Dune – Parte Due: Villeneuve fa scuola di Cinema

Dune – Parte Due è un film del 2024 co-sceneggiato, diretto e prodotto da Denis Villeneuve. Comprende un cast corale composto da Timothée Chalamet, Zendaya, Austin Butler, Dave Bautista, Stellan Skarsgård, Josh Brolin, Christopher Walken, Rebecca Ferguson, Florence Pugh, Javier Bardem, Rebecca Ferguson, Stephen McKinley Henderson, Léa Seydoux, ecc. È il sequel del film “Dune” uscito nel 2021 ed è la seconda parte dell’adattamento cinematografico del primo romanzo del “Ciclo Di Dune” di Frank Herbert. E’ arrivato nelle sale quasi un anno fa (40 anni dopo dell’uscita dell’adattamento cinematografico diretto dal compianto David Lynch) ed è stato reso disponibile su Sky e Now TV di recente, esattamente lo scorso 1° Gennaio.

Ha avuto 5 Candidature agli Oscar 2025, edizione che si terrà il prossimo 2 Marzo, come Miglior Film, Migliore Fotografia, Migliore Scenografia, Miglior Sonoro e Migliori Effetti Visivi

Trama di Dune Parte II

La seconda parte inizia da dove si è interrotta la prima e vede Paul Atreides (Timothée Chalamet) unirsi a Chani (Zendaya) e ai Fremen sul sentiero della vendetta contro i cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia. Di fronte alla scelta tra l’amore della sua vita e il destino dell’universo conosciuto, Paul intraprende una missione per impedire un terribile futuro che solo lui è in grado di prevedere.

Villeneuve ha trovato il giusto modus operandi per adattare Dune

Frank Herbert ha realizzato un ciclo di romanzi che ha appassionato diversi lettori e successivamente, ha avuto alcune trasposizioni cinematografiche e televisive. Dopo la versione cinematografica del 1984, sceneggiata dallo stesso autore dei romanzi e diretta da David Lynch che non ha convinto tanto che quest’ultimo è arrivato a rinnegarla, e qualche Serie TV non brillante, è arrivata quella di Denis Villeneuve.

Dopo questi due film arrivati in sala e poi nelle varie piattaforme (la prima parte nel 2021 e la seconda nel 2024), “Dune” ha avuto finalmente la sua occasione di divenire un fenomeno cinematografico e Denis Villeneuve ci è riuscito in maniera eccellente. Non è il solito blockbuster mirato a fare soldi, ma una storia non semplice e piena di intrighi politici da cui ci si aspetta di tutto. E’ un genere che esprime la pura fantascienza che ha dato anche una svolta al genere sci-fi stesso.

Fonte: Ciak Magazine

I due film di “Dune” di Villeneuve rappresentano il puro Cinema con la C maiuscola.

È una storia non semplice, piena di intrighi politici e simbolismi e rappresenta la pura fantascienza pensata solo ad uno specifico pubblico ed invece, la trasposizione cinematografica di Villeneuve ha attirato molte persone (un po’ come ha fatto ad esempio “Il Signore Degli Anelli”). Villeneuve ha realizzato due film (è in arrivo un terzo nel 2026) che rappresentano il cinema con la C maiuscola, capace di trascinare lo spettatore all’interno di un mondo da cui si rimane incantati dal punto di vista visivo e coinvolti da quello narrativo, tanto da far sentire lo spettatore protagonista di quel mondo (si diventa tutti Paul Atreides).

I blockbuster sono pensati per un grande pubblico e con l’intento di strappare più biglietti possibili, ma si cade nel pregiudizio che non possano essere considerati dei film ed invece non è così, perché tutto quello che passa in sala è cinema. A differenza di blockbuster più ambiziosi con grossi budget sfruttati male e con risultati non eccellenti, “Dune” ha dimostrato che si può realizzare un blockbuster d’autore con un budget più ridotto e con un buon comparto tecnico.

Fonte: Yvon

“Dune” è il nuovo “Signore Degli Anelli”?

Villeneuve non solo ha dimostrato che si può realizzare un blockbuster d’autore che rappresenta il puro cinema con la C maiuscola, ma è riuscito anche a trovare un compromesso tra la controparte letteraria e la sua impronta autoriale, divenendo così un fenomeno da attirare sia i lettori che coloro che stanno scoprendo ora l’opera di Herbert. Non è facile trasporre per bene un romanzo e il rischio è sempre alto e paradossale: se l’intento è renderlo identico, c’è il rischio che non viene messo in scena per bene; mentre se si prende troppa libertà potrebbe venir fuori un risultato disastroso. Non è una regola fissa, perché a volte è avvenuto anche il contrario.

