Padova, medici “rivitalizzano” un cuore e lo trapiantano. Operazione unica nella storia

Lo scorso giovedì, un’equipe di medici padovani ha ricordato al mondo quanto bravi possano essere i professionisti sanitari nostrani. Compiendo un’operazione che ha dell’incredibile, unica nella storia per le sue modalità, l’equipe è riuscita a trapiantare un cuore “morto” da 20 minuti nel corpo di un cardiopatico. Ma andiamo per ordine…

Padova: in attesa da tre anni, poi il miracolo!

Riporta le informazioni Skytg24. Un uomo cardiopatico, oggi 46enne, nel 2020 aveva fatto richiesta, presso la struttura ospedaliera di Padova, per un cuore sano. Suo malgrado però, come spesso accade per penuria di “risorse anatomiche”, il suo desiderio era rimasto per tanto tempo inesaudito.

Per un lungo periodo ha sofferto ansioso in lista d’attesa, fino a quando, qualche giorno fa, è giunta  un’opportunità. È arrivato il bramatissimo bene, da mettere a frutto con un’operazione difficilissima.

Un altro uomo, colpito da “morte cardiaca”, ha lasciato in dono il suo cuore all’azienda ospedaliera di Padova: un cuore di tipo compatibile con quello del 46enne. 

L’operazione:  un cuore “vivo” da corpo a corpo

Così, senza perdere un attimo di tempo, i medici hanno messo le mani sul cuore del donatore. L’hanno riperfuso e, dopo averne valutato lo stato, l’hanno trapiantato con successo!

Hanno partecipato all’intervento, accompagnati dai rispettivi entourage: Gino Gerosa, direttore del reparto di cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera di Padova e Paolo Zanatta, direttore del reparto di Anestesia e Rianimazione di Treviso.

A onor del vero, non è la prima volta che un cuore viene “rivitalizzato” in un altro corpo. Ma è la prima volta che ciò accade dopo ben venti minuti di “stop”. 

D’altronde, in Italia nessuno avrebbe potuto agire diversamente: una legge prescrive che il prelievo da cadavere possa avvenire solo dopo che un medico ha certificato la morte attraverso l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per una durata di almeno venti minuti, trascorsi i quali si considera vi sia una irreversibile perdita delle funzioni dell’encefalo e dunque la morte dell’individuo.

Cuore
Ospedale. Fonte: Italia Informa

Il Presidente Zaia: “Una nuova pagina sul fronte del trapianto di cuore”

Il direttore Gerasa ha commentato così la buona riuscita dell’operazione:

Per primi al mondo abbiamo dimostrato che si può utilizzare per un trapianto cardiaco un cuore che ha cessato ogni attività elettrica da 20 minuti. Questo risultato straordinario potrebbe portare ad un incremento del 30% nel numero dei trapianti, in un arco di tempo relativamente breve.

Ci sono Paesi in cui l’attesa dopo lo stop del cuore è di 2, massimo 5 minuti, qui in Italia ne sono previsti 20. Quindi abbiamo studiato e lavorato intensamente per superare questo ostacolo e abbiamo dimostrato che anche in Italia si può fare questo tipo di trapianto

E anche Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha voluto dire la sua sulla vicenda, dimostrando enorme soddisfazione:

Si tratta di una notizia emozionante, si apre una nuova pagina di storia sul fronte del trapianto di cuore, risultato di un lavoro di squadra eccezionale portato avanti dalla sanità veneta e da questi medici professionisti di grandissimo spessore.

 

Gabriele Nostro

 

 

 

Trapianto a temperatura controllata: un cuore nel guscio

Giorno 3 luglio, grazie ad un trapianto a temperatura controllata, un piccolo cuore di 60 grammi ha salvato la vita di un bambino ricoverato da mesi all’ospedale Bambino Gesù di Roma. L’organo, tenuto ad una temperatura costante di 5 gradi grazie ad una innovativa tecnologia, è stato controllato tramite un’app che ha permesso al team medico di seguire il trasporto e monitorare a distanza la temperatura del cuore.

Il Ricevente

Il bambino che ha ricevuto l’organo era affetto da miocardiopatia restrittiva. Si tratta di una condizione in cui la rigidità delle pareti ventricolari risulta aumentata. Il cuore, non riuscendo a riempirsi adeguatamente, diminuisce così la quantità di sangue pompato. Per questo, prima del trapianto, è stato necessario supportarlo con un dispositivo di assistenza meccanica (cuore artificiale). Le sue condizioni attuali del piccolo sono buone ed è stato già dimesso dall’Ospedale.

Epatite acuta pediatrica, bimbo di 3 anni rischia trapianto al Bambino Gesù: "Ipotesi calo difese dovuta ai lockdown per Covid" - Il Riformista
Fonte: www.ilriformista.it

  L’intervento di trapianto

L’intervento ha seguito una pratica di disponibilità d’organo: l’equip è partita immediatamente per l’ospedale del donatore per effettuare il prelievo. Il tutto in tempi rapidissimi. Durante la procedura, l’organo prelevato è stato inserito in sacchetti sterili contenenti una soluzione fredda e posto in un contenitore refrigerato. Questo metodo, chiamato ischemia fredda (l’ischemia è l’intervallo durante il quale l’organo rimane al di fuori dell’organismo), permette di proteggere il cuore umano dal danno ischemico fra il prelievo e il trapianto per tre o quattro ore.

