Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio

L’effetto Werther è un fenomeno psicologico e sociologico secondo cui la rappresentazione romantica del suicidio nei media può indurre comportamenti emulativi, soprattutto tra i giovani e le persone vulnerabili. Il termine nasce dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Johann Wolfgang von Goethe, in cui il protagonista, sopraffatto da un amore impossibile, si toglie la vita con un colpo di pistola. Continua a leggere “Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio”

Milano, studentessa di 19 anni si toglie la vita. “Ho fallito nello studio”

Ogni anno aumentano i casi di studenti che si tolgono la vita per un personale fallimento nel percorso di studi. Questi atti sono diventanti ormai una vera e propria piaga sociale. Sono storie di giovani che non riesco a raggiungere degli standard, spesso imposti dalla società e dalla famiglia: avere una buona media dei voti, laurearsi in tempo, trovare subito un buon lavoro.

Queste pressioni sociali sono spesso controproducenti, inducono a compiere atti estremi come il suicidio. Lo scorso mercoledì 1 febbraio, una giovane studentessa di 20 anni sudamericana, è stata trovata morta nei bagni dell’Università Iulm di Milano, presso l’edificio 5 in via Santander. A dare l’allarme è stato un custode all’apertura dell’ateneo. La ragazza in un biglietto trovato dai carabinieri, parlava dei suoi “personali fallimenti nello studio”.

Un tragico risveglio. L’Università Iulm esprime il suo cordoglio

Il corpo della ragazza era adagiato a terra con una sciarpa intorno al collo. I carabinieri della stazione Barona e della sezione Investigazioni scientifiche del nucleo investigativo, che hanno effettuato i rilievi, hanno trovato un biglietto nella borsa della ragazza in cui manifestava l’intenzione di suicidarsi. I soccorsi, se pur arrivati subito, non hanno potuto far altro che constatare il decesso della ragazza. Che le cause siano quelle di un suicidio volontario, sembrerebbero essere vere. Dato che da alcuni accertamenti, sul corpo della ragazza non sono stati trovati segni di violenza. Allora si è veramente uccisa “per suoi fallimenti negli studi”. Da quanto scritto su quel biglietto.

L’ateneo dato il tragico risveglio, attraverso i propri canali social ha comunicato a tutti, le decisioni prese dal Senato Accademico riunitosi in seduta straordinaria.

 

Post di cordoglio sull’account Instagram, Fonte: Profilo Iulm

 

Un duro colpo non solo per gli studenti, ma anche per il rettore dell’Università, Gianni Canova. Dopo la tragedia scrive in una lettera ciò che per lui dovrebbe essere l’università:

Un luogo in cui tutti si sentano a casa, capiti e ascoltati. Dove non siano i voti l’unico criterio di misurazione del valore. Dove il pensiero critico, l’intelligenza emotiva e relazionale, la creatività siano valori apprezzati. Dove tutte le sensibilità siano accolte e dove nessuno debba vergognarsi delle proprie fragilità

Mette in evidenza questo forte “disagio” che non può essere “ignorato”. Fa riferimento a quanto l’esperienza della pandemia e del lockdown abbiano fatto crescere in modo esponenziale la “fragilità di un’intera generazione”. Le richieste di aiuto agli sportelli di counseling psicologico negli ultimi mesi sono raddoppiati.

Come professore ed educatore, mi sento di ribadire che l’Università non può rinunciare alla sua missione primaria, che è quella di sviluppare in tutti l’amore per la conoscenza e per lo studio…L’Università è un luogo dove apprendere e crescere. E crescere significa imparare ad affrontare la vita e le sue prove.

