Trump è il 47° presidente degli Stati Uniti

20 gennaio 2025, data cruciale per la politica americana. Donald Trump ha prestato nuovamente giuramento come 47° presidente degli USA, nella Rotonda sotto la cupola di Capitol Hill, in una gelida giornata. Dopo la presidenza dal 2017 al 2021 e la sconfitta alle elezioni del 2020, l’insediamento di Trump ha segnato un raro secondo mandato non consecutivo. Un ritorno così storico non si vedeva dai tempi di Grover Cleveland, eletto nel 1885 e nel 1893, divenendo il primo presidente a ricoprire due mandati non consecutivi.

I presenti: un parterre politico e diplomatico variegato

Trump, accompagnato dalla splendida figura della First Lady Melania Trump, sfila a Capitol Hill, pronta ad accogliere i suoi 600 ospiti. Immancabile la presenza dei tre uomini più ricchi del mondo il capo di Meta Mark Zuckerberg, quello di Amazon Jeff Bezos, il first buddy e neo-segretario al dipartimento per l’efficienza governativa Elon Musk , insieme agli amministratori delegati di Apple, Google, Tiktok e OpenAi. Numerose l le personalità internazionali di spicco, tra cui la premier Giorgia Meloni, il presidente argentino Javier Milei e il vicepresidente cinese Han Zheng. Tra i presenti gli ex presidenti: Bush, Clinton, Obama e Biden, protagonisti di simpatici video, in circolazione sul web, sulle loro espressioni: chi spazientito, chi spaesato e chi addirittura divertito.

 

La cerimonia e il discorso inaugurale

Un discorso di insediamento, fatto di ovazioni e applausi, in cui ha annunciato che

l’età dell’oro dell’America inizia ora. Da oggi in poi il nostro paese fiorirà e sarà nuovamente rispettato in tutto il mondo. Saremo l’invidia di ogni nazione

Donald Trump
Il presidente Donald Trump durante il discorso inaugurale ©gettyimages

Trump ha delineato un programma ambizioso e deciso, con un’agenda focalizzata sulle priorità del secondo mandato: il riconoscimento di due soli generi (maschile e femminile), la deportazione di immigrati arrivati negli Stati Uniti, la bandiera dell’USA da piantare su Marte, il cambio di nome del Golfo del Messico in Golfo d’America, l’abolizione dello Ius soli e la fine della strumentalizzazione politica della giustizia.

Inevitabile il ricordo dell’attentato il 14 luglio del 2024 a Butler, in Pennsylvania.

“Solo pochi mesi fa un proiettile mi ha perforato l’orecchio. Già allora lo sentivo e lo credo ancora di più adesso che la mia vita era stata salvata per una ragione”,

affermando che la sua vita gli è stata risparmiata per un grande ritorno. Un ritorno che il tycoon sembra percepire come il frutto di un mandato divino.

“Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande”

 

La formazione del nuovo governo

Il neoeletto presidente degli Stati Uniti dovrà gestire situazioni delicatissime, dalla guerra in Ucraina al conflitto in Medio Oriente. Per affrontare queste sfide, Trump sta costruendo una squadra di governo più fedele e allineata.

Susie Wiles sarà la prima donna capo di gabinetto della politica americana, con il ruolo di intermediario tra il presidente e il resto del governo. Kristi Noem sarà alla guida del Dipartimento della Sicurezza interna, con il compito di supervisionare un apparato di sicurezza nazionale. Robert F.Kennedy Jr, nipote del presidente John Fitzgerald Kennedy, come prossimo segretario della Sanità. Dichiaratamente e apertamente no-vax, guiderà il dipartimento della Salute e dei servizi umani. Una “new entry” riguarda Elon Musk, che sarà alla guida di un nuovo dipartimento federale, il “Dipartimento per l’efficienza del governo” (Doge). Avrà poteri di supervisione e di intervento sulle spese di tutte le agenzie federali. Musk è stato uno dei più accaniti sostenitori trumpiani, tanto da versare, durante la campagna elettorale, quasi 200 milioni di dollari, sfruttando la piattaforma X per incoraggiare i follower a votare il tycoon.

 

L’insediamento del 2025 non rappresenta solo un evento formale, ma un simbolo di come il panorama politico degli Stati Uniti si stia trasformando in un’epoca di forti divisioni e continui cambiamenti. Un mandato che già nei giorni scorsi e in quelli a venire, dimostrerà in azioni concrete le promesse fatte durante questi mesi. Ecco la nuova era della Great America. 

 

 Elisa  Guarnera

The Apprentice: il lato di Trump che non vi voleva svelare

The Apprentice non si perde in chiacchiere ed è attuale. Voto UvM: 4/5

 

A poco meno di un mese dalle elezioni presidenziali negli USA, esce nelle sale un film incentrato proprio sulla figura di uno dei due candidati alla Casa Bianca: Donald J. Trump. “The Apprentice – Alle origini di Trump” è stato mostrato in anteprima al Festival di Cannes in quanto concorrente per la prestigiosa Palma d’Oro. L’ambientazione degli anni ’70 e ‘80 lo vede agli albori della sua lunga attività imprenditoriale, interessandosi all’apprendimento dei trucchi del mestiere. L’ex presidente è magistralmente interpretato da Sebastian Stan, conosciuto per l’interpretazione del Soldato d’Inverno nei film Marvel, affiancato da Jeremy Strong nei panni dello spietato Roy Cohn.

Da piccolo gestore immobiliare alla Trump Tower

La storia del film inizia con un Donald irriconoscibile che cerca di barcamenarsi nell’adrenalinica New York. All’ombra del padre, il rude Fred Trump, è poco considerato quando si tratta di chiudere affari. La sua fortuna risiede nell’azienda immobiliare di famiglia, anche se Fred pone poche speranze nel figlio. Il loro rapporto è di fatti per lo più composto da conflitti, soprattutto quando si parla del processo federale in cui la famiglia è coinvolta. In una delle serate dell’alta società newyorkese, fa la conoscenza di Roy Cohn, rinomato avvocato che viene visto come la soluzione ai problemi legali. Roy si presenta apparentemente senza un briciolo di umanità, non sapendo che ciò farà la fortuna di Trump.