Fonte: www.alleatiperlasalute.it

La necessità di un evoluzione della medicina

Questo esempio recente mostra come la scarsità di organi a disposizione e la necessità di trasporti su lunghe distanze, ha spinto la ricerca a investire su sistemi che possano garantire al meglio la conservazione dell’organo da trapiantare, riducendo al minimo i rischi di deterioramento. Nell’ambito del trapianto pediatrico di cuore, dove la disponibilità di organi è ancora più ridotta, è stato perfezionato il modello di trasporto cardiaco a temperatura controllata SherpaPak CTS.

Il funzionamento del sistema a temperatura controllata

Al centro del sistema c’è un guscio rigido nel quale l’organo è immerso e sospeso in una soluzione di conservazione a freddo per il trasporto. La presenza di ghiaccio secco all’esterno del contenitore assicura una temperatura costante intorno ai 5 gradi centigradi, evitando un eccessivo raffreddamento del cuore che potrebbe portare a danni cellulari. Un registratore di dati monitora e visualizza la temperatura della soluzione in cui è immerso il cuore durante il trasporto tra le sale operatorie e consente al team medico coinvolto nel trapianto di controllarla lungo tutto il percorso. Esistono dispositivi simili anche per il trasporto di altri organi come polmone e fegato.

Fonte: www.fondazionebambinogesu.it

Il vantaggio dell’innovazione

Il vantaggio più rilevante – afferma Antonio Amodeo, responsabile di Scompenso, Trapianto e Assistenza meccanica cardio-respiratoria al Bambino Gesù – è che all’interno di questo sistema non si arriva mai a temperature al di sotto dei 2 gradi, come può avvenire nel trasporto tradizionale. Il sistema previene il rischio di congelamento di parti della superficie del cuore mantenendo costante la temperatura dell’intero organo evitando danni cellulari sotto i due gradi.
Il sistema è già in uso in alcuni ospedali europei mentre in Italia è stato utilizzato in qualche occasione unicamente per il trasporto di organi adulti.
Quello del Bambino Gesù è stato il primo trasporto a temperatura controllata in Italia di un cuore destinato al trapianto per un bambino.

L’attività e la vita post-trapianto

Il bambino trapiantato può e deve condurre una vita il più  normale possibile. Un’attenzione particolare va posta alla possibilità di contrarre malattie infettive dell’età pediatrica. Importanza decisiva, infatti, rivestono le vaccinazioni somministrate prima e dopo il trapianto che consentono di prevenire una buona quota di malattie.

Fonte: madreshoy.com

Conclusioni

Ancora una volta le tecnologie più avanzate e la ricerca scientifica  hanno permesso di dare risposte alle famiglie con un figlio malato, evitando come le liste d’attesa. Naturalmente la responsabilità medica è estesa allo stesso modo alle famiglie dei donatori la cui grande generosità è un dono prezioso da non mettere mai a rischio.

La donazione di organi la più alta forma di coscienza civica

Sergio Filippelli

 

Alice Pantano

Bibliografia
www.gravidanzaonline.it
www.trapiantofegato.it
www.msdmanuals.com

La scienza vince nuovamente: dall’impresa di Barnard all’affascinante xenotrapianto

La scienza con i suoi passi da gigante, ci apre la vista a nuove frontiere. Dal 1967 ad oggi abbiamo assistito, grazie all’intraprendenza ed alla passione degli specialisti, ad un susseguirsi di eventi che hanno portato nel 2021 al primo trapianto di rene da maiale ad uomo e il 7 gennaio 2022 al primo xenotrapianto di cuore.

  1. Cenni storici: Christiaan Barnard
  2. Fu eticamente accettabile?
  3. Conseguenze dell’intervento
  4. Il primo xenotrapianto di cuore
  5. Ostacoli
  6. Intervento della Bioetica
  7. Cosa è successo al paziente dopo l’intervento chirurgico?
  8. Conclusioni 

Cenni storici: Christiaan Barnard

Il 3 Dicembre 1967 è una data che ancora oggi viene ricordata ed ampiamente discussa a seguito di un miracoloso intervento chirurgico, reso possibile da un coraggioso medico sudafricano: Christiaan Barnard.  Egli è stato ricordato da colleghi e collaboratori come medico tecnicamente superiore a molti altri, saccente e pronto a sapere la verità, senza porsi alcuno scrupolo. Il trapianto ha riscosso innumerevoli lodi internazionali, ma non mancarono le critiche.

Fu eticamente accettabile?

Barnard eseguì l’operazione segretamente, utilizzando il cuore di una giovane ragazza in coma irreversibile dopo un incidente d’auto. Circa 5 ore dopo dal suo arrivo in ospedale, chiamò il direttore dell’ospedale, il Groote-Schuur di Città del Capo, per comunicargli l’esito positivo dell’intervento chirurgico. Barnard non fu considerato un omicida, nonostante avesse trapiantato il cuore ancora battente di una ragazza in uno stato particolare, definito “Coma depassè”. Mollaret e Goulon nel 1959 coniarono questo termine per poter parlare di “morte cerebrale”, con il quale si identificano in chiave insiemistica tutte quelle persone che, nonostante le loro gravi condizioni, sono tecnicamente vive per molti medici e critici della Bioetica. A lungo sono stati discussi quali fossero i termini entro i quali poter definire una persona deceduta, fino ad arrivare alla conclusione, accettata quasi a livello internazionale, che la morte sopraggiunge con la cessazione irreversibile delle normali funzioni cardiache.

