Le 5 cose che mancano di più al messinese fuorisede

 

Conduce spesso una vita di stenti, ogni giorno affronta eroicamente l’integrazione in un mondo che non gli appartiene, il suo cuore batte alla vista del Pilone e la sua anima sussulta al pensiero dell’arrivo del pacco da giù: è lo studente fuorisede, o meglio, il messinese fuorisede.

Che tra Nord e Sud esistano delle differenze è cosa nota e, diciamocelo, non si tratta di stereotipi ma di dure realtà. Lo studente fuorisede vive ogni giorno sulla propria pelle questo incolmabile divario che separa Nord e Sud, gelida Polentonia e calda Terronia. E se fino a Napoli sembra ancora di avvertire una flebile aria di casa, dal Tevere in su non ci resta che piangere.

 

Sono certa che tutti voi abbiate un amico messinese fuorisede e sono altrettanto sicura del fatto che almeno una volta vi sia capitato di dover sopportare eventuali lamentele e piagnistei causati dalla nostalgia di casa. Perché mio caro buddace medio,  portavoce del motto “a Messina non c’è nenti”, sappi che ogni giorno, tra lo zallume e l’inciviltà, godi anche di tanti piaceri per cui il messinese fuorisede ti invidia dannatamente.

Ecco a voi le cinque cose di cui il nostro messinese fuorisede sente maggiormente la mancanza.

  1. Le braciole

Nessuno, eccetto i suoi conterranei, possono comprendere la necessità di gustare questo piatto almeno una volta a settimana. La sofferenza del fuorisede dovuta all’astinenza da braciole si acuisce ulteriormente nel momento in cui, pronunciato il nome indicante questo nettare degli dei, si rende conto che nessuno riesce a comprendere nemmeno di che cosa stia parlando. Perché no, non si tratta semplici “involtini di carne”, si chiamano “braciole”: adesso andate e diffondete il Verbo. State molto attenti a non pronunciare questo nome invano, il desiderio di braciole del messinese fuorisede è tale che sarebbe disposto persino a darvi un rene, pur di averne qualcuna in cambio.

  1. La granita

Sarebbe capace di mangiarla a colazione, pranzo, merenda, persino per cena. Una “menza ca’ panna” starebbe bene anche a fine pasto, così per digerire la caponatina di mamma. Stiamo parlando ovviamente di Granita, quella vera, con sapori e odori chiaramente percepibili, ben diversa dalla “gratta checca” che ogni buon messinese userebbe al massimo per fare l’ ice challenge a luglio. Nei suoi sogni più reconditi il messinese fuorisede immagina di accarezzare la sacra coppola della brioche e immergerla con la giusta grazia in un velo di panna. E fidatevi, la più grande dimostrazione d’affetto che possiate ricevere da un buddace non è una teglia di parmigiana né un chilo di salsiccia condita (sebbene siano sempre molto gradite). Stima e affetto insuperabili sono racchiusi in questa frase fortemente evocativa: “ti vogghiu beni comu a testa da brioscia”. Ditelo così “ti amo” al messinese fuorisede. Non riuscirebbe a trattenere la lacrimuccia.

  1. Il mare dello Stretto

Il messinese potrebbe anche spostarsi senza l’aiuto di google maps e della stella polare, ma non del suo mare. Lo stretto è un vero e proprio punto di riferimento. Non a caso, già alla vista delle sponde calabre, il fuorisede comincia a ritrovare il dovuto senso dell’orientamento e ha come la sensazione di tornare a respirare. Tra alte montagne e grigi palazzoni si sente infatti schiacciato, come fosse sul vecchio 79 direzione Faro alle ore 14 di un qualunque giorno scolastico. Solo la vista dello Stretto sarebbe capace di donargli quella stupenda sensazione di libertà, paragonabile solo a quella provata non appena sbottonati i pantaloni dopo il pranzo di Natale con i parenti.

  1. Il dialetto

Chiedere allo studente fuorisede di non parlare in dialetto sarebbe come chiedere alla nonna terrona di non dirti “stai sciupato” ogni qualvolta ti veda/senta (sì, perché anche il tono di voce rivela se non mangi). Non ce la fa, il suo cuore non può sopportare anche questo. Piuttosto chiedetegli di non parlare in italiano. Ricorrere a espressioni dialettali, specialmente in preda a momenti di ira o in (rarissimi) istanti di euforia, è una necessità, fa bene all’animo. E poi, amici/nemici polentoni, vi assicuriamo che la nostra amarezza nel constatare che non potete comprendere espressioni tanto profonde e potenti come “cuntari quantu u dui i coppi quannu a briscula è a spadi”, “semu chiù di cani brasi” o “camurria” supera di gran lunga il vostro sbigottimento nel sentirle pronunciare. Il fuorisede infatti si impegna moltissimo per fare in modo di esplicare al meglio il senso più profondo di questi vocaboli, ma ogni traduzione che si rispetti non potrà mai dirsi perfetta. Per cui al messinese fuorisede non resta che rassegnarsi, nessuno lassù al di fuori di se stesso potrà mai capirlo.

  1. Il clima tropicale

Il messinese è geneticamente formato per risiedere in ambienti caldi. Costringerlo a vivere in territori in cui si sfiorano soglie più basse dei 12 gradi sarebbe come chiedere a un orso polare di vivere all’Equatore. Non riesce a resistere, ha proprio difficoltà a sopravvivere. E se il fuorisede decidesse di fare il trasgressivo, indossando il giubbotto di pelle a novembre, ne pagherebbe immediatamente le conseguenze con un bel febbrone. Sembra quasi che le sue difese immunitarie vogliano urlargli “Imbecille, se vuoi fare lo splendido tornatene giù”. Così al fuorisede non resta che piangere al pensiero che nella sua città avrebbe potuto tranquillamente indossare maglietta a maniche corte e giacchetta leggera, giusto per zittire la mamma apprensiva. Può solo consolarsi con il calore del suo cuore, proveniente direttamente dalla sua Sicilia bedda.

