Tao Film Fest 69: John Landis in pochi piccoli sketch

La sessantanovesima edizione del Taormina Film Fest ha riportato sul grande schermo dei pilastri del genere comico internazionale, con tante proiezioni speciali ed ospitando il re della commedia in persona: il regista John Landis!

Molte delle sue pellicole sono tra le più note a livello globale, quali The Blues Brothers ed Il Principe cerca moglie. Tutti gli italiani però sono particolarmente legati ad un suo film, un classico del cinema natalizio, riportato ogni anno su vari canali il giorno della vigilia: stiamo parlando di Una Poltrona per due (Trading Places)!

Con la masterclass tenutasi a Casa Cuseni la quarta giornata del festival abbiamo potuto conoscere più a fondo lo stesso regista. Andiamo a vedere chi è realmente l’uomo dietro la cinepresa!

John Landis
John Landis durante la masterclass. @Nando Purrometo

Gli inizi da mail boy alla 20th Century

La passione per il cinema per John Landis parte fin dall’infanzia: dopo aver visto i suoi primi film, il piccolo Landis di otto anni inizia a contattare grandi registi di Hollywood per chiedere di lavorare con loro: molti gli risposero di sì!

A soli sedici anni inizia a lavorare nella 20th Century come porta lettere, mentendo e dicendo di essere già maggiorenne. È qui che inizia a vederne di belle: tra i pranzi nelle mense con alcuni attori vestiti da scimmie ed altri da drag queen ed esplorazioni segrete dei set western e di navicelle spaziali, la voglia di fare cinema per l’attore non fa che crescere.

Il giovane Landis nel suo lavoro come mail boy aveva anche il compito di rispondere alle tantissime lettere che arrivavano a grandi star come Rachel Welch, diva e sex symbol nel periodo tra gli anni Sessanta e Settanta. Il regista racconta come durante il periodo della guerra in Vietnam ricevette una lettera indirizzata all’attrice dove un soldato, che si era vantato di conoscerla con i suoi compagni, la implorava di mandarle un reggiseno firmato da lei che sarebbe servito come prova per gli amici militari. Il giovane Landis, per non deludere il combattente, ruba un reggiseno dal reparto costumi, lo firma e glielo spedisce. Circa un mese dopo riceve una mail di infiniti ringraziamenti da parte dello stesso soldato!

John Landis
John Landis alla masterclass. @Nando Purrometo

Il viaggio in Jugoslavia per I guerrieri

Dopo un anno e mezzo di lavoro come porta lettere, Landis, ormai realmente maggiorenne, viene contattato da un aiuto regista, Andrew Marton, soprannominato Bundy da Landis. Marton gli offre un lavoro in un film, I guerrieri (Kelly’s Heores), girato a Visinada, una piccola cittadina della Jugoslavia vicina al confine italiano. Bundy promette a Landis un lavoro nel film solo se riuscirà a superare la temibile cortina di ferro e quindi a presentarsi sul set.

Landis spende gran parte dei suoi pochi averi per un biglietto per Londra, credendo che poi da lì alla Jugoslavia la distanza sarebbe stata minima. Dopo una serie di peripezie, viaggi in autostop e aggrappandosi nelle rientranze sotto i treni, il giovane arriva a Visinada, ma illegalmente. A questo punto è costretto ad uscire ed a rientrare nuovamente nel regime comunista. Questa è la prima produzione a cui il regista lavora continuativamente per ben nove mesi.

John Landis
John Landis alla masterclass. @Nando Purrometo

Landis: una serie di grandi successi

Dopo Slock, prima pellicola scritta, diretta ed interpretata da lui stesso, Landis porta sul grande schermo una serie di successi. Primo fra questi Animal House: il film ha avuto il benestare della produzione solo per la presenza di una grande star, in questo caso Donald Sutherland, e diviene il  trampolino di lancio per la breve carriera di John Belushi.

A questo seguono due opere importanti per la crescita artistica di Landis e per la storia del cinema: The Blues Brothers e Un lupo americano mannaro a Londra (An american werewolf in London). Il primo viene considerato dal regista come un grande successo, non tanto per gli incassi, ma perché ha riportato la musica nel cinema. Invece riguardo Un lupo mannaro americano a Londra, Landis afferma di essere particolarmente legato a questo film perché lo sente interamente suo; avendolo finanziato interamente da sé, ha avuto la piena libertà di produrlo come meglio voleva. Diceva a sé stesso “John, can i do it? Yes, I can.

Due cose terribili: il Covid e lo streaming

Two terrible things happened: one was the digital explosion, so now you have streaming, and the other was the pandemic. Together, those really hurt movie theatres. And what’s terrible about that is that people got used to watching movies on a television or a laptop or a smartphone.- John Landis

Da queste parole di Landis emerge una opinione particolarmente negativa dello streaming. È da notare come due registi come Abel Ferrara e lo stesso Landis percepiscano l’avvento delle piattaforme in maniera diametralmente opposta. Mentre per il primo lo streaming è un’opportunità, una rivoluzione (lo afferma nella nostra intervista), per Landis internet è una rovina per il cinema.