Villeneuve, così come Peter Jackson per “Il Signore Degli Anelli”, è uno di quelli che è riuscito a saper mettere in scena il mondo creato da Herbert e a rendere il romanzo più fedele possibile, nonostante le sottili differenze tra libro e film. Però, il regista resta sempre un autore e deve saper riconoscere quando è il momento di farlo e Villeneuve ha trovato spazio per la sua impronta autoriale. C’è chi lo ha paragonato alla trilogia de “Il Signore Degli Anelli” e seppur uno sia fantascienza e l’altro puro fantasy, il paragone ci sta perché hanno molte cose in comune, come un buon cast, un buon comparto tecnico e sono entrambi divenuti dei fenomeni soprattutto col cinema.

Fonte: radiotimes

Il cast corale e il comparto tecnico straordinario. Villeneuve si meritava la Candidatura all’Oscar come Miglior Regia.

Due elementi giocano a favore del film: il comparto tecnico e il cast corale.

La regia che ha adottato Villeneuve è un qualcosa di straordinario che fa letteralmente scuola di cinema e sinceramente, è vergognoso che non abbia almeno avuto la Candidatura come Miglior Regia agli Oscar. Per compensare, ha avuto altre Candidature (Migliore Fotografia, Migliore Scenografia, Miglior Sonoro e Migliori Effetti Visivi) e sono stati tutti meritati. Gli effetti visivi sono straordinari ed è incredibile che sia stato usato quel budget (leggermente superiore a quello del primo film). Ci sono anche una fotografia impeccabile e una colonna sonora monumentale, realizzata dal quel grande compositore che è Hans Zimmer. Se si deve trovare un difetto, sta nel ritmo reso volutamente lento ma allo stesso tempo questo elemento è contestualizzato e bisogna stare attenti alla trama, perché se si perde un passaggio è la fine.

Ma Villeneuve e gli addetti tecnici non sono gli unici che hanno fatto un buon lavoro, perché il merito del successo va anche agli attori presenti, partendo da Timothée Chalamet nei panni di Paul Atreides. Chalamet ha l’espressività e le caratteristiche adatte per Paul Atreides,  anche gli altri attori sono stati perfetti per i ruoli, come Austin Butler (Feyd-Rautha Harkonnen), Zendaya (Chani), ecc. Non c’è un attore risultato fuori posto e sono tutti adatti ai ruoli, anche se non c’è il giusto bilanciamento tra i personaggi ma questo è contestualizzato.

Fonte: Wikipedia Dune – Parte Due

Una seconda parte nettamente superiore alla prima, vincerà qualche Oscar?

Dividere il primo libro (una storia di predestinazione e di formazione) in due film è stata una buona mossa e dopo una prima parte preparatoria (che rappresenta l’iniziazione e il dubbio esistenziale), la seconda (che rappresenta la consapevolezza e il compimento del destino) mette una pezza alle questioni lasciate in sospeso e ne introduce altre per il futuro.

La Parte Due è nettamente superiore alla prima sia a livello tecnico che a livello narrativo, tanto da far sentire lo spettatore coinvolto e come se stesse affrontando lui stesso il viaggio del protagonista. E’ ironico che abbia avuto meno Candidature per gli Oscar rispetto al primo film, nonostante sia migliore, ma bisogna considerare che la concorrenza presente non è da meno.

Vincerà qualche Oscar? Chissà, ma se non dovesse riuscirci resta comunque un film monumentale da vedere e che fa venire voglia di attendere il secondo sequel (“Dune: Messiah) in arrivo nel 2026.

 

Giorgio Maria Aloi

A Complete Unknown merita davvero l’Oscar?

A Complete Unknown
Grande prova attoriale da parte di Timothée Chalamet, ma la scelta minimalista della regia di Mangold risulta in una narrazione priva d’intensità. Ma è davvero degno delle sue nomination agli Oscar? – Voto UVM 3/5

Ė al cinema dallo scorso 23 gennaio A Complete Unknown,  l’attesissimo biopic su Bob Dylan.

Una fatica di durata quinquennale quella di Mangold – basata sul soggetto di Elijah Wald nel libro Dylan Goes Electric! (2015) – ora nominata Best Picture e Best Adapted Screenplay agli Academy Awards.   