Giusy Mantarro

Sophie, la luna e chissà

Sophie pensava ai mille volti dell’amore…

Quella sera in tv non c’erano programmi interessanti o almeno a lei non importavano più di tanto.

Da tempo si chiedeva cosa l’aspettasse là fuori: quella persona che tanto desiderava accanto in che parte del mondo poteva essere?

“L’amore”… si proprio questa parola dai mille significati… era ogni giorno circondata d’amore, amici, famiglia, il suo gattino bianco che ogni sera l’aspettava davanti casa. Ma cos’era veramente per lei l’amore?

La notte si fermò un momento a pensare, poi ad un tratto il silenzio, il vuoto.

Si riprese dopo un po’, ritornó in sè e diede una risposta … per lei l’amore era elevare a potenza, qualcosa che capiva lei e solo lei. Le delusioni del passato l’avevano spinta a chiudersi e costruirsi l’armatura, un muro che anche chi le stava accanto faceva fatica ad oltrepassare.

Giorno dopo giorno decise di dedicarsi un minuto della giornata, capire cosa le piacesse veramente e cosa la facesse stare bene. Ritagliarsi un mondo tutto suo, in cui le parole invece che volare al vento restavano scritte su un foglio non bianco, ma colorato dalle sue mille idee e dal suo amore che teneva solo per sè. Prese una penna e iniziò a scrivere.

Quella notte non riuscì a dormire, non importava se l’indomani la sveglia suonasse, quella era la notte dei miracoli, qualcosa stava accadendo, qualcuno stava bussando alle porte del destino di Sophie. In quel foglio scrisse solamente una frase che racchiudeva tutto l’amore che aveva e diceva proprio così: 

È la notte dei miracoli, forse qualcuno mi sta aspettando là fuori, voglio continuare ad amare come un tempo facevo, voglio ritornare a vedere il rosso sangue dell’amore, voglio sentire le nostre anime unirsi per poi amarsi più di prima “.

Qualunque cosa stesse pensando Sophie stava intuendo qualcosa e chissà cosa starà facendo adesso, magari sotto la luna di dicembre con un bicchiere di vino in mano, accanto a qualcuno o soltanto a danzare con le stelle e farsi compagnia.

Gabriella Puccio

Qual è il trend della moda autunno inverno 2018-2019?

Molti di noi, amanti della moda,  ogni stagione si chiedono cosa farà tendenza e cosa no. Ed io sono qui proprio per rispondere a questa vostra domanda.

Dunque qual è il trend della moda Autunno Inverno 2018-2019?

In queste ultime sfilate molti stilisti come Versace, Prada e Max Mara hanno scelto di riproporre nelle passerelle delle loro sfilate alcuni abiti in tartan, ma optando versioni di colori più sgargianti e variazioni sulla fantasia.

Innanzi tutto cos’è il “tartan”?

Il tartan è un particolare disegno dei tessuti in lana scozzesi. Il kilt, il tipico gonnellino scozzese, è realizzato in tartan e difatti questo tessuto è considerato un simbolo tradizionale della Scozia.

Alcuni degli stilisti, dunque,  hanno voluto riprendere la fantasia rimanendo molto vicini all’originale, come ad esempio Dior che propone una versione molto simile al kilt, variandone solo i colori e abbinando la gonna ad una camicia e a degli stivali di pelle nera.  Al contrario, altri designer, come Prada, hanno mutato la fantasia ingrandendola e scegliendo colori più brillanti. Max Mara, invece suggerisce una gonna lunga che ricorda la coperta invernale sia per il motivo che per il tessuto.

Sebbene non tutti apprezzano l’alta moda proposta nelle sfilate,  anche nella moda prêt-à-porter, ovvero,  gli abiti realizzati e venduti in taglie standard, troviamo il tartan.  Basta infatti andare in giro o più semplicemente collegarsi in qualche negozio online,  per  accorgersi come questa fantasia si sia intrufolata nella moda di tutti i giorni, dalle gonne più corte, che riprendono fedelmente il kilt scozzese, alla gonna midi e ai cappotti o alle sciarpe.

Se volete qualche consiglio per azzardare un vostro outfit ecco qui sotto una foto con qualche idea a cui potete ispirarvi.

Da sinistra: sciarpa grafica a maglia leggera; a seguire cappotto senape in tartan;maglione con rivisitazione della fantasia scozzese in chiave pop abbinata ad una mini skirt a vita alta navy; giacca in stile smoking dress rossa, con bottoni d’orati; infine, gonna di flanella in tartan blu  con doppia fibbia sul fianco completato da un dolcevita nero.

 

Andrea Sangrigoli

 

 

Romanzi da leggere prima di morire (o comunque prima di avere 26 anni)

Quando mi è stato chiesto di fare una lista di romanzi da leggere prima di morire mi sono detta: “Cosa ci vuole?”, e subito ho pensato alla sfilza di libri che ho letto come se io fossi il giudice supremo dei romanzi da leggere, ignorando la quantità (esorbitante) di libri che, di anno in anno, si accumulano sul comodino.

Perciò, una volta vista in faccia la realtà, e dopo una breve occhiata allo scaffale in libreria, direi che i romanzi da leggere prima di morire sono un po’ troppi, allora, forse, bisogna rimboccarsi le maniche e restringere un po’ il campo.

Forse per pigrizia ho buttato giù una lista di libri che ho letto o che vorrei leggere, basandomi su un’età che va dai 18 ai 25 anni:

18 anni: 1984, Il barone rampante, Il fu Mattia Pascal, I ragazzi dello zoo di Berlino, Il giovane Holden, Città di carta.