Ilaria Denaro

Tao Film Fest 69: I Peggiori Giorni

 

I Peggiori Giorni
I peggiori giorni: il perfetto sequel con un cast eccezionale! – Voto UVM: 5/5

 

La settima serata del Taormina Film Festival 69 ha visto la proiezione del film I Peggiori Giorni (sequel de I Migliori Giorni), diretto da Edoardo Leo e Massimiliano Bruno.

La serata è stata molto importante per entrambi, in particolare per Leo poiché, la sera precedente, ha ricevuto il premio Tao Art per “il suo talento e la sua abilità come regista” come detto dalla presentatrice. Sul palco, è salito la metà del cast: citiamo infatti Fabrizio Bentivoglio, Rocco Papaleo, Anna Foglietti, Anna Ferzetti, Marco Bonini e Sara Baccarini.

Il film è di tipo corale e propone 4 episodi, anche se, a detta di Rocco Papaleo, l’idea è più una rivisitazione del genere. Ciascuno di essi, ha un blocco narrativo e un ambientazione diversa tra loro, ma il tema dominante è la rappresentazione di momenti difficili, trattati con un velo di ironia per non lasciare lo spettatore con troppo rammarico. La cosa più interessante del progetto è proprio l’intenzione di cambiare il tono della commedia, la quale sembra inserire un po’ di poesia intorno alla disperazione.

Risate dolceamare

Il primo episodio è incentrato sostanzialmente sul rapporto padre-figli. Infatti, i protagonisti, che sono per l’appunto tre fratelli (Edoardo Leo, Massimiliano Bruno e Anna Foglietta), si ritrovano, proprio il giorno di Natale, a dover discutere su chi debba donare un rene al proprio padre (Renato Carpentieri). Tra i vari temi che vengono a galla durante la vicenda, emerge quello dello smarrimento per l’incapacità di comprendere quale sia la decisione giusta da prendere, soprattutto se ciò riguarda i nostri cari.

Il secondo episodio è una chiara dimostrazione dello scarso sistema che circonda anche chi sembra essere sul gradino più alto della scala sociale. Stefano (Fabrizio Bentivoglio) è un imprenditore sull’orlo della bancarotta, e per questo decide di compiere l’estremo gesto, durante la giornata della festa dei lavoratori. D’un tratto, arriva Antonio (Giuseppe Battiston), con addosso una maschera di Che Guevara con l’intento di tagliarli un orecchio se non avesse ottenuto la liquidazione dovuta ad un precedente licenziamento. Il tema del lavoro, di per sé abbastanza delicato, trova in questo episodio un’applicazione fortemente evocativa poiché, confrontandosi e rinfacciandosi varie questioni, si rendono conto di non essere del tutto diversi.

Fabrizio Bentivoglio. ©Federico Ferrara 

I Peggiori giorni: i temi

Il terzo episodio, ambientato a ferragosto, è una chiara denuncia al cyberbullismo, il complicato rapporto tra genitore e figlio e la superficialità nell’affrontare determinati problemi. Due famiglie (una interpretata da Neri Marcorè e Anna Ferzetti, l’altra da Ricky Memphis e Claudia Pandolfi), si scontrano per via di un gesto spiacevole. I figli della seconda coppia, hanno divulgato via internet delle foto umilianti della figlia dell’altra coppia. Questo ha suscitato una forte rabbia, culminata negli schiaffi del padre nei confronti dei figli. La particolarità di questo episodio sono gli scambi di battute, che pongono sullo stesso piano sia la serietà, che l’ironia dei discorsi. Molto interessante la scelta di citare Alcesti, una delle tragedie di Euripide.

Il quarto e ultimo episodio è ambientato ad Halloween. Il protagonista (Rocco Papaleo), ogni anno in questo giorno soffre la scomparsa della moglie, riguardando i momenti belli del passato tramite dei video. La figlia (Sara Baccarini) fa di tutto per rinvigorirlo, cercando di fargli capire che per quanto possa essere difficile, si deve trovare la forza di andare avanti. Il finale è molto significativo, in quanto prevale l’idea che non sono i soldi a rendere bella una persona, bensì la sua forza d’animo.

Rocco Papaleo e Sara Baccarini. ©Federico Ferrara

Siamo davvero così cinici?

Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo. ©Federico Ferrara

Ciò che lega i quattro episodi è sicuramente una critica alla società di oggi, e al tempo stesso anche ai comportamenti sbagliati su cui, spesso e volentieri, dimentichiamo di soffermarci. La scelta di realizzare l’intero film in sequenza si è rivelata vincente perché, in questo modo, lo spettatore può immedesimarsi con il punto di vista di più personaggi.

In un’intervista, Edoardo Leo ha dichiarato:

L’idea di base era quella di raccontare gli italiani attraverso le feste comandate, i giorni che ognuno di noi, volente o nolente, è costretto a vivere.

