USA, dubbi amari e tensioni sui “palloni-spia” cinesi

USA e Cina hanno ravvivato le tensioni reciproche. Le insolite “escursioni” di due “palloni-spia” di provenienza asiatica sul territorio statunitense, e nelle sue prossimità, hanno schiuso dubbi piuttosto amari. Per quale motivo degli strumenti d’analisi bellica hanno sorvolato i cieli americani? Perché il loro passaggio è stato così manifesto e spudorato? Che tutto sia propedeutico alla valutazione di uno sconfinamento cinese verso Taiwan? Di seguito una panoramica delle vicende con i loro dettagli controversi.

USA, il percorso dei “palloni-spia”

Riporta le informazioni Rainews. Il Pentagono ha annunciato di aver notato un primo “pallone-spia” (pallone aerostatico) sorvolare gli Stati Uniti lo scorso martedì, e che da allora ne ha monitorato gli spostamenti. Il suddetto oggetto avrebbe percorso le isole Aleutine (in Alaska), il Canada e infine il Montana.

Dato che in quest’ultimo spazio il governo statunitense possiede alcune delle sue centrali nucleari e dato che lo strumento è apparso attrezzato per raccogliere informazioni di genere militare, la presenza è stata immediatamente indagata con sospetto dalla parte violata. Così anche il Presidente Joe Biden si è interessato direttamente della questione.

Un secondo “pallone-spia” è stato ravvisato un giorno più tardi nei cieli sudamericani. Di questo si è detto che non fosse diretto verso il territorio statunitense, ma solo in transito su quello latinoamericano.

Pallone-spia
Pallone-spia. Fonte: Corriere della sera

Le (dure) reazioni di Washington

Il Presidente, apprese le notizie, ha richiesto l’abbattimento dei due palloni con veemenza. A primo impatto, valutando pericolosa la mossa, la Difesa ha deciso di attendere: i detriti dei palloni avrebbero potuto danneggiare i civili a terra. Il primo pallone è stato quindi distrutto una volta giunto sulle vie dell’Oceano Atlantico e ora i sui resti sono sotto l’analisi di alcuni esperti; il secondo pallone scorrazza ancora integro.

Parallelamente, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha deciso di rinviare la sua visita in Cina, prevista per ieri. Blinken ha posto una peso sulla questione affermando che la priorità fosse «allontanare il pallone-spia dai cieli Usa». Successivamente ha comunque rassicurato di aver rimandato il bilaterale a un momento in cui vi sarebbero state «le condizioni per una visita».

Il messaggio dell’amministrazione Biden è stato perentorio: nessuno crede che la sonda cinese sia stata inviata in buona fede.

La difesa-offesa di Pechino

La Cina si è dapprincipio difesa facendo trapelare che il presunto «pallone spia» avvistato fosse in verità un «aeromobile civile» usato per «ricerche meteorologiche e scientifiche». A detta del ministero degli Esteri di Pechino, tale “aeromobile civile” sarebbe giunto nell’estremo occidente a causa di forti venti imprevisti. Per questo, il ministero ha subito dichiarato rammaricazione «per il suo ingresso involontario nello spazio aereo statunitense per cause di forza maggiore».

Dopo le (dure) reazioni di Washington, però, anche Pechino ha scelto di cambiare il registro del dialogo.

La Cina ha alzato i toni, esprimendo «la sua forte insoddisfazione e protesta contro l’abbattimento del suo dirigibile civile senza pilota». Poi aggiungendo, tramite una nota del ministero degli Esteri, che la parte americana avrebbe insistito «nell’usare la forza, ovviamente reagendo in modo eccessivo e violando gravemente la prassi internazionale» malgrado non ci fossero i requisiti di pericolo e l’affermato “uso civile del dirigibile.

Ora la Cina «salvaguarderà risolutamente diritti e interessi legittimi delle società interessate, riservandosi il diritto di effettuare ulteriori reazioni necessarie». Una sigla guerrigliera che apre a scoraggianti scenari.

Bandiera della Cina
Bandiera della Cina. Fonte: Cina in Italia

USA e Cina, gli elementi di contesa

Il principale tema di tensione tra USA e Cina è probabilmente la questione dell’isola di Taiwan.
Gli equilibri hanno subito un brutto colpo lo scorso agosto, con la visita di Nancy Pelosi all’isola, attraverso cui gli USA hanno confermato il sostegno all’idea d’indipendenza taiwanese.

La visita è stata giudicata da Pechino come «una grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Cina», e ha portato a crescenti tensioni militari nei pressi di Taiwan.