Non è questo un caso isolato. Ogni anno si suicidano più di 500 ragazzi

Questo è solo un caso di una lunga serie nel nostro Paese. Secondo alcuni dati ISTAT (aggiornati al 2019), si contano in Italia circa 4.000 suicidi all’anno. Circa cinquecento di questi sono compiuti da under 34. Duecento di quest’ultimi tra gli under 24, che nella maggior parte dei casi sono proprio studenti universitari. La pandemia ha certamente peggiorato lo scenario. Infatti nel 2021 (secondo sempre i dati ISTAT) in Italia 22omila ragazzi, tra i 14 e i 19 anni, si dichiaravano insoddisfatti della propria vita e in condizioni di scarso benessere psicologico.

Negli ultimi mesi ha fatto tanto scalpore anche il caso di Riccardo Faggin. Un 26enne che lo scorso novembre si è schiantato volutamente contro un albero. Si sarebbe dovuto laureare quello stesso giorno in Scienze Infermieristiche, peccato però che il suo nome non era tra le proclamazioni previste dall’ateneo. E ancora il caso dello studente abruzzese, ritrovato lo scorso ottobre tra le acque del fiume Reno, in provincia di Bologna. Aveva raccontato una bugia ai propri cari a fin di bene, perché credeva tanto di potercela fare e non deludere le loro aspettative. Però la paura del fallimento e  del non riuscire più a negare l’evidenza ha portato entrambi i ragazzi a compiere questi atti estremi.

In Italia, tra i media se ne parla appena accade il caso, ma poco dopo tutto cade nel dimenticatoio. Per lo meno fino a quando non si presenterà un altro caso ancora. Bisognerebbe mettere un fermo, trovare delle soluzioni, dire no ad altre simili tragedie. Per Camilla Piredda, coordinatrice dell’Unione degli Universitari, c’è un problema di base nel sistema

Denunciamo come il sistema universitario non solo sia incapace di ascoltare e supportare coloro che manifestano difficoltà durante il proprio percorso di studi, ma anzi li sottoponga a uno stress continuo e delle aspettative sempre maggiori!

Fallire è una vergogna, il successo è la norma

Ogni mese leggiamo, ascoltiamo di notizie tramite media di studenti che si laureano in “tempi record”, con voti eccellenti e con subito il lavoro dei loro sogni. Veniamo bombardati da titoli come

Studenti da record: Nicola a 20 anni è il più giovane laureato in legge.

Torre del Greco, laurea in tempi record: arriva in cattedra baby prof di 23 anni

Modella, influencer e laureata in medicina a soli 23 anni. Credeva che il sonno fosse una perdita di tempo

Non bisogna di certo denigrare questi ragazzi che in poco tempo raggiungono questi importanti traguardi. Ma bisognerebbe solo porre fine a questa narrazione tossica sui media, che rende queste eccezioni come degli standard per tutti. Siamo di certo uomini e donne, in una società fondata sulla competizione, sulla gara, sulla corsa contro il tempo. Andiamo tutti alla ricerca del successo e non del fallimento. Ma fallire è umano, fa parte della vita, non bisogna vergognarsene.

 

Lodo Guenzi e il cartello condiviso sul suo profilo Instagram, Fonte: Il Resto del Carlino

 

Molti sono stati gli appelli fatti in questi giorni sui social. Uno che colpisce è quello del leader del gruppo musicale “lo Stato Sociale”, Lodo Guenzi. Si è rivolto ai giovani con un toccante racconto personale, chiedendo loro di “Resistere!”

Non so neanche perché lo scrivo, e non so se è una questione di gara di eccellenza dentro il percorso formativo, come è sempre stata, o molto di più il fatto che il mondo del lavoro fuori garantisca la sopravvivenza solo per chi eccelle, sacrificando i diritti ai tempi di produzione, e trasformando la scuola non più in una palestra in cui poter sbagliare, ma in un assaggio delle frustrazioni di domani. Io vorrei dire a una ragazza che non sei tu che quel pensiero lo capisco, davvero. Ma che se resisti in quel momento, può essere che per te sia stato un attimo. E forza, davvero”.

