Attacco terroristico a Instanbul. Erdogan: “Vile attentato”

Domenica di terrore nel cuore di Istanbul: attorno alle 16:20 (le 14:20 in Italia) una forte esplosione in Istiklal Avenue – trafficata via dello shopping del centro città – ha causato almeno 6 morti e 81 feriti, di cui 2 in gravi condizioni. Tuttavia, si dice che il bilancio dell’accaduto sia destinato ad aggravarsi e che, nonostante non siano ancora ben chiare le dinamiche, le autorità di Ankara abbiano confermato la pista terroristica: probabilmente una bomba lasciata a terra in una borsa da una donna, oppure un vero e proprio attacco kamikaze. D’altronde il 13 novembre è da diversi anni una data difficile da dimenticare.

Istiklal Caddesi, la strada dell’attentato. Fonte: Corriere

Ad ogni modo, il ministro della Giustizia Bekir Bozdağ ha annunciato che la Procura nazionale ha già aperto un’indagine, mentre la via dove si è verificata l’esplosione è stata chiusa. Oltre ai soccorritori, alla polizia e ai vigili del fuoco, è arrivato sul posto anche il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu.

L’esito delle prime indagini

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha definito quanto accaduto «un vile attentato»:

«Forse sarebbe sbagliato dire che si tratta di terrorismo, ma i primi sviluppi, le prime informazioni che il mio governatore ci ha fornito, mi dicono che c’è odore di terrorismo qui».

Fonte: Sicilia Report

Il sito web di notizie turco Mynet ha riferito che le forze di sicurezza stanno analizzando i filmati delle telecamere di sicurezza per determinare dove sarebbe stata collocata la borsa piena di esplosivo.
Secondo il vicepresidente Fuat Oktay, a compiere l’attentato è stata una donna kamikaze. «Lo consideriamo», ha detto, «un attacco terroristico provocato da una bomba fatta esplodere da un assalitore che, secondo le informazioni preliminari, sarebbe una donna». I media turchi hanno già pubblicato una foto della sospettata, anche se il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag ha spiegato che la borsa che trasportava sarebbe potuta esplodere anche a distanza con un telecomando. In ogni caso, una donna è di per certo rimasta seduta in panchina per 40 minuti e poi si è alzata in piedi; l’esplosione è avvenuta 1 o 2 minuti dopo.

Una donna kamikaze dietro l’attentato. Fonte: ANSA

Diversi sono i video che stanno circolando nelle ultime ore sui social: uno in particolare, ripreso da una telecamera di sicurezza, mostra l’esplosione e gli istanti successivi da molto vicino, con forti botti, fiamme divampanti e centinaia di persone che fuggono. Dopo l’esplosione e poco prima di partire per il G20 di Bali, il presidente Erdoğan ha dunque parlato di un «attentato dinamitardo», aggiungendo che i tentativi di conquistare la Turchia con il terrorismo «non avranno buon fine né oggi né domani, come non lo hanno avuto ieri».

In Turchia torna il terrore

C’è un motivo se si è subito pensato al terrorismo come causa dell’esplosione, giacché la Turchia ha un precedente sanguinoso: tra il 2015 e il 2017 il Paese, situato a metà strada tra Europa e Asia, è stato infatti teatro di attentati, ad opera dell’Isis e di altri gruppi terroristici.

Ritenuti i più sanguinosi mai avvenuti nella storia della Turchia, la serie di attentati di Ankara del 10 ottobre 2015 sono stati compiuti da terroristi affiliati all’autoproclamato Stato Islamico. La mattina di sabato 10 ottobre, alle 10:04, due kamikaze, vicini all’Isis, si sono fatti esplodere nella piazza centrale di Ankara, antistante la stazione, dove si stava tenendo un corteo per la pace con i curdi, in opposizione alle politiche del presidente Tayyip Erdogan. Allora l’attacco aveva ucciso ben 103 persone, oltre a ferirne più di 245. Dopo gli attentati, la città di Ankara ribattezzò la piazza della stazione, dandole il nome di piazza della Democrazia.

La gente guarda mentre la sicurezza e i medici esaminano la scena in seguito all’esplosione alla stazione ferroviaria principale della capitale turca Ankara, il 10 ottobre 2015. Fonte: Internazionale.it

Ma la scia di sangue proseguì anche dopo di allora. Qui di seguito è riportata una lista degli attentati più gravi in Turchia:
12 gennaio 2016 – Sultanahmet, Istanbul: kamikaze contro i turisti. Dodici i morti tra cui 11 tedeschi e un peruviano;

19 marzo 2016 – Via Istiklal, Istanbul: un attentatore suicida, un turco che si era unito all’Isis in Siria, si fa esplodere nella via dello shopping. Muoiono cinque civili, tutti stranieri;

20 giugno 2016 – Gaziantep (est): un ragazzino con un giubbotto riempito di esplosivo si fa esplodere ad un matrimonio di curdi uccidendo 57 persone;

28 giugno 2016 – Istanbul: tre uomini armati (due russi e un kirghizo) con addosso cinture esplosive attaccano il terminal internazionale dell’aeroporto Ataturk. Due di loro si fanno esplodere, l’altro viene ucciso dalla polizia prima di azionare il detonatore. I morti sono 44, per lo più stranieri;

1° gennaio 2017 – Istanbul, Ortakoy: un uomo armato apre il fuoco contro i frequentatori del nightclub Reina, dove si celebra il Capodanno. Trentanove persone muoiono. Questo è il solo attacco rivendicato ufficialmente dall’Isis.

I messaggi di cordoglio di Meloni, Tajani e Zelensky

L’Italia, così come anche diverse altri Paesi, non è rimasta indifferente dinanzi a delle terribili immagini che hanno avuto la prontezza di immortalare minuti fatali di panico e morte in una nazione facente parte dell’Unione Europea dal 2005:

«Sono terribili le immagini di Istanbul, voglio esprimere le nostre più sentite condoglianze alla Turchia per l’attentato subito e la morte di cittadini innocenti», ha affermato la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Attentato Istanbul, Tajani. Fonte: Il Messaggero

Più loquace e ardito l’intervento del ministro degli Esteri, Antonio Tajani:

«L’Italia condanna con la massima fermezza il vile attentato che ha sconvolto oggi la città di Istanbul. Nell’esprimere solidarietà alle famiglie delle persone colpite e auguri di pronta guarigione ai feriti, l’Italia riafferma la sua vicinanza alle istituzioni e al popolo turco e ribadisce, nel giorno dell’anniversario della strage del Bataclan, il suo risoluto impegno nella lotta al terrorismo. Il Consolato Generale, in stretto raccordo con l’Unità di Crisi, si è immediatamente attivato per verificare l’eventuale coinvolgimento di connazionali. Al momento non risultano italiani né tra le vittime né tra i feriti».

