Una Conferenza internazionale per il Mediterraneo. Draghi: “Proteggere i più deboli con corridoi umanitari”

«Proteggere i più deboli anche attraverso la promozione di corridoi umanitari dai Paesi più vulnerabili e rafforzare i flussi legali, che sono una risorsa e non una minaccia per le nostre società», ha affermato il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso della settima edizione della Conferenza Rome MED – Mediterranean Dialogues, promossa a partire dal 2015 dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’ISPI.

“Un’agenda positiva” per il Mediterraneo

Dal 2 al 4 dicembre 2021 si svolge a Roma in modalità ibrida – con partecipazioni sia fisiche che virtuali, anche attraverso lo streaming –la Conferenza nata per discutere del futuro del partenariato euro-mediterraneo, del ruolo della Nato e dell’Unione Europea nel Mediterraneo. Ed è proprio sul ruolo centrale di quest’ultimo che il Premier, nel proprio intervento, ha ribadito la necessità di un coinvolgimento dell’Unione Europea:

Il Mediterraneo non sia solo il confine meridionale dell’Europa, ma il suo centro culturale ed economico. Serve un maggiore coinvolgimento di tutti i Paesi europei, anche nel Mediterraneo.

Il Rome MED si basa su quattro pilastri: prosperità condivisa, sicurezza condivisa, migrazione e società civile e cultura. Tra gli oltre 50 ministri partecipanti: il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, nonché i maggiori esponenti dell’Unione Europea (come l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell) e delle Nazioni Unite; si aggiungano il Vice Segretario Generale della NATO Mircea Geoana ed alcune tra le personalità più influenti del Golfo Persico.

Oltre che il ruolo del Mediterraneo, saranno oggetto della conferenza anche i flussi migratori, le elezioni democratiche in Libia, le risorse naturali, la situazione nelle regioni del Maghreb (Africa nord-occidentale che si affaccia sul Mediterraneo) e del Sahel (Africa centrale), il Golfo Persico come perno degli equilibri mediorientali, nonché le tensioni tra Israele e Palestina – la richiesta del Premier Draghi, in questo caso, è di dare nuovo impulso agli sforzi internazionali a favore del processo di pace.

Flussi migratori e il ruolo della Libia

«L’Italia sostiene con convinzione il processo di transizione politica e pacificazione della Libia», ha affermato Draghi nel suo intervento, «Siamo ormai vicini alle elezioni del 24 dicembre: un appuntamento cruciale per i cittadini libici e per il futuro della democrazia nel Paese. Il mio appello a tutti gli attori politici è che le elezioni siano libere, eque, credibili e inclusive».

(fonte: repubblica.it)

La Libia rappresenta uno dei principali attori del Mediterraneo nell’ambito delle missioni di ricerca e soccorso dei naufraghi in mare e della gestione dei flussi migratori. La sua situazione delicata la pone spesso in dibattito con i principali interlocutori dell’Unione, ma soprattutto con le ONG che si occupano del salvataggio dei migranti in mare. Ad oggi, la Libia non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (1951) e sui relativi diritti che dallo status ne derivano. La controversa posizione nell’ambito del rispetto dei diritti umani sembrerebbe poi porla in contrasto con l’art. 3 della CEDU sul divieto di tortura e trattamenti disumani, cui gli Stati dell’Unione sono obbligate a sottoporsi. Dall’impossibilità d’individuare la Libia come zona di sbarco sicuro ne derivano contrasti tra le ONG che rifiutano la giurisdizione di quest’ultima e gli Stati Europei che si affacciano sul Mediterraneo (come Italia, Malta).

Le parole di Draghi sul Golfo Persico

«Nel Golfo Persico, dopo anni di polarizzazione, assistiamo con interesse a nuove dinamiche cooperative. Come Italia abbiamo investito molto sulle opportunità in tal senso offerte dall’EXPO Dubai. Con l’Iran manteniamo un dialogo esigente, ma costruttivo, anche per quanto riguarda la non proliferazione del nucleare. Il nostro impegno in Iraq è rilevante. Contribuiamo al processo di graduale espansione della missione NATO, di cui assumeremo il comando per un anno a partire dal prossimo maggio». In questa zona del Medio Oriente, Russia e Turchia hanno giocato principalmente la carta militare, mentre Pechino ha rafforzato la sua presenza economica, diventando un partner chiave per molti paesi della regione.

Un dialogo difficile con l’Unione

Tra i punti principali dell’intervento del Presidente del Consiglio, anche l’esigenza di una collaborazione tra i Paesi del Mediterraneo che non si limiti ai rapporti bilaterali, né si esaurisca nella gestione delle crisi; ma anche una politica energetica condivisa per favorire lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, il tragitto per un aperto dialogo con l’Unione per le questioni di principale interesse del bacino Mediterraneo (soprattutto sulla questione dei flussi migratori) sembra aspro e tortuoso: sono ancora innumerevoli le tensioni avvertiti ai confini con l’Europa dell’Est, ove ancora migliaia di persone sono bloccate al confine tra Polonia e Bielorussia nel tentativo di emigrare verso il territorio dell’Unione. Intanto, la Russia continua ad operare pressioni militari sull’Ucraina.