Allora forse basterebbe solo resistere? Come dice Guenzi. O sarebbe anche giusto che le istituzioni si rendessero conto di dover aggiustare il tiro, sul racconto che fin da piccoli ci narrano?
Viviamo in un mondo in cui il futuro, tra pandemia e guerra, è diventato totalmente incerto per tutti. Le colpe dei fallimenti che spesso ci accolliamo non dipendono da noi. Ognuno ha i propri tempi, tutti possiamo fallire e sbagliare, perché  proprio “dagli errori si impara”. Sarebbe davvero significativo se la nostra società si aprisse sempre più all’inclusione, all’ascolto e al supporto psicologico. Per dire basta a questi atti così estremi!

Marta Ferrato

Suicidio assistito, prima storica applicazione della Sentenza Cappato

Era il 25 settembre 2019 quando la Corte Costituzione italiana stabiliva che non sempre è punibile chi aiuta un’altra persona a morire. Il provvedimento, che prese il nome di Sentenza Cappato, aprì per la prima volta nel nostro ordinamento la strada alla possibilità di ricorrere al suicidio assistito. E questa settimana quella strada è stata praticata per la prima volta. Il Tribunale di Ancona ha infatti accolto la richiesta di un 43enne tetraplegico di ricorrere a tale pratica.

fonte: TuttoVisure.it

La Sentenza del Tribunale di Ancona

L’uomo, 43enne marchigiano, è ormai da 10 anni immobilizzato a letto. Una condizione irreversibile e dovuta a un incidente stradale. Quest’ultimo però non ha intaccato la sua capacità di intendere e di volere. Ben conscio del proprio stato e venuto a sapere dell’esito del processo a carico di Marco Cappato, l’uomo ha infatti fatto richiesta all’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di potere accedere al suicidio assistito. Richiesta però respinta dalla struttura che si è rifiutata di attivare le procedure previste all’interno della stessa sentenza della Corte Costituzione.

In seguito al rifiuto da parte dell’ASL delle Marche, l’uomo si è quindi rivolto al tribunale del capoluogo marchigiano. I giudici hanno però respinto in primo grado la richiesta. Questo perché, per i giudici, sebbene il 43enne possedesse tutti i requisiti previsti all’interno della sentenza Cappato la sussistenza degli stessi non comporta automaticamente un obbligo nei confronti della struttura sanitaria e del suo personale di garantire la procedura di assistenza al suicidio. Posizione del Tribunale che però è cambiata successivamente alla presentazione di un reclamo da parte dello stesso paziente e che adesso obbliga l’ASL a procedere all’erogazione della procedura previa la verifica della sussistenza dei requisiti indicati.

 

Eutanasia (attiva e passiva) e suicidio assistito nell’ordinamento italiano

Nel nostro Paese manca una legge che riconosca l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. Pratiche che permetterebbero, rispettivamente, la somministrazione di un farmaco letale da parte del personale della struttura sanitaria e l’assunzione del farmaco autonomamente da parte del paziente. Ad essere invece garantito è il diritto all’eutanasia passiva che prevede unicamente lo spegnimento dei macchinari che tengono in vita il soggetto e la sospensione delle cure.

fonte: AGI

Marco Cappato e la battaglia per i diritti civili

Nome che si è legato inscindibilmente alla lotta per il riconoscimento in Italia proprio dell’eutanasia e del suicidio assistito è quello di Marco Cappato. Da anni attivo nella lotta per i diritti civili, la sua figura è balzata agli onori della cronaca con il cosiddetto “caso Dj Fabo“. Cappato ha infatti accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani per mettere fine alla sua vita come da lui richiesto più volte. Rientrato successivamente in Italia, questi si è consegnato alle autorità autodenunciandosi per il reato di aiuto al suicidio (art.580 del codice penale per cui è prevista una pena tra i 6 e i 12 anni). Dal processo che ne è seguito, come da lui stesso voluto, si è originato un notevole dibattito che si sperava potesse portare il nostro legislatore a produrre una legge sul fine vita. Purtroppo però la legge ancora non vi è. Come spesso accade quando l’oggetto del dialogo rappresenta un tema divisivo e rischioso per il consenso la classe politica si è defilata da qualsiasi presa di posizione. Ma dove i partiti non arrivano spesso i giudici sono già avanti. La Corte Costituzionale, chiamata in causa dal Tribunale di Milano proprio nell’ambito del caso Cappato circa la legittimità costituzionale della non distinzione nell’articolo 580 del codice penale dell’aiuto e dall’assistenza al suicidio, ha emesso la famosa sentenza 242 del 2019 denominata per l’appunto “Sentenza Cappato”.