Su Twitter, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scritto:

«È con profonda tristezza che ho appreso del numero significativo di morti e feriti durante l’esplosione avvenuta a Istanbul. Esprimo le mie condoglianze ai parenti dei morti e auguro una pronta guarigione ai feriti. Il dolore del cordiale popolo turco è il nostro dolore».

“Divieto di trasmissione” per un terrorismo che non passa

L’emittente statale turca RTÜK ha annunciato che, in seguito all’esplosione, tutti i media del paese sono soggetti a un «divieto di trasmissione» in base a una legge approvata di recente che punisce severamente la diffusione di informazioni false sui giornali e su Internet: per questo le notizie che stanno circolando sull’evento non sono moltissime.

Ma non sono necessarie molte informazioni per proiettare il singolo episodio all’interno di uno scenario tanto ampio quanto avvilente: anche in Turchia c’è un passato che non passa e si accompagna ad antiche vicende e nuovi problemi, dalla questione curda alla guerra di Siria. Il terrorismo costituisce ancora una sanguinosa variabile dell’attualità turca.

Gaia Cautela

Afghanistan: esplosioni nelle vicinanze di una scuola di Kabul. Diverse le vittime

Nella mattina di martedì 19 aprile, a Kabul, diverse persone sono rimaste vittime a causa di esplosioni nei pressi di due scuole superiori situate nella parte occidentale della città. Secondo i principali media locali e l’Ong Afghanistan Rights Watch, i morti sarebbero 25.

Il ruolo delle Ong

L’Afghanistan, in particolar modo dopo essere tornato sotto il controllo dei talebani, è un territorio delicato. Purtroppo, non è la prima volta che si assiste a situazioni orribili come questa. Impossibile non cogliere i tratti in comune con la strage dello scorso 8 Maggio, dove persero la vita 68 persone.

In zone come queste in cui, per motivi di vario genere, il governo è distante dalla popolazione, risulta quanto mai necessaria e fondamentale la presenza di Organizzazioni non governative – come la già citata Afghanistan Rights Watch – che cercano per quanto loro possibile di offrire rifugio, aiuto e trattamento sanitario a chi ne ha bisogno. Attraverso un tweet l’Ong Emergency ha comunicato di aver ricevuto nell’ospedale a Kabul 10 feriti, tutti tra i 16 e i 19 anni, un altro ragazzo era già morto una volta arrivato lì.

Il direttore di Save the Children Afghanistan, Chris Nyamandi, colmo di amarezza per l’accaduto, ha rilasciato una lunga dichiarazione:

«Siamo indignati e condanniamo fermamente l’attacco a una scuola superiore che si è verificato oggi a Kabul. Siamo profondamente addolorati dall’aver appreso che dei ragazzi sono stati feriti e potrebbero perdere la vita nelle esplosioni. Tutti i bambini hanno il diritto di accedere a un’istruzione sicura. Nessuna scuola dovrebbe essere deliberatamente presa di mira e nessun minore dovrebbe temere per la sua incolumità mentre è a scuole o mentre vi si reca. I bambini in Afghanistan hanno sopportato anni di violenza. Le esplosioni di oggi seguono gli attacchi del fine settimana in cui cinque di loro hanno perso la vita. L’uccisione o la mutilazione di minori, così come gli attacchi alle scuole, sono semplicemente inaccettabili, sempre, e sono proibiti dal diritto internazionale»

La possibile presenza dell’Isis dietro l’attentato

Nessuna rivendicazione immediata, ma le circostanze fanno pensare ad un attacco di matrice religiosa. La zona occidentale di Kabul, dov’è situata la Abdurahim Shahid High School – luogo delle esplosioni – è popolata dalla comunità Hazara: una minoranza etnica sciita che è spesso presa di mira da organizzazioni terroristiche di matrice islamica sunnita come, appunto, l’Isis. L’attacco sembrerebbe non far piacere neanche ai talebani che quando si sono insediati al governo avevano promesso pace e stabilità in Afghanistan. Emblematiche le parole del capo del corpo di polizia talebano di Kabul Khalid Zadran che si è mostrato dispiaciuto per i «fratelli sciiti» coinvolti nell’attentato.

Immagine di un ferito a seguito dell’esplosione. Fonte: tg24.sky.it

La situazione dell’Afghanistan sotto il controllo dei talebani

Era il 31 Agosto 2021, quando il ritiro delle ultime truppe statunitensi dal territorio afghano sanciva la completa resa dell’Occidente, che di fatto ha lasciato lo stato sotto il totale controllo dei talebani. Il gruppo di matrice sunnita ha, sin da subito, preso posizione su alcune questioni per loro nevralgiche: annullamento quasi totale dei diritti femminili, applicazione della sharia in una versione totalmente radicalizzata. Tali provvedimenti nei mesi successivi hanno fatto sprofondare l’Afghanistan  in una situazione, sia sociale che economica, a dir poco disastrosa. La rigidità con la quale i ribelli jihadisti controllano il territorio non ha fatto altro che causare un’impennata rilevante nel numero di crimini: rapimenti, furti per fame, rapine a mano armata fino ad arrivare a veri e propri attentati di organizzazioni terroristiche come l’Isis. L’ultimo attacco a Kabul quindi risulta essere l’ennesima testimonianza della terribile scia di sangue che caratterizza l’oppressione talebana in Afghanistan.

La prima immagine dei talebani al palazzo presidenziale subito dopo aver preso controllo dell’Afghanistan. Fonte: fanpage.it

Francesco Pullella

La Gran Bretagna è in allarme per l’omicidio di David Amess, il deputato conservatore inglese

Venerdì 15, la Gran Bretagna assiste ad un nuovo tragico fatto di sangue : il parlamentare conservatore inglese David Amess viene accoltellato ripetute volte e ucciso durante un incontro con gli elettori, tenutosi presso una chiesa metodista di Leigh-on-Sea, in Essex, nel sud-est dell’Inghilterra. Secondo la polizia britannica, si è trattato di un attentato terroristico, forse legato all’estremismo islamico.