Conseguenze dell’intervento

Dopo l’operazione del medico sudafricano, molti chirurghi si cimentarono nei trapianti d’organo fino a toccare lo “xenotrapianto”, ovvero l’intervento chirurgico eseguito utilizzando organi o tessuti di una specie diversa dalla nostra, e la società promosse quest’idea della donazione di organi. Si arrivò ad una sorta di regolamentazione bioetica solo nel 1968 con l’Harvard Medical School, il quale promosse una serie di linee guida accettate, quasi a livello internazionale, per permettere tali interventi.

https://lindro.it

Il primo xenotrapianto di cuore

7 Gennaio 2022. Ricorderemo anche questa data per molto tempo, poiché per la prima volta nella storia della medicina il chirurgo Bartley Griffith, insieme alla sua equipe medica all’ospedale dell’Università del Maryland negli USA, ha effettuato uno xenotrapianto a dir poco sensazionale, permettendo al 57enne David Bennett di ricevere il cuore di un maiale geneticamente modificato. In passato altri medici hanno provato un intervento simile con un cuore di babbuino, ma il paziente morì dopo appena 21 giorni. Nonostante la pericolosità della complessa operazione chirurgica, la Food And Drug Administration ha dato il concesso per poter effettuare l’intervento dopo aver ottenuto il concesso informato del 57enne. L’uomo era costretto a dover combattere tra vita e morte con pochissime possibilità di farcela senza la mano medica e, per questo motivo, avava deciso di sottoporsi comunque allo xenotrapianto.

Ostacoli

Sorgevano quattro grandi avversità: la possibilità che dopo l’intervento il cuore potesse continuare a crescere progressivamente e far contrarre numerose infezioni virali, il complicato adattamento dell’organo nella cavità toracica e, soprattutto, l’alta probabilità di rigetto dell’organo da parte del suo organismo.
La manipolazione genetica e la farmacologia hanno permesso di superare brillantemente questi problemi: l’azienda Biotech Revivicor di Blacksburg ha fornito il cuore ed è stato utilizzato un farmaco sperimentale. In questo modo, l’equipe medica ha potuto risolvere tutte le difficoltà.

Intervento della Bioetica

L’intervento fu un gran successo ed ha riscosso numerosi apprezzamenti, poiché potrebbe ufficialmente iniziare una nuova era medica, quella degli xenotrapianti. Tale operazione, però, ha smosso le acque della sfera Bioetica: sfruttare gli animali per poter ricavare componenti anatomici vorrebbe dire privarli di un qualsiasi status morale, andando a sottolineare la diversità di specie. In questo modo, il ventunesimo secolo sarebbe nuovamente caratterizzato dall’antropocentrismo. Promuovendo questo nuovo espediente, il numero di allevamenti di animali crescerebbe esponenzialmente sino ad arrivare ad uno sfruttamento più totale degli stessi; lo specismo renderebbe l’uomo caput mundi un’ulteriore volta.

Cosa è successo al paziente dopo l’intervento chirurgico?

Il coraggioso paziente, dopo quasi 2 mesi dall’intervento, ha avuto rapidi peggioramenti fino a morire l’8 Marzo. Le cause della sua morte sono ancora da scoprire: probabilmente le sue condizioni avverse hanno contribuito alla cessazione delle funzioni cardiache. Nonostante ciò, il suo ammirevole sforzo consentirà al mondo scientifico di poter trovare nuovamente una soluzione anche a questo ostacolo.

https://www.today.it

Conclusioni

In media, un paziente deve attendere circa 3 anni e 8 mesi per poter ricevere l’organo cardiaco. Se utilizzassimo organi e tessuti di specie diverse dalla nostra, potremo ridurre sensibilmente la lunga lista d’attesa o, in futuro, eliminarla quasi del tutto.
L’intervento chirurgico di Barnard e quello di Griffith hanno rivoluzionato il campo medico, permettendo alla scienza di compiere dei grandi passi in avanti. Il gesto del 57enne Bennett è stato lodevole. Era un uomo forte e coraggioso, pronto a sfidare la morte e a combatterla con ogni arma a sua disposizione, ma dalla sua parte aveva quella più forte: la scienza.

Dario Gallo

Per approfondire:

 

 

Primo trapianto di rene da maiale a uomo. Cosa aspettarci dal futuro?

Risale a poco più di un mese fa la prima e favorevole esecuzione di un trapianto di rene di maiale geneticamente modificato su un essere umano. Questo evento ha rappresentato una svolta epocale nel mondo della trapiantologia, in quanto i precedenti esperimenti si erano rivelati alquanto infruttuosi.

Cenni di storia: il primo trapianto

Il trapianto consiste nell’inserimento di un’unità anatomo-funzionale proveniente da un donatore nell’organismo del ricevente. Risale a dicembre del 1954, a Boston, il primo trapianto di rene tra gemelli omozigoti. Il giovane ricevente, paziente uremico costretto alla dialisi, fu sottoposto al trapianto per mano del trapiantologo Joseph Murray. Questo trapianto andò bene in quanto il ricevente non rigettò l’organo.
La perfetta riuscita dell’intervento valse a Murray, nel 1990, il premio Nobel per la medicina.