(fonte: ilvaloreitaliano.it)

Alcuni giorni fa, al forum dell’Unione per il Mediterraneo (UpM) di Barcellona, l’Alto Rappresentante dell’Unione Josep Borrell aveva affermato:

Il Mediterraneo non può essere solo sinonimo di migrazioni, bensì anche uno strumento di cooperazione in quanto rappresenta la porta d’ingresso dell’Africa. Oggi nel Mediterraneo ci sono troppi conflitti e instabilità politica, a volte sembra più una frontiera che separa due mondi con enormi differenze economiche e sociali che non un nesso di unione.

Nella giornata di ieri sono stati infine approfonditi temi strategici come il ruolo dei giovani e delle donne e il loro contributo alla crescita sociale ed economica, il peso economico delle infrastrutture, la complessità della questione migratoria, il ruolo strategico della cyber security, e il contributo della società civile nelle società mediterranee.

Valeria Bonaccorso

 

Il potere della Costituzione a servizio delle future generazioni: così l’ambiente torna al centro del dibattito

Roberto Cingolani, ministro per la transizione ecologica – fonte: baritoday.it

Ne abbiamo sentito parlare per 40 anni, ma ora potrebbe diventare realtà. A vantarlo come punto saliente, il discorso programmatico del presidente del Consiglio Mario Draghi al Senato: sviluppo sostenibile e giustizia intergenerazionale. Negli ultimi anni il dibattito attorno a questi temi è stato acceso e, rispetto ad alcuni punti, crudele. Sempre più si è fatta notare una mancanza di attenzione verso le generazioni future; sempre più sono state criticate decisioni prese in vista dell’immediato futuro anziché di quello lontano. Abbiamo assistito a catastrofi naturali pensando che la Natura si stesse rivoltando contro di noi – spesso, abbiamo desiderato di estinguerci per non nuocerle più.

Eppure, l’ultimo anno, la pandemia, il lockdown ci hanno servito alcuni dei fenomeni più intensi degli ultimi decenni: la Terra che si riappropria dei suoi spazi. Vedere i delfini nuotare tra i cristallini canali di Venezia ha risvegliato nei più un profondo senso di appartenenza al mondo. Adesso l’uomo sta ricevendo un messaggio: la crisi ha dimostrato che l’unica strada percorribile è quella della corresponsabilità, laddove ognuno sia consapevole che le proprie scelte influiranno sul destino del prossimo. Ecco allora che la celebre frase di Draghi, “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”, si cala all’interno di un contesto che ha coscienza del fatto che l’ambiente non sia più un elemento sacrificabile.

Un delfino nuota nei canali veneziani durante il primo lockdown del 2020 – fonte: mondoaeroporto.it

Da quanto emerso, il nuovo premier sembra intenzionato a garantire il realizzarsi di una riforma costituzionale, avviata dal precedente governo, che si sta trattando in Parlamento. Per la precisione, la riforma coinvolgerebbe gli articoli 2, 9 e 41 della Costituzione. Anche nel 1983 la Commissione Bozzi aveva avanzato una proposta del genere con l’unico risultato di cadere nel vuoto per 38 lunghi anni. Ne deriva che nel migliore dei casi otterremmo la tutela delle generazioni future, dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile come diritti inviolabili del singolo e delle sue formazioni sociali; avremmo poi un’iniziativa economica costretta a rispettare i principi dello sviluppo sostenibile. Nel peggiore, tutto rimarrebbe com’è – con la novità del Recovery Plan che imporrebbe in ogni caso degli interventi orientati in questo senso.

Se nelle ultime settimane abbiamo sentito tanto parlare di ambiente, di sviluppo sostenibile e di transizione ecologica (a cui è stato dedicato un ministero nel neo-governo), è proprio per questo: una delle condizioni che tengono in sospeso il Recovery Fund è l’attuazione della transizione ecologica e digitale del nostro Paese – ossia il raggiungimento di un impatto ambientale pari a zero.

I criteri ai quali devono essere ispirati i piani di ripresa nazionali – fonte: consilium.europa.eu

Ma si tratta di obbiettivi a lungo termine che possono essere conquistati solo col tempo, da generazioni che non sono le nostre. In sostanza, si tratta di comprendere non soltanto cosa il presente stia lasciando a noi, ma soprattutto cosa noi lasceremo in mano ai nostri figli. Ottimisti sì, ma senza illuderci che una tutela formale – benché di massima importanza – possa di per sé comportare un cambiamento sostanziale.

