La Circe siciliana

Circe dai riccioli belli, la Diva possente canora, ch’era sorella d’Eèta, signore di mente feroce. Erano entrambi nati dal Sole che illumina il mondo:fu madre loro Perse, di Perse fu Ocèano padre.

Odissea, Canto X, Omero

 

Conosciamo tutti il mito di Circe, no?

La divina maga, figlia del Sole e della ninfa Perseide, concubina di Ulisse e mangiatrice di uomini.

Circe, dalla quale il re di Itaca ebbe un figlio e i cui soldati trasformò in maiali, in cani e, talvolta secondo altri miti, in leoni.

 

Circe e i maiali
Circe e i maiali, Brighton Riviere, 1896
Fonte: https://arthive.net/res/media/img/oy800/work/b9f/663950@2x.jpg

 

Circe, è noto, possedeva l’immortalità del padre e da lui aveva ereditato anche i poteri. Della madre, invece, aveva la voce, melodiosa e umana, della quale si serviva per attirare nella sua isola valorosi e innocenti guerrieri.

Sapevate, però, che nel messinese, esattamente a Tindari, una donna è conosciuta per avere molto in comune con la dea in questione?

Scopriamo insieme la storia della Circe siciliana!

 

L’insidiosa bellezza di Circe

Ispirandosi certamente alle vicende omeriche, la Circe di Tindari, tale Donna Villa, era una donna brutta e deforme, dotata di poteri in grado di trasformarla in una splendida e giovane ragazza. Col suo canto soave, l’ingannevole e insidiosa bellezza attraeva nel suo giaciglio, una grotta a picco sul mare, gli uomini avventurosi e forti che osavano solcare le acque al di sotto.

Sfruttando l’impervia posizione, lontana dalla civiltà e dal possibile rischio di essere scoperta, dopo aver trascorso intense ore interessanti, Donna Villa si avventava contro le sue ignare vittime, sfinite dalle troppe effusioni d’amore, depredandole di tutti i loro averi e facendole precipitare nel vuoto. La maga ne divorava poi i corpi, spolpandone le ossa, e con le stesse tappezzava le pareti, come bottino di guerra e segno di rivincita per il suo cuore spezzato.

Sembra, infatti, che la strega avesse subito una insopportabile delusione d’amore e che cercasse, per questo, vendetta.

 

La Circe siciliana esiste davvero?

Sirena crudele e antropofaga, sprezzante zitella vendicativa o triste e solitaria donna, calunniata dalle male voci?

Non possiamo dare una risposta incontestabile, così come non possiamo affermare con assoluta certezza che la Circe siciliana sia esistita realmente.

Della presunta Donna Villa, però, rimangono ancora i segni. Segni che continuano ad alimentare la leggenda.

Non tutte le barche navigavano nelle onde di quel mare e non tutti i marinai venivano catturati dalla sua malia. Così, quando il suo richiamo non attecchiva, la donna, accecata dall’ira, artigliava la dura roccia, lasciando su di essa dei profondi solchi.

Le storie – e le guide turistiche – tralasciano di dire che quei buchi non hanno nulla a che fare con la strega: sono solo le impronte lasciate dai molluschi. Inoltre, le ossa trovate sul luogo non sono le spoglie degli uomini divorati dalla cannibale, ma i resti di animali che lì trovavano rifugio.

 

Come si raggiunge?

La grotta interessata, una cavità naturale sui laghetti di Marinello, non risulta essere completamente inaccessibile. Tramite un piccolo ed erto sentiero, in contrada Rocca Femmina, è infatti possibile raggiungerla. Dati i cento metri di altezza e il percorso scosceso, è consigliabile essere accompagnati da una guida turistica.

 

Grotta di Donna Villa
La grotta di Circe
Fonte: https://i0.wp.com/images.liveuniversity.it/sites/2/2022/05/grotta-donna-villa.jpg?w=960&ssl=1

 

Sono in molti, di fatto, ad andare ancora oggi alla ricerca del tesoro che la maga avrebbe accumulato. La vista del paesaggio ripaga della sua spiacevole e deludente assenza.