Altro motivo rilevante di disputa è il rapporto indefinito che la Cina ha con la Russia. La plurivocità di Pechino infastidisce notevolmente l’alleanza Nato.

A fronte di tutto ciò, si può pensare che la Cina voglia scandagliare l’arsenale USA per avere migliore contezza del suo potenziale militare, o che voglia punzecchiare la Federazione per cambiare, inasprendoli, i rapporti. Un passo falso di Biden potrebbe diventare un espediente azionante Jinping, e chissà se addirittura l’occasione per aggredire una regione ideologicamente contesa.

 

Gabriele Nostro

Xi Jinping verso il suo terzo mandato: le sue dichiarazioni al Congresso Nazionale del Partito Comunista

Dal 16 al 22 ottobre il segretario generale Xi Jinping ha presieduto il 20° Congresso Nazionale del partito Comunista cinese (PCC), tenutosi nella Grande Sala del Popolo a Pechino. L’ershida, attesa da tutti i media cinesi e mondiali, ha ancora una volta dato prova della forza e del potere politico che il segretario generale ha accumulato durante i suoi anni di mandato. 

Cos’è il Congresso Nazionale del partito comunista 

Considerato come uno degli eventi politici più importanti ed attesi nel territorio cinese, il Congresso si tiene ogni cinque anni, della durata di circa una settimana, e riunisce ben 2.300 membri rappresentativi dei quasi 97 milioni di iscritti del partito comunista, chiamati delegati 

Di questi delegati, circa 400 fanno parte del Comitato Centrale del Partito, la più alta autorità istituzionale cinese, del quale poi saranno chiamati ad eleggere il Segretario Generale del Partito, che a sua volta eleggerà il cosiddetto Politburo, l’ufficio politico del Partito Comunista Cinese. 

La Grande Sala del popolo di Pechino durante il 20° Congresso Nazionale del Partito Comunista cinese. Fonte: rainews.it

Xi come “nucleo” del partito 

Dalla sua elezione nel 2012 come Segretario Generale del Partito Comunista e Presidente della Commissione Militare Centrale, Xi Jinping ha cercato sempre di più di consolidare la sua autorità e accrescere il suo potere individuale, portando così il Congresso Nazionale del PCC tenutosi nel 2018 a fare la prima sostanziale modifica sul limite di due mandati.  

Fatto sta, l’intento di Xi era chiaro: la mancata nomina di un suo successore aveva già fatto presagire l’ipotesi di un terzo mandato, per poi essere stata confermata davanti ai media nazionali e internazionali il 23 ottobre, al termine del Congresso del Partito Comunista. 

Nel discorso d’insediamento dichiara:  

“La Cina continuerà ad aprirsi, perché nessuno può chiudersi. Il percorso davanti a noi è arduo, ma raggiungeremo la destinazione”

Ha poi presentato la lista dei sei membri eletti nel Comitato permanente del Comitato Centrale, tutti uomini molto vicini e fedeli di Xi. Come numero due troviamo il nome di Qiang Li, segretario del partito comunista di Shangai, che ha destato qualche polemica a causa delle politiche “zero-covid” fallimentari che ha portato la città in lockdown per due mesi nel 2022. 

I riferimenti alla figura di Mao Tse-tung, il presidente più longevo della Cina rimasto al potere dal 1949 al 1976, non tardano ad arrivare. Nonostante questo possa essere addirittura un azzardo, è innegabile affermare che Xi abbia intenzione di accentrare tutto il potere e l’influenza politica intorno alla figura del “leader del popolo”, termine usato per la prima volta da Mao, in un processo sempre più irreversibile di una istituzionalizzazione del pensiero di Xi e della conseguente “leaderizzazione” del partito comunista. 

Questo ha portato all’approvazione degli emendamenti alla costituzione, dei “Due Stabilimenti” e delle “Due Salvaguardie”, che ha sancito Xi Jinping come il nucleo del partito. 

Xi Jinping avvia il suo storico terzo mandato il 23 ottobre 2022. Fonte: faz.net

Dalla politica Zero covid all’economia

Il discorso d’apertura del Congresso, della durata di circa due ore, si basa su argomenti di attualità, come la lotta al covid, in cui ribadisce l’intento di proseguire ancora per tanto tempo con le politiche “Zero Covid”, a discapito delle proteste sollevate dai cittadini cinesi che sono scesi in piazza a Shenzhen contro la misura contenitiva fra le più rigide. Al grido di “Togliete il lockdown”, la contestazione si è diffusa anche nei distretti di Xinzhou e Huaqiangbei, in seguito alla rilevazione di 10 infetti su una popolazione di oltre 18 milione di abitanti.  

