Suicidio assistito, prima storica applicazione della Sentenza Cappato

Era il 25 settembre 2019 quando la Corte Costituzione italiana stabiliva che non sempre è punibile chi aiuta un’altra persona a morire. Il provvedimento, che prese il nome di Sentenza Cappato, aprì per la prima volta nel nostro ordinamento la strada alla possibilità di ricorrere al suicidio assistito. E questa settimana quella strada è stata praticata per la prima volta. Il Tribunale di Ancona ha infatti accolto la richiesta di un 43enne tetraplegico di ricorrere a tale pratica.

fonte: TuttoVisure.it

La Sentenza del Tribunale di Ancona

L’uomo, 43enne marchigiano, è ormai da 10 anni immobilizzato a letto. Una condizione irreversibile e dovuta a un incidente stradale. Quest’ultimo però non ha intaccato la sua capacità di intendere e di volere. Ben conscio del proprio stato e venuto a sapere dell’esito del processo a carico di Marco Cappato, l’uomo ha infatti fatto richiesta all’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di potere accedere al suicidio assistito. Richiesta però respinta dalla struttura che si è rifiutata di attivare le procedure previste all’interno della stessa sentenza della Corte Costituzione.

In seguito al rifiuto da parte dell’ASL delle Marche, l’uomo si è quindi rivolto al tribunale del capoluogo marchigiano. I giudici hanno però respinto in primo grado la richiesta. Questo perché, per i giudici, sebbene il 43enne possedesse tutti i requisiti previsti all’interno della sentenza Cappato la sussistenza degli stessi non comporta automaticamente un obbligo nei confronti della struttura sanitaria e del suo personale di garantire la procedura di assistenza al suicidio. Posizione del Tribunale che però è cambiata successivamente alla presentazione di un reclamo da parte dello stesso paziente e che adesso obbliga l’ASL a procedere all’erogazione della procedura previa la verifica della sussistenza dei requisiti indicati.

 

Eutanasia (attiva e passiva) e suicidio assistito nell’ordinamento italiano

Nel nostro Paese manca una legge che riconosca l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. Pratiche che permetterebbero, rispettivamente, la somministrazione di un farmaco letale da parte del personale della struttura sanitaria e l’assunzione del farmaco autonomamente da parte del paziente. Ad essere invece garantito è il diritto all’eutanasia passiva che prevede unicamente lo spegnimento dei macchinari che tengono in vita il soggetto e la sospensione delle cure.

fonte: AGI

Marco Cappato e la battaglia per i diritti civili

Nome che si è legato inscindibilmente alla lotta per il riconoscimento in Italia proprio dell’eutanasia e del suicidio assistito è quello di Marco Cappato. Da anni attivo nella lotta per i diritti civili, la sua figura è balzata agli onori della cronaca con il cosiddetto “caso Dj Fabo“. Cappato ha infatti accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani per mettere fine alla sua vita come da lui richiesto più volte. Rientrato successivamente in Italia, questi si è consegnato alle autorità autodenunciandosi per il reato di aiuto al suicidio (art.580 del codice penale per cui è prevista una pena tra i 6 e i 12 anni). Dal processo che ne è seguito, come da lui stesso voluto, si è originato un notevole dibattito che si sperava potesse portare il nostro legislatore a produrre una legge sul fine vita. Purtroppo però la legge ancora non vi è. Come spesso accade quando l’oggetto del dialogo rappresenta un tema divisivo e rischioso per il consenso la classe politica si è defilata da qualsiasi presa di posizione. Ma dove i partiti non arrivano spesso i giudici sono già avanti. La Corte Costituzionale, chiamata in causa dal Tribunale di Milano proprio nell’ambito del caso Cappato circa la legittimità costituzionale della non distinzione nell’articolo 580 del codice penale dell’aiuto e dall’assistenza al suicidio, ha emesso la famosa sentenza 242 del 2019 denominata per l’appunto “Sentenza Cappato”.

Marco Cappato durante il processo a suo carico, fonte: Avvenire

La Sentenza Cappato

La sentenza Cappato, la n°242 del 2019, riconosce un’area di “non punibilità” all’interno del 580 c.p. Viene infatti esclusa la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale”. 

Sostanzialmente il suicidio assistito può essere concesso al paziente nel caso in cui questi:

  • sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale;
  • sia affetto da una patologia irreversibile la quale procuri al paziente sofferenze fisiche e psicologiche reputate dallo stesso intollerabili;
  • che nonostante le proprie condizioni il paziente sia capace di intendere e di volere in maniera libera e consapevole.

Le implicazioni della sentenza sono importantissime perché, grazie ad essa, chi si trova in condizioni simili a quelle di Dj Fabo o del 43enne marchigiano ed esprime l’intenzione di porre fine alla propria esistenza non sarà più costretto a recarsi all’estero per realizzare la sua volontà. Così facendo, inoltre, chi lo assiste non solo non dovrà sobbarcarsi le spese necessarie (trasporto, alloggio, clinica) ma non rischierà nemmeno una pena non indifferente (tra i 6 e i 12 anni; la medesima per il reato di violenza sessuale ex. art.609bis del c.p.) solamente per un atto di civiltà.

Filippo Giletto

 

 

Fondi Lega: arriva la pronuncia della Cassazione

La notizia più calda del momento, quella maggiormente trattata dalle testate e dai Tg di tutt’Italia, è sicuramente quella relativa al caso dei fondi illeciti che la Lega dovrebbe restituire perchè frutto di una truffa incorsa ai danni dello Stato. Il fatto risale a circa dieci anni fa e ad occuparsene fu il Tribunale di Genova che nel 2017 aveva già condannato l’allora segretario del partito Umberto Bossi, l’ex tesoriere Francesco Belsito ed altri esponenti ed imprenditori legati al Carroccio.