Con un po’ di insistenza Donald riesce a diventare suo cliente: l’incontro gli cambierà la vita poiché l’avvocato gli trasmette i propri insegnamenti. Tre spietate regole per vincere nel mondo degli affari, dei processi e della vita che diventeranno un vero e proprio mantra per il costruttore. Il suo primo obiettivo è quello di farsi notare vincendo una grande scommessa: l’acquisizione del Commodore, un lussuoso hotel in rovina, al fine di rilanciare l’economia cittadina. Grazie all’aiuto di Cohn, che non si fa scrupoli di nessun genere, riesce a vincere il processo contro l’azienda. In seguito riesce anche ad ottenere la struttura del Commodore senza tassazione. Questo lo porta ad affermarsi nella scena pubblica come costruttore, come gli piace definirsi, in ascesa nella grande mela.

Il rapporto col mentore

Il suo avvocato gli insegna anche come curare la sua immagine, che presto imparerà a elevare sopra ogni cosa attorno a lui, tanto da affermare che l’utilizzo del suo nome per oggetti di lusso o grandi edifici “non ha niente a che vedere con l’ego, semplicemente vende”. La sua vera vocazione si palesa essere quella della figura di spicco più che del grande uomo d’affari che non sbaglia un colpo, anzi tutt’altro. Lo stesso Cohn, colui che l’ha costruito, inizia ad essere fatto da parte.

The Apprentice: Individualismo oltre ogni cosa

Dopo l’apertura della Trump Tower e l’espansione spropositata dei casinò ad Atlantic City iniziano a sorgere i problemi relativi ai mutui accumulati per queste grandi costruzioni. Anche la relazione con la sua prima moglie, Ivana, conosciuta durante una delle tante cene della New York per bene, inizia a scricchiolare. L’avanzamento dell’età e la fama portano Donald a compiere scelte ambigue ed egoistiche: la scarsa considerazione del fratello Fred Jr. porterà alla sua morte, perde interesse in Ivana, costretta a sottoporsi a una mastoplastica, e allontana definitivamente Roy Cohn. Nel film ci sono continui riferimenti ad avvenimenti futuri, come la creazione del motto “Make America Great Again”. Non mancano neanche domande riguardo una eventuale candidatura come presidente.

The Apprentice
Lo stile del maccartista.  Fonte: npcmagazine.it

La figura di Cohn come specchio della società

Per analizzare bene The Apprentice è necessario dare uno sguardo anche al mentore dell’imprenditore. L’avvocato Roy Cohn, seguace del maccartismo, è additato come il diavolo, anche se andrà a creare una creatura ben più spregevole. Come già accennato, il mantra di Donald sono state le determinate tre regole di Cohn: attaccare, attaccare, attaccare, senza dare tregua, negare la verità fino a crearsi la propria verità e infine mai confessare, al fine di risultare sempre vincitore. Tutto questo, unito a qualche trucchetto non propriamente legale, fanno di Roy l’avvocato e il maestro perfetto, ma solo all’apparenza. Dietro i suoi processi contro comunisti e omosessuali, si nasconde un uomo anch’esso omosessuale, che finirà per contrarre l’AIDS negli anni dell’epidemia. La rivelazione del suo lato umano, anche nei confronti del compagno, porterà Trump ad allontanarlo e a ripudiarlo per la sua malattia.

The Apprentice
Roy Cohn interpretato da Jeremy Strong. Fonte: bbc.com

Conclusioni su The Apprentice

La de-umanizzazione di Donald passa dalla liposuzione e dalla chirurgia estetica fino all’abuso della moglie. Questa scena in particolare ha creato problemi nella distribuzione del film stesso, che si pensava fosse ideato per celebrare ancora di più la figura del candidato presidente. Lo stesso Trump ha cercato di oscurarlo, minacciando azioni per vie legali, ma mai effettivamente attuandole. The Apprentice si conclude con il climax della scrittura dei primi libri del magnate, che ormai diventato un uomo copertina si prepara a prendersi il mondo intero con insaziabile ambizione.

 

Giuseppe Micari

Trump “in arresto”: le sue parole agitano i trumpiani di New York

Ieri, 6 aprile, Donald Trump è stato “arrestato” presso la Procura distrettuale di Manhattan, a New York. E’ stato posto in una condizione d’arresto diversa da quella cui siamo abituati a pensare, regolamentata da leggi proprie della Federazione. Il suo rimane comunque un caso particolarissimo, poiché nessun altro ex presidente degli USA ha mai subito un tale trattamento giudiziario. Ma a cosa è dovuto tutto ciò? Cosa ha spinto i trumpiani a fargli scudo duramente? Di seguito ogni risposta.

Le accuse contro Trump

Riporta le informazioni il Cosmopolitan. Donald Trump dovrà difendersi contro l’accusa di trentaquattro capi di imputazione. Il magnate è incolpato di aver falsato, in trentaquattro occasioni, il bilancio della sua società. Avrebbe manifestato pagamenti fittizi per giustificare altre spese. Il fatto al centro delle accuse concerne gli accordi finanziari, ipoteticamente illeciti, presi dal grande imprenditore con la pornostar Stormy Daniels, per ottenere il silenzio di quest’ultima sui rapporti intimi avvenuti tra i due.

“L’arresto”: cosa ne sarà dell’ex presidente?

Ieri The Donald non ha indossato manette, né è stato soggetto di foto segnaletiche. Gli sono solo state prese le impronte digitali. L’ex inquilino della Casa Bianca è stato “arrestato” per essere coinvolto nell’udienza di Manhattan sotto la custodia della polizia. Successivamente è potuto tornare nella sua residenza di Mar-a-Lago (Florida), in piena libertà.

Durante l’incontro, forte della sua autorità, l’accusato ha respinto tutte le accuse al mittente, lasciando fattualmente l’aula “in vantaggio”. D’altronde gli elementi probatori di chi colpevolizza sono scarsi. Per questo, vari esperti legali reputano improbabile come esito l’incarcerazione vera e definitiva, e diversamente probabile che al termine del processo si assegni una semplice multa. Se tutto invece dovesse andargli male, ciò che potrebbe essergli affibbiata è una pena detentiva massima di quattro anni.

