John Lennon: la favola di un working class hero

Diceva una vecchia canzone: “Chiedi chi erano i Beatles” e oggi che è l’ 8 dicembre, a quarant’anni dalla sua morte ci chiediamo invece: Chi era John Lennon?

Una domanda da un milione di risposte perché forse ognuno di noi ha il suo “John Lennon personale”.

John Lennon con uno dei suoi amati gatti. Fonte: tuttozampe.com

Spunteranno all’appello il John leader dei Beatles: chitarra tra le mani e il celebre caschetto, autore insieme al compagno McCartney di melodie inarrivabili per purezza e perfezione; il John delle lotte pacifiste accanto alla musa orientale Yoko Ono; quello del giro di Do di Imagine dietro il famoso “White Piano”; il John dagli occhiali tondi e dall’indole pigra; il cinico ragazzo di Liverpool dalla verve comica e la testa sempre piena di idee fantasiose che riversava spesso in caricature e storie umoristiche e infine quello più maturo e saggio, delle massime concise e profonde che tuttora circolano sul Web facendogli guadagnare a buon diritto il titolo di “filosofo”.

“Dio è un concetto attraverso cui misuriamo il nostro dolore” (“God”, 1970), “Gioca il gioco ESISTENZA fino alla fine… dell’inizio” (“Tomorrow never knows”, 1966), “Vivere è facile ad occhi chiusi” (“Strawberry fields forever”, 1967) o ancora la più famosa “La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti” (“Beautiful Boy”, 1980) non è forse filosofia in pillole pop?

John Lennon ritratto in un murales di Camden Town, Londra. © Angelica Rocca

 

Insomma, John Lennon, che non a caso si autodefiniva «un animo da monaco dentro il corpo di una pulce da circo», era un artista dalle molteplici anime, difficili da racchiudere in un unico ritratto. La sua personalità controversa, carismatica, ma anche schietta ci incute soggezione, ci disorienta, ci coglie spaesati quasi fossimo pellegrini a valle di una maestosa vetta con una polaroid in mano. Tutti si mettono a scattare e ognuno coglierà nella sua minuscola istantanea un piccolo pezzo di monte, ma nessuno riuscirà a catturare la montagna per intero proprio perché così immensa. Perché, che piaccia o no, che si ascolti o meno musica rock, nessuno può mettere in discussione la grandezza di John Lennon e la rilevanza che la sua musica ha avuto nel Novecento (e non solo).

AS SOON AS YOU’RE BORN THEY MAKE YOU FEEL SMALL

Dire che Lennon è stato un grande non ci fa certamente dimenticare le umili origini di un working class hero che è stato capace di riscattare la nascita sotto una “cattiva stella”.

John Winston Lennon viene al mondo la notte del 9 ottobre del 1940 in una Liverpool bombardata dai tedeschi e in una famiglia tutt’altro che unita.

John Lennon ad Amburgo. Fonte: beatlesbible.com

Un’ infanzia e un’adolescenza piuttosto difficili, che film come “Nowhere Boy” ( 2009 – regia di Sam Taylor- Johnson) non mancheranno di raccontare; un’esistenza segnata prima dall’abbandono e poi dalla tragica morte della madre Julia nel 1958. A lei sarà dedicata la dolcissima balladJulia” del 1968. Lennon era un ragazzo problematico come tanti figli del dopoguerra, pronto a nascondere le proprie insicurezze dietro il chiodo in pelle e la pettinatura alla Elvis, la ribellione e il rock’n’roll strimpellato sulla prima chitarra: un ragazzo che puntava ad arrivare «più in alto dell’alto» come amava spesso ripetere in compagnia dei suoi amici. E per arrivarci non si fece spaventare dall’infinita gavetta per pochi quattrini nei locali più malfamati  (I Beatles partono in sordina nei club a luci rosse di Amburgo),  dalle tante crisi private, dalle prime porte chiuse delle case discografiche.

THEN THEY EXSPECT YOU TO PICK A CAREER

Azzardando un paragone disneyano, possiamo pensare alla storia dei Beatles come a una favola moderna. C’è la Cenerentola dell’Inghilterra, questo gruppo di ragazzi provenienti dalla working class, che vogliono farsi notare al gran ballo della musica rock, cambiare le carte in tavola, riscrivere le regole. E per un ballo del genere servono nuovi arrangiamenti, un vestito impeccabile per canzoni che fino a quel momento erano solo diamanti grezzi. Qui entra in scena una fata madrina: si tratta di George Martin, il produttore discografico EMI dei grandi successi dei Fab Four, per molti il 5° beatle, il primo ad assicurare nel ‘62 un contratto, il primo a credere in loro ma soprattutto nella voce aspra di Lennon, capace più di quella di Paul McCartney di «dare il composto di fascino e intensità… come il succo di limone sull’olio extra-vergine di oliva».

