Estate,la stagione della leggerezza per la mente ed il corpo

La vacanza è il momento dell’anno in cui finalmente diventiamo padroni del nostro tempo, dunque il periodo ideale per educare la nostra quotidianità ad un ritmo che si dimentichi della frenesia.

Lo stress è sinonimo di tossine per la nostra armonia psico-fisica.

La stagione estiva è il momento propizio per “staccare la spina” e disintossicarsi.

Frenare il ciclo ineluttabile delle giornate, dedicarsi con pienezza a ciò che piace.

Smettere di rincorrere la perfezione imposta dalla vita lavorativa e domestica.

Lasciarsi trasportare dal flusso lento delle calde giornate, dormire quanto si desidera ed imparare a dire un fermo “no” agli impegni che destabilizzerebbero la tanto bramata serenità.

Il mare è la scenografia migliore per celebrare lo spettacolo della distensione estiva attraverso la lettura di un romanzo che stimola scorci inediti della nostra immaginazione.

Persino l’apparente fatica di una corsetta al tramonto  può diventare un momento d’analisi interiore che scaccia apprensioni, ansie e paure.

Anche la musica è parte fondamentale del contesto estivo, sonorizza le nostre emozioni e colora le sfumature, a volte sbiadite, dei giorni che si avvicendano e si mescolano al caldo torrido.

E’ importante iniziare a pensare l’estate come parte dell’anno più incline alla riscoperta, alla cura e all’appagamento di se stessi.

Antonio Mulone

Oltre me

Piansi. Piansi tanto. Piansi per la mia morte.

Il senso di pace che nella mia vita – a questo punto breve – mi ero convinta avrei provato, una volta trovatami a guardare il mio corpo giacere, staccato da me, tardava ad arrivare. Al suo posto, soltanto un ottundimento generale e un fischio smorzato alle mie orecchie che, accompagnato da un’incontenibile angoscia, faceva da eco ai miei singhiozzi. Piangere. Questa era cosa da vivi. La paura. Anche questa era una cosa da vivi. Eppure eccoli lì, quei sentimenti, più corposi del mio stesso essere, intenti a devastarmi l’anima, a quel punto più esposta che mai. Se così poteva chiamarsi. Non potevo più esserne sicura. Che cosa ero? Una creatura evanescente, a metà tra un sogno e un ologramma, che nessuno poteva vedere o sentire. Una creatura incapace di essere ma condannata ad esistere.Percepivo i miei movimenti, il mio frenetico singhiozzare, ma l’unica me che vedevo era quella distesa in terra. Un corpo orridamente carbonizzato era tutto ciò che restava di me. Guardai la voragine presente al centro del mio petto, e ricordai limpidamente lo scossone e l’incredibile bruciore che devastarono il mio sterno un attimo prima di ritrovarmi faccia a faccia con me stessa. Provai a dare un freno al mio pianto disperato, muto ai presenti, e mi chinai a guardarmi più da vicino. Sfiorai tremante il mio corpo – che sentivo ancora mio nonostante non mi appartenesse più – e non sentii nulla. Nessun contatto. Il nulla era ciò che ero. Affondai in quel corpo la mano inconsistente, e l’inconsistenza vinse. Se pur straziante questo non mi stupì. Fu l’unica aspettativa a non essere tradita. Il mio corpo giaceva disteso, sul cemento freddo di un marciapiede, ormai gremito di persone. La pelle carbonizzata, a tratti lasciava intravedere ossa e tendini. Il volto, anch’esso sfigurato dalle ustioni, stentavo a riconoscerlo. Un piccolo, insignificante pezzo di metallo, che portava la forma dell’iniziale del mio nome, appeso al mio collo, aveva deciso della mia vita, stroncandola nel pieno dei suoi anni. Un fulmine, attratto fatalmente al mio petto, fece del mio corpo la sua meta, completando in me la ragione del suo esistere. Una scarica elettrica che sembrava portare in seno l’ira dell’inferno, al quale ormai credevo di essere destinata, aveva attraversato il mio corpo, folgorando il mio cuore e bruciando le mie membra. Sapevo di essere morta, era l’unico aggettivo con il quale riuscivo a esprimere ciò che ero. Lo gridava la gente, con le loro voci straziate e i pianti increduli, ovattati dall’ incessante pioggia, che rimbombava al mio udito frastornato. Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte. Mi ero inconsciamente arrogata il pretenzioso diritto di una vita longeva, che mi desse il tempo di inseguire i miei sogni, di percorrere mille strade e anche di trovare quella giusta. Dovevo ancora finire gli studi, trovare un lavoro, trovare l’amore, viaggiare, farmi una famiglia…Dovevo ancora vivere per poter morire. Non ero pronta a rinunciare a tutto questo. Se esisteva un destino, sentivo che morire non era il mio, non adesso. Percepivo ancora il mio forte attaccamento alla vita, sentivo di non essere pronta ad abbandonare il mio corpo, la mia famiglia, la mia vita. Non ero una cristiana modello, e non ero solita frequentare la chiesa, ma avevo sempre creduto in Dio, e credevo che avrei avuto anche il tempo di essere una fedele migliore, prima o poi, ma certe cose non si possono rimandare, e forse, questa era la mia punizione: la negazione della pace. Pensavo che la paura della morte fosse soltanto un tarlo di chi è ancora in vita, ma non avrei mai immaginato che la paura, sarebbe sopravvissuta anche alla morte.