Fonte: Rai News

L’accaduto – l’ultimo di una serie di attacchi contro i politici britannici – ha confermato una crescente aggressività nei confronti della democrazia inglese e rafforzato il dibattito sul tema della sicurezza dei parlamentari, oramai all’ordine del giorno nel Paese.

Le dinamiche dell’attacco

Secondo le dinamiche emerse in questi giorni, l’uomo che ha ucciso Amess si trovava allinterno della chiesa, ad aspettare l’arrivo del deputato per l’incontro periodico con i suoi elettori del luogo.

Per partecipare, era sufficiente lasciare nome e cognome agli addetti, venendo così a mancare la protezione armata della polizia presente, invece, in Parlamento: «Qui sono tutti benvenuti», recitava il cartello scritto fuori dalla porta della chiesa.

Fonte: remocontro.it

Una volta prenotatosi per l’incontro, l’uomo avrebbe dunque atteso pazientemente il suo turno prima di assalire Sir David, nel mentre che questi si stava trattenendo con i concittadini, accompagnato da suoi due assistenti. Il parlamentare è stato assalito e pugnalato ben 17 volte e a nulla sono serviti i benché immediati soccorsi: Amess è morto prima che potesse essere trasportato in ospedale.

“Mi hanno detto che dopo aver colpito sir David ha semplicemente atteso l’arrivo della polizia nella sala parrocchiale” della chiesa metodista dove si teneva l’incontro , ha raccontato al Telegraph il Vicepresidente dell’associazione di circoscrizione Kevin Buck.

L’attentatore, giovane figlio di un ex consigliere somalo

L’uomo arrestato per l’assassinio del deputato Amess è un cittadino britannico venticinquenne di origini somale, del quale è stata prolungata la custodia cautelare – almeno fino al 22 ottobre – su autorizzazione del giudice, per violazione della legge sul terrorismo (Terrorism Act). Il provvedimento è stato reso noto dalla polizia: secondo le prime indagini l’uomo avrebbe avuto «un possibile movente legato all’estremismo islamico».

Ali Harbi Ali, l’attentatore. Fonte: The Mirror

Il giovane in questione è Ali Harbi Ali, figlio di un ex consigliere della comunicazione del primo ministro della Somalia. Il ragazzo avrebbe pianificato l’omicidio con oltre una settimana di anticipo. Il padre Harbi Ali Kullane si dicetraumatizzatoai microfoni della Bbc: “Non è qualcosa che mi aspettavo o avrei mai sognato e immaginato”.

Il legame con il jihadismo

Ali avrebbe vissuto, in passato, nel collegio elettorale di Sir David, Southend West, nell’Essex, per poi trasferirsi, più di recente, in un quartiere residenziale di Londra.

Nella mattinata di sabato, la polizia ha fatto delle perquisizioni in due abitazioni di Londra, ma per gli inquirenti è da accantonare l’ipotesi che abbia collaborato con altri soggetti; più probabile che si tratti di un lupo solitario che lo scorso venerdì avrebbe agito da solo, ispirato dai jihadisti di al-Shabaab (gruppo terroristico che opera tra Somalia e Kenya, nato da una costola di al-Qaeda e radicalizzatosi online durante il lockdown).

Stando ad alcune fonti del Guardian, il ragazzo era già in qualche misura noto alle forze dell’ordine, considerato che il suo nome potrebbe essere contenuto nel database del Prevent scheme, un programma che raccoglie informazioni su soggetti a rischio radicalizzazione.

Chi era David Amess

Amess, parlamentare dal 1983, era un fervente cattolico di 69 anni, sposato e padre di 5 figli. Aveva buone possibilità di diventare il “padre della Camera dei Comuni”, vale a dire il membro più longevo.

La fede e la fedeltà alla dottrina sociale della chiesa sono state le principali fonti del suo agire politico, fa notare in un suo intervento un caro amico di Amess, Chris Whitehouse, ex parlamentare e cofondatore del network dei parlamentari cattolici assieme a lui.

Fonte: SkyTG24

Nonostante non avesse mai avuto ruoli di governo, Amess è stato un volto familiare della politica britannica, sostenitore della Brexit e dei diritti degli animali, antiabortista. Per Sir David era molto importante l’incontro periodico dei suoi elettori:

«A volte la gente andava per parlare di politica, ma la maggior parte delle volte le persone chiedevano aiuto per trovare una casa adeguata o per capire le complesse regole del welfare oppure per far entrare un figlio con bisogni speciali in una scuola adeguata alle sue esigenze. È per questi incontri che Amess era così popolare, migliaia di persone possono testimoniare quanto fosse attento e amorevole», evidenziano le parole dell’amico.

La sua morte ha rappresentato una dura perdita per tutti: per il Parlamento, la Chiesa, la vita pubblica, il partito Conservatore, per la società inglese e per la vita democratica nel suo complesso. Quanto accaduto non può essere derubricato a un attacco a un individuo, poiché si tratta di molto di più: è un attentato allo stile di vita democratico e aperto.

Il Dibattito sulla ”costituency surgery”

L’assassinio di Amess non è un caso isolato: nel 2016 venne uccisa la deputata laburista Jo Cox, mentre si dirigeva verso un incontro pubblico, e 6 anni prima il suo collega conservatore Stephen Timms venne accoltellato, sempre durante un incontro pubblico.

La sequenzialità delle aggressioni comincia pertanto a preoccupare il Regno Unito, in lutto per un omicidio che, nel suo significato, riunisce maggioranza e opposizione: a rischio è la secolare tradizione della politica britannica, basata su stretti contatti tra elettori e politici.

Il primo ministro Boris Johnson (destra) e il leader dell’opposizione Keir Starmer (sinistra). Fonte: La Repubblica

Il dibattito sulla sicurezza dei parlamentari dilaga nel Paese: l’interrogativo riguarda la possibilità o meno di continuare a esercitare, in un clima del genere, la cosiddetta attività di costituency surgery, ovvero i periodici incontri faccia a faccia con i cittadini del proprio collegio elettorale.

In tanti sono i parlamentari che nonostante tutto desiderano portare avanti il tradizionale modo di fare politica britannico, come i deputati conservatori Robert Largan e Alec Shelbrooke. Quest’ultimo ha, infatti, twittato:

“Non possiamo lasciare che eventi come questo riducano la profonda relazione che abbiamo con i nostri elettori. È una relazione veramente importante e desidero che i miei concittadini, che mi abbiano votato o meno, possano avvicinarmi per le strade, nei pub, al supermercato o in una delle mie surgery”.