Si tratta di uno dei titoli più chiacchierati dell’ultimo anno: vuoi per l’attrattiva del cast (Timothée Chalamet, Elle Fanning, Monica Barbaro), vuoi per la grande campagna promozionale dedicatagli, vuoi per il fascino enigmatico di un’icona come Dylan (nientemeno che uno dei produttori esecutivi del film), e per un’interpretazione che è valsa a Chalamet una nomination ai Golden Globe e ai prossimi Oscar.

Sinossi

New York. 1961. Il ventenne Robert Zimmerman arriva dal Minnesota, per incontrare il suo idolo Woody Guthrie, malato in ospedale, per inserirsi nella scena folk del periodo. Nasce Bob Dylan: mito costruito su mezze verità e reinvenzioni continue, ispirato da due amori tormentati e diventato la voce che ha incendiato gli animi di una generazione stravolgendo la scena folk in un solo iconico momento: Il Newport Folk festival del 1965.

A complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown tra alti e bassi

Bob Dylan è notoriamente un tipo enigmatico: “un incrocio tra un chierichetto e un beatnick” come lo definisce una storica recensione del New  York Times del ‘61.

Si parla di un personaggio privo di quei tratti eroici che ci si aspetta dal protagonista di un biopic. E se si unisce una personalità estremamente ermetica ad un ambiente asettico, circondata da personaggi privi di ogni sviluppo, la narrazione cola a picco.

Calato in un’America in fermento che vuole abbattere e ricostruire la sua identità culturale, il film abbonda di indizi storici ricorrendo all’espediente di telegiornali, radio e quotidiani. 

Eppure, osservando il comportamento del protagonista, allo spettatore non arriva mai l’urgenza della lotta sociale che ha mosso la carriera di Dylan. Mentre la si percepisce meglio nelle due protagoniste femminili, emotivamente più coinvolte negli eventi socio-politici del tempo. 

La narrazione scorre lenta e lineare, con pochi dialoghi e ancor meno azione. L’unico momento di picco si ha a un passo dalla fine: il Newport Folk Festival del ‘65. Qui troviamo una scena che sfiora il ridicolo, con un pubblico così furibondo da sembrare una parodia, e vari cazzotti sganciati dietro le quinte nel tentativo di sabotare lo spettacolo. Un exploit d’azione alla spaghetti western totalmente fuori luogo, ma che almeno rende bene l’eccezionalità del momento.  

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

L’amore in A Complete Unknown 

Tormentate vicende sentimentali diventano qui un semplice susseguirsi di eventi di cui il cantautore muove le fila. Ė un flipper infinito tra Joan e Sylvie senza alcun margine evolutivo da parte delle due donne. Bob fa ciò che vuole e nessuno gli chiede spiegazioni. Il problema non sta nell’interpretazione di Monica Barbaro e di Elle Fanning, che sono invece degne di nota, ma sta nella resa cinematografica di dinamiche amorose così complicate.

Un’interpretazione da Oscar

Timothée Chalamet ha dovuto sfoderare la sua poliedricità come mai prima: interprete, voce di ogni traccia presente nella pellicola e co-produttore del film. 

La caratteristica ermetica e ambigua e l’umorismo sfacciato del cantautore sono ciò su cui Chalamet ha puntato di più nella sua interpretazione. Grande lavoro sullo studio della voce, della mimica facciale, della cinesica e dello staging: dal modo in cui tiene la sigaretta a quello in cui suona la sua Fender, alle unghie lunghe solo nella mano destra fino alla postura ricurva e ai suoi famosi “dead eyes”. 

Chiunque salga sul palco e voglia catturare l’attenzione deve essere un po’ strano, la gente non deve smettere di guardarti, devi essere come un incidente d’auto.

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown: un’overview sul lavoro di Mangold

Dopo il successo di Walk the Line sulla vita di Johnny Cash, Mangold torna al genere biografico. La fotografia è minimalista, senza movimenti di camera e sequenze elaborate. Vediamo luci fioche e gialle in ambienti interni cupi e ombrosi. L’elemento luminoso non è stato sfruttato granchè, mantenendosi su un’illuminazione d’ambiente priva di personalità. 

La palette del film privilegia colori come il giallo e il beige, e il legno norvegese – trend iconico dell’interior design dell’epoca – domina scenografie storicamente accurate e piacevolissime all’occhio.

La scelta di fare un uso quasi esclusivamente diegetico della musica è coerente col soggetto ma poco funzionale allo storytelling: allo spettatore non viene offerta nessuna hint sulla carica emotiva dei personaggi nei vari momenti della narrazione. Per capire cosa stia succedendo di fronte a lui ad ogni scena, lo spettatore deve contare unicamente sui dialoghi – per giunta anch’essi ridotti all’osso.