La sentenza prevedeva la confisca al partito di circa 49 milioni di euro come risarcimento per i rimborsi ingiustamente utilizzati, “somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna”. Ma, il 4 settembre 2017, giorno in cui la procura di Genova aveva ottenuto il decreto per il sequestro dei fondi, sui conti correnti della Lega erano stati ritrovati solo 2 milioni, somma che ovviamente non poteva essere ritenuta sufficiente. Alla luce di tutto ciò, le autorità avevano richiesto di estendere il provvedimento anche alle somme che sarebbero state depositate in futuro nelle casse del partito, in modo da poter rispettare quanto definito dalla sentenza, ma il tribunale del Riesame aveva respinto questa richiesta, bloccando tutto il processo in corso.

Risultati immagini per cassazioneIl 12 Aprile scorso la procura di Genova ha quindi presentato ricorso alla Cassazione, ricorso che è stato effettivamente accolto solo tre giorni fa, rinviando al tribunale del Riesame il compito di riconsiderare la decisione presa nel 2017 sulla base del fatto che “la fungibilità del denaro e la sua stessa funzione di mezzo di pagamento non impongono che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite […] la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque venga rinvenuta, una volta accertato, come nel caso in esame, il rapporto pertinenziale quale relazione diretta, attuale e strumentale, fra il danaro oggetto del provvedimento di sequestro ed il reato del quale costituisce il profitto illecito” . In parole povere, ciò che vorrebbe la Cassazione è la restituzione dei fondi acquisiti dalla Lega truffando lo Stato, sia che questi fossero già presenti nelle casse del Carroccio, sia che questi provenissero da finanziamenti futuri.

Risultati immagini per fondi legaIn generale possiamo definire tutto ciò come un durissimo colpo inferto al partito che negli ultimi mesi sta macinando terreno confermandosi sempre più come seconda forza politica in Italia. Subito dopo la pronuncia della Cassazione, anche il ministro della Giustizia Bonafede ha rincarato la dose affermando ai microfoni dell’Ansa che:

“Tutti devono potersi difendere fino all’ultimo grado di giudizio. Poi, però, le sentenze vanno rispettate, senza evocare scenari che sembrano appartenere più alla Seconda Repubblica”

Parole che non sono state affatto apprezzate dal leader della Lega, nonché ministro dell’Interno, Matteo Salvini, la cui dichiarazione non si è fatta aspettare:

“Onestamente con tutte le cose importanti a cui sto lavorando, questa è quella che mi interessa di meno.”

Bisognerà dunque aspettare qualche altro giorno per capire come si profilerà tutta la questione, considerando la volontà espressa da fonti leghiste di incontrare il presidente Mattarella dopo il suo ritorno dal viaggio in Lituania (incontro che dovrebbe tenersi lunedi 9 al Quirinale), e quale sarà la pronuncia del Riesame in merito alla nuova sentenza della Cassazione.

Giorgio Muzzupappa

Bari, magistrati ed avvocati a lavoro in tenda

Il sindaco Decaro: “La città di Bari prova un sentimento di vergogna”

Da quando dieci giorni fa una relazione tecnica commissionata dall’Inail, ente proprietario dell’immobile di via Nazariantz che ha ospitato la Procura e il tribunale penale, ha rilevato le gravi criticità strutturali dell’edificio, la città si è mobilitata per trovare una soluzione d’emergenza. Nella consulenza si evidenzia che i problemi di staticità dell’edificio non consentono di continuare a sostenere l’uso intenso e i carichi di un tribunale.

Non si parla di rischio crollo in senso stretto, ma vista la criticità è stato programmato subito lo sgombero e il Comune ha sospeso l’agibilità degli edifici dando il via al trasferimento delle sedi nelle varie tende.

Le tre tende sono state allestite sabato 27 maggio dalla Protezione civile regionale.

Dalla mattinata di lunedì 28 maggio, le tre strutture ospiteranno giudici e avvocati per i rinvii dei processi ordinari, mentre le udienze con imputati detenuti e le convalide degli arresti.

In tutte e tre le tende è stato affisso un cartello, stampato su un semplice foglio bianco A4, riportante la  frase “La legge è uguale per tutti” per testimoniare l’impegno della magistratura e avvocatura anche nella situazione di emergenza.

In segno di protesta, magistrati, avvocati e cancellieri marceranno in un corteo silenzioso con le toghe sul braccio.

Nonostante le circostanze sembrano derivare da un terremoto, le calamità non sono solo quelle naturali; ma ci troviamo di fronte ad una calamità burocratica. Non si parla più di effetti sismici, ma di problemi che sono stati rimandati fin troppo a lungo.

Il sindaco Antonio Decaro, ha spiegato:

“La città di Bari prova un sentimento di vergogna. Prova vergogna nei confronti dei magistrati, degli avvocati, di tutti gli operatori e dei cittadini che attendono giustizia. È assurdo costruire edifici a pericolo crollo. Non bisognava arrivare a tanto”

Da anni sentiamo sempre le condizioni edili peggiorare ritrovandoci così davanti a disastri inconcepibili dove si deve continuare a lavorare fra smembramenti, ritardi, e spazi molto ristretti.

Ma in un paese in irreversibile declino, dove le “stranezze” sono all’ordine del giorno, nel quale poche cose funzionano decentemente, non si capisce per quale ragione dovrebbe salvarsi, tra quelle poche cose, la giustizia e lo stesso concetto di ‘diritto’.

Francesca Grasso