Gaia Cautela

Strage a Kabul, più di 68 morti tra giovani studentesse liceali e residenti

Fonte: Il Post

Sabato pomeriggio tre esplosioni ravvicinate in un quartiere occidentale di Kabul, capitale dell’Afghanistan, hanno causato la morte di almeno 60 persone e centinaia di feriti, seppure il bilancio ufficiale delle vittime non sia stato ancora confermato. Si tratterebbe soprattutto di giovani studentesse corse fuori in preda al panico dal liceo Sayed Ul Shuhada che frequentavano. 

Nemmeno la natura delle esplosioni è stata ancora chiarita, anche se l’attacco – il più sanguinoso dell’ultimo anno – sembrerebbe in qualche modo collegato al ritiro delle ultime truppe americane nel Paese, ordinato diversi mesi fa dall’ex presidente statunitense Donald Trump. L’azione non è stata per il momento rivendicata.

Le dinamiche dell’attentato

A detta di Al Jazeera (rete televisiva satellitare con sede in Qatar) l’attacco è avvenuto alle 17:30 ora locale, proprio nel momento in cui le studentesse lasciavano le loro aule della scuola superiore, situata nel distretto di Dasht-e-Barchi. La scuola prevede tre diverse fasce orarie per maschi e femmine e la seconda delle quali, quella in cui è avvenuto l’attacco, era riservata alle ragazze.

L’obiettivo e l’orario non sono stati frutto di una scelta casuale, bensì meditata e finalizzata a massimizzare il numero di vittime. Le giovani ragazze si apprestavano infatti ad uscire da scuola, mentre i residenti erano in strada a fare acquisti per la festa musulmana di Eid al-Fitr, che segnerà la fine del mese di digiuno del Ramadan la settimana prossima. Considerato l’accaduto, il presidente afghano Ashraf Ghani ha parlato di «crimine contro l’umanità e i principi islamici» e ha ordinato alle forze di sicurezza di “rispondere” con forza.

La stima più recente citata dall’agenzia di stampa britannica Reuters attesta che siano morte almeno 68 persone, e che altre 165 siano rimaste ferite a causa delle esplosioni. Tuttavia, bisogna specificare che le cifre sono state fornite informalmente dai funzionari afghani ai giornali internazionali, senza ancora alcuna ufficialità. Il portavoce del ministero degli Interni afghano Tariq Arian ha inoltre avvertito che il tragico numero delle vittime potrebbe aumentare ulteriormente.

Su Twitter, la denuncia dell’attivista afghana Wazhma Frogh: «I nostri bambini non meritano tutto questo. Nessun bambino lo merita, questo è terrorismo internazionale».

https://twitter.com/FroghWazhma/status/1391059454129577987

L’accusa del presidente afghano ai Talebani

Secondo la versione più accreditata dai media locali, a causare le esplosioni sarebbe stata un’autobomba a cui sono seguiti due ordigni rudimentali. Un portavoce dei Talebani (gruppo islamista ramificato in Afghanistan) di nome Zabihullah Mujahid ha negato il coinvolgimento nella strage del gruppo, sostenendo che un simile massacro di civili può essere solamente opera del Daesh:

«i circoli sinistri che, per conto dello Stato Islamico, operano sotto le ali e la copertura dei servizi di intelligence dell’amministrazione di Kabul»,

hanno accusato i Talebani in un comunicato, prendendo le distanze dalla strage.

Autobomba esplosa a Kabul. Fonte: Avvenire

Ma il presidente afghano non si lascia convincere da tali argomentazioni e continua ad accusare – senza fornire però alcuna prova – i Talebani dell’escalation di violenza che sta attraversando il Paese in questo momento:

«hanno dimostrato ancora una volta che non solo non sono disposti a porre fine alla crisi attuale con mezzi pacifici, ma complicano la situazione per sabotare le opportunità di pace», ha detto.

Diversi analisti ritengono plausibile l’accusa, dal momento che la zona in cui sono avvenute le esplosioni è abitata per la maggior parte dagli Hazara, musulmani di minoranza sciita con i quali i Talebani non sono mai stati in buoni rapporti e che, pertanto, sono stati più volte presi di mira dallo stesso gruppo politico-terrorista. L’ultima volta lo scorso ottobre, quando in un’altra scuola ci furono ben 24 morti e 57 feriti. E ancora un anno fa, sempre nello stesso quartiere, fu attaccato un ospedale di maternità: allora morirono 16 persone, tra cui due neonati, neo mamme e ostetriche.

La ripresa degli attacchi dopo gli accordi

Si continua a combattere in Afghanistan, dove da mesi avvengono quotidianamente violenze e azioni collegate agli scontri tra forze governative e il gruppo estremamente radicale dei Talebani.

Gli attacchi sono ripresi dopo che, all’inizio del 2020, gli Stati Uniti avevano finalmente trovato un accordo – dopo faticosi negoziati – con il gruppo di fondamentalisti islamici, che prevedeva che gli americani lasciassero il Paese entro il 2021. Quanto ai Talebani, invece, essi si sarebbero dovuti impegnare a prendere le distanze da Al Qaeda, uno dei più noti gruppi terroristici al mondo e loro alleati, e a condurre trattative di pace col governo centrale afghano.

Gruppo di Talebani in Afghanistan. Fonte: Notizie Geopolitiche

Se inizialmente i Talebani avevano rispettato l’accordo avviando le trattative con il governo, negli ultimi mesi hanno ripreso gli attacchi nei confronti di quest’ultimo. Probabilmente complice il progressivo ritiro delle truppe dell’esercito statunitense stabilito dall’ex presidente americano Donald Trump.

A sostegno di tale ipotesi le parole del New York Times:

«Oggi, in molti – compresi i talebani, secondo i funzionari governativi afghani – ritengono che il frettoloso ritiro americano sia il segnale che gli Stati Uniti se ne andranno a prescindere dalle violenze compiute dagli estremisti».

Un Paese in allerta massima

 I livelli di violenza sono già aumentati considerevolmente – specialmente nell’ultima settimana – per via della scadenza della data concordata lo scorso febbraio a Doha dai Talebani con gli Usa perché le truppe straniere lasciassero l’Afghanistan: dal primo maggio Kabul e tutto l’Afghanistan sono infatti in massima allerta.