 

 

 

 

Valeria Vella

 

Fonti:

Collura M., Sicilia sconosciuta. Itinerari insoliti e curiosi, Rizzoli, 2016

https://catania.liveuniversity.it/2022/05/13/sicilia-grotta-donna-villa-circe/

Immagine in evidenza:

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Tindari: tra storia e fede

Su un promontorio costiero a picco sul mare, con ai piedi la riserva naturale orientata dei laghetti di Marinello, dalla storia millenaria, Tindari si pone come unione tra il sacro e il profano, regalando un’esperienza unica e rara.

Andiamo a scoprire Tindari, lasciandoci avvolgere dal mistero che da sempre la caratterizza.

 

Origines

Sin dal nome, Tindari  è avvolta dal fascino e mistero tipico della cultura classica, infatti, si fa derivare direttamente dal mitico re spartano Tindaro. Il nome attuale, risale alle denominazione che già gli storici Strabone e Tolomeo le avevano dato in tempi antichissimi.

La sua fondazione si fa risalire ai tempi del tiranno di Siracusa Dioniso I, nel territorio di Abacaenum (Tripi) che la donò ai mercenari siracusani che avevano combattuto contro i cartaginesi.

Nel corso del tempo, divenne sede privilegiata delle guerre marittime. Nella prima guerra punica, quando sotto il controllo di Gerone II di Siracusa, fu base navale cartaginese, infatti, nelle acque antistanti, la flotta romana guidata dal console Aulo Atilio Calatino, fece fuggire quella cartaginese.

Successivamente, passata in orbita romana, fu base navale di Pompeo e,  presa da Augusto nel 36 a.C., che la trasformò nella Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, citata da Cicerone come nobilissima civitas.

Ancora oggi è possibile vedere i resti della civiltà ellenico-romana nei resti archeologici del Teatro, dell’isolato romano e della “basilica”, un tempo identificato con un ginnasio che era il propileo di accesso all’agorà.

 

Teatro greco di Tindari.
Fonte: wikipedia.it

 

In fide Domini

Tindari, oltre ad essere stato luogo simbolo della cultura greco-romana della provincia di Messina, è da secoli meta attrattiva del turismo religioso, dovuto alla presenza del famoso Santuario.

Il Santuario

Dal 2018, il santuario viene elevato alla dignità di Basilica Minore per decreto e volere del sommo pontefice Papa Francesco. La chiesa sorge sull’estremità orientale del promontorio, dove sorgeva l’antica acropoli e, dove fino alla costruzione del nuovo santuario, sorgeva l’antica chiesetta tuttora esistente.

All’interno è custodita e venerata la statua della “Madonna Nera”, scolpita in legno di cedro, la cui datazione è imprecisata, ma probabilmente giunta in seguito al fenomeno dell’iconoclastia1.

La Madonna, rappresentata sotto forma di Theotókos Odigitria2 seduta con il bambino Gesù in braccio (posizione della Basilissa). I loro volti molto allungati e le grandi dimensioni dei nasi, sono tipici delle raffigurazioni orientali e africane, rare in quelle occidentali, ci permettono di stabilirne orientativamente la provenienza.

Alla base della statua vi è la scritta ripresa dal Cantico dei Cantici “Nigra sum sed formosa” traducibile in italiano con “bruna ma bella”.

La storia del santuario è molto travagliata. Nel 1544, durante l’assedio turco-ottomano della costa tirrenica siciliana, guidata dall’ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa, la chiesa viene distrutta e in seguito ricostruita. È in seguito, grazie alla volontà del vescovo Previtera e, con le donazioni successive della famiglia in seguito alla sua morte, che viene costruito il nuovo santuario, successivamente ampliato dal vescovo Pullano negli anni 70 del ‘900.

Come la Porziuncola di San Francesco a Santa Maria degli Angeli ad Assisi,  così anche a Tindari all’interno delle mura che attorniano il nuovo Santuario, è custodita la chiesetta originale, da cui si vede la sottostante spiaggia di Marinello, luogo della famosa leggenda.