Trump
Donald Trump durante un evento sportivo. Fonte: Il post. Fotografo: Sue Ogrocki

Trump l’ha sciorinato: “Mi stanno per arrestare”

Donald Trump in posizione di difesa non si dimostra troppo timido, ma realisticamente sagace. Infatti, della spinosa vicenda che riguarda la sua incriminazione, il politico non ne ha fatto segreto, ma “questione di mondo“. In modo da dipingersi vittima di un “sistema anti-sistema“. E su tale input muovere la sua strategia comunicativa.

Così, lo scorso sabato, tramite il suo social Truth, aveva anticipato:

Il primo candidato Repubblicano ed ex Presidente degli Stati Uniti d’America, sarà arrestato martedì della prossima settimana. Protesta, riprenditi la nostra Nazione!

E ieri, tramite lo stesso mezzo, ha aggiornato:

Sembra così surreale. Mi stanno per arrestare. Non riesco a credere che questa cosa stia accadendo in America

Per mantenersi i consensi in vista delle presidenziali del 2024, Donald, contemporaneamente infuoca i seguaci più intimi. Con versi liberali e inoltra il dubbio garantista in tutti coloro che riesce a raggiungere, con la propria informazione.

La presenza dei trumpiani

Agitando gli animi, i trumpiani si sono fatti sentire per il “loro Presidente“. In occasione dell’arrivo di Trump, New York è stata blindata dal sindaco Eric Leroy Adams. Un’azione dovuta per scongiurare la violenza, tra fazioni sostenitrici e avverse al miliardario.

In ogni caso, i sostenitori di Donald si sono radunati sulla Fifth Avenue, a Manhattan, dove si trova la Trump Tower. Hanno esposto sulla strada due grandi striscioni, uno recitante “Trump 2024” e uno con su scritto “Finish the Wall“( in riferimento alla barriera anti-immigrati, mai completata, al confine con il Messico).

Gabriele Nostro

Il Brasile come Capitol Hill, nuovo attacco alla democrazia. Lula si scaglia contro Bolsonaro, che è indagato

Domenica, i sostenitori dell’ex Presidente del Brasile Jair Bolsonaro hanno invaso e deturpato il Congresso, il palazzo del Presidente e la Corte Suprema, in una data volutamente vicina a quella in cui si svolse l’assalto al Campidoglio negli USA.

La sommossa rappresenta il culmine di una tensione accumulatasi a partire dall’inaugurazione del Presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva, che ha vinto le elezioni dello scorso 30 ottobre.

I rivoltosi hanno distrutto gli interni del palazzo presidenziale, allagato il Congresso con gli impianti antincendio e saccheggiato le aule della Corte Suprema, ma non ci sono stati feriti. Tuttavia, attorno alle sei del pomeriggio, le forze di sicurezza sono riuscite a riprendere il possesso degli edifici, disperdendo i riottosi.

Secondo il Governatore del Distretto Federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, sarebbero più di 1500 gli arresti – e continuano le identificazioni.

L’organizzazione dell’assalto

Gli assaltatori, già da tempo, avevano cercato di bloccare le strade e l’accesso alle raffinerie, secondo quanto riportato dal portavoce del presidente Paulo Pimenta. Questi piccoli atti di vandalismo assieme all’accamparsi attorno al Congresso avevano reso più che chiare le intenzioni dei manifestanti.

fonte: reuters.com

L’organizzazione dell’attentato si è svolta sui social, sotto gli occhi di tutti, soprattutto su Telegram, TikTok e Twitter. Si parlava, infatti, di una «Festa da Selva», dove “Selva” in Brasile è un tipico saluto militare e un grido di battaglia. Per cercare di aggirare la censura, però, i rivoltosi avevano cambiato una lettera a “Selva”, e parlavano di una “Festa da Selma”.

Proprio per i modi espliciti dei rivoltosi, la popolazione brasiliana ha lamentato il fatto che le forze dell’ordine non avrebbero fatto abbastanza per prevenire l’assalto alle istituzioni.

Le parole del Presidente Lula

Questi vandali, questi fanatici fascisti, hanno fatto ciò che non si era mai verificato nella storia di questo Paese. Tutte le persone responsabili di ciò saranno trovate e punite.

Queste le parole di rabbia del Presidente Lula, che subito dopo si è lanciato in un’accusa nei confronti dell’ex presidente Bolsonaro, su cui graverebbe la responsabilità (proprio come fu nel caso Trump) di aver incoraggiato l’assalto.

Infatti, dopo la sconfitta, il presidente uscente aveva – allo stesso modo – sollevato l’accusa del voto elettronico truccato ed incline alla frode, dando il via al movimento negazionista che l’ha sostenuto fino ad oggi. Lula ha poi affermato:

Questo genocida sta incoraggiando tutto questo tramite i social media da Miami. Tutti sanno che ci sono diversi discorsi dell’ex presidente che lo incoraggiano.

Ad oggi, Jair Bolsonaro si trova ricoverato in Florida in condizioni stabili. Alcuni esponenti del Partito Democratico degli USA ritengono che stia cercando asilo politico e ne avrebbero richiesto l’estradizione.

L’ex Presidente, rimasto in silenzio per diverse ore dall’attentato, ha risposto su Twitter negando qualsiasi accusa nei suoi confronti e sostenendo che: «le manifestazioni pacifiche sono parte della democrazia, ma invadere e danneggiare gli edifici pubblici significa superare il limite».

Bolsonaro sotto accusa

In realtà, su Bolsonaro gravano già accuse non meno pesanti. Secondo la Costituzione brasiliana, un Presidente in carica può essere arrestato solo se condannato dalla Corte Suprema. Una volta terminato l’incarico, però, può essere processato normalmente anche dalle corti minori.

Con la perdita dell’immunità a partire da gennaio, il presidente uscente si ritrova indagato per diversi capi d’imputazione: avrebbe sfruttato la polizia federale per proteggere i propri figli, diffuso falsità elettorali, sostenuto dei troll che spargevano disinformazione durante il suo mandato. Ad ogni modo, Bolsonaro sostiene di essere sempre stato fedele a Costituzione.

fonte: reuters.com

Non sarebbe dello stesso parere il neo-eletto Lula, che dopo aver ottenuto l’incarico ha affermato:

Non abbiamo alcuno spirito di vendetta contro coloro che hanno provato a soggiogare la nazione alle proprie ideologie, ma garantiremo il corso della giustizia. Chi ha sbagliato pagherà per i propri errori.