Perché vi daranno il coraggio di cambiare, prima che sia troppo tardi.

19 anni: Fahrenheit 451, L’amore ai tempi del colera, Nessuno si salva da solo, Le notti bianche, Cime tempestose

Ci riempiamo la bocca d’amore, ma sappiamo davvero cos’è?

20 anni: Madame Bovary, Il buio oltre la siepe, It, La solitudine dei numeri primi, Trainspotting

Quel mix di amore e paura che sono un po’ i 20 anni.

-21 anni: I dolori del giovane Wherter, Gente di Dublino, Se questo è un uomo, Lolita, Panino al prosciutto

Così non starete ad ascoltare le ca** di chi vi sta intorno.

-22 anni: Anna Karenina, Delitto e Castigo, Oliver Twist, Vita di Pi, Il mestiere di vivere

Vi darà la forza insensata della speranza. E, detto tra noi, un Tolstoj sul comodino dovrebbe esserci sempre.

23 anni: Il ritratto di Dorian Gray, Cuore di tenebra, Romeo e Giulietta, Cecità, Metamorfosi

Ognuno di questi libri ha il suo perché, e se a 23 anni ancora non li avete letti, non aspettate oltre.

-24 anni: Il grande Gatsby, Fight club, Meglio soffrire che mettere in ripostiglio il cuore, L’insostenibile leggerezza dell’essere, La nausea, Gita al faro

Quando i “perché” sono troppi e cerchi una via di fuga.

25 anni: Orgoglio e pregiudizio, Sulla strada, La coscienza di Zeno, Il vecchio e il mare, L’ombra del vento

Perché le storie degli altri, forse, costruiscono un po’ la nostra.

Kafka diceva: “Bisogna leggere, credo, solo i libri che mordono e pungono” e questi mi hanno morsa, punta, sconvolta, stravolta.

Perciò, non sto qui a farvi una morale su quanto sia importante leggere o su quanto sia importante curare la propria ignoranza con parole e parole.

Buona lettura.

 

Serena Votano

L’importanza della vita e della morte

Il nostro racconto comincia in una casa calda e accogliente dell’Arizona.

È una giornata particolarmente cupa e, sorseggiando una tazza di buona cioccolata calda, Mortimer La Morte decide di sfogliare il suo voluminoso album fotografico.

https://www.flickr.com/photos/concho_cowboy/35022998970?fbclid=IwAR34UJA1MrJbJQ3P0KQOPKmRwG3pAKBn31yPCJmU8thBVJo6pQ_mYIRhfxI

Ebbene sì, tutti conosciamo il suo lavoro, ma lui aveva anche il compito di fotografare chi passava a miglior vita. Dopo essersi seduto sulla sua poltrona verde, che aveva comprato molti anni fa al negozio “Cose che nessuno vuole ma che io mi ostino ad esporre”, Mortimer comincia a sfogliare le prime pagine. Vengono  così fuori tanti ricordi; si passa dalla sua prima foto, scattata migliaia di anni fa, alle più recenti. Dopo qualche ora passata davanti a quelle fotografie, Mortimer si rende conto che a fianco ad ogni defunto c’era sempre un parente, un amico in lacrime per la sua perdita. Mortimer così capì. Tutte quelle persone erano tristi a causa sua. Improvvisamente un senso di colpa invase Mortimer. Non voleva più fare del male alla gente: non avrebbe mai più fatto il suo lavoro.

Così i giorni passano. Una sera, Mortimer, guardando il telegiornale, nota un servizio che lo riguarda:

«Edizione straordinaria! Sembra che al mondo nessuno muoia più! Cosa è successo alla Morte? Sarà mica andata in vacanza? Vi terremo informati!».

A fine servizio Mortimer fa un piccolo sorriso. “Non sono mica andato in vacanza, è solo che non riesco più a fare il mio lavoro. So che continuando così non ci sarà più abbastanza spazio nel mondo per tutti. Devo fare qualcosa”, pensa la Morte. Così, il mattino dopo, Mortimer decide di recarsi da uno psicologo. Dopo un breve viaggio in autobus, Morte arriva davanti a un grande edificio. Si avvicina alla porta e, dopo aver suonato il campanello del Dottor Ci penso io, entra. La stanza in cui si ritrova è piena di librerie; al centro vi si trovano una poltrona e una scrivania. Non c’è alcun’anima viva. Improvvisamente, una porta alla destra della stanza si apre. Ecco che un uomo baffuto, non molto alto e dai capelli brizzolati compare.

«Scusi se l’ho fatta aspettare, ma stavo preparando il pranzo. Piacere, sono il Dottor Ci penso io. Ha qualche problema? Bene… Cioè, male, ma ci penso io!» afferma il nuovo arrivato. Mortimer pensa da subito che sia molto simpatico. «Il piacere è tutto mio. Mi chiamo Mortimer La Morte e, beh, può capire da solo cosa io faccia nella vita» dice Mortimer. «Bene, è da un po’ che non si sente parlare di te. Posso darti del tu, vero? Comunque, non credevo che dopo questa tua pausa io sarei stato il primo. Lasciami almeno sistemare i capelli e mangiare l’ultimo boccone». «No, no! Non sono venuto per questo! Sono venuto perché ho un problema. Da un po’ormai non riesco più a fare il mio lavoro, non posso rendere triste qualcuno. Speravo tu potessi aiutarmi». «Oh, capisco. È la prima volta che mi capita un caso del genere, ma ci proverò. Prego, accomodati sulla poltrona».

