Il “Villaggio Svizzero” di Messina

Tutta la popolazione dello Stretto di Messina, ancora oggi, ha memoria del catastrofico sisma, avvenuto alle prime luci del mattino -05:21- del 28 dicembre 1908. Il terremoto, con una magnitudo di 7.1, fece vibrare per trenta interminabili secondi la terra e rase al suolo l’omonima città dello Stretto e in parte anche Reggio Calabria, causando centinaia di migliaia di morti.

Le vie di Messina dopo la catastrofeFonte: storia.redcross.ch

Il sostegno della Svizzera

Di fronte a questo spettacolo raccapricciante di morte, distruzione e disperazione, tutta l’Italia -e non solo- si mobilitò per soccorrere i popoli colpiti. Un aiuto, rimasto indelebile nella memoria dei cittadini, fu quello dato dalla Svizzera, che, non appena giunta la notizia, il 2 gennaio 1909 lanciò una raccolta fondi nazionale per aiutare la loro “nazione amica” rivolgendo al popolo svizzero il seguente appello tramite la stampa:

«In presenza di un simile disastro, la Svizzera non può rimanere inattiva. La nostra vicina, l’Italia, alla quale ci accomunano la lingua, l’industria e tanti legami intellettuali, deve sapere in quale misura il nostro popolo intero partecipa alla sventura che la colpisce in modo tanto brutale e terribile.» 

Poche settimane dopo giunsero così alle due città dello Stretto denaro, viveri, coperte, kit medici, cioccolata e abbigliamento.

Fonte: mutualpass.it

La nascita del “Villaggio Svizzero”

Il sostegno più importante però non si limitava ai beni di prima necessità. Grazie ai fondi inviati dalla Croce Rossa Svizzera e al contributo dell’ingegnere Spychiger, di origini svizzere ma residente in Calabria, furono costruite 21 case di legno a Messina su dei terreni che il governo italiano mise a diposizione in maniera gratuita. Queste erano ispirate al modello degli chalet svizzeri, coi tetti spioventi e costruite secondo criteri antisismici; nonostante fossero di piccole dimensioni, offrivano a chi le abitava tutto ciò di cui avevano bisogno.

Le casette bifamiliari erano di due tipi: il primo, previsto per la campagna, comprendeva quattro camere e due cucine, mentre il secondo, di stile borghese, era costituito da otto camere e due cucine e all’esterno vi erano anche delle piccole aree verdi.

Così nacque il Villaggio Svizzero”, che diede un barlume di speranza a circa 30 famiglie messinesi.

La Croce Rossa Svizzera aveva dettato una sola e inviolabile condizione: “le case non diventino oggetto di traffico, ma siano proprietà gratuita di quelli che hanno perduto la loro casa nella catastrofe”.

Lo chalet Rütli di Messina – Fonte: storia.redcross.ch

L’altra faccia dello Stretto: Reggio Calabria

Anche l’altra città dello Stretto Reggio Calabria cercò di risollevarsi dalla distruzione causata dallo stesso sisma; gli aiuti ricevuti furono preziosi tanto quanto lo erano stati per Messina.

La stessa Croce Rossa Svizzera avviò nel febbraio 1909, la costruzione di 16 chalet uguali a quelli fabbricati nella vicina Messina. Le abitazioni occupavano un’area di quattrocento metri quadrati, con un giardinetto attorno; erano bifamiliari, a due piani, con una scaletta esterna e con le ante delle finestre decorate con cuoricino.

Ad ogni chalet, i donatori svizzeri assegnarono un nome: Guglielmo Tell, Altdorf, Jungfrau, Sempione, San Gottardo, Cervino, Spluga, Sentis, Reno, Rodano, Keller, Pestalozzi, Haller.

La strada dove vennero poste queste case, venne denominata “Via dei Villini Svizzeri”. Entrambi i “villaggi Svizzeri” accolsero in totale 74 famiglie, ridando a circa 400 persone, un tetto sulla testa.

Le maestranze svizzere insieme all’ingegnere Spychiger a Reggio Calabria – Fonte: storia.redcross.ch

La via Svizzera e il “Villaggio Svizzero” oggi

L’intervento della Croce Rossa Svizzera nella zona terremotata di Messina si concluse nel novembre 1909.

Nonostante sia passato più di un secolo dal sisma e ormai di quelle casette costruite sia rimasto ben poco a livello materiale, l’aiuto svizzero non è mai stato obliato; ancora oggi, la zona -all’incrocio fra il viale Giostra e il viale Regina Elena- in cui sorgevano le abitazioni è chiamata “Villaggio Svizzero” e via Svizzera è denominata la strada che la attraversa.

