Torino, il Museo della Rai: un viaggio nella storia della radio e della televisione

 A pochi passi dalla Mole Antonelliana, nel cuore della città di Torino, sorge un luogo che racconta oltre un secolo di evoluzione dei mezzi di comunicazione: il Museo della Radio e della Televisione della Rai. Situato all’interno del Centro di Produzione Rai di via Giuseppe Verdi 16, il museo offre un percorso immersivo tra apparecchiature storiche, documenti e testimonianze che ripercorrono la storia della radio e della televisione italiana.

URI, EIAR, RAI: un breve viaggio in pillole (radiofoniche)

Torino on air. La città piemontese si affaccia al mondo della radio nel 1924, anno della fondazione dell‘Unione Radiofonica italiana (URI), la prima società italiana a trasmettere programmi radiofonici. Qualche anno dopo, nel 1927, l’URI si trasforma in EIAR (Ente italiano per le Audizioni Radiofoniche) e verrà utilizzata, durante il regime fascista, soprattutto per la propaganda, con programmi controllati dal governo.

Nel 1932, l’EIAR acquisisce il teatro di Torino di via Verdi che, rinnovato in base alle esigenze radiofoniche, è la sede per gli auditori delle stazioni settentrionali. Qui, dopo la fusione dell’orchestra di Milano con quella piemontese, si terranno i primi concerti del nuovo complesso sinfonico.

Si formano compagnie di prosa, orchestre di musica leggera e compagnie di rivista. Cresce l’orgoglio di fare radio a Torino e gli uomini di cultura credono nella radio e la sostengono.

Negli anni, si sviluppa un grande patrimonio culturale, storico, tecnologico e umano che ruota intorno alla radio.

Nel 1934, nasce la RAI (Radio audizioni italiane), sotto il controllo dello Stato e con una missione più ampia: quella di educare e informare un’Italia in piena ricostruzione.

 

Il centro di produzione Rai “Piero Angela”

Piero Angela , torinese di nascita, è il personaggio televisivo per eccellenza da ricondurre alla storia della radio e della televisione e alla città torinese.

Cresciuto professionalmente a Torino, è diventato un mito italiano della televisione. Avviata la sua carriera giornalistica in Rai proprio nella redazione di Torino, come cronista radiofonico, è diventato conduttore e divulgatore scientifico di grande successo.

Il 1º ottobre 2024, durante il 76º Prix Italia (il più antico concorso internazionale dedicato alle migliori produzioni radiofoniche, televisive e multimediali), il Centro è stato intitolato proprio a Piero Angela. Nei giorni del Prix, inoltre, l’artista di strada Piskv ha realizzato un murale permanente che ritrae Piero Angela, utilizzando la facciata della palazzina posta a destra dell’ingresso del Centro di Produzione.

 

La nascita del Museo

Il primo progetto per la creazione di un Museo della Radio risale al 1939. Gli eventi bellici interruppero il progetto, che fu ripreso tra il 1965 e il 1968 da una commissione di esperti, tra i quali l’ingegner Banfi, già direttore tecnico dell’EIAR.

Nel 1984, in occasione della mostra “La Radio, storia di sessant’anni: 1924-1984”, grazie all’opera di Romeo Scribani, funzionario Rai e primo curatore del Museo, gli oggetti e i documenti raccolti trovarono una sistemazione provvisoria presso il Centro di Produzione della Rai di Torino e venne presentata per la prima volta al pubblico.

La vera e propria inaugurazione del Museo risale al 1993: la raccolta fu ordinata, restaurata e ampliata e trovò una sede espositiva permanente nella sala Enrico Marchesi, presso l’attuale Centro di Produzione Rai nella città piemontese.

Abbracciamo il presente, Valorizziamo il passato, Ci apriamo al futuro

Questa la vision con cui il direttore Alberto Allegranza ha ideato, a inizio 2020, l’attuale Museo.