Mortimer, così, comincia a raccontare ciò che lo ha portato a prendere questa decisione. «Bene, ho chiara la situazione. So che il tuo è uno sporco lavoro, e non che l’idea di finire in una bara mi piaccia, ma fa parte della vita, e lo sai anche tu! La gente comincia a domandarsi cosa stia succedendo, pensano che qualcosa non vada! Penso che la prima cosa da fare sia dirlo a tutti. Il nostro tempo è finito, per oggi. Torna pure quando vuoi». Così dicendo, il dottore scompare dietro quella stessa porta a destra. Mortimer riflette molto sulle parole di Ci penso io e decide che rivelerà al mondo questo problema. Si reca così agli studi televisivi e, con il consenso del direttore compare durante l’edizione pomeridiana del telegiornale.

«Non sono andato in vacanza, ho solo deciso che mai più prenderò la vita di qualcuno».

Presto la notizia si diffonde su tutti i giornali. La gente è felice. Immagina una vita eterna. La morte così diventa una celebrità, qualcuno arriva a pensare che dovrebbe ricevere persino il premio Nobel per “la migliore decisione mai presa al mondo”. Milioni di persone lo acclamano, non potendo desiderare nulla di meglio. Mortimer però è confuso, da un lato è felice, ma dall’altro immagina cosa succederà in futuro. Decide comunque di non pensare al futuro e di godersi la sua celebrità. Mortimer decide di ringraziare il Dottor Ci penso io. Senza il suo consiglio non avrebbe mai ottenuto questo risultato. Ritorna allo studio del dottore e si accomoda sulla poltrona. «Mortimer caro, vedo che ora sei felice» dice il dottore. «Sì, lo sono, e voglio ringraziare proprio te per questo. Ho fatto ciò che mi hai suggerito e ora sto molto meglio» afferma la Morte. «Sono felice per te, ma sei sicuro della tua decisione? Cosa succederà quando al mondo ci saranno troppe persone? Si creeranno moltissimi problemi! La gente, continuando così, presto si stancherà. Non penserà a te come ad un eroe, ma ti odierà!» replica il dottore. «Alla gente piace quello che ho fatto! Non arriverà mai ad odiarmi! Chiunque vorrebbe vivere per sempre! Nessuno penserà mai una cosa del genere». Così dicendo, Mortimer esce da quell’edificio arrabbiato, deciso a non tornarci più.

Gli anni passano veloci, la popolazione aumenta, ormai senza controllo. Dopo centottanta lunghi anni, il malumore e la rabbia sono le uniche emozioni che pervadono ogni individuo. Il cibo ormai è quasi finito, il verde dei prati è scomparso, lasciando spazio a grigi edifici pieni di gente. A nessuno importa più il valore della vita. Nessuno si gode ogni attimo. Mortimer è stato dimenticato, come succede per ogni moda. La gente non vuole vivere più, è stanca! Avendo perso ogni tipo di felicità, Mortimer si reca per l’ultima volta dal dottore; la poltrona e la scrivania sono consumate dal tempo. «Mi dispiace. Avevi ragione», afferma la Morte guardando gli occhi stanchi dell’uomo che aveva cercato di aiutarlo. «In molti sono venuti da me lamentandosi della loro immortalità. La morte fa parte della vita; tu fai parte della vita. È vero, perdere un caro fa sempre male, ma, come vedi, è molto importante che questo accada. Mortimer, voglio essere il primo questa volta. Te ne saremo tutti grati». Anno 4586, è una giornata soleggiata. Il nostro amico Mortimer ha ritrovato la felicità. Seduto sulla poltrona, sorseggiando una cioccolata calda, sfoglia l’album fotografico. Si ferma a guardare la foto forse per lui più importante e non può far a meno di commuoversi: è la foto del dottor Ci penso io, l’uomo che gli aveva salvato la vita.

 

Beatrice Galati

Marzamemi, l’antico villaggio dei pescatori

Il borghetto marinaro più caratteristico della Sicilia orientale.

 

La vita in mare, per decenni, ha rappresentato la linfa vitale dell’economia del borgo e le vecchie casette dei pescatori sono ancora oggi il tratto distintivo di questa meravigliosa cittadina. 

 

Marzamemi nasce intorno all’anno mille, quando gli Arabi impiantarono in questo luogo una tonnara. Lo stesso nome di questo meraviglioso borgo marinaro deriva dall’arabo, probabilmente dai termini Marsà al hamem, cioè “Baia delle Tortore“. 

Una seconda ipotesi vuole che il nome Marzamemi non sia altro che l’unione delle parole arabe marza (porto) e memi (piccolo)

 

Ricca di scorci pittoreschi, Marzamemi è una cittadina tutta da scoprire:  

 

1) Piazza Regina Margherita 

E’ il centro di Marzamemi, che vi lascerà sicuramente senza fiato (specialmente di notte).

Il primo impatto è potente, non ci si aspetta tanta bellezza tutta in una volta. Da qui potrete imboccare diversi vicoli caratteristici che vi porteranno tutti al mare. 

 

 

 

 

 

 

3)Il palazzo di Villadorata  

Si trova ad ovest della piazza Regina Margherita, attorniato

dalle antiche dimore dei pescatori. 

 

Costruito in pietra arenaria, la dimora, si presenta come una facciata semplice, con un portone d’ingresso in legno il cui portale è rappresentato da un arco, con al centro, una chiave con lo stemma di famiglia, sovrastato da antiche grondaie in pietra raffiguranti volti umani.

 

 

4) La chiesa antica di San Francesco da Paola

Fu costruita per volere del Principe di Villadorata insieme al complesso architettonico della adiacente Tonnara, tanto che oggi viene chiamata semplicemente “chiesa della tonnara”.

All’esterno della chiesa, noterete subito il portale in tipico stile barocco, sovrastato da una finestra rotonda e la torretta campanaria. 