Marco Cappato durante il processo a suo carico, fonte: Avvenire

La Sentenza Cappato

La sentenza Cappato, la n°242 del 2019, riconosce un’area di “non punibilità” all’interno del 580 c.p. Viene infatti esclusa la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale”. 

Sostanzialmente il suicidio assistito può essere concesso al paziente nel caso in cui questi:

  • sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale;
  • sia affetto da una patologia irreversibile la quale procuri al paziente sofferenze fisiche e psicologiche reputate dallo stesso intollerabili;
  • che nonostante le proprie condizioni il paziente sia capace di intendere e di volere in maniera libera e consapevole.

Le implicazioni della sentenza sono importantissime perché, grazie ad essa, chi si trova in condizioni simili a quelle di Dj Fabo o del 43enne marchigiano ed esprime l’intenzione di porre fine alla propria esistenza non sarà più costretto a recarsi all’estero per realizzare la sua volontà. Così facendo, inoltre, chi lo assiste non solo non dovrà sobbarcarsi le spese necessarie (trasporto, alloggio, clinica) ma non rischierà nemmeno una pena non indifferente (tra i 6 e i 12 anni; la medesima per il reato di violenza sessuale ex. art.609bis del c.p.) solamente per un atto di civiltà.

Filippo Giletto

 

 

ASL rifiuta richiesta di aiuto al suicidio. L’associazione Coscioni: «È contro la costituzione»

Dieci anni fa la vita di un uomo – di cui non si riporta il nome per motivi legali – venne sconvolta da un incidente stradale che gli causò la frattura della colonna vertebrale e lesione al midollo spinale. Ora, quarantaduenne e tetraplegico, chiede di poter ricorrere al suicidio assistito alla Asl di riferimento, che però gli nega la richiesta.

Immediata è stata la reazione di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni, organizzazione no profit impegnata in numerose battaglie etiche, che ha lanciato un appello al Ministro della Salute Speranza:

“Sta accadendo che una persona gravemente malata, che sta patendo sofferenze insopportabili, chiede di morire e di poter essere aiutato a farlo. È un suo diritto dopo la sentenza della Corte Costituzionale e invece il servizio sanitario nazionale, contro la Costituzione, glielo impedisce.”

Marco Cappato e Filomena Gallo (fonte: Associazione Coscioni)

Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’Associazione, ribadisce che quella dell’Asl è

una risposta che disconosce gravemente quanto annunciato dalla sentenza 242\2019 della Corte Costituzionale, che, con valore di legge, stabilisce dei passaggi specifici per tutti quei pazienti affetti da patologie irreversibili che in determinate condizioni, possono far richiesta di porre fine alle proprie sofferenza, attraverso un iter tramite SSL.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Nel comunicato in cui l’ASL sostiene l’impedimento nell’aiuto a morire, tuttavia, viene richiamata una realtà che certamente appare singolare. Se da un lato infatti è grazie alla sentenza 242 del 2019 che è stata fatta chiarezza sulle condizioni entro cui non è possibile punire l’aiuto al suicidio se si tratta di “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”, dall’altro lato però, proprio perché in attesa di una normativa disposta dal Parlamento, essa ha tentato di porre rimedio disciplinando esclusivamente la legge sulla DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento).