La data del ritiro è stata consapevolmente posticipata dall’amministrazione Biden all’11 settembre prossimo, quando saranno trascorsi ben due decenni dagli attacchi jihadisti alle Torri Gemelle, innescati poco dopo l’invasione americana dell’Afghanistan che portò al rovescio del regime talebano.

Fonte: AGI

Solamente nelle ultime 48 ore sono morti almeno 250 Talebani e altri 106 sono rimasti feriti durante i combattimenti con le truppe afghane in nove delle 34 province del Paese. In Afghanistan non si registrava un numero tanto alto di estremisti morti in così poche ore da due anni, a dimostrazione di come – nonostante i vari tentativi di far avanzare i colloqui di pace ormai da tempo in stallo – è in corso una diffusa intensificazione del conflitto nel Paese.

Gaia Cautela

Oltre la notte, un thriller introspettivo per raccontare il terrorismo

In questo 2020 dilaniato dalla pandemia da Coronavirus, non avremmo mai potuto pensare che ci fosse spazio per nuovi attentati terroristici di matrice islamica in alcune città europee. Giorni fa i media ci hanno riportato i fatti di Nizza – già reduce di un attacco nel luglio 2016 – e di Vienna, che fino ad ora non era mai stata colpita.

Rimanendo in tema con i drammatici accadimenti di questi giorni, vi proponiamo la recensione di una pellicola del 2017 del regista Faith Akin “Oltre la notte”, che mostra un’altra faccia del terrorismo, spesso meno nota a molti.

Fonte: Mymovies, Diane Kruger

Trama

Oltre la notte è un film ambientato nell’odierna Germania. La protagonista è Katja (Diane Kruger), una donna tedesca sposata con Nuri (Numan Akar) uomo di origini turche che in passato è stato in carcere per spaccio di stupefacenti. I due hanno un figlio di sei anni di nome Rocco.

Fonte: Panorama, Katja e Nuri (Numan Akar)

La vita di Katja viene sconvolta in una sera, quando percorrendo la strada per andare all’ufficio del marito (in un quartiere turco della città) trova molti poliziotti, transenne e tanta gente accorsa sul posto.

C’è stata un’esplosione proprio lì dove lavora Nuri; sia lui che il figlioletto Rocco sono morti. Katja in poche ore del pomeriggio ha perso praticamente tutto il suo mondo. Dalle prime indagini della polizia tedesca emerge subito che davanti all’ufficio qualcuno ha piazzato e fatto esplodere un ordigno. Purtroppo il passato dell’uomo legato alla droga fa subito pensare agli inquirenti che fosse coinvolto in qualche losco affare o che fosse attivo politicamente o addirittura finanziasse qualche associazione curda. Katja, nonostante il dolore, è più lungimirante. Secondo lei è un attentato di natura xenofoba, probabilmente di matrice neonazista.

La storia vera dietro il film

Il nostro regista, di origini turche, si è ispirato ad alcuni episodi di cronaca nera avvenuti tra gli anni ’90 e i primi 2000 da parte di un’associazione terroristica neonazista e xenofoba, la NSU, ai danni della comunità turca e di alcuni greci residenti in Germania. La polizia tedesca ricercava gli stessi colpevoli nel ristretto giro dei contatti delle vittime e negli ambienti legati al traffico di stupefacenti all’interno di queste stesse comunità, quasi a voler trovare una giustificazione a quelle stragi. Anni dopo la NSU rivendicò la paternità di quegli attacchi.

Originalità

Non siamo davanti alle solite storie di terrorismo, kamikaze e fondamentalismo islamico. Siamo davanti ad un attacco sferzato da gente proveniente dal cuore dell’Europa, una strage di matrice europea quindi da parte di “bianchi; una radice ideologica opposta a quella cui siamo stati abituati nel recente passato.

Non ci troviamo nemmeno davanti al solito thriller, allo scenario da “spionaggio” per andare alla ricerca dei colpevoli. Quello di Oltre la notte è un racconto introspettivo in cui viene messo in evidenza il dolore di una donna colpita dalla grave perdita del marito e del figlio. Non viene quasi per niente in rilievo il profilo psicologico degli autori del fatto, il regista si concentra sul profilo delle vittime e su come Katja (interpretata lodevolmente dalla Kruger) affronta la situazione.

Sempre un thriller sì, ma a sfondo introspettivo.

Fonte: Mymovies

La pellicola si struttura in tre parti: la famiglia, la giustizia, il mare. Un crescendo di suspense durante questi tre episodi; a fiato sospeso vediamo Katja affrontare il lutto, ricercare spiegazioni, chiedere giustizia e a tratti vendetta. Non mancano i colpi di scena ma –sicuramente – gli occhi di un attento osservatore riusciranno anche a cogliere un barlume di speranza che in qualche scena segnerà le vicende drammatiche della nostra protagonista.

Fonte: Movietele.it

Un thriller drammatico tratto da fatti di cronaca che è riuscito a conquistare molti premi cinematografici, tra cui il Golden Globe per il miglio film straniero e la Palma d’oro per la miglior interpretazione femminile a Diane Kruger al Festival di Cannes.

 Ilenia Rocca

 

 

 

 

Nizza, sangue dentro la cattedrale. È attentato terroristico

Notte tragica nella cattedrale di Nizza.

Questa mattina un uomo ha accoltellato diverse persone causando quattro morti, una delle quali, una donna, è stata decapitata.  Tutto fa pensare a un attentato terroristico, dichiara il sindaco di Nizza Christian Estrosi, poiché il presunto attentatore continuava a gridare “Allah Akbar“.

La Francia è di nuovo sotto attacco

La tragedia consumatasi questa mattina intorno alle ore 9.00, ha come protagonista un uomo che ha accoltellato diverse persone nella cattedrale di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza, in Francia. Secondo quanto scrive Le Figaro che cita fonti di polizia, tre persone sarebbero state uccise. Il corpo di una delle due donne è stato ritrovato dentro alla chiesa, mentre la seconda sarebbe morta per strada alla ricerca di soccorso.

I clienti del bar di fronte alla basilica hanno dichiarato di avere visto uscire una donna da Notre-Dame con una profonda ferita alla gola, la donna che ha certato di salvarsi invano nel bar, sarebbe morta a causa delle ferite, dopo pochi minuti.

