Taormina Film Fest 70: Padre Pio (di Abel Ferrara)

 

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Padre Pio segna la “redenzione” del regista Abel Ferrara. – Voto UVM 4/5

 

Nel corso della settantesima edizione del Taormina Film Festival abbiamo avuto l’opportunità di assistere alla prima in lingua italiana dell’ultimo film di Abel Ferrara, Padre Pio. Alla proiezione erano presenti il regista e parte del cast, i quali hanno successivamente risposto alle domande dei giornalisti presenti in sala. Durante la presentazione della pellicola, Cristina Chiriac, che nel film recita nei panni di Giovanna, ha ricevuto il premio Nuove Rivelazioni. Si conferma così il sodalizio fra l’attrice e Ferrara, cui film precedenti ha lavorato, fra gli altri, insieme a Willem Dafoe.

Il film, girato in Puglia nel 2021, ripercorre gli eventi dell’eccidio di San Giovanni Rotondo del 1920. Il massacro, che si inserisce nel più ampio quadro di tensioni politiche e sociali del biennio rosso, ha portato alla morte di 14 persone perlopiù appartenenti al Partito Socialista. Le sofferenze che hanno luogo nel paese vengono ricalcate attraverso scene di vita del santo (incarnato da Shia LaBeouf), perlopiù ambientate nel vicino ma isolato convento dei Frati Minori Cappuccini. In realtà, come ha ricordato Ferrara stesso dopo la proiezione, il film è stato interamente girato nel vicino Monte Sant’Angelo. Le riprese a San Giovanni Rotondo sarebbero state impossibili dato che ad oggi il paese è meta di numerosi pellegrinaggi.

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Monte sant’Angelo. Fonte: giovannicarrieri.com

Le vicende del paese

Dopo la fine della Grande guerra, i superstiti entrano in paese fra onori e lacrime della comunità. Tuttavia, con l’arrivo dei soldati giungono anche notizie su chi non fa ritorno, fra false speranze per chi è disperso e lutto per i morti accertati. Il marito di Giovanna non si fa vivo: non esiste una lettera che ne certifichi il decesso e fra i compaesani c’è chi la rassicura che ritornerà. Come altre vedove e gente povera, deve lavorare più duramente per garantire i beni primari ai suoi bambini. In un’Italia meridionale post-bellica e latifondista questo equivale però ad oppressione e sfruttamento, contro cui Giovanna e altri membri del Partito Socialista si schierano. Fra questi c’è Luigi, membro di un’importante famiglia del paese ma fermamente ancorato all’ideologia comunista.

Dopo la vittoria dei socialisti alle prime elezioni libere del Paese nel 1920, i proprietari terrieri e i carabinieri vicini a quella che sarà l’ideologia fascista, impediscono ai vincitori di fare ingresso nel municipio. Ne scaturisce una rivolta che porterà al massacro di quattordici persone, perlopiù socialisti.

Cristina Chiriac. Fonte: ANSA.

Le sofferenze di Pio

Parallelamente a queste vicende si svolge la travagliata vita di Padre Pio nel vicino convento dei Frati Cappuccini Minori; il religioso ha numerosi visioni demoniache (rappresentate dalla musica suggestiva di Joe Delia) che tentano di far crollare la sua fede sulla scorta di un passato libidinoso e fragile. La risposta di Pio è la preghiera e un atteggiamento intransigente nei confronti di qualsiasi tipo di provocazione oscura. Le sue giornate sono scandite da canti e adorazioni al Signore e alla Vergine, unico baluardo di resistenza contro le seduzioni di Lucifero (in una scena impersonato da Asia Argento).

Un demone impersonato da Asia Argento. Fonte: Sentieri Selvaggi.

La visione di Ferrara

Nelle intenzioni del regista c’era innanzitutto quello di girare un documentario. Il film non vuole dare un’opinione sulla vita del santo – che è piuttosto controversa – ma un’immagine reale degli accadimenti di quell’anno. Ne viene fuori una rappresentazione che si discosta dal dipingere Pio come una figura sacra ma che ne illumina soprattutto il lato umano, con le sue tentazioni e peccati. Risiede qui dunque la sorprendente performance di Shia LaBeouf, in grado di incarnare queste lacerazioni grazie alla sua riconosciuta espressività. Le due trame si fondono insieme in un’unica visione in cui le sofferenze del frate sono l’allegoria di quelle degli abitanti di San Giovanni Rotondo. Quest’ultimi sono gli oppressi che tentano di ribellarsi all’oppressore, ovvero il fascismo in paese e il demonio per Pio. Non a caso il regista ha deciso di dedicare la pellicola, oltre che alle vittime dell’eccidio, anche al popolo ucraino.

 

Francesco D’Anna

Ma vissero davvero felici e contenti? Ecco Honeymood, candidato al 67esimo Festival del Cinema di Taormina

Il film non è ambizioso e non mira a raggiungere vette, ma rimane piuttosto godibile pur nella sua semplicità – Voto UVM: 3/5

Le fiabe ci hanno insegnato sin da bambini a credere nel lieto fine, quel momento in cui i problemi dei protagonisti innamorati si risolvono quasi per magia e possono finalmente convolare a nozze lasciandosi dietro il tormentato passato. Ma è proprio così? E se dopo il lieto fine ci fossero altri problemi?