Secondo noi ci sono riusciti benissimo! Rimane, però, una frase in una scena che ci ha colpito particolarmente sia per il significato, sia per il momento in cui è stata detta:

Aspetto che un meteorite colpisca il pianeta e stermini l’umanità!

A voi le considerazioni.

Asia Origlia
Federico Ferrara
Gabriele Galletta
Matteo Mangano

Tao Film Fest 69: Billie’s Magic World

 

Billie’s Magic World: un film mediocre e dimenticabile. Voto UVM 2/5

 

La sesta serata del Taormina Film Festival 69 ha visto la proiezione di due film. Tra questi, vi era Billie’s Magic World, film in animazione diretto dal regista italiano Francesco Cinquemani (autore anche di La Rosa Velenosa e Andròn: The Black Labyrinth). Nel cast figurano i fratelli Alec e William Baldwin (per la prima volta insieme!), Valeria Marini, Elva Trill e altri. Il film, completamente diverso dal genere iniziale del regista, si concentra sulla visione fanciullesca di Billie (Mia McGovern Zaini), la protagonista, che si ritrova in un mondo magico e deve fronteggiare un manipolo di cattivi che vuole conquistare il mondo.

Billie’s Magic World: la trama

La protagonista si separa dal padre (Samuel Kay) improvvisamente poiché, viene rapita da Gregory (William Baldwin) e Florence (Elva Trill), che la portano nel castello di Lord Domino (Alec Baldwin) per imprigionarla nelle segrete. Il piano di Lord Domino è quello di conquistare il mondo, inondandolo di malumore e brutti pensieri. Billie, imprigionata in questo castello, dovrà trovare il modo per fuggire: le verrà in aiuto il suo pupazzo JP, il quale prenderà vita grazie a un trucco di magia adoperato dalla stessa bambina.

Tecnica mista…ma dove?

Billie’s Magic World presenta una serie di problemi. Il primo di cui vogliamo parlare è la tecnica d’animazione: informandoci su questo film, e parlandone con il regista, abbiamo saputo che questo è un film di animazione, girato in tecnica mista. Per intenderci, è una tecnica tramite la quale i personaggi, cioè gli attori in carne ed ossa, interagiscono con personaggi animati. Effettivamente una scena c’è, ma dura pochissimo e ci si scorda del fatto che Billie abbia interagito, nel mondo reale, con un personaggio animato. Infatti, questa è l’unica applicazione della tecnica mista in tutta la pellicola, e dura 10 secondi.

Successivamente, l’animazione continua tramite un semplice escamotage: i personaggi muovono le dita per aria, appare uno schermo e tutti quanti si siedono a guardare un episodio di un cartone animato. Ora, noi crediamo che questa scelta non sia stata soddisfacente, perché non restituisce la giusta empatia tra lo spettatore e ciò che vede sullo schermo. Questa impostazione, interrompe completamente il ritmo della narrazione (forse anche troppe volte).

Il montaggio, la regia e l’animazione

Il film presenta delle tecniche di montaggio abbastanza elementari e scarne, prive di guizzi creativi. Il regista ha detto che realizza pellicole per il pubblico americano. Ci chiediamo a questo punto cosa ne pensano davvero, perché non vi sono elementi tipici del montaggio americano (che sia classico o moderno). Nonostante sia un prodotto destinato a una fascia di pubblico giovanissimo, non significa che debba essere mediocre nel montaggio. Anzi, se c’è più creatività viene notato anche da chi non è esperto.

Francesco Cinquemani. ©Federico Ferrara

La regia, però, per quanto elementare ci è sembrata funzionale alla trama. Nessun guizzo particolare, ma la camera inquadrava sempre tutto ciò che serviva vedere.

Per quanto riguarda l’effettiva tecnica di animazione, utilizzata nei “corti” animati presenti a forza nel girato, crediamo che non abbia centrato il punto. Secondo noi, i personaggi erano animati in maniera troppo frenetica (per non dire isterica) ed erano completamente apatici, elemento che in un film per bambini non bisogna mai fare. Questo ha generato una grande confusione in noi, nel comprendere cosa stessero facendo effettivamente i personaggi. Se dovessimo riassumere in breve, diremmo che è un’animazione poco curata che trasmette molto poco,  soprattutto i più piccoli che sono proprio i diretti interessati.

La recitazione tra alti e bassi

La presenza dei fratelli Baldwin è dominante, anche se il regista ha voluto dare più spazio a William rispetto ad Alec. Quest’ultimo è certamente poco presente, ma è dovuto al suo ruolo di antagonista: la struttura narrativa di questo tipo di storia prevede che il cattivo, sia presente solo in scene chiave in cui ci sia anche la protagonista. Tuttavia, si sarebbe potuto optare per una presenza maggiore di Alec, scritturando attorno alla sua figura un personaggio minimamente fuori dagli schemi, per dargli maggior rilievo.