A Complete Unknown: Il folk che raggiunge tutti

Il folk che raggiunge tutti” è il vero protagonista dell’opera di James Mangold. Un genere che cambia insieme alla società, che dà voce alle lotte generazionali, e che per questo non può essere limitato ai brani di repertorio, ma deve poter innovarsi. Questa la mission del nostro protagonista, questo il mantra dell’intera opera. La musica di Dylan ci parlava di progresso quando nessuno era disposto a guardare al di là del proprio naso. Fino a quel ‘65 in cui Bob Dylan portò sul palco la sua Fender elettrica e cambiò per sempre la storia della musica. 

 

Bones and all: la horror love story di Luca Guadagnino

Bones and all
Bones and all è uno dei migliori film del 2022. Se si deve trovare un difetto sta sul fatto che purtroppo, non è un film per tutti. Voto UVM: 4/5

Bones And All è un film del 2022 diretto da Luca Guadagnino (regista di film come Chiamami Col Tuo Nome,  Melissa P. , la serie TV We Are Who We Are). È l’adattamento cinematografico del romanzo Fino All’Osso scritto da Camille DeAngelis. I protagonisti sono Timothée Chalamet (che ha già collaborato con il regista in Chiamami Col Tuo Nome ed è noto anche in film come Dune, Piccole Donne di Greta Gerwig, Lady Bird) e Taylor Russell (Escape Room). Il film ha ottenuto il Leone D’Oro come Miglior Regia alla 79° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, avvenuta a Settembre 2022. La pellicola è  disponibile dal 27 marzo su Prime Video.

Bones and All: trama

Maren (Taylor Russell) e Lee (Timothée Chalamet) apparentemente sono due ragazzi normali, ma in realtà  sono ben diversi da ciò che sembrano. Sono due cannibali e non sono gli unici al mondo, ad esserlo. Ma la cosa che li accomuna non è solo la loro natura, ma anche il fatto che entrambi hanno avuto un passato turbolento. Lee è un ragazzo vagabondo che convive con la sua natura di cannibale, ma non vuole fare parola sul suo passato e ciò lo rende misterioso, mentre Maren è un’emarginata per via di ciò che è in realtà ed è per questo motivo che è stata abbandonata ed emarginata. I due si incontrano e decidono di viaggiare assieme, per cercare risposte sul passato di Maren e trovare la madre di lei. Durante il viaggio, condivideranno la loro natura, i loro racconti di vita ed un’appassionante storia d’amore.

Luca Guadagnino è un buon regista?

Luca Guadagnino non è un regista compreso da molti. Ha uno stile particolare nel girare i film e può vantarsi di un curriculum di tutto rispetto. Sostanzialmente, lui non vuole mirare al mero intrattenimento,  vuole spingersi oltre. Punta soprattutto nel far provare emozioni allo spettatore e ci riesce, perché nei suoi film trasmette la sua sensibilità d’animo; è sempre riuscito a circondarsi di buoni collaboratori, rendendo i suoi lavori delle vere e proprie opere d’arte e curando tutto in ogni minimo dettaglio (Musica, location, fotografia, set design, costumi, ecc.). Infatti, ogni volta riesce a coordinare tutto con cura, riuscendo a creare una combinazione ben strutturata.

Ebbene, con Bones And All ha fatto nuovamente centro, anche se non lo si considera il suo film migliore. La sua filmografia rispecchia spesso la tematica dell’amore in tutte le sue forme, anche quelle più “insolite” e non comprese da tutti. Ma è sbagliato considerare Bones And All solo una storia d’amore, perché sarebbe troppo riduttivo. Lo è, però è anche una storia che comprende un osmosi di generi, tra cui il drammatico ed anche un pizzico di horror. Ma Guadagnino ha messo un sacco di significati nascosti ed infatti, ci sono diverse metafore.

Bones and all
Una scena del film. Fonte: Metro-Goldwyn-Mayer, Vision distribution.

Bones And All è una storia di cannibalismo?

Oltre ai generi citati sopra, il film è anche un Road Movie che vede i due protagonisti fare un viaggio, mirato alla scoperta di sé stessi. O forse alla fuga da sé stessi? Ebbene, il viaggio che intraprendono è una metafora sulla fuga da sé stessi e dal proprio passato. Si cerca la verità o si cerca altro, per non fare i conti con essa? Questo è un dilemma esistenziale che riguarda sia Lee che Maren, per ragioni diverse.