Tecnicamente, Lula avrebbe la possibilità di perseguire giuridicamente il rivale. Infatti, la polizia federale è subordinata al suo Ministro della Giustizia ed è guidata da Andrei Rodrigues, un suo alleato. A partire da settembre, il Presidente potrà insediare il proprio procuratore generale, che avrà la possibilità di punire Bolsonaro. Tuttavia, l’attuale procuratore generale è – al contrario – accusato di proteggerlo.

Valeria Bonaccorso

Il popolo di Twitter ha votato, Trump è stato riammesso nella piattaforma

Da quando Elon Musk è diventato CEO di Twitter la piattaforma è tornata al centro di numerose polemiche. Le rumorose decisioni prese da Musk hanno fatto discutere e hanno creato parecchio dissenso nei confronti della sua figura. L’ultima è stata probabilmente la più importante: Creare un sondaggio rivolto a tutti gli utenti della piattaforma, chiamati a decidere circa la riabilitazione dell’account Twitter di Donald Trump. Dopo la vittoria del “si” con il 51,8% dei voti l’ex presidente degli Stati Uniti può effettivamente riapprodare sul social network che negli anni aveva utilizzato per far crescere il consenso elettorale nei suoi confronti tramite tweet spesso diretti e taglienti.

Il ban dopo i fatti di Capitol Hill

Era il 6 Gennaio del 2021 quando, in seguito all’assalto a Capitol Hill, l’account Twitter di Donald Trump venne “sospeso in maniera permanente“. Il provvedimento da parte della piattaforma generò molti contrasti.

Molti lo considerarono come una pesante violazione della libertà di pensiero e di parola. La piattaforma dalla sua ribadì come l’ex presidente si fosse reso protagonista più volte di tweet contenenti notizie false, insulti pesanti ai suoi avversari politici e, come nel caso di Capitol Hill, incoraggiamento alla violenza.

Fu un brutto colpo per l’azione politica di Trump, che si era distinto negli anni precedenti per un utilizzo massivo della piattaforma. Proprio in questa situazione difficile, vedendosi privato del suo profilo che al tempo del ban contava circa 88 milioni di followers, decise di dare vita ad un suo social network: Truth social. La piattaforma però non riscosse un gran successo. Dopo un boom di iscrizioni durante i primi mesi di vita, da Marzo la mole è calata drasticamente e ad oggi si stima che soltanto il 27% degli americani la conoscano.

Cosa non accenna a diminuire però è l’affezione di Trump nei confronti di Truth, da lui considerato come un luogo speciale che si differenzia dai media mainstream che, a parer suo, fanno della censura la loro caratteristica principale. A testimonianza di ciò l’ex presidente, in occasione del sondaggio, ha mandato un appello agli utenti della sua piattaforma:

«Votate con positività ma non preoccupatevi, non andrò da nessuna parte».

Va detto però che appare surreale che Trump non approfitti dell’ampio seguito di cui gode su Twitter.

Donald Trump. Fonte: lastampa.it

Elon Musk: “Vox Populi, Vox Dei”

La politica di Elon Musk da quando è diventato amministratore delegato di Twitter è chiara: rifondazione. Lui che non aveva mai nascosto di non ritrovarsi d’accordo con la decisione di bloccare alcuni account – quelli di Jordan Peterson e Babylon Bee su tutti – ha subito deciso autonomamente di riabilitarli. Per il caso Trump invece, data l’importanza notevolmente maggiore, ha deciso di far esprimere il popolo.

Si può dunque affermare che la decisione di reintegrare l’ex presidente è stata presa dal 51,8% delle 134 milioni – questo il dato citato dallo stesso Musk in un tweet – di persone che hanno votato il sondaggio? Il dubbio sorge dal momento in cui è lo stesso CEO di Twitter a concepire la possibilità che i sondaggi all’interno della piattaforma possano essere “viziati” da bot creati appositamente per esprimere preferenze.

Molte sono le perplessità legate anche alla motivazione che ha spinto il proprietario di Tesla ad indire un “referendum” così controverso. Tanti sostengono infatti che sia stata una decisione presa con lo scopo di far dimenticare le azioni parecchio discutibili che avevano caratterizzato i suoi primi giorni come patron della piattaforma.

Se fosse realmente così a Musk non avrà di sicuro fatto piacere la decisione di Donald Trump di prendere le distanze da Twitter. Lo testimonia uno dei suoi ultimi tweet:

Un’ilare immagine accompagnata da una descrizione parecchio dissacrante basteranno a far cadere l’ex presidente nella tentazione dell’uomo più ricco al mondo?

Francesco Pullella

Inchiesta su Capitol Hill, i testimoni: Trump tentò un golpe grazie ai gruppi di estrema destra

Nel gennaio 2022 negli Stati Uniti è stata aperta un’inchiesta parlamentare per indagare sui fatti del 6 gennaio 2021, quando migliaia di persone hanno fatto irruzione a Capitol Hill, sede del Congresso. Dal 9 giugno sono iniziate le audizioni pubbliche utili a presentare i risultati dell’inchiesta. Quanto emerso dalla stessa potrebbe stupire: se, dapprima, si pensava che l’assalto fosse opera di un gruppo di seguaci della teoria QAnon, adesso si fa sempre più concreto il possibile coinvolgimento dell’ex Presidente Donald Trump in un vero e proprio tentativo di ribaltare i risultati delle Presidenziali 2020.

il presidente della Commissione istituita ad hoc Bennie Thompson, deputato democratico, ha detto chiaramente che l’assedio è stato «il punto culminante di un tentato golpe» e che «Donald Trump ha istigato la folla a marciare verso il Campidoglio per sovvertire la democrazia americana».

Donald Trump incitò i suoi fan a marciare sul Capitol

L’ex Presidente avrebbe addirittura aggredito un agente alla guida della limousine presidenziale afferrando il volante per tentare di raggiungere i manifestanti. Questo è quanto emerge dalla testimonianza di Cassidy Hutchinson, testimone chiave che ha lavorato per l’ex capo dello staff Mark Meadows.

