuscito a riempire l’arena indoor da 19mila posti: la parte superiore delle tribune era completamente vuota. Un flop, ammesso anche dai repubblicani, che l’ha costretto ad annullare il discorso programmato su un grande palco allestito all’esterno, predisposto per i 40 mila partecipanti che non ce l’avrebbero dovuta fare a entrare.

L’episodio ha del sorprendente se lo si considera alla luce del fatto che l’Oklahoma è uno degli stati americani più conservatori e, dunque, un territorio chiave in vista delle elezioni di novembre.

Fattore scatenante dell’accaduto sarebbero giovanissimi utenti di TikTok –la piattaforma social più in voga al momento tra la generazione 2.0- che avrebbero fatto incetta di prenotazioni gratuite per l’evento, scegliendo poi di non presentarsi sabotando l’attesissimo comizio.

Un’azione boicottatrice, nei confronti di colui che viene appellato proprio sulle piattaforme social come “incitatore all’odio”, coordinata da adolescenti che a colpi di like avrebbe ridotto i 100mila partecipanti attesi al Bank of Oklahoma Center a poco di meno di un quinto, per la gioia dei giornali anti-Trump entusiasti per questo scacco matto al re.

L’unica cosa certa è che molti utenti di TikTok, nei giorni antecedenti al comizio di Tulsa, hanno iniziato a pubblicare video in cui confessavano con toni beffardi di essersi iscritti all’evento, invitando altri follower a fare altrettanto. Post simili su Instagram e Twitter hanno registrato migliaia di like e di condivisioni. All’indomani dello scherzo, mentre questi messaggi sobillatori sono spariti per non lasciare traccia, diverse testate hanno riferito di adolescenti che si sarebbero uniti a quest’azione di trolling.

C’è però un fatto da precisare su quanto successo a Tulsa: i biglietti prenotati dagli utenti, essendo gratuiti e illimitati, non hanno di fatto impedito a nessuno di entrare fisicamente nell’arena, in quanto rappresentano soltanto un sistema di monitoraggio che le campagne usano per tastare i flussi delle folle che potrebbero partecipare all’evento.

Dallo staff di Trump hanno fatto sapere di aver già scremato le prenotazioni da quelle giudicate false, eppure qualcosa è andato storto.

Un presunto ruolo decisivo nella campagna di disturbo l’avrebbero giocato anche gli ascoltatori del pop sudcoreano: una vera forza sui social network coinvolta anch’essa nel blitz virtuale a favore della giustizia sociale contro Trump.

All’inizio del mese, ad esempio, i fan del K-pop avevano fatto proprie le battaglie antirazziste, attraverso meme e slogan.
È vero anche che per ora i dati certi sull’efficacia di questa azione collettiva non esistono, ma di certo un qualche impatto c’è stato.

Uno dei primi video di TikTok che invitava a prenotare i biglietti per il comizio e lasciare Trump “in piedi da solo sul palco” è stato realizzato dalla Alexandria Ocasio-Cortez, deputata dei Democratici:

“Ti sei appena beccato una sberla dagli adolescenti su TikTok”, ha twittato al presidente..

Lo staff del presidente ha scaricato la colpa sui media, rei di aver spaventato i suoi supporter con i rischi di contagio, che peraltro erano reali, ed inoltre sui dimostranti accusati infondatamente di aver impedito l’accesso ai sostenitori politici.

I repubblicani trumpiani comunque respingono categoricamente l’ipotesi di una rivolta a colpi di Tik Tok. Parscale, ha evidenziato che i troll di sinistra “non sanno di cosa stanno parlando o come funzionano i nostri comizi”, perché in realtà ogni partecipante sarebbe stato contattato sul suo numero di cellulare dopo un’accurata cernita di iscrizioni e che il vero deterrente che avrebbe causato la mancata partecipazione di massa, come ha sostenuto Tim Murtaugh – il portavoce della campagna di Trump – sarebbe stato il timore di proteste violente.