 

 

 

5)Fanno da cornice al borgo i due porti naturali: La Fossa e la Balata 

La Balata, la più caratteristica, è il palcoscenico degli eventi che animano l’estate di Marzamemi. Di giorno pieno di pescatori, di notte centro della vita notturna del paese.  

Sul porticciolo, adornato da barche in legno colorate, si affaccia anche la vecchia tonnara: una grandissima costruzione di pietra. 

 

 

 

 

 

 

6)La Diga

 Si trova in fondo al Corso Regina Elena, proprio sul mare. È una piazzetta circondata da un muretto (da qui il nome diga) +ùaccarezzata dalle onde. 

Il momento migliore per godere della bellezza di questo posto, è senz’altro la sera: la piazzetta si riempie di camion di paninari che preparano streetfood di tutti i gusti. 

 

7) La spiaggia di San Lorenzo 

Questa meravigliosa spiaggia si trova proprio al confine con la Riserva di Vendicari, in un tratto di costa molto affascinante caratterizzato da grandi spiagge e piccole insenature.

 

 

 

 

 

Jessica Cardullo

Siracusa: la custode di imponenti vestigia greco-romane

Secondo Cicerone, era la più grande città greca e la più bella di tutte 

Siracusa è una meravigliosa città del sud est siciliano, dalle impronte greco-romane ricostruita con pietra arenaria dopo il terremoto del 1693. La sua ricchezza storico – culturale le ha, inoltre, permesso di essere dichiarata Patrimonio dell’Unesco dal 2005. 

 

Ecco cosa non perdere nella splendida città dalla luce perlacea:

 

1) Tempio di Apollo 

In largo XXV luglio si trova il tempio di Apollo, un’area archeologica a cielo aperto, risalente al VII sec. a.C. Si tratta del tempio dorico più antico della Sicilia, trasformato poi in chiesa bizantina e in moschea araba, in chiesa normanna e perfino in una caserma spagnola. 

 

 

2) Porta Urbica 

In via XX Settembre, in uno scavo nella sede stradale vediamo i resti dell’antica Porta Urbica, fatta erigere da Dionigi il Grande (430 a.C. – 367 a. C. ) ed inserita nella cinta muraria che, partendo da Ortigia, cingeva completamente tutta la città fino al castello Euralio, per una lunghezza di circa 30 Km. 

 

3) Il centro storico: l’isola di Ortigia 

Ortigia è una piccola isola collegata alla terraferma da due ponti, il Ponte Umbertino e il ponte Santa Lucia. Passeggiando per l’isolotto è possibile osservare la classicità greco romana in ogni dove, ma soprattutto godere dell’odore del mare e della suggestiva vista.  

Se decidete di farci un salto in questo periodo estivo, vi suggerisco di fare un bagno nelle acque cristalline di Ortigia.  

 

(p.s.: le foto scattate qui hanno una luce particolarmente perfetta per Instagram) 

 

4) Fonte aretusa 

Prodeguendo la passaggiata vista mare, noterete la fonte di Aretusa, con le sue piante di papiro è uno dei simboli di Siracusa. Secondo la leggenda proprio qui il Dio Alfeo si innamorò della bellissima ninfa Aretusa; Aretusa così fuggì sull’isola di Ortigia e venne tramutata in una fonte da Artemide. 

 

 

 

5) Castello Maniace 

Percorrendo i vicoli alle spalle di fonte Aretusa, possiamo scorgere il possente Castello Maniace, sulla punta estrema dell’isola. L’edificio (risalente al periodo svevo) sorge su un luogo dove la tradizione narra di precedenti fortificazioni; i recenti scavi, tuttavia, non hanno portato alla luce alcuna traccia del maniero che dal condottiero bizantino Giorgio Maniace prende il nome. È probabile che le profonde escavazioni del banco roccioso fatte in età sveva per le nuove fondazioni abbiano completamente cancellato ogni traccia del probabile fortilizio preesistente 

 

 6) Duomo 

Il Duomo di Siracusa (nella parte alta del centro storico), da un punto di vista architettonico risente dell’influenza ionica, poi dorica, gotica fino al barocco dopo il terremoto della Val di Noto del 1693. La Cattedrale metropolitana della Natività di Maria Santissima – questo il suo nome – è un edificio bellissimo, non a caso, da inizio millennio, tutelato dall’Unesco, al pari di tutti gli altri siti della Sicilia barocca nel versante sud-orientale dell’isola. All’interno, sono moltissime le tracce di età ellenica (basti pensare alle due colonne doriche all’ingresso della navata principale). Da qui la particolarità della chiesa in cui l’esuberanza decorativa della facciata esterna convive con l’austerità del tempio greco dedicato ad Atena. 

 

7) Chiesa di Santa Lucia alla Badia 

Dal 2009 l’edificio ospita un quadro del Caravaggio (Michelangelo Merisi 1571 –1610) dipinto tra il 1608 e il 1609 durante il soggiorno siracusano dell’artista. La tela, una pala raffigurante il “Seppellimento di santa Lucia” (patrona di Siracusa), era originariamente collocata nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, fuori il centro storico della città. Una curiosità. La santa presenta una ferita da taglio sul collo, tema ricorrente nella pittura del Caravaggio su cui, dal 1606, a seguito di un omicidio compiuto a Roma, pendeva una condanna alla decapitazione. Condanna che costrinse l’irrequieto artista alla fuga di cui, appunto, Siracusa fu una delle tappe. 

 

8) Il parco archeologico Neapolis di Siracusa 

Il parco archeologico Neapolis è un sito di grande interesse (poco fuori dal centro città) al cui interno si trovano diversi siti antichi. La visita può cominciare dalla parte più interessante che comprende il Teatro greco, la Latomia del Paradiso e  l’orecchio di Dionisio, la grotta dei Cordari, la presunta tomba di Archimede. Dopo si può proseguire visitando l’ara di Ierone II, l’anfiteatro romano e la chiesa di San Nicolò.