Fra gli altri successi del partito, Xi cita anche la campagna anticorruzione, che ha permesso di eliminare i gravi pericoli latenti all’interno del partito, lo Stato e l’esercito”, l’istituzione di programmi di salute, promettendo un miglioramento del sistema sanitario pubblico, l’avanzamento nelle politiche ambientali, su cui rassicura che il Paese si attiverà per la transizione ecologica e nella lotta contro il cambiamento climatico, per poi parlare di uso pulito ed efficiente del carbone. 

Anche se l’economia cinese ha registrato un boom negli ultimi decenni, a causa del covid e della crisi della guerra russa in Ucraina, il segretario generale ha ribadito anche che “lo sviluppo economico è la priorità”, dichiarando: 

“[La Cina] ha grande resilienza e potenziale. I suoi solidi fondamentali non cambieranno e rimarrà su una traiettoria positiva nel lungo periodo. Saremo risoluti nell’approfondire la riforma e l’apertura su tutta la linea e nel perseguire uno sviluppo di alta qualità”

 

La posizione su Hong Kong e Taiwan

Si è menzionato come da prassi il discorso su Hong Kong e Taiwan: se per il primo si è rivelato molto più stringente, per il secondo ha toccato la questione con una certa prudenza.  

Su Hong Kong ha ribadito che l’amministrazione della regione indipendente ha trovato una stabilità, grazie alla concretizzazione e all’affermarsi di un governo portato avanti da patrioti. Al di fuori di ciò, conferma l’intenzione di reprimere senza sé e senza ma qualsiasi principio di protesta volta a destabilizzare Hong Kong per colpire la Cina.  

Riferendosi alle regioni indipendenti di Macao e Hong Kong, vengono definite dallo stesso Xi Jinping “un Paese, due sistemi” proprio per sottolineare il modello che tiene in rapporto le due città e Pechino.  

Non è dello stesso avviso per Taiwan, il quale si è fermamente opposto, da sempre, affermando che la “riunificazione” di Taiwan alla Cina si farà, impegnandosi in un’operazione pacifica, senza però voler rinunciare all’uso della forza e si riserva di utilizzare “tutti i mezzi” che ha a disposizione. 

Il presidente del Partito democratico di Hong Kong, Wu Chi-wai, mentre viene portato via a forza dal Consiglio legislativo della città. Fonte: ansa.it

L’ex presidente scortato fuori 

Poco prima del voto all’unanimità per il sostegno al segretario generale Xi Jinping, l’ex Presidente della Cina, il suo mandato durato 10 anni dal 2003 al 2013, Hu Jintao viene portato fuori dalla Grande Sala dove si è tenuto il Congresso da due presenti, di cui uno dei due pare sia il vicedirettore dell’Ufficio Generale del Comitato Centrale del Partito. Seduto a sinistra di Xi, viene invitato dapprima a lasciare l’auditorium, per poi prenderlo quasi di forza e fatto scortare fuori. Hu dapprima sembra confuso, chiede anche spiegazioni al premier Li Keqiang, ma dopo una breve conversazioni, l’ex presidente lascia l’aula sotto l’indifferenza di tutti i presenti, tranne che per la reazione di uno dei sette membri del Comitato permanente del Politburo Li Zhanshu, cercando prontamente di aiutare ma viene trattenuto da Wang Huning, altro membro del Comitato. 

Il motivo di questo gesto non è ancora molto chiaro, ma a rompere il silenzio ci pensa il post dal profilo Twitter della testata giornalistica cinese Xinhua, che spiega: 

“Dal momento che non si sentiva bene durante la seduta, il suo staff, per motivi di salute, lo ha accompagnato in una stanza accanto alla sede della riunione per un periodo di riposo. Ora sta molto meglio.”

Victoria Calvo

Il Nicaragua cessa i rapporti con Taiwan e si avvicina sempre di più alla Cina

Giovedì il ministro degli Esteri del Nicaragua, Denis Moncada Colindres, ha annunciato l’interruzione dei rapporti diplomatici con Taiwan e l’avvio di relazioni ufficiali con la Cina. Tre ore dopo, il Consiglio di Stato cinese ha dichiarato che i due Paesi hanno firmato a Tientsin un comunicato univoco sulla ripresa dei loro rapporti diplomatici.

Il Paese centramericano ha rilasciato un breve comunicato in cui ha citato la politica di Pechino conosciuta come “Una Cina, due sistemi“:

Il governo della Repubblica di Nicaragua oggi romperà le proprie relazioni internazionali con Taiwan e cesserà ogni contatto o relazione ufficiale. Il governo della Repubblica Popolare Cinese è l’unico governo legittimo che rappresenta l’intera Cina e Taiwan è parte inalienabile del territorio cinese.