La dinamica della vicenda dunque non è ancora chiara, ma l’unico dato certo è che: TikTok 1 – Donald Trump 0.

Antonio Mulone

Salvate la Route 66: On the road again

La United States Route 66, anche meglio conosciuta come Route 66 è stata una delle prime highway (strade nazionali) federali. Inaugurata nel 1926, attraversando ben 8 stati, fu un sogno di speranza per tutti coloro che partivano per il West alla ricerca di fortuna.

Il più famoso di loro, Jack Kerouac, ce l’ha raccontata nel suo più celebre romanzo, On the road, e da allora la Route 66 è ricordata come l’essenza del viaggio stesso, quello libero e aperto ad ogni avventura immaginabile. Per non dimenticare Bonnie & Clyde, la coppia diabolica di criminali (anche un po’ invidiata, dai), fece tappa a Joplin proprio sulla Route 66.

 Quel viaggio alla scoperta del mondo o, per meglio dire, di se stessi.

“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.

Dove andiamo?

Non lo so, ma dobbiamo andare.” Kerouac – Sulla strada

La 31esima edizione del rapporto del National Trust for Historic Preservation ha inserito proprio la Route 66 tra gli 11 siti storici Usa più a rischio. La strada, storicamente usata per sfuggire verso ovest, tra le tappe più suggestive incontra il Painted Desert (Deserto dipinto), il Grand Canyon e il Meteor Crater in Arizona. 3755 km in cui la natura esplode tra deserto e pianure, adesso in degrado con stazioni di servizio fatiscenti, pittoresche insegne a neon cadenti e motel improponibili.

Salvarla è possibile solo riclassificandola come National Historic Trail (percorso storico nazionale), ma si tratta di una corsa contro il tempo: prima il Senato deve approvare una legge e Trump deve firmarla, entro la fine dell’anno. Questa potrebbe essere una (rara) occasione, per il Presidente Trump, di unire il Paese, salvando la ‘Main street of America” o quella che John Steinbeck battezzo’ nel suo romanzo Furore come ‘la Mother road‘.

Un atto che garantirebbe i necessari stanziamenti annuali per garantire lo sviluppo economico e ridare vita a quelle piccole città lungo la strada che per anni sono sopravvissute grazie al passaggio dei viaggiatori.  Ma il tempo stringe: la proposta deve essere approvata dal presidente Trump entro la fine dell’anno, quando scadrà il National Route 66 Corridor Preservation Program, la legge federale che assicura finanziamenti per la ‘Mother Road’ dal 1999.

Serena Votano

Comincia il conflitto economico. La vendetta del made in USA e la Cina bullizzata

È guerra commerciale tra Cina e Usa. Un botta e risposta, attacco e contrattacco, iniziato proprio oggi, nelle prime ore del 6 luglio 2018. Una data che sembra solo l’inizio di un escalation al rialzo. Tra import ed export, i colossi industriali mondiali hanno alzato un muro di dazi ed il gioco delle parti avrebbe affidato a occidente la parte del cattivo, il “bullo”, e ad est la vittima bullizzata.

O meglio sarebbe stata la Cina stessa a volersi prendere questo ruolo, non scevra di colpe. In maniera del tutto insolita ma non priva di significato, Pechino ha infatti rinunciato a «sparare il primo colpo», non ha voluto far scattare i dazi alla sua mezzanotte, dove il fuso orario avrebbe dato alla Cina la possibilità di muoversi per prima; il governo ha ordinato di aspettare fino a mezzogiorno ora locale, la mezzanotte di Washington (le 6 del mattino in Europa). Una mossa che starebbe a dimostrare la riluttanza di Xi Jinping a impegnarsi in un conflitto commerciale.

Proprio al contrario di Donald Trump, che questa guerra sembra volerla con tutte le sue forze, convinto di poter piegare la Cina, senza però – siamo abituati ai paradossi del tycoon- compromettere «la grande relazione personale» che lega i due colossi dell’economia mondiale.