Un’immediata rassegnazione e un grande senso di pace, erano le sensazioni che, in fondo, avevo sempre creduto avrei provato dopo il trapasso. Invece, l’incredulità, la negazione e l’angoscia, insieme alla paura, erano tutto ciò che riuscivo a percepire, sopra ogni cosa. Arrivarono i soccorsi, e notai con stupore che controllarono i miei parametri vitali. Forse era solo una prassi. Uno scrupolo. Presero dalla mia borsetta i miei documenti. L’identificazione del cadavere, pensai. Poi, un poliziotto, prese il mio cellulare. “No! Il cellulare no!”, avrebbero chiamato i miei, probabilmente mia madre: era stata l’ultima persona con la quale mi ero sentita. “No vi prego non chiamatela!”, non potevo dare questo dolore alla mia famiglia, perché dovevo assistere a tutto questo? L’angoscia di dover commissionare un dolore così grande ai miei cari, mi colpì come un secondo fulmine, percuotendo violentemente tutti i miei caotici sentimenti. L’agente con il mio cellulare, dopo un rapido scambio di parole con uno dei paramedici che stavano intorno al mio corpo, occultandolo alla mia vista, si allontanò leggermente, evadendo dalla folla. Forse il desiderio di non assistere a quel momento, in cui oltre alla mia, sentivo di percepire la forte angoscia che, di lì a poco, avrebbe investito la mia famiglia, o forse, per una qualche misericordia divina, capii che stavo allontanandomi da quel luogo, al quale sentivo, tuttavia, di appartenere ancora. Tra le ultime cose che notai, un respiratore manuale, con il quale uno dei paramedici, pompava ossigeno nei miei polmoni. Una leggera speranza, incredula, s’instillò tra i miei turbamenti, illuminando, come una fioca fiammella, il buio che, percepivo ormai intorno a me. Ad un tratto sentii, man mano che ascendevo, verso una meta ancora a me sconosciuta, che i sentimenti, che avevano fatto da sfondo a quell’angosciante quadro, del quale ormai percepivo solo delle immagini lontane e confuse, rimanevano collegate al luogo nel quale si erano generate, mentre il mio essere acquisiva una leggerezza crescente, man mano che sentivo marcarsi quell’indefinito confine, tra vita terrena e vita ultraterrena. La pace che percepii, improvvisamente, non generò né sollievo né stupore. Pace era l’unico sentimento che mi fu concesso di provare, l’unica domanda e risposta alla quale riuscivo a pensare, in quel luogo del quale i confini non erano tracciabili. Tutte le mie paure si erano dissolte completamente, portando con sé anche il desiderio di riavere indietro la mia vita. La mia vita terrena. Non potevo dire di trovarmi né in un luogo né in un tempo precisi, e forse, luogo e tempo non erano contemplati in quel posto etereo. Ero come in un tunnel, dallo spazio indefinito, illuminato da una leggera luce che aumentava man mano che una forza misteriosa mi attirava a sé, verso una luce molto più intensa, quasi accecante, ma che la mia vista non turbava, anzi, ne ero inesorabilmente attratta. Provai un’immensa gioia solo al pensiero di raggiungerla. Era come se i miei occhi non ne ebbero mai visto uno spiraglio, neppure in vita, come se avessi vissuto in un’eterna penombra, senza conoscere la bellezza della vera luce.