(Cassidy Hutchinson. Jacquelyn Martin via AP Photo)

A tal proposito, i Servizi Segreti hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno affermato di «aver cooperato pienamente con la Commissione e che continueranno a farlo». Per questo – continuano – «abbiamo intenzione di rispondere formalmente alle nuove informazioni rivelate durante l’audizione non appena potranno accoglierci».

Non finisce qui: Trump sapeva che c’erano persone armate e con giubbotti anti proiettili al comizio che aveva organizzato il 6 gennaio, poco prima di incitare la folla dei suoi fan a marciare sul Capitol. Inoltre, chiese di rimuovere i «fottuti metal detector» al suo raduno, affermando che i suoi fan non gli avrebbero fatto del male.

Un altro dato emerso dalle audizioni consiste nel fatto che Trump era a conoscenza della regolarità dello svolgimento delle elezioni, per cui era stato invitato a non parlare più di “brogli” e “frodi elettorali”. L’ex procuratore generale William Barr ha aggiunto che se «davvero Trump crede in quelle cose, allora è completamente fuori dalla realtà». Anche la figlia Ivanka Trump ha fatto sapere di essere d’accordo con Barr.

Minacce all’ex vice Mike Pence

Emerge dalle audizioni un altro dato: la vita dell’ex vicepresidente Mike Pence potrebbe essersi trovata in grave pericolo nel periodo successivo alle Presidenziali. Infatti, quando si è rifiutato di dare seguito al piano sull’interruzione della certificazione dei voti del collegio elettorale (e quindi di ostacolare la salita di Biden), Trump avrebbe scatenato la folla contro di lui attraverso vari tweet pubblicati sia mentre gli assalitori stavano marciando verso il Campidoglio, sia quando erano già dentro.

(Gage Skidmore via Flickr)Un documento riservato dell’FBI, in cui vengono riportate le parole di un informatore all’interno dei Proud Boys (una milizia di estrema destra fondata nel 2016), ha rivelato che «se ne avessero avuto l’opportunità, i membri del gruppo avrebbero ucciso Mike Pence». Non sorprende che diversi manifestanti abbiano intonato cori inneggianti all’impiccagione di Pence.

Intimidazioni anche contro i testimoni

Al termine delle testimonianze, Liz Cheney, membro repubblicano della Camera dei Rappresentanti, ha presentato possibili prove di intimidazione dei testimoni e ostruzione alla giustizia.

Il Presidente vuole che ti faccia sapere che sta pensando a te. Sa che sei leale.

Sarebbe uno dei messaggi ricevuti dai testimoni.

Un precedente antidemocratico?

Nonostante l’attacco a Capitol Hill sia sventato, negli Stati Uniti si continua a temere per il destino dell’assetto costituzionale. Anche alla luce degli ultimi eventi, tra cui l’overturning della RoevsWade e la conseguente abrogazione della tutela costituzionale del diritto all’aborto, si inizia a pensare (in realtà, già da prima) che questa broken democracy rischi veramente di vivere una deriva autoritaria. Soprattutto, i timori riguardano la possibilità che, in assenza di punizioni reali per i membri dell’Ufficio Presidenziale che hanno provato a coprire il tutto o vi hanno addirittura partecipato, si possa creare un precedente antidemocratico destinato a ripetersi in futuro.

Che l’ex Presidente adesso indagato non abbia imparato molto dalla vicenda, lo si nota anche dalle sue ferme intenzioni di ripresentarsi alle prossime Presidenziali.

Immagine in evidenza: Tyler Merbler via Wikimedia Commons.

Valeria Bonaccorso

Possibile svolta negli Stati Uniti per il caso QAnon: scoperta l’identità dei fondatori

Paul Furber, cinquantacinquenne sudafricano sviluppatore di software e Ron Watkins, trentacinquenne dell’Arizona e imprenditore informatico: sembrano esserci loro dietro la misteriosa figura di mister “Q”, leader della setta complottista e negazionista QAnon. Si è arrivati a questa conclusione grazie a due modalità di indagine diverse e separate: una condotta dalla startup svizzera OrphaAnalytics, l’altra da linguisti computazionali francesi. Entrambi concordano – con un range di probabilità che va dal 93% al 99% – che dietro alle attività di mister “Q” si celi una doppia figura.

Manifestazione legata al movimento QAnon. Fonte: wired.it

QAnon: movimento politico o setta complottista?

Nel 2017, quando un utente col nome di Mister “Q” pubblicò il suo primo post su 4chan – noto sito internet di discussione libera parallelo ai social più usati – si faceva molta fatica a prenderlo sul serio. Le sue affermazioni apparivano talmente tanto estreme e surreali che l’idea di un movimento basato su di esse risultava insensata. La sensazione che si trattasse di una corrente degna di nota si iniziò a percepire durante il periodo elettorale negli Stati Uniti nel 2020. In breve, la setta QAnon vedeva – e vede ancora – in Donald Trump l’unica figura in grado di sconfiggere il male che alberga nella società attuale. Il “nemico” da abbattere per il movimento QAnon ha un nome: Cabal. Tale appellativo, usato spesso dai membri della setta, indica un insieme di personaggi – politici e non – che governano il mondo contemporaneo. Secondo i membri della QAnon, le attività preferite della Cabal sarebbero la pedofilia e il rapimento di bambini al fine di ottenere una “miracolosa sostanza” che permetterebbe l’eterna giovinezza: l’adenocromo. Inutile sottolineare che si tratta di teorie complottiste e senza nessuna evidenza scientifica alla base.

Fotomontaggio di Trump versione arcangelo da parte di un membro di QAnon. Fonte: open.online

Dalle teorie complottiste alle manifestazioni politiche: l’evoluzioni di QAnon

Dopo la vittoria di Biden alle elezioni non si può dimenticare la manifestazione di protesta da parte dei sostenitori di Trump, sfociata poi nell’attacco a Capitol Hill. Una delle figure chiave in quella circostanza fu lo Sciamano, fiero sostenitore e seguace del movimento QAnon. La manifestazione no-vax in Canada, nota come “Freedom Convoy“, è stata organizzata da James Bauder: uomo molto vicino alla setta. Basterebbero questi due esempi per capire come ormai non si tratti più di una serie di casi isolati, confinati nel loro piccolo angolo di mondo virtuale, bensì di un vero e proprio movimento politico estremo che gode di una discreta visibilità e di molto potere sulle masse.