Le DAT, più comunemente conosciute con il nome di “testamento biologico” o “biotestamento” ed entrate in vigore il 31 gennaio 2018, lasciano al paziente, una volta acquisita conoscenza dell’incapacità prossima di autodeterminarsi, la libertà di rifiuto dei trattamenti sanitari necessari alla sua sopravvivenza e la somministrazione inoltre di cure palliative, intese come

l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

La verifica di questi casi naturalmente è lasciata nelle mani non solo del comitato etico territorialmente competente ma anche delle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, il cui accertamento è inoltre stato ottenuto –anche se a 38 giorni di distanza- da un altro caso seguito dall’Associazione Coscioni. Si trattava in quel caso di un uomo di trentotto anni le cui speranze di controllare le sofferenze terribili a cui è sottoposto da anni, in mancanza di terapie che possano liberarlo dalla prigione in cui si sente rinchiuso, risiedono solo nell’impiego di cure palliative. Tuttavia, afferma l’avvocato Gallo,

Se accettasse la Dat, morirebbe dopo enormi sofferenze e tanti giorni di attesa”.

Questa affermazione spiega perfettamente perché, rifiuto alle cure e suicidio assistito sono due cose ben distinte e separate. Se da un lato, infatti, la legge n. 219 del 2017 riconosce il diritto del rifiuto alle cure e ad ogni trattamento sanitario – in toto o in parte – a ogni persona informata e capace di agire è vero anche che se il soggetto è strettamente dipendente dai “sostegni vitali”, alimentazione e idratazione il processo di fine vita può avvenire in maniera lenta e logorante e, secondo alcune visioni, in maniera non dignitosa.

Il suicidio assistito – che si distingue a sua volta dall’eutanasia- invece limita le sofferenze dei soggetti che hanno deciso di porre fine alla propria vita e viene compiuto dal soggetto stesso (per questo assimilabile al suicidio).

Questa distinzione ha caratterizzato la richiesta di morire di Dj Fabo, caso che ha aperto la strada all’accettazione del suicidio assistito in Italia.

LA VICENDA DJ FABO

La necessità di una legge sul suicidio assistito ha avuto echi profondissimi in Italia soprattutto grazie proprio al caso Dj Fabo e Marco Cappato. Quest’ultimo, autodenunciandosi nel febbraio del 2017, sollevò infatti la questione circa la legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, in relazione all’istigazione e aiuto al suicidio, per il quale sarebbe stato punito dai cinque ai dodici anni di carcere per aver aiutato a morire Dj Fabo in una clinica specializzata in Svizzera, attraverso l’assunzione di un farmaco letale. Dj Fabo, infatti, richiedeva coscientemente di voler morire subito – con il suicidio medicalmente assistito –  senza sopportare lo stato di agonia mentale e fisica – sua e dei suoi familiari – di tempo indefinito che si sarebbe verificata rinunciando alle cure e a seguito della sospensione dei sostegni vitali.

 

Marco Cappato abbraccia la fidanzata di Dj Fabo, Valeria Imbrogno, dopo l’assoluzione dell’esponente radicale. (fonte: Repubblica Milano)

La Corte costituzionale, dopo la pronuncia della Corte d’Assise d’Appello di Milano, infatti, con l’ordinanza 207 del 16 novembre 2018, ha sottolineato come, in assoluto, l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non possa essere ritenuta incompatibile con la Costituzione e, dunque, non equiparabile all’atto di istigazione al suicidio, anche se solo nelle condizioni in cui una “persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Infatti, la norma era stata formulata non contemplando situazioni inimmaginabili all’epoca in cui fu introdotta, ovvero situazioni in cui gli sviluppi della scienza medica e della tecnologia hanno reso possibile strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali.