Ad un certo punto presero le mie mani, ed il contatto improvviso non mi fece trasalire, tutt’altro, mi fece sentire più sicura. Percepii due presenze, una alla mia destra e una alla mia sinistra. Si trattava di due angeli, e non ebbi bisogno di guardarli per saperlo. Mi parlarono ma le parole non erano il linguaggio proprio di quel luogo. Comunicammo in un modo che venne naturale pure a me, nonostante non avesse niente in comune con il linguaggio al quale ero abituata. Fu come comunicare con la mente, se dovessi spiegarlo nel modo più semplice. Mi chiesero cosa ci facessi lì, che ero giunta troppo presto, e che non ero ancora pronta per incontrare il Padre. “Il Padre”, solo questa parola mi riempì il cuore di gioia, e incontrarlo divenne il mio desiderio più grande. Risposi che un fulmine mi aveva colpita, che credevo di essere morta, e che prima, nell’attesa, mi ero sentita smarrita, abbandonata. “Ti abbiamo sentita” mi risposero, “ma non eravamo pronti a te” e capii. Capii il perché di tutta quell’angoscia che ricordavo pesante come un macigno: non erano pronti a me ed io non ero pronta a loro. Non era questo il giorno previsto per la mia morte. Gli chiesi se potevo restare, ma mi risposero che non era compito loro deciderlo, e solo al pensiero di ritornare indietro, mi si riempì il cuore di tristezza, sentivo che, adesso, tutto ciò di cui avevo bisogno, era lì, in quella luce, che sembravo non raggiungere mai. I due angeli che mi fiancheggiavano lungo il cammino, mi dissero di guardare, ma capii che gli occhi non erano il mezzo per farlo. Guardai come dentro di me, e vidi quello che loro mi mostrarono. Tutta la mia vita mi passo davanti, senza tralasciare nessun particolare. Rividi uno ad uno tutti i volti delle persone che avevano interferito nella mia vita: dagli affetti più cari alle persone con le quali avevo scambiato solo poche parole. Rivissi tutto da una prospettiva diversa, sentendo sulla mia pelle, le emozioni che le mie azioni avevano provocato a ognuno di loro. Provai vergogna e frustrazione per tutto il male che avevo inflitto, anche solo con le parole. Solo in quel momento riuscii a capire quanto avessi battuto la strada del peccato sviandomi dal cammino che Dio aveva scelto per me. La strada che nella mia vita avevo percorso, era lastricata di tentazioni, nelle quali inciampavo puntualmente. Mi resi conto che andare in chiesa ogni tanto e dire di credere in Dio, non faceva di me una brava cristiana. La cura del mio aspetto, un tenore di vita agiato, il raggiungimento del successo, erano stati il mio credo. Avevo sempre subordinato l’essere all’apparire. Mi accorsi che stavo allontanandomi dalla grande luce, e capii che il mio viaggio oltre la vita, stava per terminare. Quando mi risvegliai ebbi la consapevolezza che non si era trattato di un sogno, ma il ricordo di quell’esperienza, era più tangibile del mio corpo stesso. Capii di aver avuto una seconda occasione, e con essa, la grandiosa possibilità di redimermi. Ritrovai la strada, solo dopo essermi trovata faccia a faccia con la morte, in un viaggio di andata e ritorno oltre la vita. Oltre me.

Giusi Villa

OHM Resistenze sociali – il 25 Aprile di Milazzo

OHM – Resistenze sociali è un appuntamento presente ormai da alcuni anni, nato con l’intento di condividere e diffondere le tematiche importanti del territorio siciliano e la necessità di continuare a farlo con maggiore costanza. Un importante momento in cui musica ed arte si uniscono al dibattito. In occasione della ricorrenza del 25 Aprile, i valori di libertà, autodeterminazione, antifascismo, inclusione e condivisione sono stati i protagonisti della manifestazione.

La giornata è iniziata con l’Assemblea Pubblica, a cura della Rete dei comitati territoriali Siciliani e Arci Messina.
E’ stato un momento di riunione di molti gruppi provenienti dall’intero territorio siciliano. Ogni gruppo ha presentato il proprio progetto di resistenza sociale, mettendo in luce la sinergia tra i vari movimenti e la necessità di fare rete, di creare condivisione e collegamenti tra i cittadini.

Il motore del festival è stato lo slogan “No Plastica”, soprattutto per la sensibilizzazione del problema ambientale che affligge la  discarica Armicci di Lentini. Diverse attività si sono svolte ispirandosi al tema, come laboratori per adulti e bambini di sensibilizzazione, creando giochi, oggettistica e arredi con materiali riciclati. Inoltre vi era la possibilità di svolgere lezioni di yoga, passeggiate naturalistiche tra i sentieri del Capo ed ogni tanto si potevano trovare lungo il percorso mercatini di artigianato.

 

OHM – Resistenze sociali è stata promossa dai circoli ARCi “Centopassi” di Torregrotta, “Cohiba” di Barcellona e Senza Confini di Furnari.

 

Insomma, un 25 Aprile all’insegna dei valori fondamentali che hanno reso possibile la celebrazione di questa ricorrenza, per continuare a trasmettere gli ideali che hanno mosso le gesta dei combattenti che si sono spesi per la nostra democrazia, per la resistenza del cittadino, per la libertà dell’individuo.

                                           

Marina Fulco

Foto ©Marina Fulco

Quattro chiacchiere con Silvia Russo – Be Art: sii arte, anche tu.

“La percezione del sè: in quanti e quali modi ti definisci? Sai veramente che percezione hai di te? Rifacendoci a Pirandello, noi siamo uno, nessuno e centomila.”
Così si è aperto il secondo evento, tenutosi lo scorso 3 Aprile, del progetto Be Art: una casa da riempire, qualche giovane artista ed il carisma di chi vuole creare una realtà che a tentoni si fa spazio nella città dello stretto.

Dall’idea di Silvia Russo, ragazza di vent’anni dagli occhi sognanti, è nato questo progetto tra il casalingo e bohémien, ed ha tutta l’aria di non volersi fermare.
Tra oggetti dimenticati ed un altro “e anche questa è andata!” abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Cosa ti ha ispirata a creare questo progetto?

