Il segreto per essere felici? La risposta è tra di noi

Chiederci cosa ci rende felici è forse un fatto tanto personale quanto collettivo. La ricerca della felicità muove le nostre vite, le nostre scelte, governa il nostro tempo. Desideriamo la felicità per tutta la vita forse, ma perché?

Forse, questo istinto, nasconde dei fini ultimi per la conservazione della specie, o forse perché, altrimenti, ci annoieremmo. Nessuno ha una risposta univoca che possa soddisfare se stesso, tanto meno gli altri.

Un recente sondaggio condotto sui giovani chiedeva loro quali fossero gli obiettivi di vita più importanti. Oltre l’80% ha affermato che uno di questi fosse diventare ricchi, il 50% che lo fosse anche diventare famoso. Percentuali alte, sì, ma che ti aspettavi? In una realtà in cui ricchezza e fama ci vengono presentati come stereotipo dell’uomo felice e di successo è normale che tutti vi aspirino (anche tu ci avrai pensato almeno una volta!).

Siamo figli della smania della produttività, già preimpostati sulla competizione, sul lavorare duro, sullo spingere di più e ottenere di più. Di più, di più, di più. Sarebbero queste le cose che infatti dovremmo inseguire per raggiungere il nostro obbiettivo: una vita felice ed in salute.

Ma se potessimo guardare intere vite mentre si svolgono nel tempo? E se potessimo studiare delle persone da quando sono adolescenti fino alla vecchiaia per vedere cosa le rende davvero felici e in salute?

Scena tratta dal film “The Truman Show”

In realtà è stato fatto. Uno studio condotto dall’Università di Harvard è lo studio più lungo che sia mai stato condotto. Per 75 anni è stata seguita la vita di 724 uomini, anno dopo anno, e ora sta per iniziare lo studio degli oltre 2.000 figli di questi uomini. Un po’ come fossimo dentro “The Truman Show”.

Lo studio prende vita nel 1938 con due gruppi: il primo composto da studenti di Harvard, il secondo da ragazzi dei quartieri più poveri di Boston.

Sono stati seguiti nel tempo dal punto di vista medico, sociale, lavorativo e psicologico. Sono diventati adulti, hanno iniziato a lavorare, a viaggiare, a metter su famiglia. Alcuni sono diventati operai, altri avvocati, muratori o dottori, uno di loro persino Presidente degli Stati Uniti. Altri si sono ammalati e sono morti, altri hanno sviluppato tossicodipendenze, altri ancora alcolismo. Altri ancora hanno asceso la scala sociale, dal fondo fino in cima, altri hanno fatto lo stesso percorso al contrario.

In tutto questo lo studio raccoglieva dati. Si analizzavano le cartelle cliniche, se ne studiano i parametri vitali, ematochimici, cerebrali. Ma soprattutto gli si chiedeva di loro, quali fossero le preoccupazioni del momento, quali quelle future, se fossero soddisfatti della propria vita, delle proprie scelte, se fossero felici.

Ma dopo tutto questo tempo abbiamo imparato qualcosa? Se si, cosa? Quali sono le lezioni che derivano da decine di migliaia di pagine di informazioni che sono state generate su queste vite? 

Tutti i giorni di una vita in un’immagine


Il messaggio più chiaro che riceviamo è questo
: “le buone relazioni ci rendono più felici e più sani”. Tutto qua? Non potevamo risparmiarci tutta questa fatica per una cosa tanto ovvia? No, perché non è ovvia come sembra.

Scendiamo nel dettaglio: sono tre le grandi lezioni che possiamo trarre.

  1. Le connessioni sociali sono sempre positive e che la solitudine uccide. Si è visto che le persone socialmente più collegate alla famiglia, agli amici, alla comunità, erano più felici e soddisfatte della propria vita. Inoltre erano clinicamente più sane e vivevano più a lungo, alcuni di loro sono ancora in vita. Di contro la solitudine, oltre che causa di infelicità per ovvi motivi, è un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie croniche e che si manifestano precocemente rispetto ai primi.
  2. Tuttavia sappiamo anche che ci si può sentire soli in mezzo ai colleghi, ad un concerto con migliaia di persone, in un matrimonio. Quindi, non è tanto il numero di amici che hai, né il numero di serate in compagnia, né se sei impegnato o meno a fare la differenza, quanto la qualità delle relazioni che stringi a fare la differenza. Si è visto che vivere relazioni litigiose o insoddisfacenti si traduceva in un aumentato rischio per diverse patologie, che i matrimoni conflittuali e anaffettivi si rivelavano dannosi per la salute molto più che affrontare un divorzio. Di contro vivere relazioni sincere e profonde era un fattore protettivo. Andando a ritroso con i dati, si è visto che i partecipanti che durante la loro mezza età dichiaravano di essere soddisfatti delle proprio relazioni, amichevoli e amorose, vivevano in media 5 anni di più rispetto agli altri. La stessa differenza tra fumatori e non fumatori.
  3. Le relazioni non solo proteggono il nostro corpo, ma proteggono il nostro cervello. Si è visto che vivere una relazione consolidata con un’altra persona rallenta il fisiologico declino mentale durante la vecchiaia. Le persone che avevano instaurato relazioni in cui sentivano davvero di poter contare sull’altra persona conservavano ricordi più nitidi ed un pensiero astratto più elastico rispetto alle persone che non vi erano riuscite, che invece, a confronto, accusavano un peggioramente repentino delle capacità cognitive.