Se pensiamo anche solo all’Accordo di Parigi, trattato ambientalista internazionale che quasi tutti i paesi del mondo si sono impegnati a firmare, e a come esso non venga rispettato da molti membri del G20, la questione appare ancor più evidente. Però è da questo primo passo che ci si rende conto dell’anacronismo tra la situazione attuale e l’aprioristica e dogmatica difesa del testo costituzionale. Chi, dopo e nonostante tutto, invoca l’intoccabilità della Costituzione sminuisce la sua vera potenza, la capacità di adattarsi al carattere vivente ed in evoluzione della realtà al fine di tutelarne ogni aspetto. Ora più che mai si avverte l’urgenza di muovere passi, anche piccoli. E’ l’insegnamento della pandemia: proiettarsi nel futuro, imparare del passato, mai rimanere attanagliati al presente.

Valeria Bonaccorso

Articolo pubblicato il 25 febbraio 2021 sull’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud

Cos’è il ministero per la transizione ecologica e perché è importante per il Recovery Fund

(fonte: ilpost.it)

Ieri il presidente incaricato Mario Draghi ha terminato il proprio giro di consultazioni incontrando gli esponenti di varie associazioni ambientaliste, tra cui la presidente del WWF Donatella Bianchi.

Al termine dell’incontro, quest’ultima ha annunciato la volontà del possibile nuovo governo d’istituire un Ministero per la Transizione Ecologica. Ma perché se ne parla?

La transizione ecologica alla base del sostegno dei pentastellati

La nozione di “transizione ecologica” si lega strettamente a quella di “sviluppo sostenibile”. Mentre la seconda riguarda un tipo di sviluppo che incontra le necessità del presente senza intaccare le opportunità delle future generazioni, la prima consiste nel rilocalizzare l’economia, soprattutto la produzione e il consumo e diventare autonomi il più possibile sul proprio territorio per ridurre al minimo la dipendenza dal petrolio (Hopkins).

La proposta di un ministero a ciò adibito era stata avanzata dalla deputata di Liberi e Uguali Rossella Muroni e poi rinnovata da Beppe Grillo del MoVimento 5 Stelle durante le consultazioni con Draghi.

Un sollievo per il M5S che ormai da giorni, a seguito di una spaccatura, cercava un tema centrale su cui focalizzare il consenso dei propri elettori. Per questa ragione il partito ha presentato un sondaggio sulla piattaforma Rousseau che invita gli elettori a scegliere – letteralmente – se appoggiare il nuovo governo o meno.

Il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha commentato la notizia congratulandosi con Beppe Grillo.

Tra gli altri partiti, anche la Lega si è espressa a favore del piano per la transizione ecologica approfittando dell’occasione per ribadire l’appoggio alla creazione di un ponte sullo Stretto di Messina.

L’opposizione guidata da Giorgia Meloni ha invece criticato la scelta ed in particolare l’atteggiamento dei pentastellati, affermando:

L’importanza per il Recovery Fund

La nascita di questo nuovo ministero trova massima importanza nel destino del Recovery Fund. Infatti, i fondi europei disposti per la ripresa degli stati membri sono legati a tre condizioni, tra cui quella di “un contributo effettivo alla transizione verde e a quella digitale” (consilium.europa.eu). Ancora, il piano di ripresa Next Generation EU erogherà prestiti e sovvenzioni per una somma di 10 miliardi ad un Fondo per la transizione giusta.

I fondi sono dunque legati alla realizzazione di queste condizioni, ossia all’allineamento degli Stati al Green Deal europeo, un piano della Commissione Europea nato per combattere il cambiamento climatico.

All’interno di questa prospettiva anche il governo Conte-bis aveva approvato un piano per la transizione con lo stanziamento di 67,5 miliardi di euro, ma era stato molto criticato dalle associazioni ambientaliste.

(fonte: huffingtonpost.it)

I ministeri per la transizione ecologica in altri Stati

In realtà, anche in Italia esiste già un organo dedicato alla transizione: il DITEI (Dipartimento per la Transizione Ecologica e gli Investimenti Verdi), che è subordinato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Le varie competenze saranno probabilmente ereditate dal nuovo ministero che va formandosi. Basta pensare alle politiche per la transizione ecologica e l’economia circolare; alle azioni internazionali per il contrasto dei cambiamenti climatici; alle politiche di sviluppo sostenibile a livello nazionale e internazionale; all’individuazione e gestione dei siti inquinati.

(fonte: twitter.com)

Intanto, in altri Stati europei (e non), tale organo è già attivo da diverso tempo:

  • Per la Francia il ministero dell’Ecologia è, dal 2020, ministero della Transizione Ecologica con a capo Barbara Pompili.
  • In Spagna esiste il ministero per la Transizione ecologica e la Sfida demografica (Miteco), che si occupa di lotta al cambiamento climatico, biodiversità, della transizione energetica a un modello produttivo e sociale più ecologico e di demografia.
  • In Costa Rica si trova il ministero dell’Ambiente e dell’Energia (Minae) con a capo Andrea Meza Murillo.

 

Valeria Bonaccorso