Molto semplicemente dovevo arredare questa casa che già avevo ed era completamente vuota; un giorno, al telefono con una mia amica, dicevamo che sarebbe bello arredarla con quello che trovavo, molto “fai da te”. Ho portato un sacco di libri, foto, che in camera non entravano più, e tutto ciò che portavo da vari viaggi. Il mio desiderio era quello di trasformare questa casa in una galleria d’arte, tutto al suo posto. Infatti, una volta sistemata mi rendevo conto che volevo condividere quel che avevo – che poi principalmente sono libri di arte, oggetti particolari, quadretti – con gli altri, ma non volendo “esporre” solo cose mie, ho contattato vari artisti e così è nato tutto. Inoltre avevo visitato diverse mostre che mi avevano ispirata e ho detto: facciamolo.

C’è un pubblico specifico al quale punti?

Mmh, sai non ci ho mai veramente pensato. So, comunque, che ho sempre voluto accogliere gente interessata all’arte, che vuole conoscere, apprendere, mettersi anche in discussione (come ad esempio il tema del secondo evento è stato “la percezione del sé”, un argomento estremamente soggettivo e profondo) . La mia paura era che, soprattutto in una realtà come quella di Messina, ci fossero persone che venissero solo per creare scompiglio, dare fastidio…insomma come diciamo qui, che venissero solo per fare “sciacquazza”. In ogni caso, parlando di età, non ho un prototipo. Certo, è stata una piacevole sorpresa vedere persone adulte che giravano per le stanze, interessate ed entusiaste dell’iniziativa. È un motivo di orgoglio, soprattutto perché non me l’aspettavo.

Hai trovato difficoltà ad inserire questo progetto in una città come Messina?

All’inizio pensavo non venisse nessuno: la prima mostra ha avuto un’affluenza che, contro le aspettative, ha superato le 200 persone. È stato pazzesco, io ho provato emozioni per un mese. Sono stata felicissima! Ho comunque notato che sono poche le persone realmente interessate, inoltre con questo progetto mi sono resa conto che abbiamo creato qualcosa di più di una mostra: chi ha partecipato ha visto che cerchiamo di far interagire il pubblico con le opere e con gli artisti (ndr. Durante la prima edizione il pubblico si poteva mettere alla prova sfruttando i propri sensi; durante la seconda era presente una make-up artist, e ad ogni persona si scattava una foto sulla quale una degli artisti vi disegnava sopra). Ho sempre voluto creare un legame tra chi guarda l’opera e chi la crea, già il nome stesso del progetto lo suggerisce: sii arte anche tu.

Hai intenzione di procedere sulla stessa linea, sviluppando il progetto allo stesso modo o…

Ti dirò, ancora non lo so – ancora devo metabolizzare questa – comunque sto iniziando a pensare a qualcosa all’aperto, in un giardino durante il periodo estivo. L’importante è mantenere le radici di questo progetto: “casalingo” ed interattivo.

Gli artisti che hanno partecipato alla seconda edizione di Be Art sono (in ordine alfabetico):

  • Vittoria Abramo aka VITTY – grafica
  • Sofia Bernava – pittura
  • Giuseppe Bongiorno – scultura
  • Manuel Cavalli – disegno
  • Giordana Ciccolo – pittura
  • Carlo Ciliberto – fotografia
  • Davide De Stefano –  fumetto
  • Alessia Giuffrida – fotografia
  • Giulia Greco – fotografia
  • Elena Imbesi – collage
  • Gabriele Ingrassia – disegno
  • Silvia Mancuso – make-up artist
  • Silvia Russo – fotografia
  • Andrea Speranza – disegno
  • Anna Viscuso – pittura tridimensionale
  • Paolo Enrico Zagami – fotografia

Belle cose per bella gente! E con l’augurio che tutto vada per il meglio, non ci resta che aggiornarci sulle pagine Facebook  Be Art (@beartmessina) ed Instagram @officialbeart .

 

 

 

Giulia Greco

 

 

 

L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón

È sempre bello ritrovare quei libri che da tanto tempo aspettano di essere letti.

Magari su uno scaffale in alto della libreria, a prendere polvere tra il vecchio dizionario di latino -ormai logoro e sapientemente ricucito da migliaia di pezzi di scotch- e la vecchia collezione di film in “cassetta” – tra le quali svetterà sempre l’improponibile filmato della “Tua Prima Comunione”. Sembra essere li da tantissimo tempo in attesa di qualcuno che si imbatta in “lui”, che gli dia la possibilità di raccontarsi ancora una volta prima di essere nuovamente dimenticato, forse per sempre…

“L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón inizia proprio in questo modo, con il ritrovamento di un libro misterioso, scritto da un autore sconosciuto, li dove tutti i libri vanno a trovare rifugio dall’oblio, nel Cimitero dei Libri Dimenticati.

È il 1945 e Barcellona mostra ancora le ferite aperte dagli anni della Guerra civile e del regime di Franco durante il Secondo Conflitto Mondiale. Daniel Sempere e suo padre, proprietario di una modesta libreria, stanno raggiungendo la misteriosa e labirintica Biblioteca per riproporre un antico rito tramandato di padre in figlio nelle famiglie dei librai: il ragazzo dovrà scegliere un libro tra i milioni esposti negli scaffali del “Cimitero” e adottarlo per il resto della sua vita. La scelta ricade proprio su “L’ombra del vento” di Julian Carax, scrittore misterioso ed ignoto persino agli esperti colleghi del padre di Daniel. La lettura del libro strega il giovane Sempere che decide di andare alla ricerca degli altri manoscritti di Carax, ma scopre ben presto che tutte le sue opere sono state distrutte e che nessuno ha più notizie dello stesso autore. Da qui inizierà l’avventura di Daniel alla ricerca della verità nascosta dietro le pagine di quel romanzo, un’avventura che lo metterà davanti a numerose scelte difficili, a sentimenti contrastanti e a rivelazioni sconcertanti.