 

Un percorso tra passato e futuro

L’affascinante Museo storico della radio racconta una storia senza precedenti, che ha creato modo di comunicare innovativo, sia in radio che in televisione.
Quasi ottocento oggetti originali e funzionanti, pezzi storici e singolari della radiofonia, dalla preistoria di Marconi, alla radio moderna.
Inaugurato ufficialmente nel 1993, il Museo della Radio e della Televisione si è trasformato nel tempo in uno spazio multimediale e interattivo. Il percorso espositivo si snoda attraverso tre sezioni principali:
  • Le origini della comunicazione a distanza. Qui si possono ammirare strumenti pionieristici come il telegrafo, il telefono, l’Araldo telefonico, le onde hertziane e il detector di Marconi, simbolo delle prime trasmissioni via etere;
  • l’epoca d’oro della radio. Dagli eleganti apparecchi radiofonici degli anni Trenta alle radio pubblicitarie del Novecento, questa sezione racconta il ruolo centrale della radio nella società italiana;

 

Modelli di microfoni utilizzati in radio e in televisione dagli anni '50
Modelli di microfoni utilizzati in radio e in televisione dagli anni ’50
  • l’evoluzione della televisione. Dalla televisione meccanica di Baird del 1928 fino ai moderni schermi digitali, passando per il bianco e nero e l’introduzione del colore.
I vari modelli della tv
Sviluppo della tv elettronica, prima in bianco e nero, poi a colori, fino alla transizione al digitale

Interattività e pezzi storici

Oltre ai reperti d’epoca, il museo permette ai visitatori di vivere un’esperienza interattiva unica.
Un’area speciale consente di mettersi nei panni di conduttori, cameraman o cantanti, utilizzando attrezzature originali ancora funzionanti. Un banco regia completo di mixer audio e mixer video, una cinepresa con cui il visitatore-regista può improvvisarsi cameramen professionista, uno studio televisivo che fa sognare i visitatori di trovarsi in tv, anche solo per cinque minuti.
Si procede con oggetti e costumi di alcune vecchie trasmissioni come la cabina di Rischiatutto o fotografie del programma Arrivi e Partenze.
Tra i reperti esposti spiccano costumi di scena appartenuti a icone della televisione italiana come Raffaella Carrà, Mike Bongiorno e Mina.
Alla fine del percorso è possibile immergersi in un angolo  speciale che fa tornare bambini: la sezione dedicata a L’Albero Azzurro e La Melevisione, i due programmi televisivi per bambini più longevi della televisione italiana.
Basta qualche passo e si arriva dritti nel magico mondo del Fantabosco, dove spiccano le indimenticabili e iconiche figure di Tonio Cartonio, Lupo Lucio e Strega Varana.
Collezione degli elementi di scena de La Melevisione
Collezione degli elementi di scena de La Melevisione

Sembra quasi di sentire la voce del pupazzo Dodò e le risate dei bambini risuonare tra i colori del suo nido! Il visitatore entra in contatto diretto con il racconto di un programma che ha fatto della creatività e dell’educazione televisiva il suo punto di forza.

Il programma televisivo italiano Rai per bambini L'albero azzurro, trasmesso sin dalla prima edizione dal Centro di produzione Rai di Torino
Il programma televisivo italiano Rai per bambini L’albero azzurro, trasmesso sin dalla prima edizione dal Centro di produzione Rai di Torino
Un museo per tutti, con ingresso gratuito. Un’occasione imperdibile per chiunque voglia scoprire da vicino la storia della radio e della televisione in Italia. Un viaggio tra immagini, cimeli storici ed esperienze impressi nella memoria della storia dei media italiani.
Il Museo della Radio e della Televisione rappresenta un luogo in cui passato e futuro si incontrano. Racconta l’evoluzione di due mezzi che hanno rivoluzionato il modo di informare e intrattenere il pubblico, un modo del tutto innovativo e antenato del nostro progresso tecnologico.
Elisa Guarnera

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: La Farina e Archimede

In attesa del rientro in classe degli studenti delle scuole superiori siciliane, previsto, salvo rinvii, per l’inizio della prossima settimana, torna il nostro spazio dedicato alle scuole messinesi. Come preannunciato, oggi è il turno degli altri due licei del centro: il Liceo Classico “G. La Farina” e il Liceo Scientifico “Archimede”.

 

Liceo Classico “G. La Farina”

Il Liceo Classico “G. La Farina”, oggi parte dell’I.I.S. “La Farina – Basile” in quanto accorpato al Liceo Artistico “E. Basile” – di cui tratteremo prossimamente -, avviò le attività didattiche nel 1932. L’edificio è situato in via della Munizione, il cui nome ricorda un teatro che, in precedenza, fu magazzino di armi e munizioni. Si dice che in questo teatro anche La Farina – tra i tanti – inscenò una sua opera; probabilmente questo è uno dei motivi per cui fu scelto come nome dell’istituto quello del patriota messinese.

