Sunday in lizza per il David di Donatello: intervista a Danilo Currò

Danilo Currò è un giovane regista italiano, nato a Messina il 6 agosto 1993. Si diploma in Pittura e Decorazioni Pittoriche presso il liceo artistico E. Basile. Approda dapprima alla fotografia, attraverso la quale cura e sviluppa le capacità che lo condurranno ad una più seria ricerca che sfocerà nella scelta della regia come nuovo campo di azione. Nel 2012 la National Geographic Italia seleziona uno dei suoi scatti paesaggistici e in seguito alcune tra le sue fotografie vengono inserite negli album della Leica Talent Italia. Da qui in poi i lavori di regia di Danilo gireranno l’Italia ottenendo vittorie e riconoscimenti vari al Corto Tendenza Festival di Barcellona, al Taormina Film Fest, al Festival di Pordenone ed al Cortona On The Move. Produzione che inoltre sono state trasmesse su Rai 2 e sulla piattaforma online Infinity di Mediaset.

Il 27 novembre del 2015 Currò si è aggiudicato il premio del pubblico, ovvero i lettori de “La Stampa” che hanno votato le fotografie sul web nel concorso fotografico “Sunday Photographers” indetto dal quotidiano nazionale per Photolux Biennale. Nel 2016 ultima il suo primo documentario dal titolo “Sunday”, che segue il filone del progetto fotografico “Black Lips”, raccontando la storia di un giovane migrante. Il documentario è presentato dal regista Gabriele Muccino e partecipa in concorso a numerosi festival internazionali. Dal 2017 vive a Roma e lavora con Palomar al documentario “Indizi di felicità” di Walter Veltroni e nel nuovo film di Gabriele MuccinoA casa tutti bene”. Ci siamo seduti con Danilo a fare due chiacchiere dopo il suo inserimento in concorso al prossimo David di Donatello e lo incontreremo di nuovo il 28 dicembre qui a Messina perchè Sunday verrà proiettato in esclusiva al Cinema Lux alle ore 21:00.

Cosa significa il titolo del documentario “Sunday“? 

Sunday è il nome del protagonista del documentario. Il suo nome completo è Fasasi Sunday Ebenezer.

Sunday sono 23’ di … ?

Sono 23 minuti di respiri spezzati, di parole pesanti e di sorrisi leggeri. 23 minuti in cui un ragazzo non ancora maggiorenne si racconta con semplicità, parlando della sua storia che poi rispecchia quella di molti altri come lui, che è la storia della migrazione. In fuga da un paese che ama ma che lo costringe ad andare via, attraversando il deserto e il mare, per mesi e mesi.

Come nasce la tua passione per il Cinema? 

Nasce in maniera graduale e quasi per caso. Il mio percorso inizia dal disegno, che mi ha portato alla pittura e successivamente alla fotografia. Da lì, dalla fotografia al cinema è stato un attimo. Sentivo il bisogno di muovere le immagini, di unirci altre forme d’arte. L’immagine statica non mi bastava più. E poi quando a 15 anni vedi per caso Arancia Meccanica in tv, o ti disgusti per un qualcosa che non riesci a comprendere e capire, o inizi ad amare quella cosa. E io per fortuna ho iniziato ad amarla.

Che legami hai con la tua città Messina?

Ho un legame profondo e sincero. La amo e la odio, come penso la maggior parte della gente. La odio perché mi ha costretto ad abbandonarla, e la amo perché ogni volta che ci ritorno mi stimola creativamente. Spesso mi piace partire dalla litoranea per arrivare senza sosta fino a su, fino ai Colli. Però diciamo che non riesco mai a ridurre il tutto alla mia città, spesso mi piace parlare di Sicilia. Mi sento siciliano fino al midollo. 

Cosa pensi del tuo inserimento nella categoria cortometraggi al David di Donatello?