Anche il cannibalismo che viene mostrato è in realtà una metafora. Sia dal punto di vista letterario che cinematografico, il cannibalismo è la metafora di una realtà molto frequente, anche oggi: ciò che è diverso e la paura di esso, perché non si riesce a comprenderlo e questo porta anche all’emarginazione di esso. C’è chi riesce ad accettarsi, come fa Lee, e chi invece vorrebbe non essere in quel modo, in questo caso Maren.

Bones and all
Una scena del film. Fonte: Metro-Goldwyn-Mayer, Vision distribution.

La storia d’amore di Lee e Maren è una storia completa a tutti gli effetti, visto che i due sono due poli opposti: uno accetta la sua natura, l’altra invece no. Ma nonostante ciò, si sono trovati e c’è una cosa che li unisce, oltre l’amore e la comune natura: il passato turbolento che hanno avuto entrambi. Forse è per questo che si accettano ed hanno bisogno l’uno dell’altra, per affrontarlo. Ed è una cosa emozionante vedere due anime tormentate che si completano e che si spogliano del tutto, mostrando la loro anima e i loro demoni interiori.

In tutto questo, quel tocco in più è stato aggiunto poi dalla fantastica performance di Timothée Chalamet e di Taylor Russell. Il giovane Chalamet ha già dimostrato di essere uno straordinario attore e con un futuro straordinario davanti; la Russell qui non è stata da meno ed è riuscita ad affiancare bene il protagonista maschile, creando una buona alchimia con esso.

Il finale (senza fare spoiler) è sconvolgente e lascia un sapore dolceamaro. Oltre ad avere un piccolo riferimento ad una tematica molto toccante come l’eutanasia, è anche una sorta di atto d’amore richiesto e in certo senso, anche trasmesso. Fa soprattutto capire il senso della traduzione letteraria del romanzo (di cui si consiglia la lettura) ed è un modo di rimanere “dentro” la persona amata, per sempre e al di là di tutto ciò che potrebbe succedere.

Giorgio Maria Aloi

Venezia 2022: il festival delle stelle (e degli influencers)

Mentre tutto il mondo piange la fine delle vacanze estive, la prima settimana di settembre è sempre magica per tutti gli amanti del cinema. Questo è il periodo della mostra del cinema di Venezia, una delle premiazioni cinematografiche più prestigiose ed orgoglio italiano. Inaugurato il 31 agosto e conclusosi il 10 settembre, Venezia 2022  ci ha rivelato nuovi talenti e delle nuove interessanti pellicole. Parallelamente alle vicende prettamente inerenti al tema principale della mostra, si è sviluppato tutto un turbine di gossip da “tappeto rosso”.

Venezia 2022: i candidati

Venezia 2022
Ana De Armas, protagonista di Blonde. Author: Eric Longden. Fonte: commons. wikimedia.org

Quest’anno Venezia 2022 ha acceso i riflettori su alcune delle pellicole più attese, che si tratti di film in concorso o fuori concorso. Tra queste si ricorderanno sicuramente Blonde, film in gara, nuovo biopic su Marlyn Monroe; Ana de Armas ha ottenuto anche la candidatura per la coppa volpi come miglior attrice per la sua interpretazione della nota diva di Hollywood. Per questa categoria la vera favorita era però fin dall’apertura del festival Cate Blanchett, per la sua performance in Tàr.

Nella lista dei favoriti di questo festival non poteva certo mancare Bredan Fraser: dopo un lungo e difficile periodo per via di problemi personali e di salute, l’attore fa il suo ritorno sul grande schermo con il ruolo di Charlie, padre obeso che cerca di instaurare un rapporto con la figlia adolescente, in The Whale. Nel cast di questa pellicola ritroviamo anche l’attrice Sadie Sink (Max nella serie Stranger Things).

Per mantenere alto l’orgoglio del cinema italiano, quest’anno alla mostra del cinema di Venezia sono stati presentati ben cinque film targati Italia, quattro in concorso ed uno fuori. Tra questi ricordiamo Bones and all, nuova opera nata dalla seconda collaborazione Guadagnino- Chalamet dopo Chiamami col tuo nome. Il film, storia d’amore e d’orrore, racconta la relazione tra due giovani cannibali; il soggetto è tratto dal romanzo Fino all’osso (titolo originale “Bones and All”) di Camille DeAngelis.

Per la Sezione “Orizzonti”, ritroviamo tra gli altri un film particolare, con un’inteprete inaspettata: si tratta di Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa e l’attrice protagonista è la nota cantante italiana Elodie. A questo proposito, molte sono state le polemiche mosse verso quest’ultima, in quanto non è un’attrice di professione.