Un parere innovativo in un industria musicale ancora ossessionata dalle voci vellutate alla Presley o alla Sinatra!

John Lennon coi Beatles nel 1963. Fonte. larepubblica.it

Dopo i primi successi ballabili (tra i tanti Twist and Shout, Can’t buy me love, Please Please me, I feel fine) è chiaro che non si tratta più di semplice rock’n’roll, ma anche quella di soft-rock è un’etichetta troppo ristretta. Il “sottomarino” dei Beatles naviga l’oceano della musica attraversando i più disparati generi ma soprattutto prestando più attenzione alle parole.

Ed è qui che emerge la personalità di Lennon, il più intellettuale dei quattro.

Le sue canzoni si trasformano presto in confessioni aperte: “I’m a loser and I’m not what I appear to be” ( “I’m a loser” ,1964); “When I was younger so much younger than today/ I never needed anybody help me in anyway” ( “Help” ,1965); ma anche in bellissime poesie: “Words are flowing like endless rain into a paper cup” ( Across the universe”,1969) o ancora “My mother was of the sky/ my father was of the earth/ but I’m of the Universe” (“Yer Blues”, 1968).

John Lennon nel video-clip di “All you need is love”, 1967. Fonte: Morrison Hotel Gallery.com

La favola procede tra successi e lati oscuri: conflitti nella band, assunzione di droghe pesanti per reggere ritmi sfrenati, mogli e figli lasciati a casa e carovane di groupies davanti ai camerini. L’onestà di Lennon emerge in una frase pronunciata qualche anno più tardi:

“Per riuscire devi essere un grande bastardo, i Beatles sono stati i più grandi bastardi di tutti i tempi”.

A WORKING CLASS HERO IS SOMETHING TO BE

Ogni mito ha una donna che scatena una guerra, ogni favola ha una strega cattiva e per tutti i fan meno illuminati dei Beatles questa è Yoko Ono: la “colpevole” del loro scioglimento, artista concettuale giapponese che Lennon incontra nel 1966 e che sposerà nel ’69. “I’m in love for the first time” (“Don’t let me down”, 1969) canterà infatti nello stesso anno il nostro, avendo finalmente trovato qualcuno con cui guardare il mondo «dallo stesso albero». Checché se ne dica, Yoko Ono è stata fondamentale per la crescita artistica e personale di John.

Negli anni della guerra in Vietnam, Ono e Lennon, con le marce di protesta e i bed-in, furono il primo esempio di coppia in grado di sfruttare il proprio potere mediatico in direzione politica e sociale.

John e Yoko dietro il “white piano” nel video-clip di Imagine. Fonte: la repubblica.it

Da buon figlio della working class, l’ex Beatle scrive brani politicamente più impegnati come “Give peace a chance” , “Power to the people” e “Imagine”, inno a un mondo senza confini, senza conflitti e che è stata definita di recente come «Una canzone marxista e comunista» da qualche discutibile politico. Ma se le critiche provengono da un partito con tendenza all’oscurantismo, anche stavolta possiamo dire che Lennon ha fatto centro!

IF YOU WANT TO BE HERO, WELL JUST FOLLOW ME

Se ci fermiamo alla capacità tecnica, dobbiamo riconoscere che Freddie Mercury è il più grande cantante di tutti i tempi. Ma quanti imitano il suo bel canto e quanti si ispirano invece alla particolare vocalità di Lennon? Dal britpop degli Oasis al pop-punk dei Green Day (che registreranno la cover di “Working Class Hero”) tanti guardano ancora allo stile musicale ma anche all’outfit di Lennon. Persino in un universo apparentemente lontano quale quello rap, un artista come Salmo incide la sua “Yoko Ono” (2011) campionando “Come together” (1969).

Il mosaico dedicato a Imagine a Central Park, New york. Fonte: 123f.com

L’8 dicembre 1980 John Lennon viene assassinato da un suo fan con sette colpi di pistola che pongono fine alla favola del ragazzo di Liverpool, ma la magia della sua musica rimane nell’aria. Scoppierà forse una guerra atomica, un’invasione aliena potrà porre fine alla nostra civiltà, ma tra le rovine di un mondo post-apocalittico, ci sarà sempre un ragazzo con la chitarra pronto a cantare Imagine.