Esistono ad oggi diversi tipi di trapianto:

  • Autotrapianto: trapianto di una parte del corpo su di un’altra, come nel caso di cute o vasi
  • Isotrapianto: trapianto tra due membri della stessa specie geneticamente identici
  • Allotrapianto: trapianto tra due membri della stessa specie non geneticamente identici
  • Xenotrapianto: trapianto tra membri di specie diversa ad esempio scimmia o maiale
Fonte immagine: Il Corpo Umano

Complicanze del trapianto

Una volta trapiantato l’organo, inizia una fase di vigile attesa finalizzata a monitorare un eventuale rigetto.
Il rigetto è una delle tre principali complicanze alle quali va incontro un soggetto trapiantato. Si parla di rigetto quando il sistema immunitario di un paziente sottoposto a trapianto attacca il nuovo organo riconoscendolo come non-self.
Si distinguono rigetto iperacuto (qualche minuto, poche ore), acuto (qualche giorno, poche settimane), cronico (alcuni mesi, diversi anni).

L’introduzione della terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto ha aperto le porte ad altri due tipi di complicanze. Le complicanze infettive, tra tutte quella da organismi opportunisti quali citomegalovirus e pneumocystis jirovecii. Infine le complicanze neoplastiche tra cui annoveriamo tumori cutanei quali melanoma e spinalioma, sarcoma di Kaposi e linfomi non-Hodking.

Trapianto di rene da uomo a maiale: la svolta

I maiali sono da lungo tempo l’obiettivo della ricerca per fronteggiare la carenza di organi e il problema delle liste d’attesa.
Basti pensare alle sostituzioni valvolari effettuate con valvole provenienti da suini o ai trapianti di cornea. Anche nel caso di uno xenotrapianto, l’intervento non esula da complicanze più o meno gravi. In questo caso, l’equipe guidata dal Dottor Robert Montgomery il mese scorso ha notato come  uno zucchero nelle cellule di maiale, estraneo al corpo umano, provocava il rigetto immediato degli organi. Il rene per questo esperimento proveniva da un animale modificato geneticamente, progettato per eliminare quello zucchero ed evitare un attacco da parte del sistema immunitario.

Maiali da laboratorio. Prospettiva futura rilevante per la trapiantologia. Immagine tratta da https://www.focus.it/

Un passo significativo

Una volta selezionato il maiale, accuratamente modificato dal punto di vista genetico, ha avuto il via l’operazione. I chirurghi hanno attaccato il rene di maiale ad un paio di grandi vasi sanguigni al di fuori del corpo di un destinatario deceduto, in modo da poterlo osservare per due giorni. Altra significativa differenza con un normale trapianto di rene umano, in cui l’organo ricevuto viene impiantato in fossa iliaca senza rimuovere il vecchio rene che rimane, salvo casi eccezionali, in sede. Il rene trapiantato ha svolto normalmente la sua funzione, ovvero il filtraggio delle scorie e la produzione di urina, non provocando alcun rigetto.

“Questa ricerca è un passo significativo”, ha affermato il Dottor Andrew Adams della University of Minnesota Medical School, come riportato dal blog Medicalxpress. Rassicuranti sembrano essere le parole di Montgomery, che ha sottolineato come non si sia verificato alcun rifiuto immediato. Curioso sottolineare come anche Montgomery stesso rientri tra i “fortunati” destinatari di un organo trapiantato: proprio il chirurgo venne salvato tre anni fa da un trapianto di cuore in donazione da un paziente deceduto per epatite C.

Fonte immagine: Euronews  https://it.euronews.com/2021/10/21/la-nuova-frontiera-dei-trapianti-il-rene-di-un-maiale-in-un-essere-umano

Cosa aspettarci dal futuro?

Questo test ha rappresentato un grande salto in avanti nella ricerca per l’utilizzo, un giorno, di organi animali per trapianti salvavita.
Il maiale di per sè ha numerosi vantaggi rispetto alla scimmia. In primis, la questione etica da sempre problematica nell’ambito dello xenotrapianto, sarebbe meno pesante essendo i suini comunemente utilizzati come prodotti per il cibo. Inoltre, i maiali producono cucciolate molto numerose, con periodi gestazionali e organi paragonabili a quelli umani. E’ ormai parere comune degli esperti che i test su primati non umani e l’esperimento del mese scorso danno vita a nuovi scenari incentrati su trapianti di rene di maiale su persone viventi nei prossimi anni. Questo costituirebbe sicuramente un’arma fondamentale dal punto di vista clinico: è infatti risaputo che, nonostante l’efficacia del trattamento dialitico, l’unico intervento capace di sopperire appieno alla complessa funzionalità del rene è il trapianto renale.

Ad oggi, numerose aziende sono in corsa per sviluppare organi di suino adatti al trapianto per attutire la carenza di organi umani. Più di 90.000 persone negli Stati Uniti sono in lista per un trapianto di rene. Ogni giorno, 12 persone muoiono nell’attesa.

Saro Pistorìo

 

Per approfondire:

https://medicalxpress.com/news/2021-10-pig-kidney-human-patient-potential.html

Il microbiota intestinale: un ”organo” trapiantabile

Il microbiota intestinale, comunemente conosciuto come flora intestinale, è uno degli elementi fondamentali e coinvolto in molteplici funzioni dell’ apparato digerente. 

  1. Cos’è il microbiota intestinale?

  2. Funzioni del microbiota

  3. Microbiota come ”organo”

  4. Condizioni che alterano il microbiota

  5. Conseguenze

  6. FMT, una terapia all’avanguardia

  7. Criteri per la donazione di materiale fecale

  8.  Conclusioni

Cos’è il microbiota intestinale?

