Fino a che punto ci si spinge per essere amati? Tanizaki e la sua Croce Buddista

La Croce Buddista: il dramma di un amore distruttivo e distruttore. Voto UVM – 4/5

 

Regione del Kantō, Giappone, annus horribilis 1923. Un devastante sisma di magnitudo 7,9 della scala Richter devasta Tokyo, Yokohama e tutte le restanti prefetture della regione. Uno scrittore trentasettenne ribelle ed ex enfant prodige ormai precipitato in un’infinita spirale di dissolutezza e disagio chiamato Tanizaki Jun’ichirō (rispettando l’onomastica giapponese il cognome precede sempre il nome) si vede obbligato a rifugiarsi a Osaka, nella regione del Kansai, per provare a ricostruire la sua vita già in pezzi e ulteriormente polverizzata dal sisma. È dall’incrocio di questa tragedia col dramma di Tanizaki che La Croce Buddista prende forma come romanzo a puntate nel 1928 per poi giungere ai lettori italiani attraverso i tipi di Guanda e grazie alla brillante traduzione di Lydia Origlia nel 1999.

“Oggi sono venuta a trovarla, Maestro, con l’intenzione di narrarle ogni cosa”

Esordisce così sul punto di piangere Sonoko, protagonista dell’opera, d’innanzi al suo stimato Maestro; ha finalmente deciso di rompere il silenzio sull’incredibile storia di come la sua vita e il suo matrimonio sono andati in frantumi. Il titolo originale de La Croce Buddista è 卍 (manji) e a partire dal simbolo della croce uncinata, tristemente noto in Occidente per gli orrori del Terzo Reich ma importante nella cultura buddista in quanto simbolo di pace e armonia, Tanizaki intesse attraverso le sue quattro braccia altrettante relazioni d’amore morboso tutte riconducibili a un unico e folle centro: la seducente Mitsuko.

Scrittura in calligrafia giapponese del carattere “manji”

Una rete di bugie non ci salverà

Il fil rouge dell’intera opera è la dipendenza. Un’emozione funesta, manifestazione di un amore crudele e “intarsiato di segreti” orchestrato da Mistuko in una rete di bugie che non fa altro che auto-alimentarsi. L’infedeltà nell’opera nasce dal pettegolezzo; Sonoko è felicemente sposata con Kotaro e frequenta con regolarità e dedizione un’accademia d’arte femminile. Il quieto vivere della donna è funestato da una voce di corridoio che la vedrebbe protagonista di una relazione saffica con la giovane compagna Mitsuko. Le due non si conoscono ma sodalizzano sino a rendere il pettegolezzo realtà. La menzogna diviene lungo tutto il romanzo un elemento multiforme, e il suo confine con la verità è reso impalpabile dalla disobbediente penna di Tanizaki.

L’intreccio dell’opera è complesso, anzi complessissimo, la narrazione di Sonoko è febbricitante ma impeccabile nella cura del dettaglio; porta con sé documenti, scritti e carteggi che rendono l’intero racconto una paradossale indagine sul desiderio umano di essere amati a tutti i costi.

Tanizaki Jun’ichirō

Come l’amore può distruggerci

“Certamente si divertiva solo per vanità ad accaparrarsi l’amore che riservavo a mio marito […] lei aveva potuto indovinare il mio punto debole: benché mi chiamasse «sorella maggiore», avevo finito con l’agire come una premurosa e sottomessa sorella minore”

“Sorella maggiore”, è così che Mitsuko si riferisce a Sonoko; con un termine usato nella cultura omossessuale nipponica per indicare l’individuo dominante all’interno di una coppia. La giovane amante nascondendosi dietro la conveniente etichetta di “sorella minore” regala alla narratrice una sensazione prima d’imbarazzo e poi di lusinga che muterà in un’irrefrenabile rabbia quando la più grande menzogna di Mitsuko verrà scoperta (o forse rivelata come estremo segno di onnipotenza?).

La Croce Buddista è un romanzo notturno di un sole di mezzanotte che non teme di nascondere la verità lì dove è più che visibile. Prende per mano il lettore trascinandolo in una serie infinita d’intrighi dal tipico gusto nipponico. Le note della traduttrice, puntuali ma non prolisse, illuminano e districano i riferimenti culturali più complessi rendendo il romanzo di Tanizaki godibile ad un pubblico che va ben oltre quello degli appassionati della cultura del Sol Levante.

Giuseppe Cangemi

Attentato alla metropolitana di Tokyo: Che cosa è successo?

Nel 1995 una setta organizzò un attentato con il sarin nella metro di Tokyo.

Nel 1995 un attentato nella metropolitana di Tokyo, condotto con il gas sarin, causò la morte di 13 persone e conseguenze non letali per altre migliaia di persone.

Il gas, sotto forma liquida, fu messo in sacchetti di plastica avvolti da giornali che, in alcune situazioni, furono forati dagli attentatori con la punta di alcuni ombrelli, favorendo quindi la diffusione della tossina negli ambienti chiusi della metro, provocando ai passeggeri soffocamento, paralisi, nausea e problemi agli occhi.

In una delle stazioni colpite dalla setta la strage fu evitata solo grazie alla prontezza di un dipendente della metropolitana e del vice capostazione, i quali persero la vita  a causa dell’inalazione del gas sarin.

Inizialmente, le indagini della polizia si indirizzarono su alcuni gruppi di estrema destra attivi nel paese che avevano  minacciato azioni violente, dopo le scuse del governo per l’attacco di Pearl Harbor. I sospetti si concentrarono poi sul gruppo Aum Shinrikyo e sul suo leader Shoko Asahara , che a due mesi dall’attacco, fu arrestato e condannato a morte per impiccagione il 27 febbraio 2004.

Asahara, pseudonimo di Chizuo Matsumoto, fu responsabile anche di altri crimini, tra cui un altro attacco attraverso l’utilizzo del  gas condotto a Matsumoto nel giugno del 1994. La sentenza di condanna era stata emessa dalla Suprema Corte nel 2006, aveva respinto l’ipotesi di una incapacità mentale da parte di Asahara.

Una condanna a morte che, se da un lato chiude la vicenda giudiziaria, dall’altro riapre anche qualche ferita, come scrive il Japan Times, per un attentato, quello del ’95 a Tokyo, che ha segnato di fatto una cesura epocale rispetto al senso di sicurezza avvertito dai giapponesi nel post guerra. Laddove  il sipario scende sui crimini sconvolgenti causati dalla setta, qualche domanda resta;  una tra queste, il fatto che Asahara si fosse  rinchiuso nell’ultimo decennio nel silenzio, senza mai assumersi la responsabilità, o senza mai approfondire le ragioni dei crimini oltre a quelle legate al culto della setta.

In Giappone le condanne a morte non vengono eseguite fino a quando il verdetto contro tutti gli imputati e complici siano definitivi, senza ammettere alcun.

Il 6 Luglio 2018 la condanna viene definitiva. i sette responsabili dell’attentato sono stati giustiziati, mentre gli altri sei seguaci del gruppo sono ancora in carcere, condannati all’ergastolo.

 

 

 

Selina Nicita