Giovanni Pascoli a Messina: “Io ero giunto dove giunge chi sogna”

“A Messina ho passato i cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie della mia vita”

Sono le parole che Giovanni Pascoli, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento, scrisse in una lettera del 1910 a Ludovico Fulci in riferimento al suo soggiorno nella città di Messina, dove dimorò tra il 1898 e il 1902, in seguito all’ottenimento della cattedra di Letteratura latina alla facoltà di Lettere dell’Ateneo messinese.

Il poeta Giovanni Pascoli – Fonte: proletteraturacultura.com

Palazzo Sturiale, “il più bell’alloggio di tutta Messina”

Il poeta giunse nella città dello Stretto nel gennaio del 1898, accompagnato dalla sorella Mariù e dal cane Gulì.

I tre andarono ad abitare al secondo piano di un appartamento in via Legnano 66, ma i primi mesi della permanenza non furono semplici.

A marzo Pascoli e la sorella si ammalarono di tifo. Molti anni dopo, ricordando quel periodo in una lettera indirizzata a un amico, il poeta scrisse che “il primo anno a Messina rischiò di essere l’ultimo”.

Preoccupata per la salute del fratello e insoddisfatta dell’abitazione in cui alloggiavano, Mariù mutò la prima impressione entusiastica della città, dichiarando in una lettera alla sorella Ida di “odiare Messina e il suo bel cielo, sempre nuvolo”.

Trascorse le vacanze estive a Castelvecchio di Barga, Pascoli fece ritorno a Messina nel mese di novembre, senza la sorella, e si trasferì in un appartamento di Palazzo Sturiale in via Risorgimento, al numero civico 162.

Nell’invitare Mariù a fare ritorno in Sicilia, il poeta elogiò largamente la nuova abitazione, situata nella zona di nuova espansione a sud della città; definendo l’alloggio “moderno e abbastanza vasto” ne decantò la bella vista: “dalla cucina si vede il forte Gonzaga sui monti…dall’altra finestra il mare, su l’Aspromonte...”. Inoltre la assicurò che, occupandosi personalmente dell’arredamento, la nuova casa sarebbe diventata “il più bell’alloggio di tutta Messina”.

Palazzo Sturiale, Messina – Fonte: regione.sicilia.it

Il soggiorno messinese

Nei momenti liberi Pascoli amava passeggiare per la città in compagnia del collega Manara Valgimigli.
Fra le sue mete preferite vi erano la Palazzata, la Pescheria, la spiaggia di Maregrosso da dove ammirava il Fretum Siculum e il mare, quel mare che “se ci tuffi una mano, gocciola azzurro”.

Le bellezze paesaggistiche del luogo incantarono l’autore romagnolo e furono di grande ispirazione per la propria produzione letteraria.

Durante il soggiorno messinese Giovanni Pascoli visse uno dei periodi più laboriosi e intensamente creativi, intrecciò relazioni col mondo intellettuale e accademico, compose le poesie “L’aquilone” e “Le ciaramelle” e si dedicò alla stesura dei saggi danteschi.

Giovanni Pascoli sulla spiaggia di Maregrosso – Fonte: medium.com

La partenza e il legame con la città

Alla fine di giugno del 1902 Pascoli e Mariù lasciarono definitivamente Messina.

La notizia del terremoto che nel 1908 colpì la città con conseguenze devastanti sconvolse il poeta, che dedicò al luogo che l’aveva accolto calorosamente parole cariche d’emozione:

“Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia”. 

Fra i messinesi che rimasero nel cuore del poeta vi era Giovanni Sgroi, il portinaio di Palazzo Sturiale.
Dopo il terremoto del 1908, Pascoli si ricordò di lui e della sua grande bontà d’animo inviandogli una grossa somma di denaro e una lettera dove espresse l’augurio che “…la nostra Messina risorga più bella di prima…”.

Messina in seguito al sisma del 1908 – Fonte: tg24.sky.it

Verso la realizzazione del “Museo Casa Pascoli”

Nel descrivere il nuovo appartamento il poeta l’aveva definito, quasi profeticamente, “sicuro contro il terremoto”.

L’edificio, infatti, scampò alla furia del sisma, giungendo fino a noi come testimonianza di una delle rare fughe del poeta dal suo “nido”.

Per iniziativa del Comitato Cittadino 100 Messinesi per Messina 2008 è stata realizzata e collocata accanto al portone d’ingresso di palazzo Sturiale una targa commemorativa con iscrizione di Aldo Di Blasi.

Di recente l’edificio è stato ristrutturato e verrà acquistato dalla Regione Siciliana per essere inserito nella “Rete regionale delle case museo”.

“L’immobile che ospitò il grande Pascoli ha le potenzialità per diventare luogo di attrazione per gli studiosi, ma anche per i turisti, entrando a far parte di un interessante circuito culturale – afferma il Presidente della Regione Nello Musumeci – che unisce la storia di tanti personaggi illustri della nostra terra o che in Sicilia hanno vissuto e operato. Faremo uso delle più avanzate tecnologie per realizzare uno spazio museale moderno e interattivo”.

L’acquisizione dell’abitazione da parte dell’Ente Regionale ha l’obbiettivo di valorizzare le dimore legate ai personaggi illustri, nate, cresciute o semplicemente innamorate della Sicilia.

Quest’ultimo è il caso del più grande poeta decadentista, di cui colpisce l’apertura che, da uomo estremamente riservato e attaccato ai propri luoghi di origine e al proprio focolare domestico, mostra di avere in “terra straniera”, al punto da decantare apertamente il senso di appartenenza e l’attaccamento profondo che ad essa lo legano:

“C’è molto di buono, o messinesi, nella nostra cara Messina”

Targa commemorativa a Palazzo Sturiale – Fonte: archeome.it 

 

Santa Talia

Fonti:

mutualpass.it/post/538/1/giovanni-pascoli-e-gli-anni-a-messina

medium.com/giovanni-pascoli-narratore-dellavvenire/le-città-pascoliane-messina

sicilianpost.it/messina-unorma-del-cielo-cosi-giovanni-pascoli-dichiarava-amore-alla-citta/

Immagine in evidenza:

Giovanni Pascoli sul balcone della sua abitazione in Via Risorgimento – Fonte: sicilianpost.it

NextGenerationME: Luciano Giannone, l’architetto che ha “viaggiato nel tempo”

Riparte la rubrica “NextGenerationME” dedicata ai giovani talenti messinesi. Il protagonista di oggi è l’architetto Luciano Giannone, autore di un’opera di ricostruzione virtuale della Messina degli anni ottanta del settecento, poco prima del catastrofico terremoto del 5 febbraio 1783.

Il giovane architetto ha pubblicato un volume intitolato “Messina nel 1780: viaggio in una capitale scomparsa“, presentato giovedì scorso (9 dicembre) presso il Salone delle Bandiere del Palazzo comunale, alla presenza dell’Assessore alla Cultura Enzo Caruso, della Sopraintendete per i Beni culturali e ambientali di Messina Mirella Vinci e del Presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina Pino Falzea.

Classe 1996, Luciano Giannone è nato e cresciuto a Messina, dove ha conseguito nel 2014 la maturità scientifica presso il Liceo Archimede. Nello stesso anno si è trasferito a Firenze per intraprendere il percorso di studi in Architettura, concluso nel 2020 -con lode- con un progetto di tesi che ha posto le fondamenta del suo libro. Nello stesso si è iscritto all’Albo degli Architetti di Messina e attualmente esercita la professione.

©Luciano Giannone – L’architetto Luciano Giannone, Firenze 2018

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con lui.

Buongiorno Luciano. Quando è nata in te l’idea di concludere il tuo percorso di studi con una tesi su Messina?

L’idea è andata evolvendosi con il tempo: a partire dalle conoscenze pregresse sulla storia di Messina, ho iniziato ad approfondire l’argomento da circa cinque anni, studiando la storia monumentale della Messina che non c’è più. Immergendomi in questi studi ho visualizzato, ma solo nella mia immaginazione, le vestigia di una città bellissima, e ho pensato che, ogni Messinese -appassionato o no a queste tematiche- avrebbe dovuto necessariamente conoscerla. 

Quanto tempo hai impiegato per completare l’elaborato?