 

Laghetti di Marinello, luogo dove avvenne il miracolo. Fonte: santuariotindari.it

 

La leggenda

La leggenda racconta che un giorno, una donna avendo la figlia gravemente ammalata, si votò alla Madonna per ottenerne la guarigione. Ottenutala, si recò al Tindari per ringraziare la Madonna,  ma vedendola bruna in faccia ne resta delusa ed esclama: “Sono partita da lontano per vedere una più brutta di me”.   E va in cerca della bella Madonnina che le aveva concesso tanta grazia. Nel frattempo la bambina rimasta incustodita, precipita dal colle.

La madre disperata corse ai piedi della bruna madonnina pregando “Se siete voi la miracolosa Vergine che per la prima volta mi avete salvato la figlia, salvatela per la seconda volta”.

Ed ecco che si compie subito il miracolo. La bambina giocava tranquilla su un piccolo arenile formatosi improvvisamente nelle acque sottostanti, quando un marinaio che era accorso per salvarla, la restituisce sana e salva tra le braccia della madre.

Gaetano Aspa

 

 

Note

  1. Iconoclastia – La dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero bizantino, nel sec. 8° e 9°, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre.
  2. Theotókos Odigitria  –  Titolo, «Madre di Dio», rivendicato per la Vergine nel Concilio di Efeso (431).

 

Bibliografia:

La Leggenda è tratta da: https://santuariotindari.it/leggenda/

 

 

Miti e leggende nella provincia di Messina

La Sicilia è una delle terre più ricche di leggende e tradizioni grazie al ruolo centrale rivestito nell’antichità e ai numerosi popoli che l’hanno abitata, rendendola la patria da noi oggi conosciuta e vissuta. Moltissimi sono i miti legati a Messina ma altrettanti -forse meno conosciuti- vedono protagoniste le altre città della provincia, dalla costa ionica a quella tirrenica.

Giardini Naxos e Taormina

Taormina e Giardini Naxos sono da sempre mete molto ambite dai turisti stranieri e dai siciliani stessi, ma in pochi sanno che le due città nascondono storie molte antiche e altrettante curiosità.

Giardini Naxos, prima colonia greca della Sicilia, è infatti strettamente legata alle vicende di Teocle, militare greco. Secondo varie leggende l’uomo, avendo offerto in sacrificio al dio del mare Nettuno un fegato poco cotto, ne subì l’ira e fu vittima di un naufragio, riuscendo però a sopravvivere e approdando nelle coste della città nel 734 a.C. Egli successivamente chiamò a sé i greci da Naxos, nome da cui deriva quello attuale della città.

Statua di Teocle, Giardini Naxos – Fonte: TripAdvisor

Al confine tra Giardini Naxos e Taormina si trova un torrente, chiamato dagli abitanti Sirina, per via degli echi provenienti dalle profondità che ricordano il canto delle sirene. Secondo un’antica leggenda infatti in una notte di luna piena un gruppo di ragazzi trovatosi nei pressi del torrente non ebbe più ritorno. Gli abitanti raccontano che i ragazzi si fossero trasformati in sirene e che ancora oggi, nelle notti di luna piena, sia possibile ascoltarne il canto.

La storia di Taormina va invece ricercata nelle origini del nome della città, Tauromenium, ovvero abitazione del Tauro. Questo ci riporta al mito del Minotauro, essere mostruoso della mitologia greca con il corpo di uomo e la testa di toro, raffigurato anche in moltissimi stemmi e monete della città.

Fiumedinisi

La città di Fiumedinisi, sul versante ionico dell’isola, era originariamente chiamata Nisa, in ricordo del monte greco Nysa, dimora delle ninfe e luogo in cui il dio Dioniso trascorse la sua fanciullezza. La devozione al dio è resa evidente anche dal tempio in suo onore, costruito -secondo la tradizione- dagli abitanti sulla cima del Monte Belvedere.

Saffo e Faone, Jacques Louis David – Fonte: Wikipedia

La storia della città è legata inoltre a quella di una famosa poetessa, Saffo di Lesbo. La donna, probabilmente giunta in Sicilia in fuga dalla patria, conobbe un altro fuggitivo, Faone, e se ne innamorò nonostante l’uomo rimase nell’isola anche dopo il ritorno della poetessa a Lesbo. Chiari riferimenti si hanno nelle Heroides di Ovidio, nell’epistola di Saffo a Faone:

“Ora giungono a te, come nuove prede, fanciulle siciliane: cosa ho a che fare io con Lesbo? Voglio essere siciliana. Voi, madri Nisiadi e nuore Nisiadi, scacciate dalla vostra terra quel vagabondo!”