Che gran c***! Si può dire? In realtà sono felicissimo perché il documentario ha viaggiato molto durante quest’anno, e sta continuando a farlo. A volte mi porta con se, altre volte sono costretto a lasciarlo andare da solo. E’ la bellezza di un qualcosa che crei e che riesce poi ad essere autonomo, ad essere vista da tanta gente da un punto all’altro dell’Italia. Riguardo ai David non posso che essere orgoglioso del lavoro che siamo riusciti a fare io e gli altri con così pochi mezzi. Per me è già tanto essere in concorso, la candidatura la vedo come una chimera.

Se venissi scelto per la finale quale messaggio vorresti passasse?

Quello della libertà, che poi è l’immagine finale del documentario. Siamo nati liberi in un mondo libero, ed è difficile comprenderne il contrario. Con il mio lavoro cerco di avvicinare al pensiero, alla riflessione di questo. Ma è un messaggio che vorrei passasse ad ogni singola visione, a prescindere dai David.

A cosa stai lavorando per adesso? 

Ho diversi progetti in fase di sviluppo. Diciamo che mi sto dedicando alla scrittura di un lungometraggio, che spero realizzare e di girare anche qui in Sicilia, e perché no, magari a Messina! Ma siccome quando leggo le interviste degli altri a questa domanda si cerca sempre di sviare, prendo esempio da loro e non dico altro!

Ci dici tre personaggi a cui ti ispiri nella tua vita personale e professionale?

In ambito professionale c’è tanta gente a cui mi ispiro, nella forma e nella poetica mi viene da pensare a Bertolucci, Antonioni, Kubrick o Tornatore. Ma è davvero difficile ridurre tutto questo a qualche nome. 

Che consiglio vuoi dare a chi vuole intraprendere la tua stessa strada?

E’ una grossa responsabilità dare consigli, soprattutto di questo tipo. Credo, o almeno è quello che ho imparato finora, che lo studio della storia del cinema sia la base, insieme alla visione di tanti film. E poi c’è la pratica, la tanta pratica che è quella che in ogni cosa ti forma e ti crea artisticamente e professionalmente. Credo che sia importante partire da queste tre cose. E poi ci sono i cliché, costanza e determinazione. Penso che queste due cose facciano la differenza. Il talento possiamo averlo e affinarlo, ma senza quelle due cose lì è veramente difficile farcela. Ci sto provando anch’io, è difficile consigliare cosa è giusto o non giusto. Fate e circondatevi di gente capace.

Alessio Gugliotta

Sarà colpa di noi selvaggi coi tatuaggi

Una oziosa serata di una oziosa domenica estiva, forse la prima senza esami. Avrete sicuramente passato la giornata a mare, con la famiglia, con gli amici a fare selfie imbarazzanti e godervi l’estate, oppure siete tra quegli studenti che devono ancora terminare la sessione estiva. 11117013_897372300323510_574339505_n

Che apparteniate all’una o all’altra categoria, dopo aver dipinto una classica domenica stereotipata (guarda un po’, abbiamo già stravolto il senso della rubrica dopo poche righe..) speriamo di alleviarvi la giornata con un nuovo viaggio tra gli stereotipi più discussi: LE PERSONE TATUATE.

Prima di procedere con le nostre antitesi, vi consigliamo di dare un’occhiata alle uscite precedenti:
Le 5 cose che il taglio di capelli NON vuol dire,
5 miti da sfatare sugli aspiranti giornalisti.

Oggi vi presentiamo una lista di ben 8 affermazioni, miti, stereotipi, da sfatare in merito alle persone tatuate.

  • I tatuaggi non rendono i ragazzi dei galeotti. O almeno non sempre. Ce ne ho messo di tempo per spiegarlo a mia mamma: una scritta o un disegno sul mio corpo non mi trasferiranno automaticamente a Gazzi.
    In realtà, abbiamo semplicemente trovato un compromesso: non tatuerò mai sulla mia schiena le tamarrissime ali di Djibril Cissè.

 

  • Le uniche donne che si tatuano sono le prostitute. Perchè, epoche che furono, le donne si tatuavano per far intendere che potevano essere abusate. Si parla degli ultimi anni dell’800. Quando mia madre mi disse se avevo deciso di divenire una battona rimasi rincretinita per qualche secondo: non penso che noi tatuate abbiamo velleità di questo tipo (con, per carità, tutte le eccezioni del caso). Comunque, per bypassare il problema, evitate di tatuarvi frasi tipo ‘‘Sono in Vendita”.