Per quanto riguarda invece i “fuori concorso”, la pellicola più attesa è certamente Don’t worry, darling di Olivia Wilde. In questo dramma dai tratti distopici, i due protagonisti sono interpretati dall’attrice Florence Pugh (Piccole donne, Don’t worry darling) e dalla stella pop Harry Styles. Quest’ultimo è stata una seconda aggiunta al cast, dopo le tensioni avvenute con Shia LaBeouf, prima scelta per il ruolo, ed il suo ritiro dal cast.

Venezia 2022: i vincitori

Ma ora, senza ulteriori premesse, passiamo alla parte saliente di una mostra del cinema come quella di Venezia 2022: presentiamo i vincitori!

Il Leone, simbolo di Venezia e del festival. Author: Tryphon. Fonte: commons.wikimedia.org

La categoria delle selezioni ufficiali comprende i riconoscimenti più prestigiosi. Le voci riguardo a Gli orsi non esistono di Jafar Panahi come favorito per il Leone d’oro sono state smentite: ad aggiudicarsi il premio è stato All the beauty and the bloodshed, film documentario diretto da Laura Poitras. La protagonista del docufilm intraprende una lotta contro la famiglia Sackler, proprietaria di un colosso farmaceutico e ritenuta responsabile per un’epidemia di oppioidi negli Stati Uniti. Il Leone d’argento– gran premio della giuria invece è andato a Saint Omer, dramma opera prima della regista Alice Diop.

Bones and all, invece torna vincente da questa edizione della mostra del cinema: porta con sé il Leone d’argento per la miglior regia a Luca Guadagnino ed il premio Marcello Mastroianni (destinato a un attore o attrice emergente)all’attrice Taylor Russel.

Le previsioni per la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile si sono rivelate corrette. Anche se Blonde  ha ricevuto una standing ovation di circa 14 minuti, non ha potuto togliere niente alla performance della Blanchett, che si è aggiudicata il premio.

Nel caso della categoria “miglior interpretazione maschile”, il vincitore designato ha sorpreso tutti, è stato totalmente inaspettato. Nonostante la performance commuovente di Fraser ed una standing ovation di sette minuti, ad aggiudicarsi questa Coppa Volpi è stato Colin Farell per il ruolo di Pàdraic Sùilleabhàin in The Banshees of Inisherin. La pellicola in questione ha conquistato anche il premio Osella per la migliore sceneggiatura.

Infine, meritevoli di attenzione sono i due leone d’oro alla carriera, conferiti al regista e sceneggiatore Paul Schrader e all’attrice francese Catherine Deneuve.

Un red carpet di stelle hollywoodiane e “vip” italiani

Venezia 2022
Julianne Moore, presidente della giuria. Author: David Alexander Elder. Fonte: flickr.com

Il red carpet di questa mostra del cinema di Venezia 2022 ha brillato per la presenza di alcune tra le figure più affermate nel cinema contemporaneo. Partendo da attori che occupano la scena da ormai diversi decenni, come Brad Pitt (anche se questa volta solo nei panni di produttore di Blonde), Anthony Hopkins o Julianne Moore, presidente della giuria di quest’anno fino ad arrivare alle nuove stelle di oggi. Tra queste la più brillante è certamente il giovane Timothèe Chamalet, amato dal pubblico per la sua bravura ed il suo fascino; a lui si affianca l’attrice e modella cubana Ana de Armas.

Ad ogni modo nell’edizione di quest’anno l’attenzione verso i veri protagonisti del festival sembra essere stata oscurata da figure totalmente estranee al mondo del cinema. Partendo dall’attivista Giorgia Soleri, la quale, in diverse occasioni, ha affermato sui social di non apprezzare nemmeno la settima arte, passando per l’influencer Camihawke, fino ad arrivare alla coppia composta da Sophie Codegoni – ex tronista di Uomini e donne e protagonista del Grande Fratello, e Alessandro Basciano. Quest’ultimo, mentre sfilava sul red carpet, ha chiesto alla Codegoni di sposarla, con tanto di flash e telecamere puntate.

In tutti e tre i casi si tratta di figure fuori luogo, che pur volendo partecipare, come tutti, ad un festival importante come questo, non sarebbero dovute divenire il centro dell’attenzione, “rubando” la scena ad attori, registi e film in gara.