William Baldwin. ©Federico Ferrara

William supera abbondantemente la prova insieme a Elva, fornendo un’immagine concreta dei loro personaggi. Mia Zaini interpreta molto bene il ruolo di protagonista, e per noi è stata una grande rivelazione.
Altri, lasciano invece molto a desiderare: Orthensia (Valeria Marini) più che un personaggio di supporto, è piuttosto una comparsa messa lì per riempire il minutaggio. Sia lei, che il capo di lavoro del padre (fa più comparse ed è giusto così poiché è un personaggio secondario), non hanno un appeal convincente. Sembrano sconnessi da tutto il resto, sia del cast che della trama.

Valeria Marini. ©Federico Ferrara

Billie’s Magic World, ne vale la pena?

Billie’s Magic World, alla fine, è inconsistente. Le mascotte animate sembrano essere una serie di secondarie apparizioni, inserite soltanto a posteriori. 
La trama è troppo semplice, e manca completamente di una catarsi. Il cattivo non viene sconfitto, e di conseguenza i buoni non sembrano vincere sul male. Gli attori recitano bene (anche se non tutti), ma senza spiccare notevolmente.

Crediamo che si sarebbe potuto fare di meglio, ma le cose stanno così.

 

Federico Ferrara
Matteo Mangano

Tao Film Fest 69: A Thousand and One

 

A Thousand and One
A Thousand and One: una pellicola tanto drammatica ed avvincente da far commuovere il pubblico. – Voto UVM: 4/5

 

La quarta serata della sessantanovesima edizione del Taormina Film Festival (qui parliamo di un’altra premiere) è stata incentrata su una pellicola tanto drammatica ed avvincente da far commuovere il pubblico: A Thousand and One. La pellicola, diretta dalla regista americana A.V. Rockwell.

A Thousand and One racconta il dramma di Inez, e la dolorosa separazione dal figlio Terry; uscita di prigione, Inez è costretta a visitare il proprio bambino in pochi brevi momenti, fin quando non decide di portarlo con sé. Rapisce il bambino per poterlo crescere ad Harlem, quartiere di origine di Inez. Terry diventa grande, ma la realtà è destinata a venire fuori.

Nel cast ritroviamo l’attrice e cantante americana (nata ad Harlem) Teyana Taylor nel ruolo di Inez, il giovanissimo Aaron Kingsley Adetola nei panni del piccolo Terry e William Catlett come Lucky.

A Thousand and One: la realtà di Harlem

Elemento interessante di A Thousand and One è il modo in cui la regista fa emergere la realtà sociale di quartieri poveri e con molta criminalità come la Harlem nei primi anni 2000, prima della crisi economica del 2007/2008. In una città ricca come lo era e lo è New York, vengono mostrati gli invisibili, coloro che lottano per la sopravvivenza a pochi isolati da uno dei quartieri finanziari più ricchi del mondo. La città finisce per essere, dal punto di vista della regista, un terzo protagonista.

L’aspetto dei cambiamenti sociali viene reso chiaro allo spettatore attraverso estratti di telegiornali, di discorsi di due sindaci della città: Rudolph Giuliani, sindaco dal 1994 al 2001, e Michael Bloomberg, sindaco dal 2001 al 2013. Queste due figure hanno contribuito a modificare la realtà di questi quartieri, non sempre però a vantaggio della povera gente.

Il periodo di grande espansione del mercato immobiliare nei primi 2000 ha avuto le sue ripercussioni in quartieri come Harlem, dove si è puntato ad una riqualificazione della zona, con rinnovamenti edilizi. Questo fattore è mostrato in A thousand and one, dove nel 2005 molti edifici della zona vengono comprati e ricostruiti, e le famiglie, tra cui anche gli stessi Inez e Terry, vengono messi in condizione di dover lasciare obbligatoriamente la loro casa.

Il miglioramento della zona è continuato, ad avviso della regista A.V. Rockwell e dell’attrice Teyana Taylor, fino al presente. Al giorno d’oggi Harlem non è più il quartiere governato dalla criminalità ed in cui la gente viveva di precarietà, ma in questa riqualificazione le persone della zona, i neri specialmente, non sono stati considerati ed inclusi in questo processo di cambiamento.

Il montaggio “intimo” di A. V. Rockwell: nostalgia da cinepresa

Il film riprende, stilisticamente parlando, il genere del cinema underground, merito anche del direttore della fotografia Eric Yue e dei due addetti al montaggio: Sabine Hoffman e Kristan Sprague.

La regista A. V. Rockwell è stata capace, tramite primi campi molto “intimi”, a rappresentare la condizione dei singoli personaggi, in particolar modo della protagonista, Teyana Taylor.

A Thousand and One ricorda molto quei “vecchi” film girati con macchina da presa e pellicole da 35 mm. (o meglio, super 35 mm.). Anche se, la regista stessa ha affermato, durante la sua masterclass al Taormina Film Festival 69, di aver girato tutto con una videocamera ALEXA Mini LF.