IL luogo dell'attentato
(Il Messagero: Giovedì 29 ottobre 2020)

L’aggressore è stato bloccato dalla polizia.

Il quartiere è stato isolato ed è in corso una vasta indagine da parte della polizia. La procura nazionale antiterrorismo (PNAT) è stata incaricata di dirigere le operazioni.

L'intervento della polizia
(Fonte: Twitter)

Il sindaco di Nizza ha stabilito che tutte le chiese restino chiuse, tutti i luoghi di culto e tutti i luoghi pubblici che possono essere oggetto di un possibile attentato.

Il Ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin ha dichiarato che la polizia ha condotto l’operazione di sicurezza efficientemente.

L’aggressore ferito e bloccato, dalla polizia, è adesso ricoverato in ospedale. Secondo le prime informazioni forniteci dalla BFM-TV , la procura francese ha affidato l’incarico di condurre le indagini dell’attacco, -per terrorismo- alla Direzione Centrale della Polizia Giudiziaria e alla Direzione Generale della Sicurezza Interna.

Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron arriverà a Nizza nelle prossime ore.

L’ipotesi di essersi trattato di un attacco terroristico è confermata dalle proteste, rivolte al Presidente francese, registratesi nei giorni scorsi e nei mesi precedenti. Le critiche erano iniziate ad ottobre, quando il presidente  Macron aveva dichiarato che l’islam era una religione in crisi.

Gli attacchi arrivano mentre la Francia è ancora in protesta per la decapitazione di Samuel Paty, l’insegnante ucciso per aver parlato agli studenti delle vignette di Charlie Hebdo che ritraggono il Profeta Maometto

Non è la prima volta che la città di Nizza vive un atto terroristico. Fa ancora male la terribile strage compiuta la sera del 14 luglio 2016, quando 86 persone morirono a causa di un terrorista alla guida di un camion che correva all’impazzata.

 

Maria Cotugno

Turchia in fiamme: la lettera degli studenti che denuncia gli attacchi terroristici

(fonte: hurriyetdailynews.com)

 

Più di 400 ettari di verde sono stati devastati negli incendi scoppiati tra il 9 e il 10 ottobre nella provincia di Hatay (Turchia): nel silenzio delle autorità, la gente è convinta che si tratti di attacchi terroristici.

Già nel mese di settembre la medesima regione era stata colpita da un incendio che aveva raso al suolo 150 ettari di terreno nelle zone di confine con la Siria, tra le città di Antiochia e Samandağ.

La lettera dei residenti di Hatay

Giorno 10 ottobre, i cittadini stremati hanno deciso di lanciare un appello tramite una lettera con cui Eren Buğra Biler, portavoce della popolazione di Hatay, ci ha informato delle condizioni in cui riversa la sua regione.

Innanzitutto, questo incendio non è un disastro naturale o una qualche disgrazia divina. Tutto sta avvenendo di proposito.

Così recita l’articolo, subito dopo una premessa che vuole scongiurare alcun tipo di propaganda politica di parte.

“Il primo incendio è scoppiato ad İssume e tutti credevano che fosse dovuto ad un guasto del trasformatore elettrico, poi si è espanso fino ad una foresta ove ha distrutto più di 300 ettari di terreno. Proprio quando il fuoco è stato posto sotto controllo e tutti credevano di poter tirare un sospiro di sollievo, un nuovo incendio è scoppiato a 100 metri di distanza causando la distruzione di altri 100 ettari.”

Secondo Biler, sarebbe attribuibile al vento (che quel giorno viaggiava a 75 km/h) la causa dell’espansione delle fiamme, che in poco tempo hanno raggiunto i centri abitati di Nardüzü, Karahüseyinli e Karaağaç.

(I centri abitati interessati dagli incendi, provincia di Hatay – fonte: citypopulation.de)

 

“Sembra tutto abbastanza naturale per un incendio, non è vero? Successivamente un nuovo incendio è divampato a 3 km dal primo, a Çankaya, ma fortunatamente è stato subito domato. Ancora un altro è scoppiato a 2 km dai primi due e, mentre il primo si diffondeva ancora, ne sono divampati l’uno dopo l’altro.

E così, quando otto zone diverse hanno preso fuoco, la gente ha capito che non si trattava affatto di un disastro naturale. Mentre il governo e il consiglio cittadino non davano alcun tipo d’informazione, non c’erano più dubbi che si trattasse di un attacco terroristico.”

I dati e le dichiarazioni delle autorità

Più di trecento persone, cinquanta camion dei pompieri e due elicotteri sono stati impiegati per domare le fiamme e trecento civili sono stati evacuati dai centri residenziali coinvolti nel disastro.

Il sindaco del distretto, İbrahim Gül, ha in seguito dichiarato all’Anadolu Agency (un’agenzia di stampa di proprietà del governo turco) che si sospetta si tratti di incendio doloso. Quattro sono i sospetti fermati.

Il Daily Sabah, quotidiano pro-governo turco, ha dichiarato che ‘Figli del Fuoco’, un gruppo legato al Partito dei Lavoratori del Kurdistan, avrebbe di recente rivendicato gli attacchi.

Il messaggio di speranza

Mentre le autorità locali sono impegnate a ricercare i responsabili del danno, l’autore della lettera invita il maggior numero di persone possibili ad unirsi e non perdere la speranza:

“Migliaia di alberi, centinaia di animali sono andati perduti. Non è il momento di sprecare energie ad odiare questi terroristi, è il momento di supportare moralmente i residenti di Hatay. Dobbiamo unirci, dobbiamo riguadagnare la nostra forza, non possiamo rinunciare, gli uni hanno bisogno delle parole degli altri. Dobbiamo essere un’anima e un corpo per superare questo disastro!”

Il Ministro dell’Agricoltura, Bekir Pakdemirli, ha affermato che nessuno degli ettari bruciati verrà destinato ad utilità diverse dalla precedente. Cinque milioni di alberelli verranno piantati nelle zone interessate dagli incendi ed un evento di piantagione di massa, il ‘Breathe Into Future’, è stato programmato per l’11 novembre 2020.

 

(fonte: twitter.com)

 

Come aiutare?

L’autore della lettera ha lasciato l’indirizzo di due pagine Instagram da cui è possibile trovare nuovi aggiornamenti sulla situazione di Hatay: Iskenderuntube ed Hataytube.