Ilaria Denaro

The French Dispatch: la dedica cinematografica al giornalismo

Pellicola vivace, leggera ed originale, in stile Anderson – Voto UVM: 5/5

 

Il cinema talvolta può divenire l’arma perfetta per portare sul grande schermo, e quindi davanti agli occhi di tutti, anche altre forme d’arte e d’espressione. Questo è proprio il caso di The French Dispatch of Liberty, Kansas Evening Sun, scritto e diretto da Wes Anderson (Grand Budapest hotel).

La pellicola è dedicata al giornale Newyorker ed a molti dei suoi cronisti, ai quali, in alcuni casi, Anderson si è ispirato per plasmare i suoi personaggi: in particolare la figura fulcro del film, il direttore Arthur Howitzer Jr. (Bill Murray), è una trasposizione del fondatore del Newyorker, Harold Ross.

Questo film, così originale e tutto in stile pienamente Anderson è stato, insieme a Ultima notte a Soho, il grande escluso di quest’anno, in quanto non candidato in nessuna categoria degli Academy Awards.

It began as a holiday…

Da subito ci viene presentato lo schema del film. Esso comprende: un necrologio, una guida per i viaggi e tre dei migliori articoli tratti dal The French Dispatch. Questa edizione speciale, l’ultima, è fatta in onore del direttore Arthur Howitzer Jr., morto improvvisamente d’infarto. Quest’ultimo, trasferitosi per una vacanza da universitario ad Ennui, in Francia, aprì una propria sezione del giornale del padre dedicata ad arte, cucina, cultura locale e politica, riunendo la sua amata squadra di reporter tra cui Herbsaint Salzerac (Owen Wilson), J.K.L. Beresen (Tilda Swinton) Lucinda Krementz (Frances Mcdormand) e Roebuck Wright (Jeffrey Wright).

Il primo articolo riportato dopo le notizie su Ennui è Il capolavoro di cemento. Appartenente alla sezione “Arte”, narra le vicende del tormentato artista Moses Rosenthaler (Benicio del Toro), condannato a 50 anni di reclusione in una prigione-manicomio. Qui il mercante d’arte Julien Cadazio (Adrien Brody) scoprirà la sua arte, rendendolo famoso.

Il secondo articolo, Revisioni di un manifesto, presenta tutta una stagione di rivolte studentesche capitanate dai giovani Zeffirelli (Timothée Chalamet) e Juliette (Lyna Khoudri). Zeffirelli entra direttamente in contatto con Krementz (Frances McDormand), la reporter del The French Dispatch, la quale revisionando il suo manifesto, sarà coinvolta, pur cercando di mantenere la neutralità del cronista.

Il terzo ed ultimo articolo, La sala da pranzo del commissario di polizia, descrive la cena del reporter Roebuck Wright (Jeffrey Wright) dal commissario di polizia, preparata da un noto chef, il tenente Nescaffier (Stephen Park). Durante la cena, però, il figlio del commissario viene rapito e l’inviato del giornale si vedrà coinvolto nell’operazione di liberazione del bambino.

Un cast stellato

The French Dispatch è caratterizzato da un vasto cast corale, formato da alcuni degli attori più quotati del momento, tra cui anche svariati premi Oscar o candidati all’Academy, come Frances Mcdormand, Benicio del Toro, Adrien Brody e Saoirse Ronan. In più, è presente il cameo di tre grandi stelle del cinema hollywoodiano: Christoph Waltz, Willem Dafoe e Edward Norton, nel secondo e nel terzo racconto.

Il cast al festival di Cannes. Fonte: laRepubblica.it

Tecniche e peculiarità

Più che la bravura degli attori, più che la trama, in The French Dispatch quello che spicca veramente è proprio l’originalità con cui è stato realizzato. In particolare, vengono utilizzate ed alternate diverse tecniche cinematografiche. Un chiaro esempio si ritrova già nella scelta dei colori: alla pellicola prevalentemente in bianco e nero, si alternano delle scene cruciali, che si tratti di flashbacks o altro, con i classici colori brillanti andersoniani.

Inoltre, è anche molto curiosa la struttura stessa del film. Il tutto si presenta con un filo logico legato dalla singola edizione del giornale. In poche parole, è come se lo spettatore stesse sfogliando il The French Dispatch!

Da notare è anche la scelta del sottofondo musicale. La musica molto spesso influisce su come il film viene percepito in totale dallo spettatore, ed in questo caso bisogna sicuramente applaudire la bravura del compositore due volte Premio Oscar, Alexandre Desplat.

Due scene del film in bianco e nero ed a colori

Una cosa bisogna proprio dirla: Wes Anderson non smentisce mai il suo stile, e porta sul grande schermo una certa vivacità unica nel suo genere. Ma questa volta c’è anche di più: una dedica al Newyorker, e forse un po’ a tutti i giornalisti.