In tutti questi casi, ogni relazione ha avuto e continua ad avere alti e bassi, litigi ed incomprensioni ma, fintanto che ogni persona sa di poter contare ugualmente sull’altra (amico, collega, compagno/a), allora quella è una relazione che rende felici e che protegge la salute.

Il fatto che relazioni vere e sentite fossero anche salutari non è per niente una novità. Tutti possono quantomeno crederci con un minimo di logica. 

Ma allora perché è così difficile da capire e così facile da ignorare? Perché siamo umani, e quello che vorremmo davvero è una soluzione rapida, qualcosa che possa rendere le nostre vite felici e sane senza troppo sforzo. 

Le relazioni sono disordinate e complicate: non è facile mantenere un’amicizia quando si studia, quando si inizia a lavorare, non lo è essere presente in famiglia, non lo è tener vivo un amore quando la vita sembra risucchiarci. E’ un lavoro duro, che richiede tanto senza dare nulla, almeno nell’immediato. 

La verità è che, per quanto sia ovvio che la felicità e la salute di un uomo si basi anche sulle relazioni che esso costruisce, è difficile ammettere che la vita che desideriamo per noi stessi passi inevitabilmente attraverso gli altri.

E tu, sei felice? Qualsiasi sia la risposta, ricorda che la vita è troppo breve per passarla a cercare la felicità dentro di noi, perché la felicità è sempre stata tra di noi.

Antonio Nuccio

Per approfondire:

https://www.betterdaysandnights.com/Happyness%20Secret.pdf

https://europepmc.org/article/pmc/pmc3066527

Sindrome da Natale precoce e l’altra faccia della festività più attesa dell’anno

Molti sarebbero d’accordo con Cremonini che canta: “Dalle ultime ricerche di mercato si evince che la gioia è ancora tutta da inventare”. Secondo la scienza invece la felicità alberga nel cuore di chi si dedica agli addobbi natalizi con un po’ di anticipo. Sembra quindi che questa esigenza non sia dettata dalla voglia di battere tutti sul tempo sorprendendo con la decorazione più originale. La riflessione che sto per proporvi ha avuto inizio dalla constatazione di un fatto. Durante le ultime settimane di novembre, mentre mi aggiro per le vie di Messina, osservo le prime lucine tipiche di Natale ad ornamento di case e negozi. Continuando a passeggiare, riesco a scorgere la presenza di un albero di Natale attraverso la finestra di un appartamento che dà sulla strada. Lo stesso scenario. Ogni anno. Io, già di mio cinica e poco incline ai festeggiamenti, reagisco d’impulso indignata ed esprimo il mio disappunto, perché tutta quest’aria di festa precoce contribuisce a rincarare la mia già elevata dose di ansia. Senza voler limitare la libertà di nessuno…per quale motivo non si può semplicemente aspettare l’8 dicembre come da tradizione? Io, che se detenessi il potere di controllare il tempo lo fermerei o porterei indietro le lancette, non ho nessuna voglia di anticiparlo senza godermi la giusta attesa.

Comunque, una volta passato lo sfogo, torno sui miei passi e mi fermo a riflettere: mi convinco che dietro a questa tendenza di anno in anno sempre più comune, che prendo l’iniziativa di rinominare scherzosamente “sindrome da Natale precoce”, ci siano dei motivi ben più profondi da capire. Effettivamente, faccio alcune ricerche e trovo delle informazioni interessanti che riporto qui di seguito. Scopro che secondo un team di psicologi, se rientrate tra quelle persone che avevano già allestito albero e presepe qualche settimana prima di dicembre, significa che siete più felici degli altri. Non mi accontento di questa spiegazione un po’ fine a sé stessa, pertanto decido di approfondire e leggere ulteriormente. Traggo le seguenti conclusioni: stando agli studi di esperti psicoterapisti, impegnare la mente nella predisposizione degli addobbi natalizi ci distoglie dai problemi quotidiani e dallo stress, risveglia il “fanciullino” che è in noi e fa rinascere la nostalgia di un’infanzia spensierata che si desidera ripristinare. Ultimo effetto, ma non meno importante, sarebbe quello che le decorazioni appese fuori dalle porte degli appartamenti, nei balconi, e nei pianerottoli, migliorerebbero i rapporti con il vicinato e renderebbero più simpatici.