Taiwan, isola indipendente ma rivendicata dalla Cina come parte integrante del suo territorio, si è espressa con «dolore e rammarico» nei confronti della decisione, affermando che Ortega ha tradito l’amicizia tra le popolazioni di Taiwan e Nicaragua. I due paesi, infatti, durante la Guerra Fredda, erano uniti dalle convinzioni anti-comuniste dei loro Stati autoritari monopartitici, guidati rispettivamente da Chiang Kai-shek e dalla famiglia Somoza.

L’ambasciatore cinese per le Nazioni Unite, Zhang Jun, ha affermato in un tweet che «il principio “Una Cina, due sistemi” è stato ampiamente accettato dalla comunità internazionale e non può essere messo in discussione».

Foto dell’incontro tra l’ambasciatore cinese e nicaraguense, fonte: aljazeera.com

Taiwan e il difficile percorso verso l’indipendenza

I rapporti estremamente tesi tra la Cina e Taiwan risalgono al 1949, quando a Taiwan si rifugiò il governo nazionalista cinese sconfitto dall’insurrezione comunista guidata da Mao Zedong dopo una lunga guerra civile. Da allora e fino al 1987 Taiwan si era trovata sotto legge marziale ed era stata guidata dal Kuomintang, partito formato da esuli cinesi. La Cina rimase dunque per lungo tempo divisa in due: un governo alleato e riconosciuto dall’Occidente relegato sull’isola di Taiwan, e il governo del Partito comunista a guidare tutto il resto del paese.

Le cose cambiarono a partire dagli anni Settanta quando il governo comunista di Pechino iniziò ad essere riconosciuto da più Stati. Ciò comportò un sempre minore riconoscimento a Taiwan con l’espulsione da organizzazioni internazionali. Tra queste anche l’ONU, di cui non fa più parte dal 1971. Ogni richiesta avanzata finora dal governo taiwanese di essere riammesso nell’organizzazione è stata bloccata dall’opposizione della Cina che, in sede di Consiglio di Sicurezza, detiene il potere di veto in quanto membro permanente del Consiglio.

Dopo un breve periodo come membro dell’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS), organo legislativo dell’OMS, durante il quale al governo di Taiwan era salito un governo meno ostile alla Cina, Taiwan è stata completamente tagliata fuori dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Con l’esplosione della crisi pandemica da coronavirus, molte richieste da vari Stati (come Giappone, Canada, Nuova Zelanda) sono state avanzate per permettere al Paese di far parte quanto meno dell’AMS, incontrando sempre e comunque il rifiuto della Cina, che ha definito i tentativi di Taiwan di parteciparvi un «complotto politico».

Le recenti mosse di Xi Jinping

Alcuni mesi fa, il presidente cinese Xi Jinping è tornato a parlare di «riunificazione» con Taiwan nonostante qualche tempo prima avesse detto di voler «distruggere completamente» ogni tentativo di indipendenza dell’isola. Inoltre, le azioni bellicose della Cina nei confronti di Taiwan si sono fatte più intense e provocatorie, a tal punto che pare che da circa un anno gli Stati Uniti stiano addestrando l’esercito di Taiwan per resistere a un eventuale attacco. Un’eventualità che secondo il ministro della Difesa taiwanese potrebbe verificarsi entro il 2025.

Xi ha detto di puntare a instaurare a Taiwan il principio “una Cina, due sistemi”, su cui si basa anche il complicato rapporto tra Cina e Hong Kong.

Il presidente nicaraguense Daniel Ortega, fonte: reuters.com

Il gesto del Nicaragua come provocazione agli USA

Fonti attendibili taiwanesi hanno comunicato a Reuters che la tempistica dell’interruzione delle relazioni diplomatiche sarebbe stata provocatoria, in quanto giunta durante la partecipazione della stessa Taiwan al Summit per la Democrazia dell’amministrazione Biden. Interpellati sul caso, gli Stati Uniti hanno affermato che «la decisione non riflette le vere intenzioni del popolo del Nicaragua per via della “farsa” messa in atto alle elezioni del 7 novembre, tenutesi  in seguito alla pesante repressione di ogni realistica concorrenza ed incarcerazione degli opponenti politici».

Il Nicaragua si trova infatti da 14 anni sotto il regime autoritario del Presidente Daniel Ortega e del suo vice Rosario Murillo. I due sono stati protagonisti di una lunga e sanguinosa storia politica e non sono poche le accuse di voler trasformare il Paese in uno Stato di polizia con lo scopo di imporvi un controllo dinastico.