 

  • Non è una perversione di chi prova piacere con il dolore. Oh ma fa male? Da uno a dieci? Da mille a diecimila? Da mignolo contro il mobile a braccio amputato?”. Calmi, non vi angosciate. A meno che non il vostro tatuaggio non sia di un metro, o in zone particolarmente sensibili (o le ali di Cissè..), non vi farà così male. Poi, è chiaro che il dolore sia soggettivo, e non è prevedibile quanto una persona possa soffrirne.
    In caso chiedete ad Elena, non credo abbia la perversione per il dolore.

 

  • Te Ne Pentirai. “Ricordati che devi morire”. Scontatamente tutti noi tatuati ce ne pentiremo. Arriverà, sembra, un giorno della nostra vita in cui ci guarderemo allo specchio e inizieremo a strapparci con un coltello la pelle. Ve lo giuro che siamo tutti in grado di intendere e volere, sappiamo tutti che stiamo andando a fare una cosa indelebile ma, quanto meno, è una cosa bella al contrario della vostra stupidità (anch’essa indelebile). E siamo anche consapevoli del fatto che diventeremo vecchi e rugosi. Cosa faremo? Nulla. Come dice il mio tatuatore ” noi non abbiamo paura del per sempre”.

 

  • I concorsi pubblici. Questa, invece, l’ho dovuta spiegare a mio papà, partendo da un presupposto importante: NON FARO’ MAI CONCORSI PUBBLICI IN VITA MIA. A furia di ripeterlo, mi è sembrato che si fosse convinto anche lui. Sì, poi in realtà ho anche usato la mia spavalderia e il mio orgoglio di cartone, riferite alla potenziale mancata tolleranza di un ipotetico datore di lavoro: “Intanto voglio essere il datore di lavoro di me stesso, e poi non accetterei mai lavoro da chi mi giudica per una scritta sul corpo”, o magari due, tre, un dragone, le ali di Cissè. tattooed-elderly-people-cover-526x268

 

 

 

  • Ma quindi non sei una persona seria. Ah, che belli gli stereotipi. Etichettati tutti come pochi di buono per dei disegni. A me , durante questi 5 lunghi anni di Medicina, non so quante volte è stato ribadito che non posso fare il medico. E così, non si può fare l’avvocato, il notaio, il politico (fossero i tatuaggi il problema). Posso parlare a nome di tutti i tatuati quando dico che gli unici aghi che utilizziamo sono per colorarci e non per drogarci.

 

  • Il significato. Quasi tutti i tatuaggi hanno un significato. Non tutti i tatuati vogliono rivelare il significato del proprio.
    E sfatiamo questo mito: se non voglio rivelartene il significato non è correlato alla mia ex: i tatuaggi, spesso, sono una cosa intima. Lo sono e devono restarlo.
    Anche se spesso mi chiedo il significato delle ali di Cissè.

 

  • Il numero dispari è solo una scusa. La leggenda vuole che il marinaio che partiva per la prima volta, si tatuasse nel porto di partenza, poi una seconda volta nel porto di destinazione e, infine, una terza volta fatto ritorno di nuovo a casa. E la storia si ripeteva per i viaggi successivi. Il marinaio, quindi, si trovava nella situazione di avere un numero pari di tatuaggi solo quando era giunto nel porto di destinazione, cioè nel punto più lontano da casa, quando la nostalgia della propria terra si faceva sentire di più. Una volta tornato a casa quella situazione veniva immediatamente cancellata con un nuovo tatuaggio, che riequilibrava, ecco perchè il numero dispari.

Quindi la prossima volta che penserete che i tatuaggi dispari sono solo una scusa, ricordatevi che noi che utilizziamo la nostra pelle come una tela abbiamo dentro un lungo percorso interiore, ci sentiamo un po’ come i marinai. Poi, se voi andaste per mare e non tornaste più non sarebbe malaccio.

Un abbraccio.

Elena Anna Andronico

Alessio Micalizzi