Per quanto io possa riporre estrema fiducia nella scienza, mi sento di dissentire da queste affermazioni, soprattutto dall’ultima, consegnando un’analisi dal mio punto di vista sociale e culturale un po’ diversa. Una versione che potrebbe sembrare forse troppo scettica, ma in cui tanti altri potrebbero riconoscersi, frutto di esperienze personali e collettive. Parto dal fatto che nonostante negli anni la mia famiglia abbia sempre esposto i festoni natalizi dietro la porta di casa, i signori condòmini del mio bizzarro e singolare palazzo che non rivolgevano il saluto prima di Natale, hanno proseguito a non farlo. La cosa più eclatante però è stata trovare, una volta rientrati a casa dopo un’uscita, le foglie della stella di Natale (che era esposta nel pianerottolo di casa) staccate dai rami e sparse sullo zerbino di casa. A quanto pare, più che aver suscitato simpatia, abbiamo favorito un atto di sfregio immotivato.

Una tesi che vorrei rielaborare da un’altra prospettiva è quella relativa all’equivalenza “persona che addobba in anticipo = persona felice”. Io non credo che si voglia comunicare proprio questo. Semmai, è simbolo di quanto bisogno ci sia di riacquistare serenità, che si finisce con il ricercarla in lucine e festoni, quasi fosse una soluzione terapeutica che finalmente, dopo un anno di frenesia, di monotona quotidianità e di dispiaceri, ci riporta alla realtà, intensificando i legami affettivi e familiari. Il problema però è che si tratta di un’illusione effimera e fugace, circoscritta alle vacanze natalizie destinate a finire nei primi di gennaio. Quest’inno alla gioia inoltre mette molto a disagio quelle persone che invece non riescono a manifestare queste stesse emozioni intrise di ottimismo in questo magico periodo dell’anno, perché si ritrovano a fare i conti con dei bilanci non necessariamente positivi per tutti, sui mesi passati. Ci si ricorda di quanto costruito, ma anche di ciò che si è perso. Se si vive soli e lontani da casa, Natale non è più lo stesso. In tempi di crisi, c’è chi non ha neanche la fortuna di sedersi a un cenone a mangiare come penseremmo fosse normale e scontato per tutti.

Secondo il pensiero di molti, a Natale la felicità dovrebbe essere contagiosa. I musoni e le facce malinconiche non sono ben accetti, quasi fosse una colpa. Eppure, esiste un fenomeno definito “Christmas Blues” che designa quelle persone investite da una sempre più diffusa tristezza che coincide con il clima di festività. Sono gli stessi amici o parenti che magari fingono di stare bene o di fare i regali di Natale con piacere. Io sono pro Christmas Blues e non biasimo chi si rispecchia in questo stato d’animo. “It’s okay not to be okay”. Che ben venga il dolore, se può diventare fonte di rinascita e di nuove consapevolezze, così come dovrebbe essere uno dei veri sensi del Natale.

Altra piaga poi sono i regali: ormai si sa, pubblicizzare il Natale è diventato anche uno scopo commerciale. I doni di Natale, se proprio dovete farli, fateli carichi di valore affettivo. Meglio così che privi di qualsiasi significato. Quelli fatti forzatamente vengono percepiti, sempre, e non vengono apprezzati già dal momento dello scarto. E poi, fate regali piccoli, che l’unica cosa grande che in varie forme desideriamo ma che non si può comprare, è la felicità, quella autentica però, non artificiale frutto di temporanei addobbi.

Il Natale insomma mette un po’ tutti a dura prova; è una ricorrenza controversa che spacca la società in due parti: chi lo ama e chi lo odia. In quest’ultima categoria di persone rientrano coloro che temono e ripudiano le tavolate. I momenti in cui le famiglie si riuniscono non solo possono riaccendere vecchi rancori e accentuare le attuali tensioni, ma spesso si tramutano in una serie di interrogatori da cui sembra una sfida uscirne vivi: “Ma il fidanzatino?” oppure “Quando ti laurei?” o ancora “Quando ti sposi?”, per finire con “Quando fate un figlio?”, e altre varie domande invadenti.

Effetti collaterali del Natale a parte, resta sicuramente una festività ricca di simbolismo e di spiritualità, da trascorrere con le persone che amiamo, senza obblighi o ansie. Concediamocelo almeno per due settimane. Facciamo una pausa, prendiamo un bel respiro, e ricominciamo a vivere, magari meglio di prima, la vita che desideriamo per il nostro bene, perseguendo i nostri sogni. Solo questo potrà ridonarci gioia. Questo è il mio augurio per voi lettori, studenti e non. Anche se a tratti posso essere risultata pessimista, in realtà il mio intento è di essere solo realista, con uno sguardo più fedele della realtà che possa raccontare l’altro lato delle feste, quello più scomodo e velato, troppo poco dibattuto.

 

Giusy Boccalatte

Foto di: Giulia Greco