Novara di Sicilia e l’Altopiano dell’Argimusco

Novara di Sicilia, al confine tra i Nebrodi e i Peloritani, è protagonista di numerose leggende legate alle sue rocche, Rocca Salvatesta e Rocca Leone. La seconda in particolare si pensa risalisse al tempo delle lotte fra Zeus e i Giganti:  Zeus, geloso del potere e della forza del gigante Tifone, lanciò dei fulmini contro il leone che quest’ultimo aveva addomesticato. I primi due fulmini colpirono la collina formando le montagne di Colle Barca e Pizzo Russa, ma il terzo colpì il leone pietrificandolo proprio nella Rocca Leone.

L’Orante dell’Argimusco – Fonte: massimotamajo.it

Connesso a livello paesaggistico alla Rocca Salvatesta è l’altopiano dell’Argimusco, un sito naturalistico ed archeologico che sorge nella Riserva Naturale del Bosco di Malabotta. Qui si trova un complesso di megaliti, legati anch’essi a numerose leggende e misteri. Uno di questi è quello dell’Orante o della Dea Neolitica che raffigura una donna in preghiera. La figura della donna fu ricollegata a quella di Marta d’Elicona, protagonista di alcune leggende popolari, che per sottrarsi al corteggiamento di un demone, pregò di essere  trasformata in pietra.

Patti e Tindari

Patti è un comune del versante tirrenico della provincia di Messina. Desta particolare curiosità la denominazione di Tindari, una piccola frazione, luogo particolarmente apprezzato sia dagli abitanti che dai turisti. Il nome è legato alla storia dei Dioscuri greci, Castore e Polluce, protettori dei naviganti e figli di Zeus e Leda. I due gemelli infatti venivano definiti anche Tindarini, dal nome di Tindaro, re di Sparta e marito effettivo di Leda.

I gemelli Castore e Polluce – Fonte: Wikipedia

La loro storia ebbe origine a Sparta, la loro patria, e si diffuse in tutta la Magna Grecia e persino nell’Impero Romano successivamente; si racconta che fecero anche parte degli Argonauti, partiti alla ricerca del Vello d’oro. Moltissime monete ritrovate durante gli scavi proprio nella zona di Tindari testimoniano inoltre il loro ruolo di protettori della città.

Santo Stefano di Camastra

Santo Stefano di Camastra è uno dei comuni appartenenti al Parco Naturale dei Nebrodi, famoso – tra le altre cose – per le sue ceramiche, in particolare le famose Teste di Moro, realizzate in moltissime città siciliane.

Teste di Moro – Fonte: youontour.it

Queste ultime nascondono una storia di amore e vendetta che vede protagonisti un uomo arabo, il Moro, e una giovane donna siciliana, sullo sfondo della Sicilia sotto la dominazione araba. Secondo la leggenda i due si innamorarono ma l’uomo nascose alla donna di avere una famiglia pronta ad attenderlo in Oriente. La fanciulla, colta dall’ira e dalla gelosia, colpi l’amato durante il sonno e trasformò la sua testa in un vaso in cui piantò una pianta di basilico, simbolo di regalità (sostituita nella ceramiche da una corona): l’uomo non l’avrebbe così più lasciata per far ritorno alla sua terra.

 

Cristina Lucà

Fonti:

tempostretto.it

argimusco.net

comunedinovarasicilia.me.it

aditusculture.com

comune.patti.me.it

vanillamagazine.it

Le incredibili curiosità della Sicilia, Francesco Musolino

Immagine in evidenza:

Teste di Moro – Fonte: catania.liveuniversity.it

 

 

Indiegeno day 2: la musica non si ferma

Elodie, Indiegeno 2020

Come ormai consuetudine nella stagione estiva, anche quest’anno noi di UniVersoMe abbiamo seguito l’Indigeno Fest, scegliendo di sostenere un settore – quello musicale – che ad oggi fa ancora fatica ad uscire dalla crisi scaturita dall’emergenza sanitaria, in qualità di spettatori.