Dal momento in cui ho iniziato l’attività, non mi sono più fermato. Ho passato i primi 6-8 mesi a studiare: ho stampato un’enorme mappa del centro storico della città e l’ho appesa sopra la mia scrivania, catalogando tutta la documentazione reperibile sui singoli edifici della città. Finita questa fase è iniziata la modellazione, durata da giugno 2019 fino a inizio 2020; l’ultimo passo è stato quello di convertire i vari blocchi ricostruiti a seconda dell’elaborato che volevo offrire (vista 2d, video, tour virtuale). Seppure in maniera ormai sporadica, ancora oggi continuo ad affinare parti della città ogni qualvolta che reperisco nuove fonti di riferimento.

©Luciano Giannone – Mappa qualitativa delle documentazione

Perché hai scelto di “viaggiare” proprio nella Messina del 1780?

Chi conosce la storia di Messina sa bene che il terremoto del 1908 non è stato l’unico evento che ne ha offuscato la memoria e la stessa identità culturale. Già nella Messina anteriore al sisma novecentesco non era più possibile ammirare il Palazzo Reale, la Loggia dei Mercanti, il campanile normanno e la Palazzata del Gullì, tutti monumenti unici e ampiamente documentati; anche l’immagine stessa della Messina tardo-ottocentesca è comunque ancora oggi tangibile attraverso la documentazione fotografica. L’idea di fondo dunque è stata quella di restituire l’immagine di una città “integra”, nella quale fosse ancora ben tangibile la sua stratigrafia storica, urbanistica e monumentale.

 

                             

                                   Trailer della Ricostruzione di Messina nel 1780 a cura di Luciano Giannone.  ©Luciano Giannone

La grande peculiarità della tua opera consiste nella creazione di un vero e proprio tour virtuale. Quali software hai utilizzato? Il tour virtuale sarà disponibile alla cittadinanza in futuro?

L’idea di iniziare un viaggio virtuale è nata dopo un viaggio in Svizzera fatto a fine 2018: lì, indossando un visore VR in uno spazio espositivo, ho compreso l’importanza di queste tecnologie nella didattica e musealizzazione e ho intuito che l’unico modo per poter riportare in vita la Messina Antica era di farlo attraverso questa tecnica

Il grande vantaggio del workflow 3d è quello di modellare singolarmente le varie porzioni e poterne disporre in molteplici modi, creando un’infinità di formati e scene a seconda del supporto scelto; il tour virtuale non è altro che la ripetizione di singole immagini renderizzate a 360° con 3d Studio Max e combinate tramite un linguaggio Java “preconfezionato”.

La scelta di includere il tour nel libro è stata fatta per aggiungere un contenuto importante a conclusione della lettura, ma, in linea con i miei scopi originari, intendo renderlo totalmente disponibile a breve, soprattutto con la speranza di riuscire ad affiancarlo ad un supporto hardware permanente (come una postazione Oculus) in qualche spazio culturale della città ,per poterne apprezzare appieno le funzionalità; a questo ci stiamo lavorando!

©Luciano Giannone – Piazza Duomo nel 1780: la Cattedrale e il campanile normanno, la chiesa di San Lorenzo e la statua di Carlo II

Al termine delle note storiche del libro hai parlato della catastrofe del 1908 e della successiva ricostruzione ad opera dell’ingegnere Borzì, accusato più volte di aver stravolto la struttura storica della città. Qual è il tuo personale giudizio sul piano Borzì? Credi che ad oggi ci sia l’esigenza di un nuovo piano regolatore?

Chi ancora oggi reputa il piano Borzì come la radice di tutti i mali urbanistici di Messina è oltremodo ingeneroso e pigro nella ricerca dei veri episodi nefasti che hanno interessato il centro cittadino. Dobbiamo ricordare che il piano Borzì fu adottato nel 1911, nel momento in cui a Roma si dibatteva ancora se fosse conveniente ricostruire la città o raderla al suolo per riadattarla a scalo ferroviario. La condizione imposta per la sua rinascita fu il rigido disegno di una scacchiera e l’edificazione di isolati di altezza non superiore ai due piani, e Borzì, come chiunque altro fosse stato incaricato di redigere il piano, dovette attenersi a ciò.

Tuttavia, è impossibile non nascondere i conclamati interessi economici di imprese e potentati che forzarono la demolizione di fabbricati recuperabili, come è difficile non biasimare il sistema economico-finanziario dei comparti edificatori introdotti dal piano che crearono un asfissiante e opprimente regime fondiario.

In generale ritengo che uno degli errori più grandi sia stato quello di non aver introdotto un piano urbanistico nell’immediato secondo dopoguerra, in grado di sostituire l’emergenziale piano Borzì e di impedire i fenomeni di speculazione edilizia che hanno deturpato irrimediabilmente il centro storico.  

Attualmente ritengo che Messina abbia urgentemente bisogno di un piano del verde pubblico, essendo tra le tre città d’Italia con la maggiore quantità di verde pubblico inutilizzato e potendo disporre di soli 14.8 mdi verde pubblico per cittadino contro i 32.8 m2 della media nazionale (dati 2020).

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai ancora qualche idea in mente per Messina?

Il progetto di ricostruzione virtuale della città sta andando avanti, pur potendoci lavorare nei sempre più esigui ritagli di tempo dettati dalle esigenze lavorative. Di recente è stato completato un video immersivo nel quale, come una ripresa fatta col drone, si vola attraverso le strade della Messina del XVIII secolo: tale esperienza, presentata in anteprima alla presenza delle autorità cittadine, sarà a breve disponibile a tutti all’interno degli spazi del nascente “teatro immersivo” del Palacultura.

Non nascondo che l’interesse riscontrato nel progetto ha sollecitato l’invito da parte di molti nel proseguo e nello sviluppo ulteriore del progetto. Sarebbe bello poter creare una stratigrafia storica della città nelle diverse epoche o incrementare il software di visualizzazione sfruttando la Realtà Aumentata.

Sicuramente, per creare qualcosa di duraturo e mettere a sistema l’intero progetto ci vorrebbe tanto impegno e anche la creazione di un gruppo di lavoro; ma sicuramente questa potrebbe essere l’occasione giusta per creare un sistema di visualizzazione AR/VR di un ambiente interamente ricostruito nello scenario di un’intera città, sulla base di una documentazione completa: Messina costituisce un unicum in tal senso e potrebbe essere capofila di un sistema innovativo che in Italia e in Europa ha pochi precedenti.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato

Grazie a voi!

©Luciano Giannone – Il Monte di Pietà nel 1780

Luciano è uno dei tanti giovani che per causa di forza maggiore ha dovuto lasciare per motivi di studio la città di Messina, ma che non hai mai dimenticato le sue origini e non ha mai soffocato il desiderio di poter contribuire con la propria professione alla rinascita materiale, culturale e spirituale della nostra città.

Con questo viaggio nel passato Luciano ha squarciato i limiti dello spazio e del tempo, dando la possibilità di immergerci completamente nell’antico splendore di Messina; le sue ricostruzioni -citando la prefazione di Nino Principato- “hanno la capacità di suscitare un’intensa emozione e una totale partecipazione sul piano estetico e affettivo”.

Non possiamo che ringraziare Luciano per averci restituito la memoria di un glorioso passato e aver rinvigorito un’identità collettiva che ha bisogno di essere nutrita costantemente per rafforzare il legame tra urbe civitas.

La copertina del libro

 

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Di seguito, in attesa dei mancanti, potete trovare i link degli articoli che abbiamo dedicando  ai vari quartieri di Messina, nella ricostruzione dell’Architetto Giannone.

https://universome.unime.it/2022/05/03/messina-nel-1780-il-quartiere-palazzo-reale/
https://universome.unime.it/2022/05/17/messina-nel-1780-il-quartiere-piazza-duomo/
https://universome.unime.it/2022/06/25/messina-nel-1780-il-quartiere-grande-ospedale-collegio/
https://universome.unime.it/2022/05/31/messina-nel-1780-il-quartiere-quattro-fontane-purgatorio/

Luciano sui social:

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Il “Villaggio Svizzero” di Messina

Tutta la popolazione dello Stretto di Messina, ancora oggi, ha memoria del catastrofico sisma, avvenuto alle prime luci del mattino -05:21- del 28 dicembre 1908. Il terremoto, con una magnitudo di 7.1, fece vibrare per trenta interminabili secondi la terra e rase al suolo l’omonima città dello Stretto e in parte anche Reggio Calabria, causando centinaia di migliaia di morti.