L’edificio del Liceo Classico “Giuseppe La Farina” – Fonte: normanno.com

Giuseppe La Farina (1815 – 1863) nacque a Messina e si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Catania. In giovinezza fu anche redattore di alcuni giornali cittadini. La sua grande passione, però, fu la politica, per la quale, nel 1937, dovette lasciare la città dello Stretto, insieme alla moglie Luisa di Francia – zia di Sant’Annibale-, con l’accusa di aver partecipato a un movimento rivoluzionario.

Soggiornò nella città di Firenze, prima di rientrare nel 1848 in Sicilia in occasione dei moti per l’indipendenza del Regno di Sicilia. La Farina fu uno dei protagonisti del biennio rivoluzionario, ricoprendo la carica di deputato al Parlamento di Palermo e quella di ministro (prima della Pubblica Istruzione, poi dei lavori pubblici, dell’interno e della guerra).

Terminata l’esperienza rivoluzionaria, si trasferì prima in Francia e successivamente a Torino, dove fondò un’associazione patriottica: la Società nazionale italiana. A seguito della spedizione dei Mille (1860), il Presidente del Consiglio del Regno sabaudo Cavour lo inviò a Palermo quale rappresentante in Sicilia del Governo, anche se la sua permanenza sull’Isola durò poco, a causa dei contrasti con Garibaldi.

Monumento a Giuseppe La Farina in Piazza Solferino, Torino – Fonte: vivatorino.it

Nel 1861 fu eletto deputato della città di Messina nel primo Parlamento del Regno d’Italia – con sede a Torino – in cui ricoprì l’incarico di vicepresidente della Camera dei deputati. Due anni più tardi si spense nella città della Mole.

Nel 1872, in occasione dell’inaugurazione del Gran Camposanto, le sue ceneri furono trasportate nella città natale, ove tutt’ora giacciono nel famedio del cimitero.

Liceo Scientifico Statale “Archimede”

Poco distante dal centro storico, in prossimità dello svincolo autostradale Messina-Boccetta, è situato il Liceo Scientifico “Archimede”, fondato nel 1969. L’edificio principale è quello che ospitava il Convitto “Cappellini”, un ospizio di beneficienza istituito nell’Ottocento. L’istituto è intitolato al celebre scienziato Archimede, che, seppur non abbia avuto un legame diretto con la città di Messina, ha apportato un importante contributo all’evoluzione della scienza e della tecnica.

L’edificio del Liceo Scientifico “Archimede” – Fonte: elencoscuole.eu

Archimede (287 a.C. – 212 a.C.) nacque a Siracusa, la città siciliana più potente dell’epoca, alleata di Roma durante la Prima Guerra Punica. Molto probabilmente, durante gli anni della guerra, Archimede non ha vissuto in patria, poiché si stabilì, per motivi di studio, ad Alessandria d’Egitto, la capitale culturale dell’Ellenismo.

Rientrato in Sicilia, fu apprezzato dal re Gerone, soprattutto per due episodi leggendari. Si narra che Archimede riuscì a muovere una nave con il solo aiuto di un congegno meccanico – da qui la celebre frase “datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo!” – e smascherò un orefice che aveva ingannato il Re, realizzando una corona non totalmente d’oro. L’intuizione, secondo la leggenda, gli venne quando si immerse in una vasca e, esclamando “Eureka!”, si accorse che l’acqua fuoriuscita poteva essere uno strumento di misurazione del volume dei solidi.

Busto di Archimede – Fonte: libertasicilia.it

Lo scienziato siracusano, maestro della tecnica, inventò numerose macchine – come il planetario -, persino belliche. Archimede, infatti, dopo la morte di Gerone, diresse le operazioni militari, per difendere la sua città dall’assalto dei Romani. Nonostante le ingegnose invenzioni rallentarono l’avanzata romana, la città di Siracusa capitolò e, durante il saccheggio, Archimede perse la vita – per mano di un soldato che violò l’ordine di catturarlo vivo -, mentre era immerso nello studio di alcune figure geometriche.

I suoi numerosi studi, ripresi da matematici del Cinquecento e del Seicento, tra cui Francesco Maurolico, costituirono le basi per importanti evoluzioni della scienza matematica.