“Ogni libro possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso.”

“L’ombra del vento” è un romanzo da leggere tutto d’un fiato. La storia è narrata in maniera semplice e chiara e fa dei colpi di scena e del mistero la sua più grande virtù. Zafón riesce a farci vivere la Barcellona dei primi anni 50’ attraverso descrizioni e particolari che trasformano le semplici parole in diapositive dai toni seppia, che rendono ancora più viva l’immagine della città. I personaggi sono tutti inseriti perfettamente nel testo come le tessere di un mosaico antico, ognuno con la propria personalità ben definita, con i propri pensieri e ricordi che tornano a galla nel testo per ravvivarla di luci sempre nuove ed inaspettate.

“ …Le sue mani, nella magica penombra di quella loggia, impressero sulla mia pelle il marchio di una maledizione che mi avrebbe perseguitato per anni.”

Ossessione, credo sia questa la parola giusta per descrivere questo libro. La passione è l’ossessione che muove la penna di Julian Carax sulle pagine dei suoi vividi romanzi; la verità è l’ossessione che spinge Daniel ad affrontare anni di silenzi ed inganni; la ricerca incessante dell’amore è l’ossessione di tutti i personaggi di questa storia, un amore puro e sincero che troppe volte viene macchiato dalla crudeltà di chi l’amore l’ha ormai perso da tanto tempo e che trova la sua ossessione nell’accecante bagliore della vendetta.

È una lettura consigliata per tutti coloro che spesso seguono l’istinto. Lo stesso istinto che li spinge a cercare un libro nuovo sull’ultimo ripiano della libreria, li dove accatastiamo oggetti e vecchi ricordi a prender polvere e che forse ogni tanto guardiamo con malinconia pensando di averli ormai abbandonati all’oblio, senza capire invece che i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito.

Ps. “…Bocca rossa di caramella …Questa vita sulla terra è così bella…” grazie a te.

Giorgio Muzzupappa

St. Vincent: una wonder musician

Mentre scrivo la sto ascoltando chiedersi “Am I the only one in the only world?” : è l’inizio di “Rattlesnake” che apre il suo ultimo album “St. Vincent” risalente ormai al 2014.

Annie Clark aka St. Vincent non è l’unica donna al mondo ma è sicuramente un’artista intrigante, polistrumentista e cantautrice mai scontata nei testi e nella composizione musicale.

Ma su tutto: una divinità con la chitarra, e non sto esagerando.
Ci sarà un motivo per cui Dave Grohl l’ha chiamata per cantare “Lithium” nell’unica reunion dei Nirvana alla Rock and Roll Hall of Fame. Con il genio sperimentalista di David Byrne ha inciso un album “Love this giant” e girato il mondo in tour. Fa faville ai festival, unendo performance visiva e musica.
Il figlio di Frank Zappa in una recente intervista ha suggerito a coloro che si vogliono avvicinare al lavoro del padre di ascoltare prima lei, perché gli ricorda il padre per ritmica e cadenze sincopate. Suggerendo la visione di lei in un festival che suona una cover di “Dig a Pony”.

Cover dell’omonimo album “St Vincent”


Tornando all’album, i primi due singoli sono un gioco di chitarra e distorsioni del suono, fornendo essa stessa un elemento ritmico e sensuale.
“Birth in reverse” è un continuo sali e scendi vocale accompagnato da una velocissima coda strumentale.
Inizia “Prince Johnny”  è una canzone d’amore il cui testo è complesso,  si viene trasportati lungo tutta questa storia da una delicata tastiera.
C’è il tripudio di ottoni in “Digital Witness” , che prende in giro la società odierna e la dipendenza dalla tecnologia.
Ma c’è spazio anche per i lenti “I Prefer Your Love” è una intima melodia tra i suoi pezzi più struggenti in assoluto. Il  ritmo serrato e coinvolgente di “Psychopath”.
Nella versione deluxe dell’album troviamo “Pieta” che ad una base serrata di percussioni unisce un coro da chiesa e un testo filosofico.

La mia preferita in assoluto è “Regret” che con quelle percussioni eccita e riempie di energia.
In molti la etichettano come pop in questo suo disco ma io non riesco proprio perché è un miscuglio di generi, è un complesso non catalogabile che riesce a soddisfare tutti.
C’è tutto, garantendo una leggerezza di tocco e chiarezza melodica da fuoriclasse.
Quasi dimenticavo : “St. Vincent” nel 2015 ha vinto un Grammy come “miglior album alternativo”.
La musica di St. Vincent, come lei, è galvanizzante.