 

Angelica Rocca

 

La leggenda di Paul McCartney: come il cantante e chitarrista cambiò la storia della musica

 

“Continuo a pensare che l’amore è tutto ciò di cui ho bisogno. Non conosco un messaggio migliore di questo”

Buon Compleanno Paul McCartney!

La leggenda, con la sua fidata chitarra e la sua incredibile voce ha stravolto il mondo della musica e non solo. Con le sue canzoni e le sue azioni, in realtà, ha migliorato l’intera società. 

Chi è Paul McCartney?

Nasce a Liverpool il 18 Giugno del 1942 e sin da piccolo si appassiona al mondo della musica, sia per la sua spiccata intelligenza che per l’influenza del padre Jim. Questo, ex trombettista e pianista, incoraggiò il figlio ad intraprendere la strada della musica e lo fece con grande delicatezza: gli regalò una tromba in occasione della morte della madre, come per voler dimostrare che la musica riesce a colmare i vuoti, anche i più grandi.  

Fonte: reviler.org

Ma il giovane Paul, quattordicenne all’epoca, barattò il regalo del padre con una chitarra, ed essendo mancino dovette imparare a suonare sottosopra, ma non fu un problema! Anzi, con quella compose la sua prima canzone : “Lost My Little Girl”.

La svolta

A quindici anni la sua vita cambiò in modo radicale: nel 1956 incontrò ad una festa John Lennon e i Quarrymen (che in futuro cambieranno nome in the Beatles).

All’inizio Paul e John non andarono tanto d’accordo (forse il talento del ragazzino minacciava John?) ma poco importa, le divergenze si superarono immediatamente e il loro rapporto da semplici colleghi evolverà,  fino a diventare fraterno.

E così lo ricorda: 

«Uno dei miei più bei ricordi di John è quando ci mettevamo a litigare: io non ero d’accordo con lui su qualcosa e finivamo per insultarci a vicenda. Passavano un paio di secondi e poi lui sollevava un po’ gli occhiali e diceva “è solo che sono fatto così...”. Per me quello era il vero John. In quei rari momenti lo vedevo senza la sua facciata, quell’armatura che io amavo così tanto, esattamente come tutti gli altri. Era un’armatura splendida; ma era davvero straordinario quando sollevava la visiera e lasciava intravedere quel John Lennon che aveva paura di rivelare al mondo»

Fu proprio Paul ad inserire George Harrison nel gruppo (che conobbe due anni prima durante un viaggio in autobus) così, nel 1960 fecero la prima tournèe  in Scozia e solo durante la tappa in Germania – dopo varie divergenze – cambiarono il nome dei Quarrymen in the Beatles (inconsapevoli che sarebbero diventati una leggenda). 

I Beatles nel 1963 ( immagine di pubblico dominio)

Blackbird (1968)

Blackbird è una canzone dei the Beatles scritta da McCartney, composta in Scozia e pubblicata nel 1968.  Fece discutere immediatamente, perché, se interpretata in chiave politica, richiama il Movimento del Black Power, uno dei più caldi di quel periodo (e di sempre). 

Solo nel 2001 Paul dichiarò che la canzone si ispirava alla cronaca di fine anni ’50, inizio ’60 e in particolare, si rifece alle prime rivoluzioni circa i diritti civili dei neri, battendosi per coloro che venivano ritenuti inferiori.

” Merlo che canti nel cuore della notte, prendi queste ali spezzate e impara a volare. Per tutta la vita, aspettavi solo questo momento per spiccare il volo” 

Hey Jude (1968)

Una canzone che non ha bisogno di presentazioni – tanto che il foglio in cui fu scritta l’opera venne venduto all’asta per 910mila dollari – e che ancora oggi occupa l’ottava posizione nella classifica delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi della rivista Rolling Stone.

Paul scrisse la canzone per Julian Lennon, il figlio di John (in seguito al divorzio con Cynthia Poweell) al quale era molto legato; il ragazzo stesso dichiarò: «Paul e io stavamo molto insieme – più di quanto stessi con papà. Eravamo molto amici e sembrano esserci più fotografie di me e Paul che giochiamo piuttosto che di me insieme a mio padre».