La popolazione di microrganismi che costituisce questo ecosistema è rappresentata da miliardi di batteri, virus, funghi e protozoi, che interagiscono tra di loro funzionando come un vero e proprio organo.
La flora batterica e l’organismo sono in equilibrio tra loro in una condizione che prende il nome di eubiosi. L’uomo infatti, fornisce ai microrganismi i nutrienti necessari alla sopravvivenza in cambio di importanti funzioni da essi svolti per l’organismo.
Per cercare di mantenere uno stato di equilibrio, è necessario seguire uno stile di vita sano.
 Una dieta equilibrata è sicuramente molto importante (la dieta mediterranea è un buon esempio), fare attività fisica (bastano 20-30 min al giorno), astenersi dal fumo ed evitare l’abuso alcolico.

Fonte: Pleinair

Funzioni del microbiota

Le funzioni del microbiota intestinale sono molteplici e non limitate al solo distretto enterico.
Una delle principali funzioni è quella metabolica. Infatti, il microbiota produce vitamine come la vitamina K o B12 e sintetizza aminoacidi ed enzimi essenziali. Inoltre, interviene nei processi digestivi, trasformando gli acidi biliari primitivi in secondari, utili alla digestione e all’assorbimento dei lipidi.
La flora promuove lo sviluppo dei villi intestinali e delle cellule che costituiscono la mucosa intestinale, quindi svolge una funzione strutturale.
In più, regola il sistema immunitario intestinale e contrasta le infezioni mediante la produzione di sostanze che impediscono l’adesione di patogeni alla mucosa.

Fonte: ildottorerisponde.it

Microbiota come ”organo”

Il microbiota intestinale è in comunicazione con gli altri distretti del nostro organismo, al quale fornisce sia sostanze che informazioni per poter regolare al meglio tutte le funzioni del corpo.
Le sostanze prodotte a livello intestinale raggiungono il fegato attraverso la vena porta.
Nel caso di disbiosi, una condizione di squilibrio, le sostanze tossiche prodotte dal microbiota si riversano nel fegato danneggiandolo e inducendo NASH, una condizione patologica infiammatoria con accumulo di grasso.
Un altro asse comunicativo importante è con il Sistema Nervoso Centrale.
In un articolo pubblicato su Pubmed, un gruppo di studiosi italiani, evidenzia la possibile influenza del microbiota su funzioni nervose centrali e periferiche e che la salute mentale possa essere disturbata da una condizione di disbiosi.
L’Istituto Superiore di Sanità riporta anche uno stretto rapporto con l’apparato cardiovascolare ed endocrino metabolico.

Condizioni che alterano il microbiota

Mantenere un corretto stile di vita è importante per garantire l’eubiosi.
Una causa di mancato equilibrio, è il consumo scorretto e/o inappropriato di antibiotici. Oltre a causare l’insorgenza di resistenza agli antibiotici da parte del nostro oganismo, questo comportamento determina una significativa diminuzione delle specie componenti la popolazione microbica.
Anche le infezioni di diversa natura si inscrivono tra le cause di disbiosi. In particolar modo importante è l’infezione da Clostridium Difficile.

Conseguenze

Uno stato di squilibrio rende l’organismo più vulnerabile all’insorgenza di diverse patologie. La disbiosi può essere strettamente correlata a patologie dell’intestino come le malattie infiammatorie croniche intestinali (es. il morbo di Crohn), gastrite, sindrome dell’intestino irritabile e i tumori dell’apparato digerente. In tale condizione, viene meno anche la protezione dalle infezioni, con conseguente possibile proliferazione di patogeni, che causano infezioni sia localmente che in altre aree (ad esempio infezioni respiratorie).
Altra conseguenza negativa è l’alterazione della permeabilità intestinale, con possibile passaggio in circolo di sostanze in grado di attivare il sistema immunitario e determinare malattie autoimmuni e reazioni allergiche.

Fonte: PoliambulatorioKI
Fonte: PoliambulatorioKI

FMT, una terapia all’avanguardia

Una forma di terapia che sta acquisendo sempre più importanza è la FMT, ossia il trapianto di materiale fecale. Essa è utilizzata nei casi gravi di infezione da ceppo resistente di Clostridium Difficile, ma alcuni studi stanno mettendo in risalto la sua validità anche per la cura di altre patologie.
Il trasferimento di materiale fecale, da un donatore in buona salute, permette di migliorare le condizioni dei pazienti con patologie correlate ad una disbiosi. Sostanzialmente, si ricostruisce il normale habitat microbico nell’ambiente intestinale.

Criteri per la donazione di materiale fecale

La selezione dei donatori segue dei criteri rigidi: vengono esclusi individui che abbiano comportamenti sessuali ad alto rischio, tossicodipendenti, chi ha fatto un piercing o un tatuaggio nei sei mesi precedenti, chi è stato in prigione e chi abbia viaggiato in aree endemiche per diarrea.
Si escludono anche tutti quei soggetti che hanno patologie intestinali infettive, non infettive e/o patologie sistemiche e tutti coloro che hanno seguito una terapia antibiotica nei tre mesi precedenti alla donazione.
I donatori devono eseguire screening per HIV, Virus dell’epatite B ed epatite C.
Una volta eseguita la donazione, il campione può essere trasferito subito (entro sei ore dalla donazione) oppure congelato e conservato.
Il campione è costituito da 30 gr di feci sospesi in 150 ml di soluzione salina sterile e, successivamente, filtrati. Nel caso del congelamento, viene aggiunta una soluzione con glicerolo ai fini della conservazione (che avviene a -80 °C).
Le vie di somministrazione sono diverse: la tecnica preferenziale è la colonscopia. Tuttavia è anche possibile la somministrazione mediante clistere o endoscopia per via nasale o orale oppure attraverso l’ingestione di una capsula.