 

                                                                                                                                                                              Marika Costantino                      

 

Fonti:

mutualpass.it/la-svizzera-a-messina

storia.redcross.ch/il-terremoto-di-messina

strill.it/la-storia-dei-qvillini-svizzeri

“Alzati e cammina” disse il neurologo

Lo scorso 31 ottobre su Nature è uscito un articolo veramente interessante, riguardante una tecnica che potrebbe permettere a pazienti paraplegici di riacquistare il controllo degli arti inferiori. La tecnica si basa su una stimolazione elettrica a livello del midollo spinale, così da rinforzare le connessioni tra encefalo e secondo motoneurone.

 

 

 

 

I ricercatori hanno prima mappato quali aree del midollo spinale sono coinvolte in ogni movimento richiesto per camminare, come la flessione dell’anca o l’estensione della caviglia. Successivamente, attraverso un intervento chirurgico, hanno impiantato stimolatori elettrici in tre persone, con diversi livelli di menomazione motoria nelle gambe a causa di lesioni del midollo spinale. Avendo scoperto quali parti del midollo spinale sono coinvolte nel camminare, il team è stato in grado di programmare una sequenza di impulsi elettrici che stimolerebbero il midollo spinale nel momento e luogo corretto per facilitare quei movimenti.

I ricercatori ci tengono a sottolineare che questo è soltanto un primo piccolo passo verso quello che potrà essere un trattamento. Sono tanti i limiti di questo studio. In primo luogo il numero di partecipanti: 3. Due di loro riuscivano parzialmente a muovere le gambe e sono riusciti a effettuare alcuni passi con l’aiuto di un supporto mentre il terzo, che non riusciva minimamente a muovere le gambe, è riuscito a fare alcuni stereotipati movimenti da sdraiato. Tutti e tre i paziente sono comunque dei paraplegici a seguito di una lesione a livello lombare del midollo spinale. Lesione non totale che salva comunque alcuni motoneuroni. I ricercatori non si esprimono se tale tecnica di stimolazione elettrica possa funzionare per ogni tipo di lesione. Per il momento ha parzialmente funzionato su questi tre pazienti, e il risultato non è né banale né scontato.

Quando una persona subisce una lesione grave a livello di midollo spinale, si blocca la comunicazione tra encefalo e periferia, dove con la periferia si intendono muscoli e recettori cutanei. In altre parole si perde la capacità motoria e la sensibilità di un parte del nostro corpo. I ricercatori hanno notato soltanto i miglioramenti sul piano motorio, senza soffermarsi se tale tecnica migliorasse anche la sensibilità degli arti inferiori di questi tre pazienti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fatto più sorprendente dei risultati di questo studio è che ad ogni nuova stimolazione, i pazienti rispondevano sempre meglio, segno che si creano nuove sinapsi a livello di midollo ogni volta che i paziente effettuavano gli esercizi.

Il lavoro è davvero entusiasmante, dice Jennifer French, direttore esecutivo del Neurotech Network di San Pietroburgo, in Florida, un’organizzazione no-profit che educa le persone con condizioni neurologiche sulle neurotecnologie. Tuttavia ci tiene a precisare che i partecipanti richiedevano ancora il supporto del corpo per muoversi.

Kim Anderson, un ricercatore clinico nelle lesioni del midollo spinale alla Case Western Reserve University di Cleveland, Ohio, aggiunge che la tecnica potrebbe non essere in grado di aiutare tutti con tali lesioni. I partecipanti allo studio hanno mantenuto un certo livello di funzione motoria al di sotto della lesione prima dell’inizio della stimolazione, mentre la maggior parte delle persone con lesioni del midollo spinale ha ferite “motorie complete”, senza alcuna capacità residua di movimento.

Il team di Courtine ha anche sviluppato una tecnologia che consente ai partecipanti di utilizzare la stimolazione elettrica epidurale all’esterno del laboratorio. Ciò include sensori indossabili che attivano la stimolazione e un’app che funziona su un orologio a comando vocale, consentendo agli utenti di scegliere la forma esatta di stimolazione necessaria.

Questi dispositivi sono ancora in fase di sviluppo, afferma Courtine, ma i partecipanti li hanno usati per camminare e persino, in un caso, per un triciclo a due gambe. Nei prossimi tre anni, afferma Courtine, mira a ottimizzare la tecnica e convalidarne la sicurezza e l’efficacia.

Francesco Calò

 

Fonti:

https://www.nature.com/articles/d41586-018-07251-x