Il suicidio medicalmente assistito è dunque di fatto un diritto già riconosciuto nel nostro paese ma tuttavia trova uno spazio di applicazione assai problematico a causa dell’assenza di una norma che stabilisca una volta per tutte il dovere dello Stato e il rispetto di una scelta autonoma quale quella di abbandonare la vita con la stessa libertà con cui si è scelto di viverla. In virtù di ciò Cappato afferma che

 “Insieme a Mina Welby e Gustavo Fraticelli ribadiamo pubblicamente l’impegno a portare avanti nuove disobbedienze civili. Se queste persone che si sono rivolte a noi – e tutte le altre che vorranno chiedere il nostro aiuto – non troveranno risposte alle quali hanno diritto, nei tempi giusti e rispettosi della loro malattia e del loro dolore, noi li aiuteremo ad andare in Svizzera, per porre fine alle loro sofferenze.”

Alessia Vaccarella

 

L’incomprensione di un genio: il viaggio di Boltzmann alla scoperta dell’entropia

La lotta di uno scienziato, dalla visione avanguardistica, per far accettare la sua scoperta

Immaginate di trovarvi nella Vienna di fine ‘800, immersi in quel panorama fertile e stimolante della Belle Époque, che avrebbe influenzato, con profondi mutamenti, tutto il secolo successivo. Mutamenti, questi, che investirono anche il mondo della fisica, grazie ad importanti contributi quali quelli dei fisici Maxwell, Lorentz, e…Ludwig Boltzmann.

 

Ludwig Boltzmann

Nato a Vienna nel 1844, Boltzmann fu docente di fisica-matematica all’università di Graz, ambiente che gli permise di conoscere due tra i padri fondatori della termodinamica: Helmholtz e Kirchhoff. Fra i suoi più importanti lavori si possono annoverare la teoria cinetica dei gas, che stabilisce il legame tra l’energia di un gas e la sua temperatura assoluta, e la legge di Stefan-Boltzmann che descrive come la quantità di energia irradiata da un corpo nero (come il Sole) sia proporzionale alla quarta potenza della sua temperatura assoluta. La scoperta che, però, più rivoluzionò il panorama scientifico internazionale fu la formulazione statistica dell’entropia.

Ma cos’è davvero l’entropia?

Concetto tanto affascinante quanto complesso, dal punto di vista fisico l’entropia è definibile come una funzione di stato, ossia una grandezza fisica che dipende unicamente dal suo stato iniziale e finale, non tenendo conto del percorso che collega i due estremi. Spesso banalmente associata al disordine di un sistema, essa è in realtà un concetto intuitivamente molto astratto, e questo, di certo, Boltzmann l’aveva compreso.

Nel 1877, infatti, il fisico viennese fornì una descrizione statistica dell’entropia, secondo cui questa varia in base alle diverse configurazioni assunte dai microstati che compongono l’intero sistema in esame: se l’entropia è massima, vorrà dire che il nostro sistema ha raggiunto uno stato di equilibrio termodinamico!

Equazione statistica dell’entropia

Personalità complessa e tormentata, Boltzmann mal sopportò le critiche che la comunità scientifica rivolse alla sua nuova descrizione di entropia. Infatti, la fisica statistica era un concetto ancora troppo all’avanguardia, se comparato alla più consolidata e “rassicurante” fisica classica. Per anni Boltzmann tentò di far accettare la sua formulazione, senza purtroppo ottenere i risultati sperati; fu così che il 5 ottobre 1906, durante quella che apparentemente sembrava una semplice vacanza di famiglia, egli si suicidò impiccandosi a Duino (Trieste), per motivi incerti ma intuibili data la sua personalità dalle cangianti sfumature. Tra le cause più accreditate per questo gesto estremo, spicca certamente la sfiancante battaglia che egli dovette compiere durante la sua intera vita per difendere la propria creazione, tanto da scegliere di far incidere come epitaffio la sua formula sull’entropia.