Fonte: islandhealth.it

Conclusione

Giovenale nelle Satire afferma “mens sana in corpore sano“, una locuzione abbastanza conosciuta e che indica come una mente sana possa essere presente solo in un corpo in salute. È importante avere uno stile di vita sano per prevenire squilibri come la disbiosi, che può essere causa di discomfort o veri e propri stati patologici.

Gaetano Giusino

 

Bibliografia:

https://www.news-medical.net/health/Fecal-microbiota-transplant-technique-(Italian).aspx

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33497754/

https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/f/flora-intestinale-microbiota-e-microbioma#conseguenze-della-disbiosi

http://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_416_allegato.pdf

 

Workshop sul trapianto polmonare – Intervista al prof. Vancheri

Workshop trapianto polmonare grafica presentazione
©Antonino Micari – Workshop trapianto polmonare – Unime, 11 Novembre 2019

Lunedì 11 e Martedì 12 Novembre si è tenuto, presso le aule del rettorato dell’Università di Messina, un workshop sullo stato dell’arte del trapianto polmonare in Italia e in Sicilia.

I dati del Centro Nazionale Trapianti

Dopo i saluti istituzionali ha preso la parola Massimo Cardillo, direttore del Centro Nazionale Trapianti. I dati affermano che nel 2019 siamo proiettati verso gli oltre 150 trapianti di polmone. Il numero non è comunque sufficiente a coprire il fabbisogno di organi, con una lista d’attesa che nel 2018 era di 563 persone. L’attesa media per il trapianto è di circa un anno e in questo intervallo di tempo, purtroppo, possono verificarsi dei decessi, 39 lo scorso anno.

La situazione in Sicilia e il tasso di opposizione

L’intervento di Bruna Piazza, coordinatrice del Centro Regionale Trapianti, sottolinea il miglioramento della nostra infrastruttura. Sono stati già effettuati 22 trapianti polmonari nel 2019, a fronte degli 8 che erano stati effettuati nel 2018. Una criticità rimane il tasso di opposizione, attualmente pari al 47%. Ciò significa che nella nostra regione la potenziale donazione viene rifiutata in circa un caso su due.

Indipendentemente dalle cause, che siano esse socio-culturali o d’altro tipo, ciò contribuisce alla carenza degli organi che in Italia ha portato, nel 2018, alla morte di circa il 7% dei pazienti in lista.

Le nuove tecniche chirurgiche e prospettive future

Gli interventi di Alessandro Bertani, ISMETT Palermo, e di Luigi Santambrogio, direttore del Centro Trapianto del Polmone del Policlinico di Milano, hanno descritto prospettive interessanti nel futuro della disciplina.

Spesso, dopo un arresto cardiocircolatorio, i polmoni sono troppo danneggiati al fine di essere trapiantati. È possibile tentare di recuperarli tramite uno metodica chiamata EVLP (perfusione polmonare ex-vivo). Ciò consente di perfondere l’organo anche se danneggiato, ricondizionarlo e permetterne il trapianto dopo poche ore. Così è possibile recuperare parte degli organi che altrimenti andrebbero persi, riducendo il numero dei pazienti in lista e diminuendo quindi i decessi.

Il confronto con gli altri paesi europei

Al workshop hanno preso parte anche importanti referenti provenienti da Spagna e Francia. I due paesi possono indubbiamente essere un modello per l’Italia. Per il trapianto del polmone in Francia le liste d’attesa ammontano a poche settimane. Nel 2018 la Spagna ha raggiunto il numero di 48 donatori p.m.p. (per milione di persone) indice di un’importante sensibilizzazione culturale della popolazione e di un’ottimizzazione delle tecniche e della logistica. In Italia abbiamo raggiunto un valore di 27,7 donatori p.m.p. nello stesso anno, poco più della metà.

Si sono discusse le criticità che caratterizzano il modello siciliano e italiano, e i potenziali miglioramenti che possono far avvicinare la nostra esperienza a quelli di paesi più virtuosi. Al termine degli incontri verranno formalizzate delle proposte da inviare agli organi regionali e nazionali competenti.

Grafica di presentazione del workshop trapianto polmonare

L’intervista al prof. Carlo Vancheri

Abbiamo posto alcune domande al prof. Carlo Vancheri, responsabile del Centro di Riferimento regionale per le Malattie Rare del Polmone di Catania. Molte di queste patologie, oltre 200 per eziologia, possono portare ad un deterioramento progressivo dell’organo con perdita della funzione polmonare, e sono le cause più comuni per cui si rende necessario il trapianto.

Può parlarci di quali sono quelle condizioni cliniche in cui si rende necessario il trapianto nel paziente pneumopatico?

Alcune tra le condizioni cliniche che più frequentemente richiedono il trapianto sono la fibrosi cistica e la fibrosi polmonare idiopatica. Non sono le uniche in quanto anche pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva o da altre più rare patologie polmonari possono giovare del trapianto del polmone. Sono patologie di cui l’una colpisce più il bambino e il giovane adulto, l’altra più i soggetti adulti. L’unica terapia risolutiva in molti casi è proprio quella del trapianto.

Quali sono attualmente le tecniche e i presidi che si possono utilizzare per posticipare il trapianto nei pazienti critici?