È questo il motivo per cui la cattura dei loro leader assumerebbe un’enorme rilevanza.

Lo Sciamano dell’attacco a Capitol Hill. Fonte: occhionotizie.it

Indagine diversa, stessi risultati

Le autorità americane dopo i vari avvenimenti si erano mobilitate ed indagando avevano ristretto il campo a 13 nomi di possibili leader della setta. Da lì l’indagine è passata nelle mani di due team di ricerca distinti che hanno operato in maniera metodologicamente diversa. L’OrphaAnalytics ha prediletto l’analisi dettagliata dei post di mister “Q” cercando di trovare delle similitudini e delle congruenze con i post dei 13 sospettati; i linguisti computazionali francesi hanno invece addestrato un sistema basato su un’intelligenza artificiale atto a riconoscere i tratti in comune. L’identità dei risultati delle due ricerche dà ancor più credito all’indagine che a questo punto rappresenta un grande passo avanti nella lotta a QAnon.

I 2 possibili mister “Q”. Fonte: open.online

QAnon: ennesima dimostrazione del potere dei media

Tutto è partito con un post su una pagina web semi-sconosciuta ed è arrivato a diventare un vero e proprio movimento politico deviante seguito da migliaia di persone; in grado persino di condizionare gli individui e convincerli a scendere in piazza per ideali a dir poco estremi e surreali. Il caso QAnon non è altro che l’ulteriore dimostrazione del potere dei media che, se usati in maniera errata o a scopi violenti rappresentano una minaccia. Ma fino a che punto un semplice strumento di comunicazione può essere considerato una minaccia? Anche un martello nelle mani di un individuo violento diventa un’arma mortale, ma la colpa non è sicuramente dello strumento, bensì dell’individuo che lo usa.

Francesco Pullella

 

USA, Donald Trump sotto indagine per sottrazione di documenti riservati

Dopo mesi in cui la sua figura sembrava essere uscita fuori dai radar, Donald Trump torna a far parlare di sé. L’ex presidente degli Stati Uniti d’America è sospettato di uso illecito di documenti riservati a cui ha avuto accesso nel corso del suo mandato e che non ha restituito al termine dello stesso. L’accusa arriva direttamente dalla National Archives and Records Administration (NARA), l’agenzia governativa preposta alla conservazione dei più importanti documenti governativi e storici del paese, la quale ha più volte sollecitato l’entourage di “The Donald” a restituire quanto sottratto agli archivi statali.

La villa a Mar-a-Lago, Florida, di Donald Trump, fonte: breaking911.com

Le quindici scatole di documenti portate a Mar-a-Lago

In America vige dal 1978 il “Presidential Records Act”, legge che ha trasferito la proprietà legale dei documenti e delle registrazioni dei presidenti e vicepresidenti statunitensi allo Stato ponendoli sotto la supervisione della suddetta NARA. L’atto è stato più volte citato dagli archivisti messisi in contatto nel corso dello scorso anno con i collaboratori di Donald Trump senza mai però ottenere una risposta ufficiale. Secondo quanto previsto dalla normativa, l’imprenditore newyorkese avrebbe dovuto restituire diversi faldoni di documenti, confidenziali e non, entro il 20 gennaio 2021 ma questi ha volontariamente deciso di non adempiere a tale dovere e portare la documentazione sottratta nella sua casa a Mar-a-Lago, in Florida.

Per quasi un anno dunque i documenti sono rimasti a disposizione dell’ex presidente. Secondo quanto riportato da un informatore del Washington Post si sarebbe trattato di un ammontare tale da necessitare di quindici scatoloni per il trasporto. Dopo un anno di solleciti caduti nel vuoto, Davide Ferriero e gli altri vertici degli archivi hanno deciso di non richiamare più alla collaborazione l’entourage di Donald Trump e di agire direttamente. A fine gennaio 2022 un camion dell’agenzia è arrivato in Florida e ha recuperato quanto sottratto agli Archivi Nazionali di Washington. Come riportato dalla medesima fonte anonima, tra gli scatoloni era presente tanta documentazione innocua, come per esempio le comunicazioni di servizio e le indicazioni formali per gli eventi pubblici. Presente anche la lettera che Barack Obama lasciò sul “resolute desk” nello Studio Ovale, il giorno prima di lasciare la Casa Bianca. Confermata anche la presenza delle lettere scambiate con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e la mappa dell’uragano Dorian, divenuta a suo tempo famosa per essere stata modificata con l’ausilio di un pennarello per confermare quanto affermato dallo stesso Trump.

 

Kim Jong-un e Donald Trump, fonte: KTLA

Presenti anche documenti relativi all’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, prontamente girati alla commissione della Camera che sta indagando su questi ultimi, ma ritrovati in pessimo stato per via dell’abitudine di Trump di buttare o strappare i documenti ritenuti da lui scomodi. I fogli in questioni erano stati infatti strappati e riparati con il nastro adesivo.

La non curanza di Trump

Che Donald Trump fosse un soggetto allergico al rispetto della burocrazia era cosa ben risaputa alla Casa Bianca. Come detto sopra, non era inusuale per i suoi collaboratori aggiungere ai loro compiti quello di recuperare e riparare la documentazione passata dalle mani dell’ex tycoon, spesso finita addirittura al difuori dello Studio Ovale. Ma oltre all’indifferenza con cui maneggiava rapporti o file anche classificati vi è un ulteriore gatta da pelare per l’Agenzia. Resta infatti da capire se oltre alla sottrazione di documenti per mero capriccio possa configurarsi anche l’accusa di sottrazione al fine di occultamento di materiale classificato attinente alle decine di controversie che hanno segnato la presidenza trumpiana. In particolar modo l’attenzione è incentrata sulle questioni attinenti le due procedure di impeachment: i rapporti con il leader ucraino Volodymyr Zelensky e l’assalto a Capitol Hill. Motivi che, secondo fonti interne, avrebbero spinto i vertici degli Archivi Nazionali a chiedere al dipartimento di Giustizia di avviare un indagine per appurare la presenza o l’eventuale assenza di documenti “classified”. Nel caso in cui documenti con tale connotazione non dovessero essere stati totalmente interessati dalla sottrazione di Trump allora sarà molto difficile che quest’ultimo incappi in procedimenti a carico della sua persona. Discorso diverso invece se ciò dove essere rilevato, ma ancora si tratta di un grosso, ma non improbabile, “se”.