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia e i personaggi degli altri celebri istituti del centro: l’Istituto Tecnico Economico “Jaci”, l’I.I.S. “Verona-Trento” e l’I.T.T.L. “Caio Duilio”.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

islafarinabasile.edu.it

liceoarchimedeme.it/

treccani.it/enciclopedia/archimede

tempostretto.it

Immagine in evidenza:

Archimede (fonte: le-citazioni.it) e Giuseppe La Farina (fonte: universome.eu)

Torino: padre fa aggredire il figlio perché gay

Fonte-fanpage.it
Fonte-fanpage.it

Torino teatro di una vicenda inverosimile di cui protagonisti sono un padre 75enne, libero professionista in pensione, e il figlio, medico chirurgo di 43 anni, omosessuale.

E’ proprio l’omosessualità, non accettata dal 75enne, la causa della tragedia sfiorata. Quest’ultimo ha messo a disposizione un compenso di 2500 euro per chiunque avesse accettato in cambio di aggredire il figlio, spezzandogli le dita. Un gesto mirato per distruggerlo fisicamente, ma anche professionalmente.

La foto incriminatoria

Il chirurgo, molto conosciuto nel torinese, aveva già dichiarato la sua omosessualità alla famiglia molti anni prima, circa nel 2016, presentandosi a casa dei genitori col nuovo compagno. Sebbene sembrava fosse stata accettata la relazione, nel 2017 subentra l’astio del padre. Un noto settimanale di gossip pubblicò delle foto che ritraevano il chirurgo in compagnia di un attore conosciuto, durante il loro soggiorno in Francia. Daquel momento in poi che l’anziano perderà il buon senso, diventando anche violento con la moglie. Nonostante fosse consapevole, ormai già da un anno, dell’omosessualità del figlio, ciò che lo avrebbe scandalizzato fino a fargli perdere la stabilità, è stato il vedere la naturalezza del figlio nel vivere la sua relazione, senza nascondersi, senza timori, senza vergogna, non preoccupandosi della sua omosessualità.

Da quel momento, la rabbia ha continuato a crescere fino a spingerlo a compiere più di un gesto terribile nei confronti del figlio, di cui il tentativo di danneggiargli le mani è solo l’ultimo.

Dal 2017 le prime aggressioni

Torino, padre paga un criminale per spezzare le mani al figlio gay-fonte-biccy.it
Torino, padre paga un criminale per spezzare le mani al figlio gay-fonte-biccy.it

Già nell’aprile del 2017, il 75enne aveva assoldato un picchiatore, un uomo di origine romena.

Poi, ancora a febbraio scorso, aveva ingaggiato due uomini per un aggressione e questi erano riusciti nell’intento, facendo finire il chirurgo in ospedale. Successivamente un’altra aggresione ad aprile dopo un pedinamento di due settimane, di cui è stato vittima anche il compagno del chirurgo.

Nulla che potesse ricondurre la vita del medico ad ambienti criminali, fino a farlo divenire vittima di eventuali vendette, è stato mai riscontrato, contrariamente da quanto sostenuto dal padre davanti all’ultimo aggressore che ha assoldato per 2500 euro:

“Mio figlio è un delinquente, spezzagli le dita”.

Un giorno, però, il chirurgo viene avvicinato, fuori casa sua, da uno sconosciuto. Quest’ultimo si è rivelato essere proprio il picchiatore ingaggiato per spezzargli le mani, che, colto dal buon senso, gli ha rivelato il piano di cui l’autore era proprio il padre.

“Mi sembri una brava persona” sono state le parole dell’aggressore, deciso a non voler distruggere la vita di una persone innocente.

Così, quest’ultimo si mette d’accordo col chirurgo e insieme fingono un’aggressione, incastrando l’anziano.

La denuncia al padre

Così, dopo molto tempo trascorso nel terrore di un possibile agguato, scorte da parte di amici e parenti, è la farsa messa in piedi con l’aggressore, nel maggio 2018 il medico decide di denunciare il padre. Una scelta difficile, che, però, andava fatta, per evitare ulteriori rischi.

Così, dopo due anni dalla tragedia – fortunatamente – solo sfiorata, adesso è arrivata la sentenza: un patteggiamento di due anni senza risarcimento del danno.

Sembra assurdo che ancora, dopo tanti anni di lotte, movimenti, proteste, oggi si senta parlare di omofobia, ma soprattutto di un padre che odia un figlio perché gay, arrivando a pagare qualcuno per aggredirlo.

Ad oggi, i due non si parlano, se non tramite vie legali.