Le vie di Messina dopo la catastrofeFonte: storia.redcross.ch

Il sostegno della Svizzera

Di fronte a questo spettacolo raccapricciante di morte, distruzione e disperazione, tutta l’Italia -e non solo- si mobilitò per soccorrere i popoli colpiti. Un aiuto, rimasto indelebile nella memoria dei cittadini, fu quello dato dalla Svizzera, che, non appena giunta la notizia, il 2 gennaio 1909 lanciò una raccolta fondi nazionale per aiutare la loro “nazione amica” rivolgendo al popolo svizzero il seguente appello tramite la stampa:

«In presenza di un simile disastro, la Svizzera non può rimanere inattiva. La nostra vicina, l’Italia, alla quale ci accomunano la lingua, l’industria e tanti legami intellettuali, deve sapere in quale misura il nostro popolo intero partecipa alla sventura che la colpisce in modo tanto brutale e terribile.» 

Poche settimane dopo giunsero così alle due città dello Stretto denaro, viveri, coperte, kit medici, cioccolata e abbigliamento.

Fonte: mutualpass.it

La nascita del “Villaggio Svizzero”

Il sostegno più importante però non si limitava ai beni di prima necessità. Grazie ai fondi inviati dalla Croce Rossa Svizzera e al contributo dell’ingegnere Spychiger, di origini svizzere ma residente in Calabria, furono costruite 21 case di legno a Messina su dei terreni che il governo italiano mise a diposizione in maniera gratuita. Queste erano ispirate al modello degli chalet svizzeri, coi tetti spioventi e costruite secondo criteri antisismici; nonostante fossero di piccole dimensioni, offrivano a chi le abitava tutto ciò di cui avevano bisogno.

Le casette bifamiliari erano di due tipi: il primo, previsto per la campagna, comprendeva quattro camere e due cucine, mentre il secondo, di stile borghese, era costituito da otto camere e due cucine e all’esterno vi erano anche delle piccole aree verdi.

Così nacque il Villaggio Svizzero”, che diede un barlume di speranza a circa 30 famiglie messinesi.

La Croce Rossa Svizzera aveva dettato una sola e inviolabile condizione: “le case non diventino oggetto di traffico, ma siano proprietà gratuita di quelli che hanno perduto la loro casa nella catastrofe”.

Lo chalet Rütli di Messina – Fonte: storia.redcross.ch

L’altra faccia dello Stretto: Reggio Calabria

Anche l’altra città dello Stretto Reggio Calabria cercò di risollevarsi dalla distruzione causata dallo stesso sisma; gli aiuti ricevuti furono preziosi tanto quanto lo erano stati per Messina.

La stessa Croce Rossa Svizzera avviò nel febbraio 1909, la costruzione di 16 chalet uguali a quelli fabbricati nella vicina Messina. Le abitazioni occupavano un’area di quattrocento metri quadrati, con un giardinetto attorno; erano bifamiliari, a due piani, con una scaletta esterna e con le ante delle finestre decorate con cuoricino.

Ad ogni chalet, i donatori svizzeri assegnarono un nome: Guglielmo Tell, Altdorf, Jungfrau, Sempione, San Gottardo, Cervino, Spluga, Sentis, Reno, Rodano, Keller, Pestalozzi, Haller.

La strada dove vennero poste queste case, venne denominata “Via dei Villini Svizzeri”. Entrambi i “villaggi Svizzeri” accolsero in totale 74 famiglie, ridando a circa 400 persone, un tetto sulla testa.

Le maestranze svizzere insieme all’ingegnere Spychiger a Reggio Calabria – Fonte: storia.redcross.ch

La via Svizzera e il “Villaggio Svizzero” oggi

L’intervento della Croce Rossa Svizzera nella zona terremotata di Messina si concluse nel novembre 1909.

Nonostante sia passato più di un secolo dal sisma e ormai di quelle casette costruite sia rimasto ben poco a livello materiale, l’aiuto svizzero non è mai stato obliato; ancora oggi, la zona -all’incrocio fra il viale Giostra e il viale Regina Elena- in cui sorgevano le abitazioni è chiamata “Villaggio Svizzero” e via Svizzera è denominata la strada che la attraversa.

 

                                                                                                                                                                              Marika Costantino                      

 

Fonti:

mutualpass.it/la-svizzera-a-messina

storia.redcross.ch/il-terremoto-di-messina

strill.it/la-storia-dei-qvillini-svizzeri

Dalle macerie nascono musei

Messina, porta della Sicilia, città di sogni e cultura, nobiltà e borghesia, amore e fantasia, che si snodano tra i palazzi liberty; Messina, sviluppata tra il vivido profumo del mare e…. dell’amianto.

Sì, Messina odora ancora di abbandono e attende che le ultime pagine bianche vengano completate di una storia gloriosa.

Baraccolandia

La storia della baraccopoli messinese nasce e si sviluppa all’indomani di uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo. Dal 1908 buona parte della popolazione messinese vive in pessime condizioni igienico-sanitarie e da ben 113 anni le baracche rimangono simbolo di una continua “lotta di classe”. 

Ad oggi, su una superficie comunale di 213,75 km², si contano circa 2500 famiglie locate in baracche; dal quartiere Annunziata fino al Rione Taormina abitano generazioni di prigionieri, in quella che loro stessi -ormai rassegnati- chiamano casa. 

E chissà se possa mai definirsi casa quella con un tetto in eternit, costruita accanto a discariche a cielo aperto e muffa per carta da parati. Sicuramente non lo è per chi dorme da trent’anni sotto un tetto gocciolante, non lo è per tutte quelle mamme, come Francesca, che convivono quotidianamente con la paura incessante che da un momento all’altro un animale selvatico possa attaccare i suoi figli, e non lo è per tutti i genitori che sognano una cameretta per i loro figli, forse, quella che loro stessi non hanno mai avuto.

La baraccopoli di Messina – Fonte: strettoweb.com

Qualcosa cambia…

Nel 2018, da poco eletto sindaco, Cateno De Luca ordina lo “sbaraccamento”.

Da città con un passato interminabile e  un presente arrendevole, Messina inizia a scorgere il primo spiraglio di luce illuminare un futuro concretamente realizzabile. Progettando demolizioni, rimozioni, smantellamento e risanamento, l’ultima tappa decisiva viene segnata dalla Ministra per il Sud e per la coesione territoriale Mara Carfagna.

L’Onorevole Carfagna nomina Commissario straordinario il prefetto di Messina Cosima Di Stani, e stanzia 100 milioni di euro, derivanti dal Fondo di sviluppo e coesione 2021 – 2027, per eliminare le baracche dalla città e offrire all’intera popolazione un alloggio decente, confortevole e idoneo a sopperire le primarie necessità di una famiglia media. 

Dalle macerie nascono i musei 

Durante i lavori di risanamento all’Annunziata, in presenza della Ministra Carfagna, del Sindaco De Luca, del Prefetto Di Stani e delle altre autorità competenti, il primo ottobre viene ordinata la sospensione dei lavori.

La ruspa, che sta spianando il territorio, interrompe la sua funzione per salvare una baracca di legnoL’ultima baracca sopravvivrà alle ruspe per diventare un qualcosa mai ideato prima.

Non l’avrebbe mai immaginato Letteria Donato che quella baracca, assegnata ai suoi nonni dopo il terremoto del 1908 e casa per tre generazioni, sarebbe diventata un museo.

Il museo della memoria” così lo definisce il sindaco della città, consegnando simbolicamente le chiavi della baracca alla Ministra Carfagna.

Consegna simbolica delle chiavi dell’ultima baracca di legno, presto “Museo della memoria”, alla presenza dell’onorevole Mara Carfagna e il sindaco Cateno De Luca – Fonte: 98zero.com

Letteria, rammentando i suoi ricordi, con fierezza dice: “Mio padre lo ha comunque custodito questo alloggio anche se non vi ha abitato nessuno da 26 anni. Siamo molto orgogliosi il ministro ha detto che si realizzerà qui un museo e lo trovo giusto per non perdere la memoria di quello che è stato“. 