 

Filippo Giletto

 

 

 

Assalto a Capitol Hill, la Commissione cita in giudizio Facebook e Google per non aver impedito l’attacco

Ad appena un anno dagli eventi di Capitol Hill che hanno segnato una delle pagine più buie della storia americana contemporanea, comportando anche la morte di cinque persone, gli Stati Uniti hanno perpetrato un’instancabile inchiesta per la ricerca dei responsabili dell’assalto, riuscendo ad arrestare all’incirca 700 persone. Tra questi, Jacob Chansley (noto anche come Jake Angeli, «Lo Sciamano»), che ha patteggiato una condanna dichiarandosi colpevole del reato di intralcio alla giustizia durante l’attacco, e Stewart Rhodes, leader e fondatore delle milizie di estrema destra degli Oath Keepers, accusato di eversione e di aver cospirato contro il Paese.

Adesso è il turno dei big del web. Lo scorso agosto la Commissione d’Inchiesta, costituita per indagare sugli eventi del 6 gennaio 2021, aveva richiesto, tramite una lettera del presidente Thompson, alle società di social media (come Facebook, Google, Reddit e Telegram) una serie di documenti, inclusi dati, rapporti, analisi e comunicazioni che risalgono alla primavera del 2020. Lo scopo era quello di individuare cambiamenti nella politica di tali società che, adottate o omesse, avessero comportato la diffusione delle fake news che hanno condotto agli eventi in questione.

Il ruolo dei social media nell’organizzazione dei QAnon repubblicani

È innegabile l’ampio ruolo che tutte le piattaforme citate nella lettera hanno assunto (oltre che per la diffusione delle notizie) per l’organizzazione dell’assalto. Su questi siti, i sostenitori di Trump (che aderiscono in gran parte alle teorie cospirazioniste di estrema destra del movimento denominato QAnon), descrivevano l’assalto come una «difesa della libertà».

(fonte: washingtonpost.com)

Dopo aver raccolto quanto richiesto nella lettera sopracitata, ieri la Commissione ha dichiarato di aver citato in giudizio Alphabet (la società che controlla Google e Youtube), Meta (la società che controlla Facebook), Reddit e Twitter, con le seguenti accuse:

  • Alphabet, per l’importanza assunta dalle livestreams in diretta dal Campidoglio, che avrebbero fomentato le comunicazioni tra i responsabili dell’attacco ed i vari sostenitori;
  • Meta, le cui piattaforme sarebbero state utilizzate per diffondere messaggi d’incitamento all’odio ed alla violenza, per diffondere disinformazione e teorie della cospirazione riguardanti l’elezioni, oltre che per coordinare il movimento ‘Stop the Steal’.
  • Reddit, che sarebbe servita da piattaforma della comunità r/The_Donald, cresciuta al punto da spostarsi su un sito web a parte.
  • Twitter, che sarebbe stata utilizzata per coordinare l’esecuzione dell’assalto e per amplificare le accuse di frode elettorale da parte dello stesso Presidente uscente. Inoltre, questa piattaforma era già stata avvertita della possibilità che si stessero pianificando delle violenze ben prima del 6 gennaio.

Il New York Times contro Trump, «il Partito Repubblicano assume un comportamento autoritario»

Un articolo d’opinione rilasciato dal New York Times alcuni giorni fa puntualizza e sostiene fortemente il ruolo che Trump (adesso bannato da Twitter e Facebook) ed il Partito Repubblicano avrebbero assunto nella pianificazione di un vero e proprio assalto alla democrazia americana. Un piano che affonderebbe le proprie radici nel tentativo di sovvertire i risultati elettorali del novembre 2021 e, di fatto, impedire di confermare l’elezione di Joe Biden.

(fonte: flipboard.com)

Secondo il Times “ogni giorno è il 6 gennaio”, soprattutto a causa di un «comportamento autoritario» che il Partito Repubblicano starebbe assumendo. A testimonianza di tale tesi, il Times adduce episodi di violenze fisiche e verbali da parte dei sostenitori repubblicani, ma anche alcune strategie attuate nello stesso Congresso:

«Lo vediamo nei cittadini che minacciano i funzionari elettorali e altri dipendenti pubblici, che chiedono quando possono usare le armi e promettono di assassinare i politici che osano votare secondo le proprie inclinazioni. Ma anche nei politici Repubblicani che rendono sempre più difficile votare e sempre più facile sovvertire il risultato delle elezioni, se non ne gradiscono l’esito. Lo vediamo anche nelle dichiarazioni di Trump, che continua a soffiare sul fuoco del conflitto con le sue bugie gigantesche e un livore senza fine.»

Inoltre, sembra che i parlamentari repubblicani stiano cercando di sabotare con ogni mezzo i lavori della Commissione d’inchiesta, se non addirittura di scioglierla. In attesa di ulteriori sviluppi nell’inchiesta, diversi portavoce delle società che hanno ricevuto il mandato di comparizione hanno accettato l’accusa, dichiarando di voler continuare a collaborare alle indagini. Il portavoce di Twitter si è invece rifiutato di rilasciare dichiarazioni.

Valeria Bonaccorso

Trump assolto dal secondo impeachment. Scoppia la polemica e la frattura repubblicana

Trump dopo la sua assoluzione con la copia di un giornale americano e il titolo “assolto” (fonte: ansa.it)

 

Accusato e assolto, di nuovo. Donald Trump entra nella storia, anche se per una triste motivazione: è stato l’unico, nella storia degli Stati Uniti, ad esser accusato due volte per impeachment e, soprattutto, ad esser stato processato in qualità di presidente non più in carica.

Il processo lampo, durato solo 5 giorni, si è concluso il 13 febbraio.

Nel febbraio del 2020, invece, durante il primo dei due processi, era stato assolto dopo l’accusa di aver ricattato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nel tentativo di ottenere materiale imbarazzante sull’attuale presidente, Joe Biden.