“Questa sentenza – ha commentato Arcigay Torino – porta alla chiusura di un percorso tormentato, in cui un genitore si è reso carnefice nei confronti del proprio figlio perché quest’ultimo ama un altro uomo. Arcigay Torino esprime tutta la sua solidarietà nei confronti della vittima: nessuna persona dovrebbe vivere nella paura a causa del proprio orientamento sessuale e dell’identità di genere. Proprio per questo, ricordiamo l’importanza di una legge che tuteli le persone LGBTQIA+ da simili soprusi”.

Eleonora Genovese

 

Sars-Cov-2 nelle acque reflue di Milano e Torino da Dicembre 2019: studio in fase di pubblicazione

Secondo le varie fonti scientifiche i primi casi di Covid-19 si sono verificati in Cina tra ottobre e novembre 2019, per poi aumentare esponenzialmente intorno agli inizi di gennaio e diffondersi nel resto del mondo.
Ma è proprio questo il nodo cruciale: quando esattamente è iniziato il contagio negli altri Paesi?
Si sarebbe potuto evitare?
Il sospetto che il nuovo coronavirus fosse arrivato nel nostro Paese prima del famoso “paziente zero” ha più volte sfiorato le menti dei ricercatori, ma all’atto pratico ancora nessuno è riuscito a venire a capo di questo enigma.
Una risposta potrebbe arrivare dallo studio della presenza del virus nelle acque reflue di alcune delle città più colpite.

Lo studio

Tra i primi a effettuare queste analisi sono stati i ricercatori spagnoli, con il prelievo e lo studio delle acque reflue di due impianti di trattamento di Barcellona.
I risultati dimostravano la presenza di materiale genetico del Sars-Cov-2 già in campioni risalenti al 12 marzo 2019. Se la scoperta si rivelasse attendibile, potrebbe essere molto utile per tracciare il percorso che il virus ha seguito nella sua diffusione.
Questo vorrebbe inoltre dire che molti contagiati avrebbero potuto avere i sintomi della Covid-19 ma essere scambiati per semplice influenza.
Casi passati in sordina ma che adesso potrebbero pesare come macigni.

Veniamo a noi

Secondo uno studio in fase di pubblicazione, nelle acque reflue di Milano e Torino sono state ritrovate tracce del virus a dicembre 2019.
Lo studio ha previsto l’analisi di alcuni campioni prelevati tra dicembre 2019 e gennaio 2020 e altri di controllo, prelevati in un periodo antecedente al presunto inizio della pandemia.
I risultati, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati nelle suddette città, così come a Bologna.
Nelle stesse città sono stati trovati campioni positivi prelevati nei mesi seguenti, mentre i campioni di ottobre e novembre 2019, come pure tutti i campioni di controllo, hanno dato esito negativi.

Le dichiarazioni dei ricercatori

“Dal 2007 con il mio gruppo portiamo avanti attività di ricerca in virologia ambientale e raccogliamo e analizziamo campioni di acque reflue prelevati all’ingresso di impianti di depurazione” spiega Giuseppina La Rosa del Reparto di Qualità dell’Acqua e Salute del Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha condotto lo studio in collaborazione con Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica veterinaria. “Lo studio – prosegue La Rosa –  ha preso in esame 40 campioni di acqua reflua raccolti da ottobre 2019 a febbraio 2020, e 24 campioni di controllo per i quali la data di prelievo (settembre 2018 – giugno 2019) consentiva di escludere con certezza la presenza del virus. I risultati, confermati nei due diversi laboratori con due differenti metodiche, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati a Milano e Torino il 18/12/2019 e a Bologna il 29/01/2020

Questo cosa comporta?

Ovviamente il ritrovamento del virus non implica che le catene di trasmissione principali che hanno portato all’epidemia nel nostro Paese si siano originate proprio da questi primi casi.
Adesso non è ancora il momento delle certezze, tuttavia, una rete di sorveglianza sul territorio può rivelarsi preziosa e questo studio che è stato condotto ha posto le basi per mettere in atto degli interventi di controllo dell’epidemia.
Come afferma Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute “Passando dalla ricerca alla sorveglianza sarà indispensabile arrivare ad una standardizzazione dei metodi e dei campionamenti poiché sulla positività dei campioni incidono molte variabili quali per esempio il periodo di campionamento, eventuali precipitazioni metereologiche, l’emissione di reflui da attività industriali che possono influire sui risultati di attività ad oggi condotte da diversi gruppi”.
Attendiamo dunque fiduciosi nuovi sviluppi nel campo della ricerca, poiché il tempo al momento è l’unico che potrà dirci in che direzione andrà questa seconda parte del 2020.