Oggi, grazie a quest’evento inaspettato, possiamo dire che la memoria di Letteria Donato diventerà la nostra memoria e come dice Paulo Coelho: “Riusciamo a comprendere il miracolo della vita solo quando lasciamo che l’inatteso accada”.

 

Elena Zappia

 

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Messina

http://VIDEO. Vivere fra muffa e amianto: “Mio figlio è morto sognando una cameretta”

https://www.repubblica.it/venerdi/2021/09/24/news/sbaraccopoli_alla_messinese-318595051/

https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2021/10/01/a-messina-baracca-del-1908-diventera-museo_abc58704-031f-470a-a555-cbd34f916ac1.html

Immagine in evidenza:

Baracche nel rione Annunziata – Fonte: messina.gazzettadelsud.it

Messina cum Laude: una mappatura psicogeografica della città di Messina

Torna la rubrica “Messina cum laude” con un’analisi psicogeografica della città di Messina, redatta da Antonino Vitarelli.

L’autore

Nato a Messina nel 1992, Antonino ha sempre avuto particolare attenzione per le potenzialità nascoste della città, osservandola YÎU arretrate WW bbn  l’occhio attento  della psicogeografia. Nel 2011 pubblica la silloge di poesie “I colori dell’ombra “, insignita di vari premi internazionali tra cui il premio speciale per la pace universale “Frate Ilaro del Corvo”. Da sempre appassionato a tutto ciò che riguarda l’arte, da circa 8 anni svolge attività teatrali di vario genere, sia come attore che come regista.

Nel 2020 ha conseguito la laurea in “Scienze del Servizio Sociale”, discutendo una tesi psicogeografica sperimentale dall’interessante taglio narrativo, dal titolo ” Sotto l’asfalto la sabbia. Verso una mappatura psicogeografica della città di Messina “, con relatore il prof. Pier Paolo Zampieri. La tesi traccia una mappa psicogeografica della città di Messina, con le sue storture e le sue qualità.

Antonino Vitarelli

L’analisi sociologica e l’esplorazioni urbane

La tesi nasce da un approccio empirico all’analisi sociologica di un centro urbano, in questo caso, Messina. L’obiettivo della tesi è quello di scoprire e studiare a fondo la vera essenza culturale e sociale della città tramite delle vere esplorazioni urbane, esplorazioni viscerali in una città che Antonino definisce contraddittoria. Messina non esprime subito se stessa, anzi tende a nascondere il suo vero essere culturale. Infatti, a causa della ricostruzione successiva al terremoto del 1908, la città  si è vista negare il riconoscimento e la consapevolezza della sua vera identità.

Il primo obiettivo delle esplorazioni urbane è stato quello di individuare quei luoghi, che come “uno strappo nel cielo di carta” rivelano l’identità di Messina, definite ambiances. Le ambiances vengono paragonate ai passages individuati a Parigi dal sociologo Walter Benjamin, e descritti come punti  nevralgici, dei passaggi  spazio-temporali che conducono all’ identità di Messina prima del terremoto.

Insegna del centro commerciale “Maregrosso”

Le Ambiances

L’approccio utilizzato per individuare le ambiances è quello della “deriva urbana” ovvero un camminare senza meta e orario, un “camminare per perdersi”. Questo approccio spiazza la razionalità e i percorsi predefiniti dalle istituzioni e dalla burocrazia, le esplorazioni urbane, infatti, si basano anche su delle percezioni irrazionali. Tra i centri nevralgici di interesse socio-culturale individuati e poi mappati troviamoL’occhio di Chiarenza, un suggestivo affresco situato nei pressi dell’ex manicomio Mandalari, e  “La casa dei pupi” di Giovanni Cammarata a Maregrosso, considerata universalmente una delle più belle espressioni dell’ outsider art contemporanea.

Proprio la casa di Cammarata, con “l’ atelier di Linda Schipani”, ex officina trasformata in centro di arte contemporanea di riciclo, e “il pensatoio di Vittorio Trimarchi”, ex magazzino divenuto museo di arte contemporanea, formano il “triangolo delle Bermuda” di Messina, situato nella zona di Maregrosso. Questa zona di Messina si presenta come un centro gravitazionale dell’espressione identitaria della città: l’ accesso al mare totalmente negato e la costruzione di centri commerciali che soffocano il respiro artistico e spontaneo delle ambiances presenti nella zona , sono un chiaro esempio del conflitto tra sistema e esperienza. Per citare l’autore, “Maregrosso oggi è solo un’insegna” riferendosi all’ insegna di uno degli ultimi supermercati nati nella zona.

Mappa psicogeografica della città di Messina, disegnata dall’architetto Bruno di Sarcina

Il conflitto tra il sistema e l’esperienza

La tesi fa emergere uno  scontro che sta alla base della esperienza urbana di Messina: da un lato abbiamo il sistema che indica la ricostruzione post terremoto, la burocrazia, le costruzioni in un certo senso calate dall’alto, l’esperienza invece è il vivere istintivo dei cittadini che creano la vera identità della città. Questo conflitto che viene descritto come una battaglia costante dagli esiti ancora incerti, permette di identificare dei punti di tangenza, degli squarci da dove  è possibile percepire e conoscere il passato, il presente e un eventuale futuro della citta.

Esempio di questo conflitto è la Fiera di Messina: la costruzione viene imposta ai cittadini, negando l’accesso al mare ma soprattutto negando ai cittadini stessi la possibilità di scelta. Spesso alcune di queste imposizioni vengono rigettate della cittadinanza che non le sente proprie e non ne fa l’uso per cui erano state progettate e costruite. Altro esempio di imposizione burocratica è l’utilizzo della famosa zona falcata, zona potenzialmente tra le più suggestive della città, completamente negata ai cittadini che ne hanno fatto il simbolo dell’annosa discussione su ciò che Messina potrebbe essere e ciò che invece è. All’interno della zona falcata troviamo un’ambiance creata dai cittadini, il campo da basket dedicato a George Floyd, manifestazione della volontà della  cittadinanza di riappropriarsi delle zone negate dal ” sistema”.

“The naked Messina”, disegnata dall’architetto Bruno di Sarcina

La tesi si presenta come un’ analisi di quella che è stata e di quella che è l’ identità socio culturale di Messina, ma tale approccio, può essere spunto per un progetto di città futura, che dia più spazio alle sensazioni ed agli impulsi artistici e culturali dei cittadini per provare a trovare un compromesso sociale tra sistema ed esperienza. Per quanto la psicogeografia sia in larga parte soggettiva, come evidenzia la tesi, molte ambiances si prestano ad esperienze condivise; da queste percezioni collettive -da parte della maggioranza dei cittadini- potrebbe nascere il progetto per una città futura.

Tra le citazioni presenti nella tesi una tra le più importanti è quella della poesia Amo i gesti imprecisi di Magrelli. La tesi rappresenta la lotta continua tra apollineo e dionisiaco che  risulta essere qualcosa di più impreciso, istintivo. La poesia citata, si inserisce perfettamente nel ragionamento aiutando a spiegare come da qualcosa di impreciso e nevrotico, tramite la creatività, possa nascere qualcosa di costruttivo su cui basare le scelte future e la rinascita della città di Messina.

Un circolo psicogeografico

L’autore inoltre, tra i tanti progetti e attività che porta avanti, ha in mente di costituire un circolo psicogeografico, di cui i fondatori, oltre lui, sarebbero  due amici e collaboratori che lo hanno accompagnato nelle esplorazioni e di cui riportiamo le rispettive riflessioni sulla psicogeografia:

<<La psicogeografia è perdersi per ritrovarsi, dimenticare per ricordare, morire per vivere, è non essere per poter essere qualcun altro, qualcos’altro. La deriva è un piccolo ciclo della vita che ti dona nuovi occhi e nuovi sensi, uno squarcio nel cielo di carta>> Massimiliano Ori Saitta.

<<La psicogeografia è riscoprire con un occhio diverso, zolle che si muovono improvvisamente e tutto cambia, in un continuo dinamismo emozionale e vorticosi collegamenti sensoriali. Perdersi per ritrovarsi>> Veronica Pino.