In vista dell’evento dell’11 novembre, è stata lanciata la piattaforma ufficiale del Geleceğe Nefes (Breathe Into Future) a cui è possibile aderire affinché un alberello venga piantato nella zona della mappa che più si desidera. Al momento, la partecipazione nella regione di Hatay è del 90%, con più di 1.400.000 alberelli piantati.

Si tratta di un’iniziativa accessibile a tutti che mira a piantare circa 83 milioni di alberi in tutta la Turchia.

 

Valeria Bonaccorso

 

 

Paura a Parigi come nel 2015. I tre motivi che avrebbero scatenato l’ultimo attacco terroristico

La targa in memoria delle vittime di Charlie Hebdo

Un altro Charlie Hebdo

È avvenuto ieri in strada, poco prima delle 13, fuori alla sede della società di produzione televisiva Premières Lignes Television, tra Rue Nicolas Appert e Rue Gaby Sylvia, nel cuore di Parigi. Un tentato omicidio, che riaccende la paura del terrorismo in Francia. Terrificante coincidenza, che per le autorità coincidenza non è, poiché il luogo è lo stesso dell’attentato del 7 gennaio 2015 ai danni di Charlie Hebdo, la cui redazione prima aveva la propria sede proprio al civico 6, mentre la società televisiva sta al numero 10. Due uomini hanno assalito un uomo e una donna, due dipendenti di Premier Lignes, che in quel momento si trovavano fuori l’edificio, proprio davanti alla targa in memoria delle vittime dell’attentato del 2015, per una pausa dal lavoro, per fumare una sigaretta.

Uno dei fattori scatenanti potrebbe risalire al fatto che il 2 settembre Charlie Hebdo ha ripubblicato le vignette su Maometto che avevano scatenato la reazione dei seguaci di Al Qaeda cinque anni fa. Ma non solo.

“Charlie Hebdo è nuovamente minacciato da organizzazioni terroristiche. Minacce che costituiscono una vera provocazione nel mezzo del processo degli attentati del gennaio 2015. Minacce che vanno ben oltre Charlie, poiché prendono di mira anche tutti i media e persino il presidente della Repubblica.” recita un tweet del direttore Riss, il quale ha anche espresso la vicinanza di Charlie Hebdo a Premières Lignes Television.

Un 18enne il principale sospettato

Prima l’inseguimento di un diciottenne di origini pachistane, conosciuto dalla polizia per reati comuni, senza precedenti per radicalismo islamico. E’ lui il principale autore dell’attentato, poiché è stato lui a colpire le due vittime con una mannaia, poi ritrovata poco più distante, nei pressi della fermata della metro Richard Lenoir. Poi la caccia a un 33enne, fermato poco dopo. I due si erano diretti all’interno del quartiere nei pressi della Bastiglia.

La fermata della metro Richard Lenoir

L’arma usata contro le vittime

Un intero quartiere blindato. La paura per gli studenti

La polizia, la quale aveva lanciato un tweet per intimare la popolazione di non avvicinarsi alla metro, ha poi blindato l’intero quartiere accanto alla Bastiglia. Nelle ore precedenti, vicino al luogo dell’attentato era stato anche trovato un pacco sospetto che alla fine non conteneva alcun esplosivo. Migliaia di ragazzi e i bambini sono rimasti chiusi nelle scuole, mentre i genitori, in preda al panico, sono stati tenuti lontani per evitare che cercassero di andarli a prendere, fin quando non è poi cessata l’allerta.

I testimoni dell’accaduto

La Premières Lignes Television è un’agenzia di stampa e società di produzione creata nel 2006 e specializzata nel giornalismo di inchiesta televisiva. Diretta dai giornalisti Luc Hermann e Paul Moreira, la quale, tempo fa, ha prodotto un documentario sui jihadisti. I giornalisti di Première Lignes furono anche i primi a diffondere, subito dopo l’attentato del 2015, le immagini dei due killer, i fratelli Kouachi, mentre erano in fuga.
Il direttore Moreira ha dichiarato di non aver, comunque, mai ricevuto prima minacce per quella produzione sull’estremismo islamico. Quest’ultimo è anche uno dei testimoni che ha assistito alla terrificante scena dell’assalto ai suoi due dipendenti.”Sono stati colpiti davanti al palazzo della nostra sede, l’attentatore poi è scappato, non è entrato nel palazzo. – ha rivelato a BFMtv – Non è un caso, c’è il processo in corso per l’attentato a Charlie“. Altro testimone è stato un dipendente: “Due colleghi erano scesi a fumare una sigaretta fuori dal palazzo, in strada. Ho sentito delle grida e mi sono affacciato alla finestra e ho visto una di loro ricoperta di sangue, aggredita da un uomo con un machete.”.

Gli strani eventi dei giorni precedenti

Nei giorni precedenti, però, qualcosa era successo. La direttrice delle risorse umane del settimanale satirico, Marika Bret è stata costretta a lasciare la propria abitazione a causa di minacce considerate gravi. “Dieci minuti per preparare una borsa e lasciare il mio domicilio” – ha rivelato Bret – “Mi hanno spiegato che probabilmente non tornerò mai più a casa mia”.

Le autorità aprono l’inchiesta: si tratta di terrorismo. Di nuovo

Il terribile episodio avviene, tra l’altro, proprio nei giorni in cui è in corso il processo per l’attacco a Charlie Hebdo. Questo è uno dei tre motivi che hanno spinto le autorità a seguire subito la pista di attentato terroristico, a cui il procuratore Remi Heitz ha aggiunto la coincidenza del luogo e la manifesta volontà del diciottenne di uccidere due persone di cui non conosceva nulla. Aperta, quindi, l’inchiesta per “tentato omicidio in relazione a un’azione terroristica”. Attorno alle 14.30 sono arrivati sul posto il premier Jean Castex, il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, e la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo. Una volta cessata l’allerta, dalla stessa Rue Nicolas Appert, Castex ha ribadito la “ferma volontà di lottare con tutti i mezzi contro il terrorismo”. Ricade, dunque, l’ombra del terrorismo sulla Francia. Ancora una volta la libertà di espressione, valore fondamentale dell’Occidente, è stata minacciata dall’estremismo islamico. Eppure, nonostante la paura sia tanta, in quel “Je suis Charlie Hebdo” sembra che i francesi ancora si riconoscano, a distanza di cinque anni.