Washington, accusa la Cina di furto di know-how americano (ed europeo) in preparazione del suo piano Made in China 2025 per la supremazia tecnologica soprattutto per quanto riguarda l’hi-tech.

«La situazione dell’interscambio tra i nostri due Paesi non è più sostenibile. Gli Stati Uniti non possono più tollerare il furto di tecnologia e proprietà intellettuali da parte della Cina», ha detto Trump.

Dazi del 25% su 818 prodotti cinesi – meno dei 1300 annunciati – per un controvalore di 34 miliardi di dollari. Dai veicoli elettrici ai torni industriali impiegati dalle fabbriche negli Stati Uniti. Sono graziati gli smartphone, per non danneggiare la Apple, che conta sulle catene di montaggio cinesi per assemblare i suoi gadget.

Il contrattacco è arrivato, poi, dalla Cina che ha già preparato una lista di altri 700 prodotti per colpire proprio quella fetta di repubblicani che stanno con Donald: campo agricolo-alimentare, automobilistico e del petrolio grezzo,

Il presidente americano, non curante delle dichiarazioni della Repubblica Popolare, avverte che nel mirino ci sono già altri 300 miliardi di beni da colpire, l’intero export di beni e servizi da parte della Cina verso gli Stati Uniti.

Il Ministero del Commercio di Pechino ha definito l’atteggiamento americano un vero e proprio «Bullismo economico» che può mettere a rischio la catena industriale globalizzata e la ripresa mondiale.

Intanto, alla stampa cinese è stato ordinato di tenere bassi i toni: in una velina ministeriale si specifica che «Bisogna prepararsi a un conflitto prolungato»: non si dovranno rilanciare gli attacchi verbali di Trump, non far scadere il confronto nella volgarità su Twitter e bisognerà riprendere le dichiarazioni rassicuranti delle autorità di Pechino per sostenere la Borsa.

Un conflitto dell’interscambio che molti prospettano come lungo e “di trincea”. L’amministratore delegato della Dell, la nota multinazionale americana dei computer e sistemi informatici, ha già parlato di «MAD», Mutual assured destruction.

Sì, quella stessa distruzione assicurata di cui si parlava negli anni della Guerra Fredda.

Che a questo punto potremmo dire che non si sia mai conclusa.

Martina Galletta

Bambini in gabbia. Il fallimento della presidenza Trump

I bambini non si toccano. E’ un imperativo che governa il mondo. In tutte le menti, in tutti i momenti e le epoche. Tranne laddove a prevalere è la staticità di un’ideologia, che tira dritta come un treno senza fermate e, quindi, senza passeggeri.

Il capotreno questa volta, in questa epoca, è Trump, verso un obiettivo unico che ha sempre sbandierato, senza se e senza ma: bloccare l’immigrazione dal Messico.

Alzare un muro, sarebbe il noto sogno. Nella realtà, un muro di cemento non c’è ancora, ma un muro di odio e di crudeltà si è già alzato. E una gabbia è stata già costruita. In Texas, a confine tra USA e Messico.

Una recinzione metallica, sì, dove poter rinchiudere i minori, i figli di tutti quegli immigrati clandestini che aspettano di essere processati per il loro ingresso illegale in USA.

Una procedura drammatica a cui è stato fato largo ricorso dal 19 aprile al 31 maggio, dopo l’entrata in vigore della politica di «tolleranza zero», con oltre duemila minori fermati e strappati ai propri genitori.

La legge vigente – in vigore già dalla presidenza Obama – prevede in realtà che vengano separati i bambini nel caso si sospetti che non siano figli o parenti degli adulti che li accompagnano. Il motivo originario della separazione era, dunque, quello di evitare vittime del traffico di esseri umani.

Il numero di bambini separati dalle famiglie sarebbero aumentati a causa dell’estensione del campo di azione di questa legge e della sua procedura.

Una procedura drammatica, venuta a galla dopo la diffusione negli ultimi giorni di un audio contenente le grida e i pianti dei bambini reclusi ormai da mesi in gabbie di metallo. L’indignazione ha prevalso.