 

Emanuele Paleologo

 

Antonino sui social:

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La Fenice capovolta come metafora della città di Messina, definita dall’autore “la città Fenice”

Tutte le immagini sono state fornite dall’autore

Noi messinesi come l’araba fenice capaci di rinascere anche stavolta

“Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente”. Da settimane, nella testa di ciascuno di noi, riecheggiano queste parole, accompagnate da un piacevole melodia. Il nuovo tormentone degli artisti siciliani Colapesce e Dimartino, presentato all’ultimo Festival di Sanremo, ci ha conquistati probabilmente perché rievoca la spensieratezza e la leggerezza negate dalla pandemia. Nonostante si inizino a intravedere soffusi spiragli di luce, la coltre di nebbia avvolge ancora le nostre vite, immerse in un’atrofizzante limbo.

Non è la prima volta che l’umanità sta affrontando un dramma del genere. Infatti, nel corso della Storia globale, della Storia della nostra Comunità europea e della Storia del nostro Paese si sono verificati eventi traumatici. Anche nella Storia della nostra città, Messina, più volte afflitta dalla furia distruttiva delle calamità naturali.

Nel corso del “secolo breve” la città dello Stretto, già devastata dalla catastrofe del 1908, ha dovuto affrontare il dramma della Seconda Guerra Mondiale – suo malgrado – da protagonista, vista la sua posizione strategica nella geopolitica del conflitto.

Messina città invincibile

Nel 1943, in seguito allo Sbarco in Sicilia delle Truppe Alleate, Messina subì più di 320 incursioni aeree. Le circa trentamila bombe sganciate sulla città distrussero almeno il 75% degli edifici ricostruiti dopo il terremoto e uccisero oltre un migliaio di messinesi. “La città era come un grande cimitero sotto la luna”, scrisse Stefano D’Arrigo, indimenticato autore del romanzo Horcynus Orca.

Gli Alleati entrarono il 17 agosto a Messina, trovandosi di fronte a una città “fantasma”, un ammasso di rovine.

Già tra la primavera e l’estate dell’anno successivo iniziarono, per la seconda volta in meno di mezzo secolo, i lavori di ricostruzione. Si consolidò presto il mito di Messina città invincibile, pronta a risorgere dopo il disastro. La letteratura diede un forte contributo in tal senso.

L’ingresso degli Alleati a Messina – Fonte: normanno.com

La rigenerazione culturale: la vicenda dell’OSPE

La rinascita della polis non passa esclusivamente della ricrescita economica e dalla ricostruzione materiale dei fabbricati, ma soprattutto da una rigenerazione culturale. Il fermento culturale del dopoguerra è rintracciabile soprattutto nella vicenda dell’OSPE, nata come agenzia di distribuzione di dispense universitarie e di giornali, e divenuta successivamente – per volontà di Antonio Saitta, uno dei fondatori – una libreria, cenacolo culturale principale della città.

Nel suo retrobottega, si animavano discussioni e dibattiti sulle più svariate tematiche, moderati soprattutto da una delle più importanti figure della Messina del secondo dopoguerra: il giurista e rettore dell’Università di Messina –dal 1955 al 1976– Salvatore Pugliatti.

I maggiori frequentatori delll’OSPE diedero vita al Gruppo del Fondaco – di natura artistica – e all’Academia della Scocca. Le due istituzioni parteciparono con grande vigore alle manifestazioni culturali cittadine, di cui spesso erano anche promotrici.

L’apice fu raggiunto nel gennaio 1960, con i festeggiamenti in occasione del Premio Nobel per la letteratura conquistato -nel 1959- da Salvatore Quasimodo, insignito della cittadinanza di Messina e della laurea in lettere honoris causa, su iniziativa dei vecchi amici dell’OSPE.

Gli accademici della Scocca – Fonte: Villaroel G., Messina anni 50′

L’ “Agosto Messinese”

Le grandi manifestazioni popolari furono una prova della rinascita della città, di un dinamismo incessante, motivato dalla volontà di spazzare definitivamente la precarietà del periodo della guerra.

Particolarmente ricco di eventi era “l’Agosto Messinese“, il cuore delle estati in riva allo Stretto negli anni ’50. Voluta dall’assessore Lucio Speranza, questa imponente manifestazione abbracciava una serie di eventi di varia natura: la gara automobilistica della “X ore notturna”, la “coppa Cesare Lo Forte” di pallacanestro, ma, soprattutto, le esibizioni tenute al cosiddetto “Teatro de Dodicimila”, allestito per l’occasione in Piazza Municipio.

Il clou della manifestazione si raggiungeva in occasione della “Passeggiata dei Giganti” Mata e Grifone e la processione della Vara.

Locandina dell'”Agosto Messinese” – Fonte: pinterest.it

Gli eventi di carattere internazionale

La rinascita di Messina passò anche dagli eventi di carattere internazionale che si svolsero in quegli anni e tennero i riflettori puntati sulla nostra città. Dal 1946 tornò, con la VII edizione, la Fiera Internazionale di Messina, inaugurata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.

Nel 1953 l’arte diventa protagonista con la mostra su Antonello da Messina e il ‘400 siciliano, tenuta nel Palazzo Municipale.

Nel 1955 si svolsero due memorabili eventi: la Conferenza di Messina, fortemente voluta dal ministro degli Esteri – nostro concittadino – Gaetano Martino, dove si posero le basi per i futuri Trattati di Roma e la nascita della Comunità Economica Europea (CEE) e all’EURATOM, e la prima edizione della Rassegna Cinematografica Internazionale di Messina e Taormina -chiamata così dal 1957-, oggi conosciuta come Taormina Film Fest.

Da sinistra a destra: Paul-Henri Spaak (Belgio), Walter Hallstein (RFA), Antoine Pinay (Francia), Joseph Bech (Lussemburgo), Gaetano Martino (Italia) e Johan Willem Beyen (Paesi Bassi) – Fonte: normanno.com

La grande lezione della Storia

La vitalità del secondo dopoguerra dimostra che è possibile rinascere dopo un evento traumatico, come quello vissuto nell’ultimo anno. La nostra città ha tante questioni aperte, dal dibattito urbanistico – ma non solo – sul destino del quartiere fieristico al fenomeno dell’emigrazione giovanile, dalla riqualificazione dei torrenti inquinati alla ricerca di un’identità perduta da tempo. Come la fenice abbiamo l’occasione di risorgere dalle nostre ceneri e spiccare nuovamente il volo, per riportare Messina ai fasti del suo glorioso passato.

 

 

Mario Antonio Spiritosanto

Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud in data 25 marzo 2021

 

Fonti:

Messina negli anni Quaranta e Cinquanta, Istituo di Studi Storici Gaetano Salvemini – Messina, Atti di Convegno 1998, Sicania, Messina

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Il “Teatro dei Dodicimila” in Piazza Municipio durante l'”Agosto Messinese” negli anni ’50 – Fonte: pinterest.it

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: Jaci, Verona-Trento e Caio Duilio

Procede la didattica in presenza, alternata alla Dad, per le scuole superiori messinesi, dopo la riapertura di qualche settimana fa. Tra le varie difficoltà si cerca un pò ovunque di ristabilire la normalità, anche se la strada è ancora lunga e tortuosa. In questo clima incerto torna il nostro spazio dedicato ai personaggi a cui sono intitolate le scuole messinesi. Come preannunciato, oggi è il turno degli altri celebri istituti del centro: l’Istituto Tecnico Economico “Jaci”, l’I.I.S. “Verona-Trento” e l’I.T.T.L. “Caio Duilio”.

Istituto Tecnico Economico Statale “Jaci”

Iniziamo il nostro viaggio con l’Istituto Tecnico “A. M. Jaci”, fondato nel 1862. L’attuale edificio – che affaccia su via Cesare Battisti – fu inaugurato nel 1923 e fu progettato da un ex allievo della scuola, l’ingegnere Rosario Cutrufelli (1876-1949).

Tra i suoi numerosi ex allievi compaiono celebri personalità che diedero lustro alla città di Messina. Stiamo parlando, tra gli altri, di Giorgio La Pira, Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti. Inoltre, tra tanti docenti, il più illustre fu il naturalista Giuseppe Seguenza.

Nel 1883 l’istituto fu intitolato al matematico e astronomo Antonio Maria Jaci (1739-1815).