La durata media delle inquadrature (o average shot length, ASL), è invece di 3 secondi circa, arrivando a 7/8 secondi, per le scene più struggenti. Innovativo per un film di genere drammatico, soprattutto perché gli conferisce una velocità maggiore e non fa perdere l’attenzione allo spettatore.

A Thousand and One
Da sinistra: Teyana Taylor e A. V. Rockwell, rispettivamente protagonista e regista di “A Thousand and One” al Taormina Film Fest 69, durante prima europea del film. @ Nando Purrometo

Inez: una figura guida per la stessa regista

La protagonista femminile Inez è costruita come una figura forte, determinata. La stessa regista Rockwell, alla masterclass tenutasi al Taormina Film Fest, afferma di ispirarsi molto al personaggio di Inez, di vederla come una figura importante per l’empowerment femminile. Inez riesce a lottare per il proprio figlio e per rialzarsi ad ogni problema ed avversità.

L’impatto del personaggio di Inez è chiaro per il pubblico specialmente per il suo ruolo di madre, quindi nel rapporto con Terry. Lei lotta per poter crescere il proprio figlio, per potergli dare una vera famiglia e proteggerlo dall’infanzia che lei ha dovuto vivere. Inez arriva ad andare contro la legge, contro il sistema di affidamento per il suo bambino.

Una figura così tenace e disposta a qualsiasi sacrificio per il proprio figlio non può che generare empatia nel pubblico.

“No matter where you come from, you have the strength to find Inez in you” – A.V. Rockwell durante il Festival

 

Ilaria Denaro
Domenico Leonello

Tao Film Fest 69: Indiana Jones ed il quadrante del destino

Indiana Jones
Indiana Jones è sempre un personaggio caro al pubblico, ma la pellicola in se non presenta una grande originalità nella trama, non rispettando a pieno le aspettative del pubblico. – Voto UVM: 3/5

 

La terza serata della sessantanovesima edizione del Taormina Film Fest riporta sul grande schermo italiano una figura riconoscibile già da soli semplici accessori: una frusta ed un cappello. Ebbene si Harrison Ford è ritornato nei panni del professore/avventuriero Indiana Jones! Dopo tanti anni dall’uscita del precedente capitolo della saga, Indiana Jones ed il regno del teschio di cristallo (2008), in questa pellicola viene raccontato un Indy diverso, più grande e provato dal tempo passato.

A fianco del grande Harrison Ford sono presenti tante altre note figure del cinema Hollywoodiano ed internazionale. Interessante elemento di Indiana Jones ed il quadrante del destino è la presenza di una giovane figura femminile che affianca il noto avventuriero, interpretata da una carismatica Phoebe Waller Bridge (Fleabag). Nel cast ritroviamo anche Antonio Banderas ed il danese Mads Mikkelsen.

Indiana Jones
Parte del cast di “Indiana Jones 5” alla conferenza stampa al Taormina Film Festival 69.

Il ritorno dell’avventuriero

Indiana Jones ed il quadrante del destino si apre con un lungo flashback: l’archeologo si trova su un treno nazista durante la Seconda guerra mondiale per salvare l’amico e collega Basil Shaw, intrepretato da Toby Jones (Harry potter). Qui i due riusciranno eroicamente a sfuggire insieme ad un antico artefatto, l’Antikythera, rubato allo studioso nazista Voller. Si tratta di un meccanismo creato da Archimede che unito ad un secondo pezzo mancante, avrebbe permesso di controllare anche il tempo, di aprire dei varchi temporali. Negli anni, Basil resta così affascinato dall’oggetto da tramutarlo nella sua ossessione.

L’anno è il 1969, l’avventuriero Indiana Jones è divenuto un triste professore di archeologia prossimo alla pensione, con tanti acciacchi fisici ed un triste carico emotivo dal passato che porta con sé. L’incontro con Helena (Phoebe Waller Bridge), figlia del defunto Shaw, modificherà momentaneamente i suoi piani per una vecchiaia tranquilla; la ragazza si rivolge a Jones per recuperare l’Antikythera e poterlo vendere ad un’asta clandestina.

Nella corsa per riprendere l’antico oggetto rubato, Jones si imbatterà nuovamente nell’antico proprietario dell’Antikithera: il nazista Voller, ora professore Schmidt. Quest’ultimo, dopo aver conquistato lo spazio lavorando per la NASA, vuole nuovamente controllare il tempo con il meccanismo di Archimede.

Parte la corsa per Indiana Jones ed Helena, insieme, per recuperare il secondo oggetto, mai ritrovato fino ad allora.

Indiana Jones
Premiere italiana del film al Teatro antico di Taormina durante il Taormina Film Festival 69. @ Nando Purrometo

Un’Indiana Jones fuori tempo

Elemento interessante in Indiana Jones ed il quadrante del destino, che salta subito all’occhio per lo spettatore, è il passare degli anni per l’eroe con frusta e cappello.