 

Le autorità sul luogo dell’attentato

 

Rita Bonaccurso

 

 

Presentazione volume “Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica”

Venerdì 1 Marzo 2019, alle ore 15.30 nell’Aula dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti , sarà presentato il libro di Francesco Benigno, “Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica” (Einaudi, Torino 2018).
Benigno, ordinario di Storia Moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nel suo nuovo volume riflette sul significato dell’atto terroristico in diversi momenti della storia: dalla Rivoluzione francese, alle bombe anarchiche, all’attentato a Giovanni Paolo II, fino all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

Da questo excursus storico, il gesto terroristico appare avere una costante nel tempo ossia lo scopo primario di richiamare alla lotta la propria comunità contro un nemico considerato più forte. Solo in seconda battuta l’azione terroristica mira a generare paura nel nemico e nel suo popolo.

Di questi temi l’autore discuterà con tre storici dell’Ateneo messinese: Salvatore Bottari (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne), Luigi Chiara (Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche), Giacomo Pace Gravina (Dipartimento di Giurisprudenza). Introdurrà e modererà i lavori Giovanni Moschella, prorettore vicario dell’Università di Messina.
L’iniziativa è promossa dall’Università degli Studi di Messina e dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti.

Qui di seguito si allega la locandina dell’evento: locandina_37

Gli estremisti collezionano l’ennesima sconfitta

Ferire, bruciare, sgozzare, l’hanno fatto in molti, ma davanti alla macchina da presa, in quel modo sfacciato e vanitoso, no. È facile e perfetto per colpire l’immaginazione.”
DACIA MARAINI

Ostaggi dell’Isis annegati in una piscina

Furono i Romani uno dei primi popoli a vedere di che pasta fosse fatta la matrice terroristica, li battezzarono Sicarii, fazione estremista degli Zeloti, bramavano l’indipendenza politica della Giudea da Roma.
Ad oggi sono svariati i gruppi terroristici: Stato Islamico, Al Shabaab, Talebani; solo alcuni dei nomi noti che, attraverso la loro bestia nera, tentano, giorno dopo giorno, di imporci il loro progetto egemonico; tentando di indottrinarci tutti secondo un unico credo, che il più delle volte sfocia nel fanatismo.
Ahimè, quella delle persone che hanno visto sfumare i loro sogni a causa delle loro brutalità, è una lunga lista. Dal 2003 ad ora sono 44 i cittadini italiani che sono venuti a mancare.

16 Maggio 2003, Luciano Tadiotto, tecnico italiano, perde la vita in una serie di attentati terroristici a Casablanca. 7 luglio 2005, Benedetta Ciaccia, analista finanziaria, resta uccisa in uno degli attentati contro la metro di Londra. 13 novembre 2015, Valeria Solesin, 28 anni, studentessa veneziana della Sorbona è una delle vittime al teatro Bataclan. Era lì con il suo fidanzato per il concerto degli Eagle of Death Metal. 11 dicembre 2018, Strasburgo, 29 anni, il giornalista Antonio Megalizzi, freddato a Strasburgo dagli spari di un terrorista.

Loro, sfortunatamente, sono soltanto alcuni dei tanti uomini che cercano di dar un volto nuovo a questo mondo che, fra tragedie e guerre, ha perso la sua genuinità; uomini che di questo mondo amano l’odore, i colori e tutti i modi in cui esso si manifesta.

Ma qual è la loro arma più forte? Con cosa ancora ci riescono a tenere in pugno?

Muadh al-Kasasibah, prigioniero dell’Isis, arso vivo

L’immaginazione è il mezzo perfetto di cui fanno uso costantemente, con una sceneggiatura non da poco, riescono ad arrivare a migliaia, ma anche milioni di persone alla volta facendo “uso” di uomini come Muadh al-Kasasibah, arso vivo all’interno di una gabbia.
È proprio con azioni del genere che tentano di avanzare i loro “discutibili” ideali, è proprio con azioni del genere che riescono ad arrivare con un uomo solo ad intaccare una società intera, entrano nelle nostre vite senza che noi effettivamente ce ne rendiamo conto ed è così che vorrebbero noi sposassimo la loro ideologia, il loro concetto dell’ Islam; dove anche bere, fumare ed ascoltare musica può diventare oltraggio; come nel caso di Ayham Hussein, 15 anni, decapitato in una piazza di Mosul, in Iraq, dopo esser stato sorpreso ad ascoltare musica occidentale dal suo lettore cd.

Sarebbero entusiasti nel constatare che i loro attentati hanno creato una certa alienazione mentale sul resto del mondo, non permettendo più alla gente di vivere un viaggio come una vacanza, una pausa dalla vita quotidiana, bensì qualcosa da cui stare lontani finché le acque si calmino, sarebbero entusiasti nel vedere che tutte le forme dell’arte vengano osservate con un occhio diverso, un occhio che oramai è abituato ad indossare sempre più spesso occhiali con lenti scure.

Tuttavia è per uomini come Muadh al-Kasasibah, che di fronte ad una morte a dir poco ingiusta non si è piegato ad una guerra che sul campo sarebbe già finita da tempo, ad una guerra mentale che usa l’immaginazione come mezzo di conquista globale. Ha dimostrato forza, ma soprattutto ha resistito ad un’idea di religione che non è quella associata alla figura dell’ Islam, religione che non ammette uccisione e terrorismo.
Ed è proprio per questo che noi dobbiamo continuare ad essere giornalisti, viaggiatori, rivoluzionari. Proprio perché nel nostro piccolo stiamo combattendo la guerra più grande. Una guerra dove le armi non contano, conta solo il coraggio di essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo.

#NotInMyName, manifestazione contro il terrorismo

Fin quando noi saremo questo, è vero, questi gotici giustizieri ci potranno anche portare via i nostri cari ma non è per questo che i progetti dei nostri beneamati resteranno castelli in aria. Non è per questo che ci metteranno l’uno contro l’altro; razze o religioni che siano, non dobbiamo e non possiamo permettere né che un sobrio velo ci crei sgomento né che una passeggiata con la famiglia diventi un calcolo statistico per prevenire un attacco terroristico; per poi comunque comprendere che è forse impossibile constatare un filo logico che porti al controllo di tutti gli spazi sociali.

Nonostante la paura i castelli verranno ultimati, però con l’eccezione che questa volta saranno anche più imponenti di quanto lo erano già nell’immaginario dei nostri Cari sognatori, ma la cosa più rilevante è che per i terroristi sarà l’ennesima sconfitta.

Mattia Castano