L’Istituto “Jaci” – Fonte: strettoweb.com

Nato a Napoli da madre messinese, A.M. Jaci, rimasto orfano, si trasferì a Messina, dove si laureò in matematica, fisica e medicina presso l’Università cittadina.

Jaci è ricordato soprattutto per due importanti invenzioni. La prima fu la meridiana centrale del Duomo, costruita nel 1804 su commissione dell’Accademia dei Pericolanti, di cui era socio. Danneggiata dal terremoto del 1908 fu, purtroppo, definitivamente distrutta a causa di un bombardamento durante la seconda guerra mondiale.

La seconda invenzione fu la cosiddetta “ampolletta mercuriale“, importante per il calcolo della longitudine in mare aperto.

Per entrambe le invenzioni e per altri suoi meriti scientifici divenne socio della celebre Accademia di Londra.

Nonostante i suoi numerosi contributi, rimase sempre molto povero e visse parte della sua vita in una baracca da lui stesso costruita dopo il terremoto del 1783 e situata dove oggi sorge Piazza Casa Pia.

Dopo la morte fu tumulato nella Chiesa di Santa Maria di Porto Salvo. Sfortunatamente le sue spoglie sparirono a causa di un’alluvione.

Oltre alla scuola, la città di Messina ha intitolato a A.M.Jaci una via vicino al luogo in cui ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

Ritratto di A.M. Jaci – Fonte: messinaweb.eu

Istituto di Istruzione Superiore “Verona-Trento”

Spostiamoci ora nel centro commerciale cittadino, dove sorge, a pochi passi dal Viale San Martino, uno storico isituto citadino: l’IIS “Verona–Trento”, l’unica scuola superiore di Messina non legata a una personalità celebre. L’istituto, infatti, è intitolato alle due città che più di tutte si erano impegnate all’interno del Comitato Veneto-Trentino per la ricostruzione dell’edificio in seguito al terremoto del 1908.

La scuola accolse i suoi primi studenti nel 1877, con la denominazione “Arti e Industrie”. Nel 1884 lo Stato riconobbe l’istiuto, che mutò il suo nome in “Scuola di Arti e Mestieri”.

L’ultima e definitiva ricostruzione dell’edificio – dopo un nuovo crollo nel 1943 a causa dei bombardamenti della guerra – è avvenuta nel luogo dove sorge tutt’oggi, nella via Ugo Bassi.

Da qualche anno il “Verona-Trento” ha inglobato i plessi dell’Istituto “Majorana-Marconi”.

L’Istituto “Verona-Trento” – Fonte: normanno.com

Istituto Tecnico Trasporti e Logistica”Caio Duilio”

A pochi isolati di distanza –  su via La Farina – si erge l’I.T.T.L. “Caio Duilio”, comunemente conosciuto come Istituto Nautico. Fondato con un Regio Decreto, datato 30 ottobre 1862, il “Caio Duilio” l’unico istituto di settore nella provincia di Messina e vanta un’importante tradizione marinaresca, alla quale è dovuta la sua antica affermazione sul territorio.

La scuola è intitolata al celebre politico e militare romano Caio – o Gaio – Duilio (260-258 a.C).

L’Istituto Nautico “Caio Duilio” – Fonte: nauticomessina.edu.it

Appartenente alla Gens Duilia, Caio Duilio, pur non facendo parte dell’aristocrazia tradizionale romana, divenne console nel 260 a.C., durante la Prima Guerra Punica. A seguito della Battaglia delle Isole Lipari e alla cattura del suo collega Scipione Asina – comandante della flotta -, rimase da solo al comando della guerra.

Essendo i romani esperti nella guerra sulla terraferma, Duilio fece costruire un ponte mobile con uncini, detto corvo, su ogni nave da guerra, per contrastare efficacemente la flotta nemica. Questa mossa si rivelò astuta e decisiva, poiché permise ai romani, durante la Battaglia di Milazzo, di riversarsi sulle navi nemiche e combattere corpo a copro. I romani riuscirono a sconfiggere i cartaginesi e si impadronirono del Mediterraneo occidentale.

In onore al comandante Caio Duilio – primo romano a vincere in mare- fu innalzata una colonna all’interno del Foro, edificata con i resti delle navi nemiche sconfitte.

Oltre al consolato, il suo cursus honorum è arricchito dalla carica di censore nel 258 aC. e di princeps senatus (236 – 230 a.C.).

Busto di Gaio Duilio – Fonte: romanoimpero.com

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia e i personaggi delle due scuole situate nel quartiere Annunziata: il Liceo Artistico “E. Basile” e l’I.S.S. “F. Bisazza“.

 

 

Emanuele Paleologo, Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

nauticomessina

wikipedia.org/Gaio_Duilio

storia.camera.it/rosario-cutrufelli

jaci.edu.it

wikipedia.org/Antonio_Maria_Jaci

veronatrento.it

wikipedia.org/Istituto_di_istruzione_superiore_Verona_Trento

Immagine in evidenza:

Gaio Duilio (a sinistra) e Antonio Maria Jaci (a destra)

Un angolo di Lombardia a Messina: il Quartiere Lombardo

©Andrea Rapisarda – Case Feltrinelli, Messina 2019

Posto in pieno centro, il Quartiere Lombardo nasconde una storia che in pochi conoscono, residenti e non della città dello stretto.

Una storia ricca di solidarietà e senso di unità nazionale, valori che al giorno d’oggi sembrano degli echi lontani che risuonano da una fonte ormai quasi esaurita.

Il nome infatti, così come i nomi delle vie che lo percorrono (Brescia, Cremona, Bergamo, Como), testimonia quanto sia stato importante l’apporto delle città lombarde nella ricostruzione di Messina dopo il disastroso terremoto del 28 dicembre 1908.

Fonte: storia della Croce Rossa

All’indomani della tragedia, si assistette a un’impressionante mobilitazione nazionale e internazionale, per provvedere alle immediate necessità della popolazione sopravvissuta.

Il clima di fervente solidarietà è espresso al meglio da un articolo del quotidiano Alinari: “sul vasto campo seminato di macerie e di cadaveri vedemmo piangere i fratelli di tutto il mondo, qui convenuti in nome di un sentimento che affratella uomini di diverse razze e di diverse parti. E fra questa gente noi ricordiamo oggi […] i buoni e generosi fratelli lombardi i quali […] vollero dare il primo esempio della resurrezione delle città distrutte”.

Questo “primo esempio” non è altro che il Quartiere Lombardo, in assoluto il primo post terremoto ad essere costruito in muratura e rispettando le norme antisismiche in quella che molti definirono la “città provvisoria” o “città di legno”, essendo costituita essenzialmente da baracche.

Rinascita urbanistica

Alla data dell’inaugurazione del quartiere (28 dicembre 1910), tra le macerie ancora in vista, gli edifici “si contavano ancora sulle dita di una mano”.

Case Lombarde e via Milano – Fonte: solnet.it

I cittadini, perso il patrimonio storico-monumentale-architettonico e con esso la loro stessa “messinesità”, avevano un disperato bisogno di una miccia che desse inizio a quel processo di rinascita edilizia in grado di restituire un volto alla città e alla comunità che essa ospitava.

Questa rinascita partì proprio dal quel nucleo di 23 edifici a due piani, tra i quali spiccava l’Orfanotrofio Lombardo, costruiti su un’area di 21.620 mq a ridosso del torrente Zaera (viale Europa).

In tutta la Lombardia, in particolar modo a Milano, si assisteva a una vera e propria gara di solidarietà, che coinvolse tanto le istituzioni quanto i privati cittadini, incoraggiati dal Corriere della Sera, che seguiva attentamente la mobilitazione, pubblicando ogni giorno la “lista dei sottoscrittori” con i nomi di coloro che decidevano di spendersi per la causa.

I protagonisti veri e propri dell’edificazione del quartiere furono:

  • L’Opera Pia Lombarda: con la donazione di 1.600.000 lire vennero costruite le 23 “Case Lombarde”, l’Orfanotrofio, l’asilo Carlo Castiglioni, intitolato al benefattore medaglia di bronzo al valore.
  • Il Comitato Lombardo: costituito dal senatore Ettore Ponti (ex sindaco di Milano), dal commissario Rusconi (industriale lombardo), dagli ingegneri Nava e Broggi che progettarono gli edifici. Si stima che il Comitato donò circa la metà dell’intero contributo materiale e finanziario nazionale pubblico e privato.