 

 

 

 

  • Orecchio di Dionisio 

È una grotta artificiale, imbutiforme, scavata nel calcare, alta circa 23 metri e larga dai 5 agli 11, con una forma singolare, vagamente simile a un padiglione auricolare. Si sviluppa in profondità per 65 metri, con un insolito andamento a S e sinuose pareti che convergono in alto, in un singolare sesto acuto. La grotta è, inoltre, dotata di eccezionali proprietà acustiche (i suoni vengono amplificati fino a 16 volte).  

 

  • Teatro Greco 

 Ha la particolarità di essere quasi interamente scavato nella roccia. 

Oltre che per le rappresentazioni, così com’era costume per gli antichi greci, il teatro veniva usato per le assemblee popolari. Dopo essere stato adattato in epoca imperiale ai giochi circensi, il teatro cadde in abbandono. 

Gli scavi, iniziati alla fine del Settecento e protrattisi per tutto il secolo successivo sono stati completati solo nella metà del Novecento. Pur nella diversità, anche sostanziale, di opinioni degli studiosi sulla genesi del monumento, è generalmente accettato che la forma attuale risalirebbe all’opera di ristrutturazione degli anni 238 – 215 a.C. sotto il regno di Ierone II. 

Il teatro si compone di tre parti: koilon (o càvea), orchestra e scena.
Koilon: ha forma semicircolare e con il diametro di oltre 138 metri; i 67 ordini di gradini sono divisi in nove settori(cunei) da otto scalette di servizio. Un lungo corridoio attraversa la cavea nel senso della larghezza. 

Orchestra: è lo spazio semicircolare ai piedi della càvea dove danzavano i cori. 

Scena: è la vasta spianata dove sorgeva l’edificio scenico, delimitata ai lati da due imponenti piloni. 

Ogni anno il teatro ospita Le famossissime tragedie: quest’anno il 54esimo ciclo di rappresentazioni classiche si svolgerà dal 10 Maggio all’8 Luglio. 

 

 9) Le spiagge di fontane bianche 

Fontane Bianche è un luogo dal mare cristallino e la sabbia chiara: sono state definite  ”tropici del Mediterraneo”. Lunga circa un chilometro e mezzo la spiaggia alterna tratti liberi ad altri in concessione, senza dimenticare la scogliera per chi non ama la sabbia sotto i piedi. Poco distante da Fontane Bianche, l’Area Marina Protetta del Plemmirio, oasi di grande interesse paesaggistico-ambientale, nonchè snodo importante dei traffici e dei commerci in età ellenistica. 

 

La cucina siracusana da non perdere

l’immancabile Gelo all’arancia (una specie di budino, squisito) e le cassatelle alla ricotta.

 

 

 

 

Jessica Cardullo

NOTO, la capitale del Barocco

Questa dorata cittadina è uno dei posti da non perdere nel nostro tour della Sicilia orientale. 

Noto è tra i più famosi comuni della provincia siracusana con poco più di 24000 abitanti. Dopo l’ingresso della città nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 2002, oggi il settore turistico registra una crescente espansione, dovuta ai tesori artistici della città.  

Nel 1693 un devastante terremoto che colpì la Sicilia orientale, distrusse questa cittadina quasi del tutto. La ricostruzione è avvenuta ad opera del duca Giuseppe Lanza, 8 Km più a sud della sede originaria, utilizzando per il centro barocco la pietra locale caratterizzata dal colore dorato.  

La strada principale è oggi rappresentata dal Corso Vittorio Emanuele: una lunga via intervallata da tre piazze, tra cui Piazza del Municipio, ed adornata da singolari balconi, chiese ed edifici barocchi. 

 Vediamo insieme le tappe da non perdere in questo giro turistico a Noto. 

 

1) Porta Reale 

È il simbolico ingresso di Noto, chiamata anche Porta Ferdinandea, realizzato nel 1838 in occasione della venuta di Ferdinando II di Borbone, Re delle Due Sicilie.  

Ad un solo arco, la Porta è inquadrata da due semicolonne con capitello corinzio, e conserva l’aspetto dell’epoca. 

Attraversandolo, davanti a voi ecco l’asse principale che attraversa l’intero centro storico: Corso Vittorio Emanuele e BENVENUTI A NOTO! 

 

  • Se arrivate in mattinata, vi consiglio di prendere un buon gelato o una granita in uno dei bar del Corso (tutti con prodotti di ottima qualità), per avere la giusta carica per proseguire con il tour. 

 

2) Chiesa di Santa Chiara 

Lungo il Corso Vittorio Emanuele, a circa 100 metri di distanza, trovate la Chiesa di Santa Chiara, una architettura barocca di altissimo pregio.
È stata progettata dall’architetto siracusano Rosario Gagliardi nel 1730, completata nel 1758 ed annessa all’ex convento delle Suore Benedettine, oggi museo civico di Noto 

L’originario portale d’ingresso di questa chiesa si trovava proprio in Corso Vittorio Emanuele e successivamente fu murato dopo un lavoro di sbancamento del terreno effettuato nel corso dell’800 che lo rese di fatto impraticabile. L’interno della chiesa, con numerose decorazioni, putti e stucchi, è considerato uno dei più importanti dell’intera Sicilia per lo stile architettonico barocco.  

Da non perdere: la suggestiva terrazza panoramica. 