Fino ad alcuni anni fa, i paesi che riconoscevano Taiwan come stato indipendente e legittimo erano 21 ma con la recente presa di posizione nicaraguense il numero è, ad oggi, calato a 14 (13 più il Vaticano).

Valeria Bonaccorso

Taiwan continua a mostrare la sua apertura mentale con le prime nozze gay militari. L’Italia invece continua a “giocare” sul ddl Zan

Mentre in Italia si continua a lottare per l’approvazione di una legge che tuteli le persone omosessuali ed i loro diritti, dall’altra parte del mondo si festeggiano due neo coppie sposine. Una notizia del genere ormai non desta molte attenzioni, ma il settore e lo stato in cui due donne hanno sposato le loro compagne genera un piacevole stupore.

La cerimonia

A Taoyuan, municipalità di Taiwan, due coppie gay composte da militari e civili sono convolate a nozze insieme ad altre decine di coppie etero, il tutto accompagnato da un enorme parata militare e da infinite bandiere arcobaleno. La cerimonia è stata officiata dal ministro della Difesa dell’isola e le foto sono poi finite sulla pagina Facebook dell’esercito taiwanese, diventando immediatamente virali e generando molti commenti a sostegno della comunità LGBTQ+.

Foto generale con tutte le coppie neo sposine. Fonte: Shutterstock

La situazione LGBTQ+ di Taiwan

Taiwan è stato il primo paese asiatico a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso, con una legge emanata a maggio dello scorso anno in difesa delle unioni omosessuali. Adesso fa un altro passo avanti. Mentre il resto dell’Asia resta dell’idea che l’omosessualità è qualcosa di immorale ed inaccettabile, la piccola Repubblica di Cina insulare dimostra che anche un settore chiuso e maschilista come quello militare può (e deve) aprirsi ai cambiamenti, spogliandosi dei suoi pregiudizi.

Yi Wang e Yumi Meng posano durante la sfiliata militare tenutasi in occasione delle nozze. Fonte: NEG ZONE

Le considerazioni delle due neo sposine

Le due coppie hanno seguito la tradizione, scegliendo l’una di indossare la divisa militare e l’altra il classico abito da sposa bianco e lungo. Sventolavano orgogliosamente bandiere arcobaleno che richiamavano la parata del Pride di Taipei, che si terrà sabato e che si prevede sarà uno dei più grandi a livello mondiale. Intervistata, la maggiore Yi  Wang ha detto:

Spero di aumentare la visibilità degli omosessuali in modo che la gente capisca che anche noi siamo solo una parte della vita quotidiana.

Chen Ying-hsuan, luogotenente di ingegneria, continua:

Spero che più coppie dello stesso sesso possano coraggiosamente distinguersi. L’esercito è aperto e siamo tutti uguali di fronte all’amore.

L’altra coppia è composta da Chen Ying-hsuan e Li-li Chen e anche loro hanno posato con i carro armato presenti alla sfilata. Fonte: SPYit

Il paragone con l’Italia

Tutto ciò deve fare riflettere sulla situazione in Italia. Se un paese con Taiwan, sotto il controllo cinese, riesce a svecchiarsi delle sue ideologie, perché non può farlo anche l’Italia, uno stato europeo libero e democratico? Forse è troppo difficile accettare qualcosa che non appartiene alla maggioranza ma che è indispensabile alla minoranza per vivere la sua quotidianità e la sua normalità. In un periodo in cui anche papa Francesco dichiara che occorre una maggiore apertura mentale, perché si continua ad assistere ad episodi omofobi nel territorio italiano?

La Camera dei deputati. Fonte: Il Messaggero

Il disegno di legge Zan

La legge Zan contro l’omostranfobia continua a trovare opposizioni ed è rimasta sospesa fino a due giorni fa, quando la Camera ha finalmente approvato i suoi primi cinque articoli che riguardano non solo l’omotranfobia, ma anche la misoginia e le discriminazioni verso i disabili. Il disegno di legge si compone in totale di dieci articoli e prevede anche l’introduzione di una giornata nazionale contro l’omotransfobia. A questa giornata si è opposto Vittorio Sgarbi, che è stato successivamente espulso dall’Aula poiché si è rifiutato di indossare la mascherina. Inoltre il centrodestra ha nuovamente tentato a forzare il voto assentandosi e facendo quindi mancare il numero legale ma questa volta non sono riusciti nell’intento. L’esame della legge riprenderà giorno 3 novembre.

Sarah Tandurella