Nel passaggio dal flashback al presente del 1969 la contrapposizione è fin troppo chiara per lo spettatore: se un minuto prima vediamo un Indiana Jones ringiovanito che salta da un treno in corsa, il momento dopo siamo di fronte ad un uomo, provato dagli anni di avventure.

Molto d’impatto è la scelta di mostrare come prima scena dell’archeologo nel presente il personaggio a torso nudo, in tutta la sua fragilità fisica. Il vecchio Indiana Jones si ritrova a vivere in un corpo che non è più il suo, ed in una realtà che non sente più sua.

Un cambio di testimone?

Indiana Jones ed il quadrante del destino presenta una nuova figura femminile: Helena. Si tratta di un personaggio avventuriero e senza paura come Jones, ma con una mente calcolatrice. Mentre il vecchio avventuriero è sempre legato ai valori e lotta per essi, Helena sembra avere un carattere più razionale.

Helena diviene un prototipo di eroina femminista: indipendente ed intraprendente, fa risse, sfugge dalla mafia in Marocco e si dà a degli inseguimenti in sella ad una moto rubata! L’attrice Phoebe Waller Bridge, nell’interpretare la giovane, porta molta della sua sottile ironia, dando vita ad una co protagonista che porta un certo brio comico al film.

Indiana Jones
Phoebe Waller Bridge alla conferenza stampa del Taormina Film Fest 69.

Il solito Indiana Jones

Indiana Jones ed il quadrante del destino presenta molti elementi tecnico narrativi classici del franchise: l’indimenticabile colonna sonora di John Williams (The Fabelmans), le scene d’azione e di inseguimenti e l’immancabile look dell’avventuriero Jones. La presenza di questi elementi era necessaria per il film, altrimenti che Indiana Jones sarebbe stato!

Ad ogni modo però la presenza di una trama molto simile a quella degli altri film precedenti può dare al film un non so che di già visto, di ripetitivo. L’unico elemento narrativo di differenza è la presenza dei viaggi nei varchi temporali: tale tematica non solo non è appartenente al genere d’avventura, ma soprattutto non è affrontata in maniera adeguatamente precisa.

Indiana Jones ed il quadrante del destino non è una pellicola perfetta e probabilmente non ha rispettato le tante attese del pubblico, ma ci ha comunque regalato un ritorno sullo schermo di una figura molto amata dagli spettatori. Il risultato è un film molto piacevole da vedere, che ci riporta il perfetto mix di azione, avventura e lieto fine che solo un Indiana Jones può regalare!

 

Ilaria Denaro

Tao Film Fest 69: Lo Sposo Indeciso

A metà tra commedia e paradosso, Lo Sposo Indeciso, da un insegnamento su come riflettere ai piccoli dilemmi della vita. Voto UVM: 4/5

La seconda serata della sessantanovesima edizione del Taormina Film Festival si è aperta con la prima assoluta di Lo sposo indeciso che non poteva, o forse non voleva, uscire dal bagno. Diretto dal regista Giorgio Amato, il film è una commedia dai tratti drammatici e tendenti al paradossale. La trama, molto statica, racconta le infinite peripezie di Samantha e di Gianni Buridano, noto professore di filosofia morale.

Dopo i drammi vissuti dalla sposa, lo sposo viene colpito da un incontrollabile bisogno del bagno e, dopo essere entrato nella toilette presente nella chiesa, non riesce più ad uscire da lì.

Protagonisti de Lo Sposo Indeciso sono Gianmarco Tognazzi nel ruolo del professore ed Ilenia Pastorelli come Samantha. Nel cast sono presenti altre note figure del cinema italiano, quali Claudia Gerini (Hammamet), Ornella Muti e Francesco Pannofino (Boris). La tragicommedia italiana arriverà nei cinema il 29 giugno.

Lo sposo indeciso
Il regista Giorgio Amato sul Blue Carpet di Taormina. ©Ferdinando Purrometo

Lo sposo indeciso: il fenomeno del classismo

La pellicola si sviluppa sulla contrapposizione tra la figura di Samantha, ignorante, di poche maniere e fortemente legata alle credenze superstiziose ed alla religione, ed il professore, ateo uomo di pensiero molto colto. Fin dall’inizio si nota anche la diffidenza da parte delle famiglie dello sposo e della sposa verso il futuro consorte: il padre della sposa, interpretato da Francesco Pannofino, spinge affinché la figlia cambi idea, per tornare da Jonathan, il figlio del macellaio più simile a loro come retaggio sociale.

Allo stesso modo, Edo, testimone ed amico dello sposo, cerca di convincere il professore a riflettere sul grande passo che sta facendo e sulla follia di unirsi con una ragazza così diversa da lui, con cui non ha nulla in comune. Lo spettatore comprende come, a prescindere dalla classe sociale, i simili tendono a stare con i propri simili e si ha sempre diffidenza verso ciò che è diverso.