Sepolcro di Ludwig Boltzmann

Forse poiché appesantita dall’apparente freddezza di formule matematiche e concetti così complessi, non viene debitamente riconosciuto alla scienza lo stesso stretto legame emotivo che intercorre tra un poeta e la sua poesia, tra un compositore e la propria opera. La vita di Ludwig Boltzmann è l’esempio più lampante e sconvolgente di come, in realtà, la ricerca scientifica sia ben diversa dall’immaginario comune: un vero e proprio processo creativo, non soltanto volto alla scoperta delle leggi che regolano l’universo attorno a noi, ma anche di quelle che dominano il mondo sfaccettato della nostra interiorità.

Subito dopo la sua morte, le evidenze sperimentali confermarono a pieno la teoria di Boltzmann, costringendo la comunità scientifica a riconoscere al fisico austriaco la sua importanza per la nascente fisica statistica.

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Morto suicida Anthony Bourdain, lo chef giramondo

Risultati immagini per parts unknownCi lascia senza preavviso Anthony Bourdain, uno degli chef più influenti degl’ultimi vent’anni; diventato famoso dopo aver pubblicato il suo piccantissimo libro Kitchen Confidential: un’autobiografia di droga, sesso e cucina uscito nel 2000. Amava girare il mondo raccontando le diverse culture attraverso una chiave particolarissima: la tavola.

Astronauta culinario, sempre alla scoperta di nuovi ed intriganti sapori, volti a deliziare sia i fortunati commensali e sia i telespettatori. Sono celeberrimi i suoi programmi televisivi: No Reservations e Parts Unknow; con i quali aveva contribuito a cambiare sia la cultura gastronomica – aprendo alle più svariate arguzie dal mondo – sia l’immagine del celebrity chef.

Sposato 2 volte,  Anthony Bourdain lascia una figlia Ariane, di 11 anni, avuta dalla sua seconda moglie, l’italiana Ottavia Busia da cui aveva divorziato nel 2016. Era l’attuale compagno della famosa attrice Asia Argento, con la quale stava insieme dal febbraio 2017: periodo in cui si erano incontrati a Roma, proprio sul set di uno dei suoi programmi tv  (Parts Unknow).

Anthony Bourdain e Asia Argento dal profilo instagram dell'attrice © ANSA

Lacio drom (buon viaggio) Tony Bourdain, parlare a tavola con te ed Asia di ottima e semplice cucina, di pessima politica, di Botticelli e di Iggy Pop è stato un piacere e un onore che mai potrò dimenticare. Che la tua anima sia felice nel Nirvana dei gusti e dei sensi“. Lo scrive su facebook, Piero Pelù, postando sui social un selfie che lo ritrae in un noto ristorante fiorentino in compagnia dell’attrice e del compianto chef Anthony Bourdain. Lo foto risale a circa due settimane fa, quando Bourdain si trovava a Firenze per girare una puntata del suo programma tv di cucina.

Anthony Bourdain si e’ ucciso nel bagno della sua camera d’albergo usando la cinta di un accappatoio;  gli investigatori non hanno alcuna ragione di credere che ci siano terze persone coinvolte. Il caso sembrerebbe chiuso, ma restano aperti tanti quesiti per un gesto che resta inspiegabile anche per i familiari e gli amici più stretti del noto cuoco newyorkese. A ritrovarne il corpo senza vita è stato un caro amico, lo chef Eric Ripert. La tragica conferma è arrivata però dalla CNN: “È con immensa tristezza che confermiamo la morte di un grande avventuriero e di un grande amico”. “Sconvolto e triste” anche Gordon Ramsay, altro celebrity chef britannico trapiantato negli Usa e star globale della gastronomia in tv. Bourdain “ha portato il mondo nelle nostre case e ha ispirato tantissime persone a esplorare culture e città attraverso il cibo”, scrive su Twitter aggiungendo poi il numero del telefono amico americano contro i suicidi: “Ricorda che l’aiuto è solo a una chiamata da te”.

 

Santoro Mangeruca