Una dei manifestanti a favore di Trump, durante l’assalto al Congresso (ansa.it)

Le concitate fasi del processo durato solo pochi giorni

Il Senato ha assolto l’ex presidente, nel secondo processo d’impeachment. Per Trump “è finita la caccia alle streghe”. Ma ovviamente non tutti la pensano così.

L’accusa sosteneva l’influenza di Trump per l’assalto al Congresso del 6 gennaio. Nelle ore immediatamente prima del voto, i Democratici hanno cercato di reclutare testimoni per sostenere la tesi, tra cui la deputata repubblicana Jaime Herrera Butler.

Questa aveva dichiarato di aver parlato con il leader repubblicano della Camera, Kevin McCarty, il quale avrebbe sentito l’ex presidente al telefono durante l’assalto a Capitol Hill, il quale non avrebbe condannato i responsabili.

In risposta, gli avvocati di Trump hanno fatto una forte resistenza e hanno minacciato di aggiungere centinaia di testimoni, tra cui la speaker della Camera Nancy Pelosi, causando l’allungamento di diverse settimane del processo, ipotesi che ha sempre preoccupato Joe Biden.

Nancy Pelosi, speaker della Camera (fonte: usnews.com)

Così democratici hanno fatto un passo indietro, chiedendo che venisse accettata solo la dichiarazione scritta della deputata Herrera.

I sette sì repubblicani per la condanna

Necessari 67 voti per la condanna, corrispondenti ai 2/3 dei 100 senatori giudicanti. Alla fine i “soli” 57 sì, di cui 50 democratici e 7 repubblicani, non sono bastati. Quest’ultimi appartengono all’ala moderata del partito: Mitt Romney, Susan Collins, Lisa Murkowski, Ben Sasse, Patrick Toomey, Bill Cassidy e Richard Burr.

Solo sette, dunque, i membri del partito del tycoon che hanno accolto l’appello dell’accusa: “Ci sono momenti che trascendono l’appartenenza politica e che chiedono di mettere da parte i partiti” aveva detto uno dei manager dell’accusa, Joe Neguse.

43, invece, gli altri repubblicani a favore dell’assoluzione, che hanno impedito, dunque, il raggiungimento del quorum. Fino all’ultimo, non era sicuro quanti di loro avrebbero votato a favore della condanna, unendosi ai dem.

La polemica

Il leader dei senatori repubblicani, Mitch McConnell, dopo aver votato a favore dell’assoluzione, ha comunque continuato a definire Trump “praticamente, moralmente responsabile” per l’attacco a Capitol Hill.

Questo ha spiegato le sue azioni – viste le critiche per il suo iniziale sostegno all’accusa, prima del processo – sostenendo che il Senato non può essere considerato “un tribunale morale”, in potere di condannare l’ex presidente per le sue responsabilità nelle vicende del 6 gennaio, che dovrebbero essere altre le sedi giudicanti, magari in ambito penale.

“Il presidente Trump – ha detto – è ancora responsabile per tutto ciò che fece mentre si trovava in carica. Non si è lasciato dietro nulla.”.

McConnell (fonte: pbs.org)

Ha sostenuto l’incostituzionalità dell’impeachment contro un presidente già decaduto, ritenendo questo solo “principalmente uno strumento per la sua rimozione” e che, dunque, il Senato non avrebbe giurisdizione. Ha sottolineato che “la Costituzione stabilisce chiaramente che i delitti di un presidente commessi nel corso del suo mandato possono essere perseguiti dopo che lascia la Casa Bianca”, intendendo quindi esservi possibilità che le inchieste in corso possano proseguire in altre sedi.

Per i democratici, invece, questo equivarrebbe a dire che Trump sia libero dall’essere per le azioni durante le ultime settimane del suo mandato.

Sembra che condannare Trump, dunque, ai repubblicanii quali hanno abbracciato tutti la linea di McConnellabbia fatto paura. Avrebbe significato mettersi contro suoi potenti sostenitori, oltre che esporsi a “vendette” pericolose per l’esito delle prossime elezioni del Midterm, previste per il prossimo anno. Hanno scelto la via della prudenza, per aspettare che la figura dell’ex presidente diventi in modo naturale sempre meno capace di muovere le fila del partito e per evitare ripercussioni in un momento delicato per la preparazione agli impegni del 2022.

In effetti, sono già iniziate delle vere e proprie purghe nel Grand Old Party, contro, innanzitutto, i repubblicani unitisi ai dem nel processo. Cassidy – uno dei sette – il quale aveva twittato di aver votato per la condanna “perché la nostra Costituzione e il nostro Paese sono più importanti di qualsiasi persona”, è stato oggetto di una mozione di censura da parte della commissione esecutiva del partito repubblicano della Louisiana: “Condanniamo nei termini più duri il suo voto. Fortunatamente menti più lucide hanno prevalso e Trump è stato assolto”, ha reso noto la commissione.

 

Il futuro, le prime dichiarazioni di Trump e i commenti di Biden

Trump potrebbe riprendere il controllo dei repubblicani nel 2024, qualora non vi fossero novità in campo giudiziario. Il partito, invece, rischia un crollo interno.

Una frattura è stata già, in realtà, aperta da una piccola fronda parlamentare e personalità di spicco come l’ex ambasciatrice dell’Onu nominata da Trump, Nikki Haley, che ha già voltato le spalle a quest’ultimo.

Trump, intanto, dopo l’assoluzione, ha diffuso un comunicato stampa in cui ha attaccato i Dem per avere portato avanti quello che, a suo dire, è stato un processo politico. Ha poi concluso dichiarando di esser pronto a tornare in campo:

“Il nostro storico, patriottico e meraviglioso movimento Make America Great Again (rendere l’America di nuovo grande, ndr) è solo all’inizio.”.

“La democrazia è fragile” ha detto, invece, il presidente eletto Biden, ricordando gli avvenimenti dell’assalto al Palazzo del Congresso e commentando il voto al Senato.

“Anche se il voto finale non ha portato a una condanna la sostanza dell’accusa non è in discussione” ha aggiunto. “Questo triste capitolo della nostra storia ci ha ricordato che la democrazia è fragile. Che deve essere sempre difesa. Che dobbiamo essere sempre vigili.”.

 

 

Rita Bonaccurso