Elodie, Indiegeno 2020 

Ma eccoci qua pronti a raccontarvi ancora una volta la serata del 5 agosto 2020, svoltasi in una location d’eccezione, il Teatro Greco di Tindari, preceduta dalla nottata di apertura che ha visto esibirsi il vincitore dello scorso festival di Sanremo, Diodato. Nonostante la minaccia di pioggia – concretizzatasi solo in parte – lo show parte subito con il nome più noto: Elodie. Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo album  “This is Elodie” (2020), l’artista romana mette in scena uno spettacolo coinvolgente, supportata anche dalle sue bravissime coriste. Tantissimi i successi portati sul palco, da pezzi recentissimi, come la hit dell’estate Guaranà, ai grandi tormentoni che hanno animato la bella stagione negli anni precedenti, come Nero Bali e Margarita. 

Ciclone il pezzo più apprezzato e ballato dal pubblico, che ha richiesto anche un bis a gran voce. Nonostante il clima non propriamente estivo, con la sua voce poderosa – anche se lievemente sottotono – è riuscita a scaldare gli spettatori con tanti cavalli di battaglia ma anche cover e pezzi meno conosciuti. Molto divertenti alcuni siparietti con in membri del suo entourage: Elodie ha ammesso candidamente di non ricordare spesso gli “attacchi” delle canzoni e ha chiesto l’aiuto della DJ alle sue spalle, suscitando l’ilarità degli spettatori e contribuendo a creare un clima quasi amichevole con il pubblico.

Elodie e le coriste, Indiegeno 2020 

Dalla sua uscita di scena in poi la serata si “normalizza”: in tanti lasciano il Teatro nonostante i ripetuti appelli degli

organizzatori.

Davide Shorty, Indiegeno 2020

Noi non demordiamo ascoltiamo piacevolmente il secondo artista in programma, Davide Shorty. Un mix di sonorità rap, hip-hop e testi quasi “cantautorali”: il cantante siciliano è a proprio agio sul palco e riesce a coinvolgere il pubblico. Degna di nota una riflessione sul razzismo e i recenti fatti accaduti negli USA, tutta in rima ed a cappella. Prima di lasciare il palco regala anche qualche inedito, scritto e ideato durante il lungo periodo di quarantena, oltre a brani tratti da Straniero (2017) e Terapia di Gruppo (2018, in collaborazione con Funk Shui Project).

Blank, Indiegeno 2020

A chiudere la serata Blank, giovanissima ragazza di origine messinese e artista emergente della scena indie: emozionantissima di cantare nella sua città natale, ci regala anche l’inedito Pare, tra le canzoni che più ci hanno convinto.

È stato sicuramente un Indiegeno diverso dal solito: molto più “posato” per necessità, con gli spettatori seduti per gran parte del tempo. Ma, ad ogni modo, tutte le difficoltà per organizzare in questo anno particolarmente complesso un evento del genere sono state ripagate dalle esibizioni degli artisti.

Forse poco oculata la scelta di invertire la scaletta originaria, facendo esibire Elodie per prima.

E probabilmente le stesse difficoltà, menzionate qualche riga sopra, sono state sofferte sia dagli artisti che dagli organizzatori e messe in scena un po’ troppo: smorzare gli animi a uno spettacolo musicale che, per definizione, ha un animo leggero, ha fatto sì che il pubblico fosse un po’ frenato. Possiamo e dobbiamo tuttavia comprendere lo stato d’animo di tutti gli addetti ai lavori e dei cantanti stessi, che abbiamo visto tenere tanto alla riuscita dell’evento. L’Indiegeno ha comunque dimostrato che è possibile ripartire in sicurezza anche nel settore musicale e che un nuovo modo di concepire i festival, sfruttando magari le splendide location all’aperto di cui siamo ricchi in Sicilia (come in tutta Italia), può far sì che il mondo della musica non rimanga bloccato, e con lei le nostre emozioni.

Emanuele Chiara, Antonio Nuccio

Foto di Martina Galletta