In effetti esistono delle terapie farmacologiche per queste patologie. È difficile parlare contemporaneamente di tutte le patologie perché ognuna di queste ha dei trattamenti diversi. Alcune terapie possono rallentare il decorso della malattia ma in alcuni casi l’unica soluzione, come dicevo, è rappresentata dal trapianto.

Lei è ottimista sui nuovi farmaci per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica e quanto questi farmaci potranno differire o evitare il trapianto ai pazienti?

Al momento attuale i farmaci che abbiamo a disposizione rallentano il decorso della malattia ma non la guariscono né la fanno tornare indietro, per cui l’unica terapia risolutiva rimane quella del trapianto. Ci sono molti altri farmaci in fase di sperimentazione per cui relativamente al futuro sono ottimista. Ci saranno molecole che saranno in grado di meglio curare la malattia ma non è questo il presente.

Quanto è migliorata la qualità di vita dei pazienti dopo il trapianto negli ultimi anni?

Sicuramente rispetto al passato i farmaci anti-rigetto sono molto migliorati, sono più efficaci e danno meno effetti collaterali ma indubbiamente la qualità di vita è segnata sotto questo aspetto. Sono pazienti che devono sempre assumere dei farmaci per tutta la loro vita ma almeno per quella che è la mia esperienza quando il paziente riesce a fare il trapianto del polmone in molti casi riacquista un’autonomia, abbandona l’ossigeno, riesce a riprendere una normale vita di relazione, in molti casi anche una vita lavorativa.

Un’ultima domanda relativa allo scetticismo presente in Sicilia di fronte alla possibilità di donare gli organi. Cosa si potrebbe fare, secondo lei, per ridurre in futuro il tasso di opposizione?

Purtroppo questo è un fatto culturale, quindi è difficile incidere. Credo che si possa però investire molto di più in educazione ed informazione. Credo che da questo punto di vista molto si possa fare passando attraverso le associazioni dei pazienti perché anche loro possono contribuire molto a diffondere la cultura della donazione.

Prof. Carlo Vancheri
©Antonino Micari – Prof. Carlo Vancheri – Unime, 11 Novembre 2019

 

Antonino Micari

Bergamo: primo trapianto fegato-polmoni effettuato su una ragazza.


Si è registrato un nuovo record per l’Italia: è stato eseguito a Bergamo il primo trapianto combinato fegato-polmoni. Già in passato operazioni di questo tipo erano state eseguite su adulti, ma a rendere eccezionale l’ultimo intervento è proprio la paziente: una ragazza genovese di sedici anni affetta da fibrosi cistica.

Quando si parla di fibrosi cistica si intende quella malattia che rientra nella sfera delle patologie genetiche gravi, comunemente abbreviata come FC e detta anche mucoviscidosi o malattia fibrocistica del pancreas.

Nonostante non vi sia alcuna cura per la fibrosi cistica esistono diversi metodi di trattamento; ad oggi, le cure sono dirette ai sintomi e alla prevenzione delle complicanze. Esistono protocolli terapeutici condivisi a livello internazionale che, presso centri specializzati, vengono adattati all’età e ai sintomi del singolo malato.

Nel caso specifico della ragazza, le condizioni erano gravi al punto che la terapia farmacologica non era più sufficiente. La patologia provocava sanguinamento nelle vie respiratorie e una grave malattia epatica, la quale era compromessa dall’età di undici anni; momento in cui la paziente venne sottoposta ad una procedura denominata “Tips”, utilizzata per ridurre l’ipertensione e il rischio di emorragie digestive.

L’operazione, attesa da aprile 2018, è avvenuta lo scorso 29 Dicembre occupando per undici ore l’équipe del Papa Giovanni XXIII. Gli organi precedentemente prelevati nella notte tra il 28 e il 29 Dicembre hanno immediatamente ripreso la loro funzione, ma diversamente dalle procedure seguite nei trapianti di questo tipo, ad essere sostituito per primo è stato il fegato; mentre i polmoni del donatore venivano trattati per essere poi trapiantati in immediata successione. Non solo: si è trattato del primo caso in cui si è fatto ricorso alla tecnica “Ex Vivo Lung Perfusion” (EVLP)  la quale, prima di eseguire il trapianto, simula le condizioni in cui l’organo si trova a lavorare normalmente in un corpo umano.

Il trapianto non è risolutivo, la Fibrosi Cistica guarisce nei polmoni; in questo caso anche nel fegato, ma non nel resto del corpo. Si tratta di un intervento ricco di problematiche.

Al termine dell’operazione, avvenuta con successo, le condizioni della ragazza sono considerate molto buone e ciò è stato reso possibile grazie a tutti i dottori coinvolti nel caso clinico, i quali hanno lavorato fianco a fianco facendo emergere la competenza nel settore dei trapianti d’organo e la forza dell’approccio multidisciplinare dell’Ospedale di Bergamo.

La struttura si conferma centro d’eccellenza per quanto riguarda i trapianti; basti pensare che nel 2017 sono stati eseguiti 165 trapianti di organi e 153 di tessuti. Nello stesso anno sono anche stati eseguiti tre prelievi multi-organo da donatore deceduto; tra i quali rientra il primo prelievo in Italia in contemporanea di polmoni-fegato e reni.