Maria Elisa Nasso

Reda rispetta il ramadan, i compagni posticipano la cena di fine anno

Siamo a Torino, precisamente al Tabisca di piazza Vittorio, quando la tavolata della 3A  del “liceo scientifico Albert Einstein” l’altra sera  si è seduta alle 22 spaccate.

“Lo hanno fatto per me, perché sono musulmano e rispetto il digiuno per il ramadan. Non è stata una mia richiesta, ma ho apprezzato davvero il gesto dei miei amici”.

Spiega Reda Herradi, nato in Italia da genitori marocchini.

Non sapevo niente dell’iniziativa degli studenti ma non mi stupisce, questo è il clima che c’è tra i ragazzi di ogni cultura e religione nella  nostra scuola“, spiega il dirigente scolastico Marco Chiauzza. Per i ragazzi avere come compagno di banco uno studente musulmano o una ragazza straniera è la quotidianità e nessuno lo nota. Tra di loro sono semplicemente compagni.

L’intera classe ha deciso di rimandare la cena alla fine del tramonto in modo che Reda potesse partecipare pienamente e interrompere il digiuno nel rispetto della sua religione. Tra tante notizie di mancata integrazione e perfino di razzismo, ne emerge una che almeno libera dalla cattiveria e dal marcio che ci circonda.

Non c’è niente di strano–  dice Irene Arancio, una compagna di classe- Volevamo esserci tutti e abbiamo fatto in modo che fosse così, tanto alle 20 o alle 22 non cambia niente, se sei in piazza Vittorio con tanti locali a disposizione“.

La storia, anticipata dal quotidiano La Repubblica, è stata raccontata anche da un genitore su Facebook. “I nostri ragazzi ci hanno chiesto di poter tornare più tardi del previsto, così da poter cenare. – continua – In una scuola di Barriera di Milano (quartiere torinese dove si trova l’istituto), un luogo eterogeneo e multietnico, un gruppo di adolescenti ci ha insegnato cos’è la vera integrazione“.

Serena Votano

TORINO – CONNATURALE PAURA

Un match tanto atteso, trasmesso in diretta su un maxi schermo in una piazza storica; ci sono migliaia di persone in maglia bianconera, tutto condito da  un clima di festa ed unione.

Fra suoni e colori, però, il fine partita si perde nel caos.

Paura, urla, calca. Piazza San Carlo è sommersa da una processione di scarpe e di vetro, è macchiata di sangue e calpestata dal terrore.

Sembra quasi che ogni luce si spenga in mezzo alla folla che, disorientata e confusa, cerca di fuggire da una possibile strage di un verosimile attentato.

Si sentono dei rumori, un botto, una griglia che ha ceduto, o forse, qualcuno che urla ”bomba” e il panico predomina, mentre a Londra si materializza un altro vile attentato.

Adesso, restano responsabilità da accertare, circa di 1.527 feriti, fra cui un bimbo di 7 anni in gravi condizioni.

Il caso della piazza è la solida manifestazione della paura con cui conviviamo: è così che chi predica e pratica la morte ci impone di vivere.

Il regime dell’orrore di alcuni vigliacchi cerca di intimorirci dal profondo: colpisce nei locali, negli stadi, per le strade, attacca ciò che più di quotidiano possa esserci per dimostraci che può trafiggere in ogni momento. E’ un voler farci smarrire la voglia di vivere, un volersi insinuare silenziosamente nelle menti di ognuno di noi, portandoci a temere i nostri spazi.

Ma non dobbiamo piegarci: bisogna essere forti in questa lotta contro la paura, contro chi ci fa temere di viaggiare, di prendere la metro, di andare ad un concerto; dobbiamo combattere l’ombra del terrorismo, che, come in questa occasione, riesce a colpire anche quando non è presente.

Jessica Cardullo

Filippo Juvarra: da Messina a Roma e Torino, l’architetto delle capitali

Filippo Juvarra

Nella Messina del lontano 1588, su disegni di Andrea Calamech, fu edificata la Chiesa di San Gregorio, oggi inesistente a causa del terremoto del 1908 che mise in ginocchio l’intera città. Il suo completamento, nel 1703, vide impegnati numerosi professionisti, e non, tra cui il giovane Filippo Juvarra, architetto siciliano. 