Anche il futuro santo Don Luigi Orione accorse immediatamente a Messina (e vi rimase dal 1909 al 1912) per soccorrere i superstiti e ricostruire un’identità religiosa ai margini del quartiere. Egli stesso celebrava messe in una delle prime chiese-baracche, Maria SS. Consolata, che divenne ben presto punto di riferimento della comunità locale.

 

Orfanotrofio Lombardo – Fonte: solnet.it

I materiali per edificare il quartiere furono forniti dalle società Ferrobenton S.p.A. e Fratelli Feltrinelli Legnami, entrambe fondate dal padre del noto editore Giangiacomo Feltrinelli.

Rinascita culturale

“Il Quartiere Lombardo fu la grata

dietro la quale

era rinchiuso il mondo.

Case senza radici

e senza storia

piccoli cubi di lardo salato

salso di mare

vento africano..”

Così recitano i versi del giornalista e poeta Giuseppe Longo (Messina 1910 – Roma 1995), che volle rendere omaggio in una raccolta omonima al quartiere dove visse all’indomani del terremoto.

In una città pervasa da un senso di sradicamento socio-culturale, il quartiere fu casa ospitale e centro di aggregazione per alcune delle più importanti personalità del mondo culturale italiano.

Numerosi movimenti d’avanguardia sorsero tra le Case Lombarde: dai futuristi messinesi (Jannelli, Vann’Antò, Vasari) tanto apprezzati dal padre del futurismo italiano Marinetti; ai poeti simbolisti, ai quali si deve la prima rivista simbolista d’Italia “Le Parvenze” (Calabrò, Camagna, Toscano, Restori).

Fino ad arrivare al premio Nobel Salvatore Quasimodo, all’intellettuale Giorgio La Pira, al poeta Tommaso Cannizzaro, al cronista Mario La Rosa e ancora al giurista Salvatore Pugliatti.

Il Quartiere Lombardo è stato quindi al centro della rinascita non soltanto strutturale, ma soprattutto intellettuale, di una Messina devastata dal terremoto.

 

Il Quartiere oggi

©Andrea Rapisarda – dettaglio Quartiere Lombardo, Messina 2019

Sebbene dei 23 edifici originali oggi siano solo 12 i superstiti, la città non ha mai dimenticato l’impegno profuso dai compatrioti lombardi.

Attualmente, il Quartiere si estende tra il viale Europa, via Salandra, via Catania e il Viale San Martino.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

In via Brescia troviamo l’Istituto Don Bosco, che ha preso il posto dell’Orfanotrofio Lombardo nel 1930, oggi scuola e oratorio per centinaia di bambini e ragazzi. Due targhe commemorative, prima collocate nelle pareti dell’Orfanotrofio, sono state poste all’esterno della struttura nel 2008.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

Immediatamente accanto è sito l’Istituto Don Orione, oggi casa di accoglienza, cinema-teatro e sede di uno storico cineforum, nonché una statua del santo.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

Sul lato opposto  del viale Europa sorgono le Case Feltrinelli, donate dai fratelli omonimi, che recano una targa con parole di ringraziamento scritte da Cannizzaro.

In questo complesso intreccio di personaggi, istituzioni ed edifici, possiamo dunque ancora oggi ritrovare tutti i protagonisti di questa meravigliosa storia, semplicemente passeggiando per l’affollato centro messinese.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

Le vicende del Quartiere Lombardo prendono così nuovamente vita, nella sempre più concreta convinzione che l’Italia abbia bisogno, ora più che mai, di reali esempi di solidarietà tra Nord e Sud, per superare ogni differenza, diffidenza e disparità.

 

Emanuele Chiara

 

Bibliografia

Sergio Di Giacomo, “Il Quartiere Lombardo, la nobile Milano e la Lombardia per la risurrezione di Messina dal terremoto del 1908” e la bibliografia in esso citata.

Messina 1908 – 2018. La storia di un grande evento, il nostro

Orologio fermo alle 5.20, ora esatta dello scatenarsi del sisma della mattina del 28 dicembre 1908 (foto scattata nel già 1909)

Cosa fu, chiese il figlio al padre, aspetta disse il padre al piccolo.

Queste, silenti, brevi e semplici parole alle 5.15 di quella fredda mattina.

Soltanto cinque minuti dopo, nel momento in cui il bimbo stava per riprendere sonno, ad un tratto un boato, eccola, l’ira funesta della madre terra, che sprigionò tutta la sua forza laddove niente fu come prima. 

Tutto diventò altro, un tutt’uno tra inferno e paradiso, tra cielo e terra, tra acqua e fuoco, tra vento e quiete.

Messina subiva quello che noi oggi conosciamo come l’evento sismico più potente della nostra storia recente, uno di quelli che raggiunse il 7° grado della scala Mercalli, uno di quelli che vorresti essere nato in altro luogo del pianeta al solo pensiero.

Carmelo, questo il nome del bambino, si trovò dalla sua cameretta, dove discuteva col padre, a venire estratto dalle macerie della loro casa, del loro plesso, del loro rione. Quelle voci, quelle grida e quei lamenti, Carmelo li sentiva come fossero un sogno vissuto realmente al quale non diede molto peso, tanto in fin dei conti da lì a poco si sarebbe svegliato, pensò in cuor suo, per cui perchè preoccuparsi più di tanto…

Si rese conto nemmeno pochi istanti dopo che non era un sogno ma una realtà viva, attuale, vera più che mai. Lì iniziò a vedere con gli occhi di un bambino, quale lui era, tutto il dramma della vita: corpi riversi sotto i solai, sotto le travi e mobilia, mobilia ovunque, specchi rotti, legna, pietre, tantissime pietre, tutte le pietre del mondo dirà negli anni seguenti nei suoi racconti monotoni per i quali sarà financo schernito dalle future generazioni. 

Particolare degli interni di un appartamento in via Fossata nel 1909

 

Correva l’anno del Signore 1908 in quel di Messina, gia sede di provincia e prima tra le quattro città di distretto configurate nell’ottica borbonica dal punto di vista amministrativo. In ordine di importanza queste le quattro città già demaniali e di distretto in un tempo precedente: Messina, Castroreale, Patti e Mistretta.

Carmelo era figlio di quel tempo, figlio di quella terra ovvero di questa nostra stessa terra, Messina, la Sicilia, la nostra isola.

Diranno alcuni, figlio delle terre al di là del faro.

Così venivano intese infatti tutte le zone della Sicilia che non si trovavano “al di qua del faro” in cui ricadevano, geograficamente parlando, i centri della Calabria. Una dicitura già presente all’epoca borbonica e riportata per abitudine descrittiva nei vari passaggi di regno e/o annessioni territoriali.

Come lui, altre piccole anime, le quali nulla chiedevano, se non vivere a casa loro, in quella che era la loro città, tra quella che era la loro gente. Le Regie Poste, gli uffici amministrativi, abitazioni, statue, rioni, caseggiati, strutture ecclesiastiche e chi più ne ha più ne metta, andarono sgretolati nel giro di soli 37 secondi, interminabili e da nessuno mai pensati.

E’ vero, dirà qualcuno anni dopo, nel corso dei secoli altri furono i terremoti gravi ancor prima del 1908, basti ricordare uno su tutti il cosiddetto “terremoto di Castroreale dell’inizio del secolo 700”, 5.4 della scala Richter che colpì per forza di cose anche la città di Messina o i vari terremoti di Calabria dove ancora e sempre Messina per la vicinanza geografica ne subiva gli effetti non di poco conto.

Tornando al ricordo limpido del piccolo Carmelo, durante i mesi a ridosso del tragico evento cominciò a carpire cosa si stesse facendo e come si stesse operando. Fu preso in carico da alcuni parenti rimasi miracolosamente illesi durante il sisma e con loro alla fine crebbe negli anni successivi, almeno fintanto che non raggiunse la maggiore età e decise di proseguire la sua giovane vita, da messinese, impegnandosi nel sociale e mettendosi al servizio della sua comunità. Altri ancora, che il piccolo Carmelo lo conoscevano bene, dissero che alla fine diventò un infermiere prestando la sua opera in quel che fu poi per tutti la culla della sanità messinese. Carmelo, cresciuto da questi parenti, passava i pomeriggi a guadare come pezzo per pezzo nasceva il già Regio Ospedale Piemonte, per molti inteso Ospedale Civico, che fu interamente finanziato dal comitato piemontese che con la ingente cifra per quel tempo di lire 600.000, contribuì alla costruzione di uno dei primi plessi presenti in città interamente pianificati in cemento armato.