Trump è stato costretto a fare marcia indietro per l’opposizione dei Repubblicani, dell’opinione mondiale, e di ben 12 Stati USA che intendono fare causa all’amministrazione.

Il presidente ha dunque firmato un decreto per tenere unite le famiglie di immigrati clandestini al confine col Messico, sottolineando però  che la linea della ‘tolleranza zero’ andrà avanti.

Il Pentagono dovrà adesso prendere tutte le misure disponibili per fornire al ministero degli interni ogni struttura esistente disponibile per ospitare e prendersi cura dei migranti.

Mentre il presidente statunitense firmava il decreto, la first lady è volata in Texas per visitare una struttura che ospita minori entrati illegalmente negli Stati Uniti e separati dai genitori.

 “Sono qui per conoscere la vostra struttura. Vorrei anche chiedervi come posso essere d’aiuto a questi bambini per riunirli alle loro famiglie nel più breve tempo possibile”, ha detto.

A far parlare, poi, anche la giacca indossata per l’occasione da Melania, avente nel retro la scritta “I don’t really care. Do U?” “Non mi importa davvero. E a te?”. Non una questione modaiola ma una frase che potrebbe essere riferita alla disapprovazione verso il suo consorte più che verso la causa.

Sbagli su sbagli, che decretano per molti il fallimento della presidenza Trump.

Una partita in parte persa ma che il presidente ancora gioca. Come se si potesse giocare con la felicità dei bambini.

Martina Galletta

L’incontro tra Kim Jong-Un e Donald Trump: il summit Usa-Corea

“L’intero mondo sta guardando a questo incontro”, ha dichiarato Kim. Nella città-Stato asiatica è arrivato anche il presidente degli Usa che ha voluto sottolineare l’importanza del momento definendola “una occasione storica, che forse non si ripeterà”.

Prima dell’arrivo dei due leader, il primo ministro di Singapore ha confermato anche la cifra stanziata dalla città per ospitare lo storico vertice, che si aggira intorno ai venti milioni di dollari di Singapore (12,7 milioni di euro). “Ospitare il summit ci dà visibilità”, ha dichiarato oggi il premier di Singapore prima dell’incontro con Kim.

Quando le due parti ci hanno chiesto di ospitare il summit, non potevamo dire di no. Dovevamo farci avanti. Siamo in grado di farlo, abbiamo speso molte risorse, ma possiamo fare un buon lavoro“, ha detto Lee, confermando la cifra dei venti milioni di dollari di Singapore. “Siamo pronti a pagare ed e’ il nostro contributo a uno sforzo internazionale che è nel nostro profondo interesse“.

Singapore è letteralmente blindata per il primo incontro ufficiale tra un presidente Usa e il leader di Nord Corea dopo la Guerra degli Anni Cinquanta.

L’obiettivo dichiarato del presidente Trump è quello di arrivare a una denuclearizzazione della Corea del Nord, per azzerare la potenziale minaccia che questa rappresenta per gli Stati Uniti, con le sue testate a lungo raggio.

Mentre si prepara la fitta e misteriosa agenda politica dei due leader, dal Vaticano arriva l’appello di Papa Francesco per la pace tra le Coree. «Prego affinché i colloqui fra Stati Uniti e Corea del Nord che avranno luogo nei prossimi giorni a Singapore possano contribuire allo sviluppo di un percorso positivo che assicuri un futuro di pace per la penisola coreana e per il mondo intero», ha detto durante l’Angelus Papa Bergoglio che ha poi aggiunto in chiusura, «Desidero far giungere all’amato popolo coreano il mio pensiero nell’amicizia e nella preghiera».

Mentre i preparativi per la sicurezza si intensificano, in alcune zone della città pronte per accogliere i due leader in modo pittoresco,  si posizionano mazzi di fiori in cannoni di epoca coloniale sull’isola di Sentosa, ex fortezza militare.

Francesca Grasso