 

3) La Cattedrale di San Nicola 

La Cattedrale, il simbolo per eccellenza di Noto, si affaccia imponente su piazza Municipio. Con la sua facciata in arenaria, i due campanili e la scenografica scalinata costituisce il monumento simbolo del barocco siciliano. La sua costruzione risale al ‘700, anche se nel corso del tempo ha subito vari rimaneggiamenti e ricostruzioni fino al 2017. L’interno si presenta semplice e a tre navate, fiancheggiate da cappelle barocche. 

 

 

4) Palazzo Ducezio 

Questo palazzo è il gioiello architettonico realizzato tra 700 e 800, la cui facciata convessa e i capitelli ionici si affacciano sull’imponente Cattedrale. 

Ad oggi è la sede del municipio e la sua denominazione onora il fondatore della città, Ducezio. Inoltre, al suo interno troviamo la Sala di Rappresentanza, a pianta ovale e il cui tetto fu affrescato da Antonio Mazza, che volle rappresentare lo stesso Ducezio. 

 

5) Palazzo dei principi di Nicolaci 

Questa è una struttura che rappresenta nella sua interezza la ricchezza artistica, il dovizioso del centro storico Netino. 

La residenza nobiliare è interessante sia all’esterno dove le balconate sono adornate da cariatidi raffiguranti leoni, sirene, cavalli alati, angeli che all’interno. Il palazzo si sviluppa su quattro piani, a pianterreno si trovano le scuderie e i magazzini, al primo piano abitava il barone Giacomo Nicolaci, il piano superiore era la residenza nobiliare dei familiari, all’ultimo piano ci viveva la servitù. Si può visitare il piano nobile e le sue numerose sale. Il palazzo conserva ceramiche napoletane dell’800 e lampadari in vetro di murano. Ogni stanza presenta carta da parati fatta eccezione per il salone da ballo e le volte decorate con la tecnica del finto rilievo. 

 

6) La chiesa di San Carlo Borromeo 

 Questa chiesa presenta una meravigliosa facciata barocca. L’interno è a tre navate con un bell’altare intarsiato di marmi policromi. La chiesa ha una torre campanaria visitabile con un sovrapprezzo; una scala elicoidale molto stretta porta su fino al primo terrazzo. Salendo altri gradini si arriva in cima all’ultimo terrazzo dove si trova il campanile della chiesa con le tre campane che risuonano ad

intervalli regolari durante la giornata.  

Assolutamente esclusiva la vista sulla cattedrale e le case in tufo giallo. 

 

 

DA NON PERDERE: infiorata 

Una volta l’anno, la terza domenica di maggio, le strade della città di Noto si trasformano in un tripudio di fiori colorati.  

La cosiddetta infiorata è ormai giunta alla sua 39esima edizione e, dopo il tema dell’anno scorso Sogni e colori del Principato di Monaco’, questa volta le giornate che vanno dal 18 al 20 maggio ospiteranno la ” Cina in fiore – le vie della sete”. 

 

 

 

Via Corrado Nicolaci è la via dove nasce l’infiorata, proprio una delle strade adornate dallo stesso palazzo Nicolaci. Ad oggi, l’infiorata di  Noto è considerata tra le più belle manifestazioni dell’intera Isola.  

 

 

 

 

Jessica Cardullo

Fidarsi degli altri è difficile, fidarsi di se stessi è difficilissimo

“Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” è un proverbio famosissimo e di certo più che veritiero. Nella vita capita spesso che si abbiano delle delusioni causate dall’eccessiva fiducia mostrata a qualcuno, che può essere un amico, il proprio partner, anche un parente. Ci promettiamo di non cascare più nella trappola, di non farci fregare una seconda volta, ma delusioni di questo genere si ripeteranno sempre. Ma perché? Perché se commettiamo un errore di qualsiasi natura torniamo a rifarlo prima o poi? Per quale ragione le lezioni che la vita ci dà le ascoltiamo quasi sempre a metà? La ragione sta nel fatto che, prima che degli altri, non possiamo fidarci di noi stessi.

Avere fiducia in se stessi e fidarsi di se stessi non sono proprio la stessa cosa: la prima consiste nel fatto che bisogna sempre credere nelle proprie capacità e facoltà, la seconda riguarda di più l’attendibilità dei nostri comportamenti di fronte a situazioni per le quali ci eravamo ripromessi qualcosa che molto probabilmente ignoreremo. La verità è che tendiamo a dimenticare spesso quello che abbiamo provato, quando in passato abbiamo avuto un problema che ci ha fatto stare male. In questo modo ci riveliamo impavidi, non temiamo più il pericolo e ricadiamo nuovamente nell’errore. In fin dei conti l’essere umano vive grazie agli stimoli che riceve dalla vita. Tutto si fa con maggiore efficacia, se le nostre azioni sono mosse da una componente emotiva ben precisa. Siamo esseri emotivi e saper controllare le emozioni è fondamentale affinché il nostro animo possa godere di un certo equilibrio. Ad esempio, non è un caso che gli ultimi giorni prima di un esame si studi con un’intensità di gran lunga superiore a quella che si ha tre settimane prima.

Lo stimolo è necessario, però talvolta viene meno. Siamo noi stessi a tradirci più spesso, non gli altri e non sappiamo punirci nel modo giusto. Sono veramente pochi coloro i quali si rivelano duri con se stessi. Spesso ritenuti esagerati, in realtà sono semplicemente più saggi. Con questo non s’intende che le cose debbano essere viste “in bianco e nero”, un po’ di elasticità non deve mai mancare, anche perché è necessario sapersi adattare alle circostanze, ma mai in modo passivo.