Ospedale Piemonte visto da sud ( il suo retro) anno 1911

 

E’ chiaro che tra le macerie e il legname che regnava in quel periodo, il cemento armato fu subito visto come soluzione risolutiva ai possibili futuri problemi sismici e quale azione lungimirante per un prosieguo di vita “normale” e ancor più vissuta in piena sicurezza. L’ospedale Piemonte, racconterà negli anni ancora il piccolo Carmelo, raccolse l’eredità del Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà, edificato a partire dal 1542, sull’area dove oggi sorge il Palazzo di Giustizia.

Messina con difficoltà oggettive cercò fin da subito di risollevarsi come sempre nei secoli seppe fare, ma qui le cose andarono a rilento. Il Governo del tempo, visto e considerato che molti uffici amministrativi, sia comunali che provinciali andarono distrutti e venne persa molta documentazione pubblica, ordinò il trasferiemento a tempo indeterminato (e fino a revoca governativa) degli stessi in quel della Città Regia del Castro Regale (attuale Castroreale), al tempo rientrante già nella provincia messinese.

Fu così, Carmelo raccontava ai prorpi assistiti durante lo svolgimentio del proprio lavoro, che Castroreale venne designata quale sede di provincia, sostituendosi subito dopo il 1908, di fatto, alla vicina ed amica Messina, accogliendo moltissimi esuli messinesi con le loro famiglie al seguito.

Carmelo crebbe, e con lui, anche la sua passione per la storia, la storia della sua terra.

Pensa un po’ , in un giorno di ordinario suo lavoro disse ad collega, anch’egli appassionato di storia locale; sapevi che il pulpito del nostro duomo fu distrutto dal sisma del 1908? e ricostruito sulla copia esatta di quello presente nel duomo monumentale di Castroreale?” No! rispose il collega, sapevo che l’originale ancor prima era il nostro messinese e che sulla base del nostro fu copiato a Castroreale.. E sai bene”! aggiunse Carmelo, e fu fortuna che Castroreale precedentamente lo copiò esattamante dal nostro, perchè nel terremoto del 1908 qui da noi, il nostro andò distrutto e l’unica copia fedele esattamente uguale restò in originale proprio quello di Castroreale! Da questo fu ricopiato l’attuale presente nel nostro duomo ovvero nella Cattedrale di Messina.  Per bacco! rispose il collega; e aggiunse: ma tu tutte questa cose come fai a saperle? Sembri più uno storico che un infermiere! Curiosità, disse Carmelo, semplice curiosità e abbassando lo sguardo aggiunse: io ero piccolo, e la più piccola pietra che allora sentì sul mio corpo mi impose e mi portò alla conoscenza, a scoprire, ad essere interessato ad essa, perchè se non lo fossi stato, tu stesso saresti rimasto all’oscuro su ciò che fu ed è la tua storia e la tua storia caro collega è la tua vita, il tuo nettare, la linfa per dare un futuro alle nuove generazioni. Magari un dì in questa misera vita, visitando te, i tuoi tardi nipoti, verranno devoti dove spento e sepolto sarai, ma verranno consapevoli di aver appreso da te un pezzeto di storia in più sulla loro terra, sulla loro zona e sulle loro vicende. Non credi?

Facciata del duomo di Messina distrutta

Il collega rimase perplesso, non sapeva che Carmelo vide il padre e la famiglia morire sotte le macerie e non sapeva, non poteva carpire la forza che aveva avuto a risollevare i ricordi da quelle stesse macerie, anche soltanto la storia, una di quelle che umilmente rimase ad ascoltare, accettando però l’idea che “bisogna passarci per capire” e mai sottovalutare e schernire gli effetti di una tragedia altrui.

Questo il tributo per i 110 anni dal tragico terremoto che colpì la nostra città, la nostra gente e i nostri luoghi più cari.

La Redazione Cultura Locale coglie l’occasione dell’anniversario del terremoto per ricordare l’importanza della prevenzione e della cultura della sicurezza in ambito sismico ricordando a se stessa per prima che puntare sulla conosenza del rischio, sulla formazione della cittadinanza e quindi della società civile, rappresenta la differenza tra rischiare e rimanere illesi in caso di possibili futuri drammi, che noi tutti ci auguriamo mai più accadano, ma che certamante devono far riflettere sulle decisioni e progettazioni urbanistiche dei prossimi anni.

Auguri per un sereno e felice nuovo anno e arrivederci con nuove storie, vicende da quel ed in quel di Messina.

Fonte immagini: pagina Facebook Messina Antica

Filippo Celi

 

… molti modi di dire messinesi nascondono delle storie assai curiose?

Ebbene sì, anche senza saperlo, il messinese porta dentro di sé la storia e la cultura della propria città. Sebbene ovviamente esistano delle testimonianze scritte, il dialetto e i modi di dire vengono appresi prevalentemente grazie alla tradizione orale. Tutti abbiamo un nonno che ci ha insegnato alcuni modi di dire e ci ha spiegato il loro significato, ma spesso l’origine di quei detti si è persa nella notte dei tempi. Di seguito si riporta qualche esempio. L’ espressione, ormai desueta, “fici cchiù dannu du cincu i frivaru” (ha fatto più danno del 5 febbraio), è legata al terremoto del 5 febbraio del 1783. La catastrofe ha distrutto interi centri abitati calabresi, come Palmi e Scilla e ha raso al suolo Messina, lasciando in piedi solo la Cittadella: viene considerato il più grande disastro del XVIII secolo nell’Italia meridionale. L’entità del fenomeno non è correlata all’elevato grado delle scosse, ma alla rapidità con cui si sono succedute (si parla di 5 scosse maggiori tra il 5 febbraio e il 28 marzo). A seguito dell’accaduto, nel maggio dello stesso anno, il regno borbonico emanò il primo governo antisismico d’Europa.

 

Il detto “Essiri cchiù di cani ‘i Brasi” (letteralmente “essere più dei cani di Biagio”), viene utilizzato molto spesso nel messinese per indicare ungrande numero di persone che creano una grande confusione. Vi sono diverse teorie riguardo l’origine di questa frase, ma sicuramente quella che segue è la più simpatica. Si dice che un Viceré spagnolo di nome Blas (Biagio) d’istanza a Messina, amante della caccia, abbia inviato una lettera al fratello in Spagna in cui gli chiedeva di mandargli 2 o 3 cani da caccia. La lettera è stata male interpretata dal fratello che ha letto la cifra di 203, scambiando la lettera o per il numero 0. Quando i 203 cani sono approdati a Messina a bordo di una nave, il loro baccano era talmente forte da essere udito per tutta Punta Faro.

 

Ad ogni modo una delle espressioni più amate dai messinesi è sicuramente “babbillumpa”, che letteralmente significa “scemo dell’UNPA”. Ma cos’è l’UNPA?L’Unione nazionale protezione antiaerea, in acronimo UNPA, era un’organizzazione della protezione civile istituita il 31 agosto 1934. Verso la fine del conflitto, lo stato di grave emergenza ha costretto al reclutamento di persone anziane e soggetti con deficit fisici o mentali esentati dal servizio militare. Nonostante il significato chiaramente denigratorio, bisogna ricordare che i cosiddetti “babbillumpa”, in tutta Italia, ma soprattutto a Messina (dove i bombardamenti sono stati moltissimi) hanno salvato parecchie vite, sia occupandosi dell’informazione preventiva in caso di attacco aereo, sia intervenendo alla fine del bombardamento per rimuovere le macerie e soccorrere i feriti. La tradizione messinese è piena di modi di dire il cui significato si è perso o sta per perdersi. Voi ne conoscete altri? Scriveteli nei commenti, saremo felici di conoscerli e pubblicarli.

Renata Cuzzola

1. Renato Guttuso, Giocatori di carte (amici all’osteria)