Ha creato un approccio totalmente nuovo nel suonare la chitarra: unico.
Validissimi anche i lavori degli album precedenti “Strange mercy”, “Actor” e “Marry me”.
La texana itinerante (negli ultimi 10 anni è stata quasi sempre on the road) ha fatto parte della Polyphonic Spree un gruppo di Dallas che unisce alla varietà di voci diversi strumenti, dal trombone al violino dalla tastiera elettrica al corno.
Ha collaborato anche con Sufjan Stevens altro cantautore polistrumentista , anche lui sperimenta moltissimo e il cui lavoro è più che notevole.
Da donna a cui piace sperimentare quest’anno si è cimentata anche nella regia di un corto horror, che in realtà sembra più il teatro dell’assurdo, marcatamente il suo stile.
Fa parte di una antologia chiamata “XX” (nda sono tutte registe donne) presentato al passato Sundance festival.
Ha inciso anche una cover di “Emotional rescue” dei Rolling Stones per il film di Luca Guadagnino “A bigger splash” e lavorato per la colonna sonora del primo corto di Kristen Stewart “Come swim”.

A dicembre in una intervista rilasciata a “Guitar World” ha affermato che il materiale scritto per il nuovo album è “il più profondo e più audace che abbia mai fatto”.
Proprio mercoledì con un divertente video ha annunciato le date del tour che inizierà in Giappone a fine agosto “Fear the future tour” http://https://www.youtube.com/watch?v=eFXq8OU1dNQ


Aspettiamoci dunque di tutto, c’è bisogno di creatività, sperimentazione e sana musica.
Questa donna dagli occhi di cerbiatto e dalla chitarra spiritata non ha sbagliato un colpo fino ad ora.
Intanto ci stuzzica su Instagram con foto dallo studio:

A me viene solo da dire : “Annie ESCILO!”.

Arianna De Arcangelis

Pirati dei Caraibi: la vendetta di Salazar

“Non vado in cerca di guai”
“Che orribile stile di vita ! “

Chi è che ad oggi non ha mai visto questa famosa e fortunatissima saga cinematografica?

Chi non ha mai subito il fascino dello stravagante e carismatico Capitan Jack Sparrow (Johnny Depp)? E chi non ha mai desiderato di trovarsi al suo posto e vivere le sue stesse avventure, oltremodo fuori dal normale?

Per tutti coloro che, dopo aver sospirato per la storia tra Sparrow e Angelica Teach (Penelope Cruz) in quello che sembrava essere l’ultimo capitolo, si sono chiesti se fosse davvero finita lì o ci sarebbe stato un seguito…beh, eccovi accontentati!

A distanza di ben sei anni, esce nelle sale italiane, il 24 maggio 2017, il quinto attesissimo episodio della saga: “La vendetta di Salazar”.

Jack Sparrow, più svampito del solito, è come sempre in balia della sfortuna e dei guai: una flotta di pirati fantasma guidati dal vendicativo Capitano Armando Salazar (Javier Bardem), fuggono dal Triangolo del Diavolo, a bordo della Silent Mary, e hanno come obbiettivo quello di ripulire il mare uccidendo ogni pirata, e in particolare vogliono uccidere Sparrow!

L’unica speranza di salvezza del nostro capitano è riposta nel Tridente di Poseidone, capace di spezzare ogni maledizione. La ricerca di quest‘ultimo porterà Jack ad incrociare la propria strada con quella di Carina Smyth (Kaya Scodelario) un’avvenente astronoma ed Henry Turner (Brenton Thwames) marinaio della Royal Navy, nonché figlio di Will Turner (Orlando Bloom) ed Elizabeth Swann (Keira Knightley), coppia che in quest’ultimo film fa il suo grande ritorno.

Saprà il nostro irriverente Jack, a bordo del suo malandato vascello, far fronte a tutti i pericoli che incomberanno e a salvarsi anche sta volta?

Dopo un quasi deludente quarto capitolo, che aveva fatto credere che più niente ci sarebbe stato da raccontare sulla vita di questi “cattivi del mare”, la regia dei norvegesi Joachim Rønning ed Espen Sandberg, si pone come obbiettivo quello di riportare il film ad avere lo stesso successo iniziale. Sono stati gli stessi registi ad affermare di voler realizzare “il miglior film della saga”; e per far ciò hanno voluto radunare, sempre citandoli ”la vecchia gang”.

Ecco spiegato allora il ritorno di Will ed Elizabeth, del figlio Henry e la presenza sempreverde di Geoffrey Rush nei panni di Hector Barbossa e ancora, come non sottolineare la partecipazione di Paul McCartney, anche lui col nome di Jack, ad interpretare lo zio del protagonista?

Protagonista che ci si presenta irriverente, scanzonato, impudente come sempre, insomma…il solito Capitan Jack Sparrow!

Un mix di personaggi vecchi e nuovi, un cast di tutto rispetto che gli conferisce la verve del primo film, quello che ha reso questa saga un cult del cinema fantastico.