Lo Sposo Indeciso: la scienza contro la superstizione

Un’altra dicotomia interessante che viene sviluppata ne Lo Sposo Indeciso è la contrapposizione tra la realtà scientifica e la sfera delle credenze e superstizioni umane. Il professore Buridano è la personificazione della conoscenza basata sul pensiero razionale, mentre Samantha e gli avvenimenti in sé mostrano la forza del paradosso irrazionale.

Il professore si ritrova a lottare contro una realtà a cui non trova spiegazione, venendo catapultato in un vortice di malocchio ed incantesimi. Lo sposo lotterà per mantenere ferma la sua linea di pensiero atea e contro ogni credenza.

Si ritroverà dinanzi ad un dilemma: dover rinnegare la propria razionalità, accettando l’esistenza delle superstizioni, o andarsene con la sua integrità di pensiero!

Lo sposo indeciso
Samantha prima del matrimonio. © Ilaria Denaro

L’omaggio a Francesco Nuti più che riuscito

Il film è tra l’altro un gentile omaggio all’ormai scomparso Francesco Nuti nel film Madonna che silenzio c’è stasera, dove lui inizia questa giornata rimanendo bloccato in bagno (per una quindicina di minuti) non riuscendo più a smettere di fare pipì. Ed effettivamente è questa scena che ha dato al regista, Giorgio Amato, lo slancio narrativo per la stesura della sceneggiatura.

Con una differenza, il nostro protagonista, interpretato da Gianmarco Tognazzi, resterà “bloccato” in bagno non solo per 15 minuti ma per tutta la durata del film.

Un film sul paradosso intriso d’esistenzialismo da taverna

Il problema che fa da collante a tutta la pellicola di Giorgio Amato è l’incapacità di prendere delle decisioni. Nel film si fa, più di una volta, riferimento al paradosso dell’asino di Buridano (nome scelto proprio per il protagonista), che narra di un asino affamato, seduto tra due mucchi di fieno perfettamente uguali e che nell’incapacità di scegliere se mangiare quello a destra o a sinistra morirà, purtroppo, di fame.

E la stessa cosa succederà al nostro protagonista Buridano, professore di filosofia morale, che nell’incapacità di scegliere se continuare a sostenere le tesi per cui ha lottato un’intera vita e quella di smentirle, a favore di una via d’uscita un po’ più “soprannaturale”, finirà per “morire di paradosso”.

E proprio il paradosso avrà un ruolo fondamentale nella trama e, soprattutto, nella costruzione del protagonista del film. Quest’ultimo, infatti, non riuscirà a svincolarsi dai suoi studi sulla morale, restando “incastrato” in una serie di citazionismi filosofici e paradossali.

Lo Sposo Indeciso è una “quasi commedia” d’altri tempi!

Lo Sposo Indeciso alla fine si presenta come un film più che riuscito. La funzione narrativa, pur se minimale e a tratti statica, funziona, facendo restare lo spettatore incollato (o quasi) allo schermo. Probabilmente questo è dovuto anche al cambio di toni dalla prima alla seconda parte del film che lo fanno diventare un dramedy d’altri tempi:

“Questa storia mi ha colpito da subito. Io ci ho subito rivisto quelle ispirazioni che avevo visto in Il Ministro, di un certo tipo di commedia che avevo visto fare ai tempi di mio padre, dove Ferreri prendeva degli argomenti apparentemente grotteschi e sopra le righe e li faceva diventare delle storie che si dividevano tra la commedia e il dramma” (Gianmarco Tognazzi alla prima durante il Tao Film Fest 69)

 

Ilaria Denaro
Domenico Leonello

Warner Bros: il grande cinema compie 100 anni

Il 4 aprile del 1923 sorge a Burbank, California una piccola società, la Warner Bros. Pictures. In cento anni di crescita e cambiamenti, da allora si è fatta la storia del cinema. Sempre all’avanguardia, la Warner Bros. ha segnato alcune pietre miliari dell’evoluzione cinematografica: primo fra tutti, l’avvento del sonoro. Nel 1927 gli studios, all’orlo del fallimento, rischiano il tutto per tutto scommettendo su una nuova meraviglia nelle pellicole: il suono. Con Il cantante di jazz si scuote a fondo il mondo del cinema, cambiandolo totalmente. Dedicandosi fin da subito a vari generi, la Warner Bros. si aprí ad un pubblico ampio, producendo musical come la Quarantaduesima strada, cartoni animati come i Looney Tunes negli anni trenta e fantastici drammi d’amore come Casablanca negli anni quaranta.

In onore di questo centenario, si commemorerà questo grande traguardo anche nei grandi festival del cinema, come il Taormina Film Festival, la cui sessantanovesima edizione si aprirà oggi. Sono state programmate tantissime proiezioni speciali di capolavori della Warner Bros: qui ne analizzeremo alcuni dei più importanti!

Warner Bros
Scena di Il cantante di Jazz. Fonte: theguardian.com, Warner Bros. pictures

Il cantante di jazz (1927): l’alba della Warner Bros.