Tenendo presenti le testimonianze dei pazienti, dei familiari e dei dottori, emerge chiaramente che l’unico provvedimento da attuare è la conoscenza. Oggi grazie all’informazione e alla sensibilizzazione avvenuta sull’argomento, portata avanti dalla Lega Italiana Fibrosi Cistica, possiamo sapere che purtroppo la vita di una persona affetta da FC non è paragonabile a quella di una persona sana; ma, nonostante ciò, le persone malate di FC, grazie al loro percorso personale, non rispecchiano affatto il classico quadro di un paziente malato, anzi, trasmettono voglia di vivere e di lottare. Per questo, non devono essere visti come vittime, ma piuttosto come artefici del proprio percorso di vita.

“Non ti puoi dimenticare neanche per una giornata di avere la fibrosi cistica. Non ci sono mattine in cui puoi alzarti tardi… ogni giorno il tuo corpo ti costringe a svegliarti presto perchè fatichi a respirare, senti il bisogno di ripulire i tuoi polmoni”

“Noi persone con la FC  conduciamo vite parallele… quella con gli amici, con lo studio, con il lavoro e poi, soprattutto, la vita fatta di medicine, di fisioterapia e ricoveri”

Convivere con una malattia come la Fibrosi Cistica porta a seguire un percorso di accettazione e costringe a porsi alcune domande. In primis vi è la riflessione sui limiti che comporta tale patologia, di conseguenza come prendere consapevolezza di dover valorizzare ogni giorno e dare un senso al tempo che passa.

Nella nostra quotidianità siamo abituati a pensare che una malattia sia qualcosa di estremamente brutto, ma come affermava il filosofo Epittèto: “La malattia è un impedimento per il corpo, ma non necessariamente per la volontà.”

Francesca Grasso

STAMPANTE 3D, IT’S NOT JUST FOR FASHION!

A seguire le innovazioni scientifiche spesso si rimane sbalorditi. Nessuno, almeno del nostro giro (studio/divertimento), fino a qualche mese fa, avrebbe mai immaginato di costruire una protesi – e che protesi!- con una stampante. Certo, si tratta di una stampante 3D, ma pur sempre una stampante.

La stampa in 3D rappresenta la naturale evoluzione della stampa in 2d, quella che ormai tutti comunemente utilizziamo. Delle tante possibili definizioni, questa è sicuramente la più banale perché di per sé il dispositivo è in grado di realizzare qualsiasi modello tridimensionale attraverso un processo di produzione additiva, ovvero partendo da un oggetto disegnato tramite software è possibile replicarlo nel mondo reale con l’ausilio di appositi materiali che sostituiscono l’inchiostro. La procedura prevede solitamente il posizionamento di uno strato sopra l’altro, continuando poi per sezioni trasversali. Se la descrizione risulta difficile da capire, pensate a quando da piccoli vi mettevate a costruire qualcosa con i mattoncini LEGO: inizialmente posavate i pezzi per comporre la base, poi continuavate ad incastrarli verso l’alto in modo da ottenere il profilo voluto.

Certo che quando, negli anni ottanta, si riuscì ad ottenere il primo prodotto di una stampa 3d (una coppa), Chuck Hull, il nostro artefice, non avrebbe mai potuto immaginare quanto lontano sarebbe arrivata la sua idea. Idea che, tra l’altro, all’inizio venne accolta con sufficienza, quasi come si trattasse di una fantascienza ( dai, era il periodo di “Guerre Stellari”- comprensibile…)

Dopo più di trent’anni sappiamo, oggi, che dei ricercatori del New Castle college, battendo la concorrenza di altri centri di ricerca, sono riusciti a realizzare in pochi minuti una cornea umana che potrebbe di fatto, costituire una soluzione alle lunghe liste d’attesa per il trapianto.

Una cornea umana su misura e senza donatore, il massimo per i trapiantologi.

Infatti, in questo specifico settore della medicina, ormai, il problema principale, a parte il rigetto tenuto abbastanza sotto controllo, sono i donatori: sempre inferiori alle necessità. Ma proprio questa scoperta dei ricercatori della Newcastle University, potrebbe offrire un’efficace soluzione, quantomeno per i trapianti di cornea, che sono almeno 10 milioni l’anno in tutto il mondo e con oltre 5 milioni in lista d’attesa.

Il “bio-inchiostro” della stampante è una miscela di alginato, collagene e cellule staminaliprovenienti dalla cornea di un donatore sano. Con questo gel che costituisce la base del bio-inchiostro, la stampante inizia a produrre la cornea a cerchi concentrici impiegando appena 10 minuti e permette alle cellule staminali di essere coltivate e proliferare direttamente sulla cornea artificiale e non separatamente in altra sede. Il prof. Connor – coordinatore della ricerca- ha affermato che il particolare Gel mantiene le staminali vitali e produce un materiale che è al tempo stesso resistente a sufficienza per mantenere la sua forma e morbido quanto basta per fuoriuscire dalla testina di una stampante 3D. Per di più, nel caso specifico, attraverso una scansione dell’occhio, gli studiosi hanno garantito una maggiore capacità di adeguamento della cornea alle caratteristiche del paziente da trapiantare.

Certo la ricerca necessità di ulteriori sperimentazioni per dimostrare l’efficacia della tecnica e valutare eventuali effetti indesiderati, ma le basi per “stampare” organi su misura sono ormai state gettate. In molti nel panorama scientifico cominciano a pensare che questa soluzione permetterà in futuro di poter creare una riserva di tessuti, perché no auto-compatibili, e porre così fine alla cronica mancanza di organi da trampiantare.

L’abstract della ricerca è consultabile al link:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0014483518302124

Link all’esperimento

Ivana Bringheli