Insomma, McCartney  scrisse questa canzone al suo quasi figlio, includendo un messaggio di speranza per tutti coloro che hanno vissuto un momento buio:  sottolineando come per poter andare avanti, bisogna credere in ciò che si fa e bisogna assolutamente evitare di rimanere aggrappati al passato, perché poi non c’è possibilità di uscita. 

“Hey Jude, non peggiorare le cose:
prendi una canzone triste e rendila migliore.
Ricordati di riporla nel tuo cuore
e poi comincia a migliorarla.”

L’eredità

Paul McCarteney non è “solo” cantautore, chitarrista, pianista o compositore ma è stato – o meglio è – un attivista: da sempre sta dalla parte di coloro che non possono parlare, di chi è stato dimenticato o messo da parte, nel contesto di una società che purtroppo si muove unicamente per vanità.

(Immagine di pubblico dominio)

Nessuno più di lui è esempio che si può diventare chiunque si voglia, credendo in se stessi e con le proprie azioni. Ha cambiato la storia della musica, riuscendo a trasformare il suo straordinario talento in arte e lasciandoci un messaggio di  speranza.

“Credo nell’amore. Ne cantavano i Beatles. Ne ho cantato io, tutti ne cantano”

Alessia Orsa

Revolver, 1966. L’album della svolta per i Beatles

Quando la musica pop diventa arte… A partire dalla copertina! Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

Discogs.com

 

Meno famoso rispetto al successivo Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ma sicuramente non meno importante nelle carriera discografica dei Beatles è Revolver, pubblicato il 5 agosto del 1966.

Perfetto equilibrio tra pop e canzone d’autore, tra accenni alla musica colta e soft rock, Revolver – e questo per alcuni può essere una pecca- è un album molto più eterogeneo del Sgt Pepper, un viaggio travolgente di ben 14 tappe in cui non viene mai meno la curiosità di chiedersi: e adesso cosa viene dopo?

Dal rock mordace di Taxman o She said She said alla ballad romantica Here There and Everywhere, dagli echi barocchi di For no One a quelli orientali di Love you to, passando dagli archi di Eleanor Rigby al motivo monocorde di Tomorrow Never Knows (pezzo più ostico per i fan), in Revolver nessuna traccia è uguale alla precedente. Sia per temi sia per musica.

Sicuramente l’album della maturità.

Lontani sono i tempi del semplice e immediato rock’n’roll,  dei testi genuini e immediati, ma non certo profondi e originali.

Il settimo album del quartetto di Liverpool apre definitivamente le porte alla sperimentazione e a un più accurato lavoro in studio (percorso già accennato dal precedente Rubber Soul) e stacca dal gruppo l’etichetta di cantanti per teenager, facendolo arrivare alle orecchie di un pubblico più vasto, un pubblico attento alle note, ma soprattutto alle parole, alle storie, ai mondi nascosti dietro una canzone.

Ecco la novità forse più notevole di Revolver al di là delle innovazioni sonore… Ogni canzone racconta una storia, ogni nota è capace di dipingere a tinte vivide un mondo in cui i suoi autori ci vogliono proiettare.

Got to get you into my life, ode molto velata alla marijuana, è in grado di trasmettere all’ascoltatore la tipica euforia da droghe leggere. Ideale da ascoltare quando non si ha voglia di alzarsi dal letto e serve tutta la carica giusta per affrontare la giornata!

Eleanor Rigby che raccoglie il riso sul pavimento della chiesa e Father McKenzie che rammenda i suoi calzini nel buio della notte sembrano scenette uscite direttamente da un film neorealista tanto è la cura per il dettaglio nel descrivere due personaggi esempio della solitudine umana.

« All the lonely people/ where do they all come from?» (Tutte le persone sole da dove vengono?)  è infatti la domanda quasi filosofica del ritornello.

Ma la sfida la lancia un criptico Lennon nell’ultima Tomorrow never knows.

«But listen to the colour of your dreams/ It is not leaving, it is not leaving                                                                               So play the game “Existence” to the end/ Of the beginning, of the beginning»

(Ma ascolta i colori dei tuoi sogni/ Non è vivere, non è vivere                                                                                                    Perciò gioca il gioco “ Esistenza” fino alla fine/ Dell’inizio, dell’inizio)

 

«Avete smesso di essere carini e simpatici» dirà Dylan a McCartney qualche anno dopo.

In realtà il periodo “carino” era già finito con Revolver.

 

              Angelica Rocca