Il Cantante di jazz è un momento di svolta per il cinema: rivoluziona il  modo in cui viene percepito il film e la stessa sfrenata Hollywood. Dal punto di vista tecnico, Il cantante di jazz è la prima pellicola ad inserire degli elementi di sonoro oltre la sola musica di sottofondo.

Lo potremmo considerare come un’opera di passaggio dal muto al cinema pienamente parlato: continuano ad essere presenti le didascalie per molti dialoghi tra personaggi, ma allo stesso tempo lo spettatore ha la possibilità di sentire Jackie, il protagonista, realmente cantare e parlare. Oltre alle sole parti cantate, vengono introdotti anche dei suoni, come l’applauso del pubblico per il cantante di jazz. Guardando questo film ora, nel 2023, può apparire più che normale la presenza del suono, ma, calando Il cantante di jazz nel suo contesto storico, possiamo comprendere l’incredibile importanza che ha avuto per il cinema.

Shining (1980): il monopolio di Kubrick

Shining, il cult movie diretto da Kubrick, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, con la sua drammatica e a tratti orrorifica narrazione delle vicende della famiglia Torrance, è ormai entrato a far parte dell’immaginario collettivo di generazioni. Chi non ha mai provato, almeno una volta nella sua vita, ad imitare l’iconica scena in cui Jack (Jack Nicholson) sfonda la porta del bagno con l’accetta pronunciando la frase: “Sono il lupo cattivo!”.

Per molti aspetti, Shining potrebbe rientrare nella lista dei film più “sovversivi” della storia del cinema. In primis per l’utilizzo della steadycam, un supporto che favorisce movimenti rapidi e senza vibrazioni. E poi per lo svariato utilizzo dei raccordi, che privilegiano quell’”invisibilità” del montaggio, di cui Hollywood ne è la culla. Ad esempio, nella famosa inquadratura in cui Danny (Danny Lloyd) entra nella stanza 237 cercando la madre, il raccordo di risposta ci rimanda ad un’inquadratura che mostra la madre da tutt’altra parte. Il film, inoltre, consolida la stretta collaborazione tra il regista Kubrick e la Warner Bros., la quale produrrà tutti i suoi film da Arancia Meccanica (1971) in poi.

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Scana di Shining. Fonte: wikipedia.it, Warner Bros. Pictures

Matrix (1999): il multiverso della Warner

Sono due le coppie di fratelli che, a mio parere, hanno rivoluzionato la storia del cinema. E se i primi furono i Lumière, non possiamo ad oggi non riconoscere il forte impatto provocato dai registi di Matrix: i fratelli o, meglio, le sorelle Wachowski.

Il loro “mito della caverna” stile cyberpunk, come in Platone, ruota sulla dicotomia tra realtà e finzione. Neo / Mr. Anderson (Keanu Reeves) è il prigioniero che lascia la caverna per liberarsi delle illusioni e dalla finzione che essa genera. Una volta accettata la dura realtà rientra nella caverna (in Matrix) per liberare gli altri, come Morpheus (Laurence Fishburne) ha fatto con lui.

E anche se noi, nuove generazioni, diamo ormai per scontato l’idea di un’immagine così plasmabile sul grande schermo, non si può dire lo stesso del pubblico di allora che si trovò di fronte a delle scene realizzate con effetti speciali all’avanguardia ripetuti insistentemente. Ne è un esempio il bullet time, effetto realizzato con una tecnologia chroma key (green screen / blue screen) unita ad una computer grafica 3D, che divenne poi uno dei marchi principali del film.

Il cavaliere oscuro (2008): la Warner Bros. dei supereroi

Con Il cavaliere oscuro la Warner Bros. ha portato sul grande schermo una ultima, strabiliante performance di Heath Ledger. L’attore australiano qui interpreta uno dei più noti cattivi del cinema e dei fumetti: il Joker. La figura di questo pseudo pagliaccio malvagio è stata riportata in pellicola da molti attori, ma l’interpretazione di Ledger è probabilmente una delle più riuscite, tanto da fargli vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista postumo: una coronazione alla sua carriera ed alla sua vita. La Warner si è occupata della produzione di tutta la saga di Batman diretta da Christopher Nolan, quindi oltre a Il cavaliere oscuro, secondo capitolo della trilogia, anche di Batman Begins (2005) e Il cavaliere oscuro: il ritorno (2012).

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Heath Ledger in Il cavaliere oscuro. Fonte: Quinlan.it, Warner Bros. Pictures

Per dare una reale visione completa dei cento anni di cinema e passione che ha regalato la Warner Bros al pubblico internazionale sarebbe necessario ben più di un solo articolo. Senza alcun dubbio, fondazioni come Taormina arte sono riuscite a dare un miglior sguardo al passato di questi studios, riportando sul grande schermo le pellicole analizzate, insieme a molti altri capolavori. Non ci resta che continuare a celebrare il cinema al Taormina Film Festival appena iniziato ed aspettare come ci sorprenderà la Warner Bros. nei prossimi cento anni!

Ilaria Denaro
Domenico Leonello