Honeymood (2020), commedia romantica targata Spiro Films e diretta dall’israeliana Talya Lavie, si chiede proprio questo. La pellicola – che, tra l’altro, è in concorso al 67esimo Taormina Film Festival – racconta l’odissea vissuta da due neosposi: Eleanor (Avigail Harari) e Noam (Ran Danker). Ma nel loro piccolo universo, che si apre in una stanza d’albergo, si staglieranno molto presto numerose altre figure pronte a metterli alla prova. Ed allora la prima notte di nozze si trasformerà in una missione: riconsegnare un anello alla misteriosa ex dello sposo. Lo sfondo è quello della città di Gerusalemme, di notte, e delle strade in penombra che contribuiscono a realizzare l’intento della regista di presentare una Gerusalemme romantica, prima ancora che città sacra.

L’occhio fedele della telecamera ci renderà partecipi delle loro peripezie senza lasciarli nemmeno per un secondo, anzi, per giunta seguendoli stando loro alcuni passi dietro. Effettivamente, la sensazione che lascia questo film è proprio quello di non riuscire a stare dietro all’imponente climax di eventi presentati dalla trama: non appena si pensa di aver sfiorato il ridicolo, ecco che si sprofonda ancor di più.

Ciò si deve all’impronta umoristica che la Lavie ha voluto dare, assieme ad un tocco di nonsense che in una commedia non fa mai troppo male. Un’opera che se la gioca ben bene dal punto di vista della regia (la regista ha studiato cinematografia a Gerusalemme negli anni della giovinezza), ma che lascia un po’ a desiderare circa la scrittura – specialmente quella dei personaggi. La stessa ha ammesso, durante una conferenza stampa tenuta a Taormina, che il film non intende essere prettamente realistico.

I protagonisti Eleanor (Havigail Harari) e Noam (Ran Danker) – Fonte: asianmoviepulse.com

I personaggi

Il vero cuore della pellicola non è caratterizzato né dalla trama né dalla regia: sono i personaggi. È proprio per questo che una maggiore cura dei loro profili psicologici avrebbe, magari, reso il film ancor più godibile. Ma andiamo per ordine.

Eleanor (Avigail Harari) è la protagonista in assoluto. Frenetica, eccessivamente attiva, un’anima drammatica con molti difetti (non pecca di capacità manipolative) ma che, per qualche motivo, piace a tutti quelli che incontra. Soprattutto alle guardie di Netanyahu. La prima impressione che se ne potrebbe avere è quella di una Jess di New Girl. Il suo tratto distintivo è l’essere tremendamente capricciosa, cosa che fa infuriare il marito ma che, allo stesso tempo, la rende adorabile agli occhi di lui. Oltre ad essere infantile, Eleanor si dimostra anche molto ingenua nei confronti degli altri, tendendo a non distinguere le buone intenzioni da quelle cattive.

Noam (Ran Danker) è il classico tipo privo di energia la cui anima gemella è – quasi per caso – una persona con fin troppa energia. Anche lui è un personaggio che presenta moltissimi difetti: dall’essere irascibile al dipendere ancora dai genitori pur essendo in età adulta; dall’incapacità di opporsi alle prevaricazioni della gente all’inettitudine nei confronti della moglie. Anche quando sembra che il personaggio ottenga finalmente un’evoluzione, si finisce per tornare nei medesimi schemi: ne viene fuori che la sua era solo una ribellione verso i genitori.

Vi sono poi un ex ragazzo, un’ex ragazza, varie guardie dell’esercito, un gruppetto di ragazzetti ingrati, un’infermiera, i genitori dello sposo e tutta una galassia costruita attorno alle due stelle polari. La regista ha rivelato di essersi immedesimata in entrambi al momento della costruzione della storia: prima nella sposa, poi una nuova riscrittura dal punto di vista dello sposo. Un tratto che accomuna i due – si può dire – è quello di essere l’una l’opposto dell’altro e ciò ne scatena un’incredibile chimica, resa anche grazie al talento degli interpreti.

Eleanor e Noam in una scena del film – Fonte: flipscreened.com

Il cinema israeliano al TAO Film Fest

Il cinema israeliano è ancora un astro in ascesa che inizia a dare i suoi frutti, ma che si prospetta senza dubbio promettente. L’opera in questione è un prodotto italo-israeliano, difatti l’italiana Marika Stocchi è stata scelta come coproduttrice ed il contributo italiano si è avuto anche in postproduzione, colore e mixing (realizzati nei laboratori di Roma prima della pandemia).

Al festival di Taormina la regista ed Elisha Banai (Michael, ex ragazzo di Eleanor) si sono presentati con profilo basso e grande ottimismo, ritenendosi onorati di aver avuto l’occasione di proiettare la propria pellicola. All’attore è stata poi posta una domanda riguardante il tema del matrimonio a cui ha risposto – in pieno stile Honeymood – con un secco: «Non saprei, al momento sto divorziando».

Valeria Bonaccorso