Già dalla data di uscita il film è stato apprezzatissimo dai fans e ben accolto dalla critica; questo lascia forse ben sperare in un proseguimento? Lo scopriremo, nel frattempo continuiamo a riempire sale e come sempre… Vita da pirata!

Benedetta Sisinni

Wonder woman – la prima eroina.

C’è una bambina che corre, sta scappando per andare a vedere delle donne allenarsi al combattimento. Questa bambina è Diana (la futura Wonder Woman) e queste donne le Amazzoni.

Dopo anni la Warner Bros e la DC sono riusciti a produrre e mandare in sala Wonder Woman. Tratto dall’omonimo fumetto creato da William Moulton Marston nel 1941, nata come simbolo per le donne. Una delle eroine più famose della storia dei fumetti.

Figlia della regina delle Amazzoni Ippolita e cresciuta sull’isola Paradiso la lascerà quando sulle sue coste cade Steve Trevor un pilota americano, durante la seconda guerra mondiale.
In questa trasposizione cinematografica la cui regista è Patty Jenkins (Monster) e gli sceneggiatori e tutto l’ensemble sono uomini (“It is a man’s world” cantava James Brown) la nostra supereroina, invece, è catapultata durante la prima guerra mondiale e segue la spia Trevor in Inghilterra.
È convinta di poter ristabilire la pace universale trovando Ares e neutralizzandolo una volta per tutte.

La sceneggiatura è scarna, con qualche battuta divertente e d’effetto, la Jenkins però lascia il suo segno con la regia lineare, non puntata tutto sulla fisicità di Diane e delle Amazzoni. La differenza di stile fra chi ha diretto e chi ha sceneggiato è notevole.
Gioca molto sul contrasto fra i principi e gli usi dell’antica Grecia di Diana e quelli della modernità incarnati da Steve Trevor ciò stimolerà sicuramente le giovani menti.  
Il primo tempo è molto coinvolgente, belle le scene di battaglia sulla spiaggia (ndr sono state girate tutte in Italia : spiagge in Campania e le scene di palazzo a Matera e Castel del Monte).
Inizialmente il secondo tempo coinvolge, lo sguardo scioccato e innocente di Diana che si aggira per il fronte, siamo lì con lei e proviamo lo stesso sconforto.
Si allunga troppo lasciando spazio ad un finale un po’ eccessivo.

Gal Gadot è la perfetta Diana, sovrasta Chris Pine (Don’t worry darling) solo con lo sguardo, più che nei momenti di battaglia in quelli di quiete e di comprensione di com’è il mondo. È brava assai.
Caricaturali i tre personaggi che li accompagnano, un turco, un disadattato e un indiano. A quest’ultimo la limitata sceneggiatura gli affibbia frasi politically correct. Stereotipata pure la segretaria di Chris Pine, anche se simpatica.
Dulcis in fundo ci sono le amazzoni: splendide donne. Imponenti le scene iniziali dell’isola e dei combattimenti fra queste. E poi Connie Nielsen e Robin Wright nei panni della regina Ippolita e la generalessa Antiope che fanno dire , per citare il mio giornalista del cuore Federico Pontiggia,  “Wonder MILF”.

Wonder woman colpisce positivamente il pubblico e divide la critica (v. i numeri del box office e le valutazioni su Rotten Tomatoes). È già passato alla storia del botteghino in America con un incasso di $100.5 milioni di dollari nel primo weekend.
Chi scrive è cresciuta coi fumetti di Wonder Woman, Valentina e in tv Carmen Sandiego (Netflix la riporterà presto interpretata da Gina Rodriguez) e altre personaggi immaginari femminili però al cinema durante la mia infanzia non ho mai potuto apprezzare un film di questo tipo.
Questo film si sta ponendo come la alternativa per le ragazzine ad un panorama di eroi uomini. È coinvolgente e stilisticamente affascinante.
Le donne però non devono essere solo raffigurate ma anche coinvolte nei lavori, credute nei progetti che propongono. 

Ndr: nel 2016 il 4% erano registe, l’11% sceneggiatrici, 19% produttrici, 14% editrici e uno sconcertante 3% direttrici della fotografia. Ad Hollywood.

Arianna De Arcangelis

Earth Day a Messina: full immersion nella flora peloritana

Il 22 Aprile, da ben 47 anni, è la giornata mondiale della Terra.
È primavera, il clima è mite, il sole (specie in Sicilia) accarezza con i suoi primi raggi caldi gli esseri umani, stolte creature che con gli anni dimenticano sempre di più di trattare bene la propria casa  e, di conseguenza, l’importante responsabilità di cui sono investiti.
Il contatto con la Terra è spesso sottovalutato, si crede che “abbracciare gli alberi” sia un atteggiamento da sensattottino hippie-naturalista-pazzoide con la testa sempre tra le nuvole, c’è chi non si trova a proprio agio immerso nella natura: ed io mi chiedo, se noi siamo scimmie evolute frutto di questa palla rotante, come facciamo a sentirci a disagio nel nostro habitat? Ecco perché, a mio modesto parere, l’Earth Day è una ricorrenza importante, per tornare alle origini, per dimenticare la routine che ci siamo creati e che ci trasforma giornalmente, come sostiene il maestro siciliano F. Battiato, in insetti.