Per cui, come possiamo imparare a fidarci di noi stessi? Bisogna trovare lo stimolo giusto: qualsiasi cosa decidiamo di fare la dobbiamo perseguire per una ragione, perché abbiamo uno scopo ben preciso. Un’attività svolta tanto per viene quasi sempre abbandonata. La passione è la forma di stimolo principale, quando c’è quella possiamo dire di essere a posto. La volontà di stare bene emotivamente ed il dolore, così come l’ansia sono tutte forme di stimolo che ci aiutano, se ben gestite, a fare meglio. Il dolore lo temiamo tutti, ma in effetti molte volte ci aiuta a “resettarci”, ci dà la possibilità di ripartire da zero, che non è cosa da poco.
Come infatti un detto popolare inglese dice: “from our deepest sadness springs our greatest joy”.

 

Francesco Catanzariti

San Valentino: sì, no, forse…

“L’amore conta, l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?”

No Liga, io un altro modo per fregare la morte non l’ho trovato, però devo dire che l’amore basta come fregatura.

Ed è proprio d’amore che voglio parlare, adesso che San Valentino è alle porte. Anzi, non proprio d’amore ma…

Ecco a voi una modestissima top 5 di coppie che incontrerete il giorno di San Valentino:

  • I Chiara & Fedez dei poveri, quelli che posteranno foto e stories del loro ammmore su ogni piattaforma esistente, passando dalla foto dell’anello al video mentre si imboccano a vicenda, perché tutti devono essere testimoni del loro amore. Ma cari social dipendenti, affrontiamo insieme la realtà per renderci conto che non può fregarci niente di cosa vi siete regalati, dove siete andati e dei fiori. Con affetto, l’intero mondo di cinici social dipendenti.
  • I pizza&netflix , quel genere di coppia che stanno insieme da così tanto tempo che hanno già fatto tutto e allora, vecchi dentro, decideranno di passare il San Valentino guardando una nuova serie tv su Netflix, oppure un film d’amore (rigorosamente scelto da LEI) magari mangiando una pizza. A forma di cuore per l’occasione, dai…
  • I cinefili in calore, quelli che andranno al cinema per guardarsi il nuovo film di 50 sfumature e passeranno metà del film “amore stasera lo facciamo pure noi”, quando magari la cosa più trasgressiva che fanno a letto è dormire senza mettere il pigiama nei calzini, e l’altra metà del film limonando che Valentino caro, mi sa che la tua Valentina è più presa da Mr Grey che dal tuo Mr x.
  • L’amore intimo, il migliore in assoluto, voi coppia intima siete i miei preferiti perché vi amate immensamente, condividete tutto… dai piccoli pensieri giornalieri all’influenza di stomaco, ma lo vivete nel segreto, giorno per giorno. Senza il bisogno di sbatterlo in faccia a quei poveri single dei vostri amici.

e, dulcis in fundo

  • Gli “io di più”, quelli che non fanno che ripetersi quanto si amano e “io di più” – “no, io di più”, esistono anche nella variante telefonica: “Chiudi prima tu” –  “no, chiudi prima tu”. E tu stai a guardarli dicendo “no ma tranquilli io di più” si, io vi vorrei morti di più.

Cos’altro aggiungere? San Valentino è una festa meravigliosa quando sei fidanzato, ma quando sei single?

Come rispondo alla domanda “San Valentino? Si, No, forse …”?
– “L’amore è una cosa semplice” .

Ma quannu mai Tiziano? Ma se era così semplice tu stavi qui a scrivere canzoni sui tuoi ex? Ma non penso proprio… e intanto la restante popolazione dei single vive il 14 febbraio saltellando tra coppie social e coppie “io di più”, difendendosi lanciando Baci Perugina come se fossero bombe a mano. Ed è proprio a voi che penso con tanto rammarico, ma sono qui per aiutarvi.

Cose da NON fare per sopravvivere al giorno di San Valentino:

  • NON uscite di casa, in qualsiasi posto possiate andare troverete fiumi di Baci Perugina, rose, cuoricini, anelli. Da evitare le piazze, la spiaggia, le discoteche, i social, i supermercati. Rinchiudetevi al buio facendo finta che questa giornata non esista e programmatevi una maratona della serie tv che preferite.
  • NON accendete la tv, probabilmente manderanno soltanto film d’amore. Vale l’opzione precedente, magari ordinate una pizza e fate attenzione che non vi arrivi a forma di cuore…… ma si, capita una volta l’anno, se la pizza è il vostro amore, che male c’è farvela fare a forma di cuore?
  • NON cercate i vostri amici, c’è il rischio di scoprire che persino loro sono fidanzati da 2 giorni, mentre tu sei rimasto l’unico single della città.
  • NON fate i luoghi comuni, con quei soliti discorsi del tipo “San Valentino è una festa commerciale” “è un complotto delle multinazionali” …”Ah ma è oggi!” … “che schifo” … “Non bisogna ricordarsi di amarsi solo il giorno di San Valentino ma bisogna farlo tutti i giorni”, siete soltanto dei Greench che i Baci Perugina li comprano più di tutti, e non per la frase, e nemmeno per regalarli.

Vi sto per dire la cosa più importante, magari fino ad ora per voi avrò detto un mare di cavolate ma adesso vi devo dire una cosa seria. NON DICHIARATEVI A SAN VALENTINO. E va bene che l’amore ha i prosciutti sugli occhi (a volte interi, altre volte direttamente i maiali vivi), va bene che nei film funziona, con lei che sta per salire sull’aereo, lui corre verso di lei e la bacia e vissero tutti felici e contenti. Ma sfatiamo questo mito, nella realtà lei sarebbe comunque riuscita a prendere l’aereo, e avrebbe avuto pure il tempo di friendzonarlo o di mollargli un ceffone pesantissimo.

Siamo sinceri, perché mai dovreste dichiararvi il giorno di San Valentino e deridervi da soli?

La soluzione sarebbe passare il San Valentino con il vostro cane o gatto, lui si che merita il vostro affetto incondizionato, così come la pizza e la birra.

 

Serena Votano (Greench di San Valentino)