Mi sono dilungata troppo, ma direi che posso seguire il consiglio chiave dello stesso Arthur Howitzer Jr., ovvero…

“Just try to make it sound like you wrote it that way on purpose”

Ilaria Denaro

Dune: un’epopea fantascientifica

Dune, pellicola fantascientifica in grande stile, sugli schermi italiani dal 16 settembre, delude – in parte – le aspettative della comunità cinefila internazionale. Film visivamente bellissimo: effetti speciali molto curati e spettacolari, ma scarno l’approfondimento dei personaggi che animano lo storytelling.

Il regista canadese Villeneuve (autore di tredici lungometraggi), in un film di 2 ore e 36 minuti, preferisce infatti dare spazio alle immagini con riprese di paesaggi, inquadrature magniloquenti e riferimenti artistici.

Dune si ispira alla serie omonima di romanzi dello scrittore americano Frank Herbert: un pilastro della letteratura fantascientifica che ha visto un precedente tentativo sul grande schermo nel 1984 ad opera del regista Lynch.

La trama

Siamo nel 26.000 d.C, anno più anno meno: l’umanità ha ormai colonizzato l’universo conosciuto. I viaggi interstellari sono resi possibili grazie all’avanzamento tecnologico e al “melange“, una spezia (unica nel suo genere) che si trova sul pianeta desertico di Dune. La spezia è un potentissimo propellente ed ha effetti psicoattivi sugli umani.

L’universo di Dune è governato da un sistema semi-feudale, con a capo un imperatore, ma in realtà il potere è gestito dietro le quinte dall’organizzazione “Bene Gesserit”, un ordine monastico-iniziatico di sole donne. L’ordine politico sembra molto simile al Sacro Romano Impero o all’Impero Ottomano, con a capo un imperatore-sultano che teme di essere detronizzato e provoca guerre fra le casate.

I vassalli dell’imperatore governano interi pianeti o settori. Nel film conosciamo la saggia e potente casata degli Atreides, a cui l’imperatore decide di affidare il pianeta Arrakis. Appartiene all’antica casata di chiare origini greche il giovane protagonista Paul (Timothée Chalamet), figlio del duca Leto (Oscar Isaac).

Oscar Isaac nei panni del duca Leto. Fonte: Warner Bros.

Il controllo di questo pianeta deserto è stato revocato dal monarca alla casata antagonista degli Harkonnen, uomini dalla pelle chiarissima, una casata brutale e violenta differente dalla prima che fa capo al malvagio e sadico Barone Vladimir Harkonnen (Shellan Sharsgard).

Il duca Leto, più che alla spezia, è tuttavia interessato a stringere un’alleanza con i “fremen”, popolazione autoctona di Dune, famosa per le sue doti guerriere. I nuovi governanti dovranno comunque occuparsi della raccolta della spezia su un pianeta dal clima inospitale, abitato dai vermi del deserto: animali simili a giganteschi lombrichi lunghi 300 metri.

Soltanto dopo poche settimane dall’insediamento, il barone attaccherà la famiglia rivale per riprendere il controllo del pianeta e per motivi di pura rivalità. Da qui iniziano le peripezie del protagonista Paul che tenta di salvare la propria vita sul pianeta Dune.

Pregi e difetti

rappresenatazione del pianeta deserto di Arrakis con le sue due lune
Un’immagine del pianeta deserto di Arrakis. Fonte: Warner Bros.

Le bellissime e ammalianti immagini del deserto e delle battaglie cercano di sopperire alla sceneggiatura povera e alla mancanza di approfondimento di tutti i personaggi in una pellicola a metà strada tra l’azione e la fotografia politica. Il regista vuole raccontare la complessa struttura – non solo di un mondo – ma di un intero universo con un film che vuole essere preparatorio per i successivi.

La trama si scioglie molto, troppo lentamente: il film sarebbe potuto durare anche meno per affascinare e catturare di più l’attenzione dello spettatore.

Gli attori sono tutti eccezionali nell’interpretazione, la fotografia eccellente, artistica e Dune è comunque un film che merita di essere visto dagli appassionati del genere anche solo per gli effetti speciali, le musiche e le scene di battaglia . Non è un flop per quanto riguarda gli incassi, non è un flop dal punto di vista della la qualità, ma la speranza in un sequel con maggiore dinamismo e un approfondimento dei  personaggi renderebbe sicuramente un’eventuale saga più appassionante e intensa.

Fonte: comingsoon.it

Marco Prestipino