Grazie alla cooperazione di alcune associazioni studentesche, nella nostra città si è realizzata una splendida iniziativa intitolata “Into the wild”.
I partecipanti hanno vissuto un vero e proprio coinvolgimento con la macchia mediterranea caratteristica dei Peloritani. Partiti alle 10.30 dalla chiesa di San Michele, gli aderenti hanno percorso l’antico sentiero che collegava la città dello Stretto con Palermo.
Il percorso, per colpa dell’incuria è stato tortuoso, e sfortunatamente, nei pressi delle abitazioni si trovavano tracce di immondizia. Proseguendo per il tragitto, allontanandoci dal livello del mare, le guide hanno spiegato la flora che  ci circondava, e nel frattempo il paesaggio diventava sempre più incredibile. Piano piano, salendo, spuntavano all’orizzonte posti familiari che la lontananza rendeva minuscoli.

La prima fermata è stata all’altezza del caratteristico ritrovo Portella che, all’insaputa della maggior parte dei presenti, ha attorno a sé alcuni bunker risalenti alla prima e alla seconda guerra mondiale.
La passeggiata ecologica è proseguita tra salite e discese, fino ad arrivare in un punto panoramico da cui si vedevano i due mari: a destra il Tirreno (all’orizzonte si scorgevano nitide le isole Eolie), a sinistra lo Jonio. “Della saggezza delle piante, mi stupisco sempre” – Gli occhi della luna, Ex-Otago – questa è stata la frase che mi è frullata in testa durante l’escursione: ci siamo ritrovati nascosti tra felci, ginestre, sugheri, pini e tantissime altre piante di cui non ho la più pallida idea ma che mi lasciavano stupita e meravigliata della grandezza della natura. Come piccoli esploratori (cara “Dora l’esploratrice” ti rivolgo i miei più sinceri ringraziamenti) siamo passati per un sentiero stretto, e la vegetazione in alcuni tratti formava brevi gallerie. Si percepiva…magia!

Giunti finalmente al forte San Jachiddu, la prima sensazione che chiunque ha provato è stata armonia: armonia con il paesaggio, con la natura, un senso di pace con il proprio io. Vibrazioni positive e cura dei dettagli sono il frutto del duro lavoro che ha svolto il sig. Mario Albano, il quale ha deciso di prendere in gestione il forte. “L’anima del posto è parte della nostra anima e viceversa. Al forte hanno vissuto fino al 1200 uomini di pace, che ricercavano Dio. Rieducare l’uomo a ritrovare se stesso attraverso un percorso, avvicinando l’animo umano all’animo della natura. Per noi ogni cosa della natura ha un’anima, e va rispettata, come loro rispettano noi. È stato eliminato ogni segno di violenza per fiorire in un luogo di pace e di benessere. C’è ancora un’esistenza che aspetta che voi torniate, e quando tornerete, tutto ciò che cercavate lontano, scoprirete che è dentro di voi. Questo è il parco ecovivarium San Jachiddu” queste sono le parole di Mario rivolte ai ragazzi che hanno partecipato all’escursione, tra un bicchiere di buon vino e piparelli (gentilmente offerti e accolti con grande entusiasmo).

Infine, parlando un po’ con i partecipanti, si avvertiva un clima di benessere, tutti ne sono rimasti entusiasti, svuotati dai cattivi pensieri e riempiti di buone vibrazioni, rimanendo soprattutto stupiti della sensazionale realtà che si trova a pochi passi dal centro città.  
A Messina non c’è nenti? O forse prima bisogna vedere se effettivamente c’è qualcosa dentro noi stessi?

Giulia Greco

Foto di Giulia Greco

Eventi del fine settimana

Venerdì 21

  • BASSI MAESTRO & DJ ZETA

Dove: Retronouveau – Via Croce Rossa, 33

Quando: venerdì dalle ore 22:30 alle ore 3:00

Cosa: Bassi Maestro, con l’unica data in Sicilia, si esibirà con il suo ‘’ MIA MAESTA’ TOUR ‘’, un disco che ha conquistato tutti, e che si trova 11° nella classifica Fimi nazionale.

  • IT’S PIMM’S O’ CLOCK

Dove: Colapesce – Via Mario Giurba, 8/10

Quando: venerdì dalle ore 19:00 alle ore 0:00

Cosa: il PIMM’S è un superalcolico profumato, rinfrescante è versatile, nonché il più british che ci sia; un dj set al femminile accompagnerà questa allegra serata che vi porterà nei quartieri dell’East End di Londra.

SABATO 22

  • ZERONOVANTA SABATONOTTE Cîroc Luxury Party

Dove: Zeronovanta – Via Solferino, 10

Quando: sabato dalle ore 21.00 alle ore 3:00

Cosa: la festa comincia presto, dalle 21 alle 23 Dj Set & Happy Hour / Happy Wine COTTANERA. A seguire Disco fino a tarda notte con Alberto Russo e Roberto d’Emilio.

Ingresso in lista nominativa e tavoli prenotati.


Jessica Cardullo

Arianna De Arcangelis