Il “nostro” architetto nasce proprio a Messina nel 1678 da una famiglia di artigiani argentieri e sin dalla giovinezza si trova a lavorare con il disegno e l’arte orafa; si possono a lui ricondurre, infatti, alcuni dei candelieri del Duomo di Messina e forse collaborò, assieme al padre e al fratello maggiore, alla realizzazione del meraviglioso paliotto d’argento oggi inglobato nell’altare maggiore. Parallelamente alla sua attività manifatturiera, Juvarra condurrà studi teologici che lo porteranno a pronunciare i voti sacerdotali nel 1703. Data la vocazione per l’architettura, si trasferì a Roma per perfezionare gli studi ma si ritrovò comunque autodidatta e volenteroso di imparare così da riuscire a mettersi in contatto con l’architetto Carlo Fontana che, rimasto entusiasta delle capacità del giovane, riuscì a farlo distogliere dal mito di Michelangelo per farlo approdare al metodo da lui proposto.

Il paliotto d’argento datato 1701, opera della famiglia Juvarra, custodito nell’altare maggiore del Duomo di Messina.

Grazie al trampolino di lancio offertogli dal Fontana, Juvarra debutta, nel 1705, a Roma vincendo il “concorso clementino” con la presentazione di un “palazzo in villa per il diporto di tre illustri personaggi”. Successivamente alla vittoria si ristabilì nella sua città natale, dove ebbe l’onore di occuparsi della ristrutturazione del Palazzo Spadafora e della sistemazione del coretto della chiesa di San Gregorio. Qualche mese dopo, grazie alla proficua attività svolta a Napoli, riuscì ad ottenere la nomina di accademico di merito all’Accademia di San Luca; a testimonianza dell’onore per questa nomina, Juvarra fece dono all’Accademia di un suo progetto, utilizzato poi come soluzione per la Basilica di Superga.

Poco dopo, sul piano accademico, si  ritrovò a ricoprire il ruolo di professore unico di architettura al San Luca; mentre sul piano professionale, si limitò a collaborazioni con i Fontana, ricevendo la commissione per la cappella di famiglia dell’avvocato Antamoro nella chiesa di San Girolamo della carità.

Basilica di Superga

Tuttavia, Juvarra iniziò ad ambire a impieghi di corte: inizialmente per quella di Federico IV di Danimarca; successivamente per Luigi XIV per poi essere chiamato presso la corte Ottoboni come scenografo. Qui troverà un’ambiente stimolante che ne influenzò l’iscrizione all’Accademia dell’Arcadia, con il nome pastorale di Bramanzio Feeseo, dove poté insegnare il proprio mestiere ad un giovane Luigi Vanvitelli.

Con la morte del maestro Fontana,  Juvarra spezza il legame con Ottoboni per tornare a Messina dove incontrerà Vittorio Amedeo II di Savoia, al quale presentò il progetto del palazzo reale di Messina, che lo porterà alla volta di Torino per l’elezione della Basilica intitolata alla Vergine sul colle di Superga, universalmente considerata uno dei suoi capolavori. La sua attività architettonica fu impegnata principalmente nell’ampliamento della città sabauda e nella realizzazione della facciata e dello scalone di Palazzo Madama, ma anche nel completamento della Reggia di Venaria e della Reggia di San Uberto.

Palazzina di caccia di Stupinigi

A questo punto della sua vita, Juvarra si trasferì in Portogallo per la realizzazione di alcune opere architettoniche che

però non avranno buon esito; decise quindi di spostarsi a Londra, poi nei Paesi Bassi e a Parigi per poi ritornare in Italia muovendosi tra Roma e Torino dove costruirà la sua casa studio e, accanto ad altri progetti, porterà avanti la realizzazione ex novo della palazzina di Stupinigi, villa di caccia.

Nella capitale sabauda, divenuta, grazie a lui,  un polo di architettura europea, progettò la chiesa del Carmine; la sua abilità conquistò  Filippo V Re di Spagna che gli commissionò il completamento del Palazzo Reale a  Madrid, dove morì il 31 gennaio del 1736.

Erika Santoddì

Image credits:

  1. Di Agostino Masucci – [1], Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29317803
  2. Di I, Sailko, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7420752
  3. Di Geobia – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18987550
  4. Di Ziosteo1982, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20529372