Da Stromboli a Idea di un’isola. La Sicilia e i siciliani per Roberto Rossellini

In occasione dei 40 anni dalla morte, la rassegna BAM – Biennale Arcipelago Mediterraneo, alla sua prima edizione, ha ospitato a Palermo nella sala dei Cantieri Culturali alla Zisa intitolata a Vittorio De Seta, una due giorni (17-18 febbraio) dedicata allo stretto legame intercorso tra il cinema di Roberto Rossellini e il soggetto che ha ispirato alcune delle sue pellicole più celebri.
Nell’incontro che ha preceduto le proiezioni sono intervenuti nel dibattito Bruno Roberti, critico ed esperto di Rossellini, il regista Franco MarescoRenzo Rossellini, figlio di Roberto e produttore cinematografico (ricordiamo, in mezzo alle centinaia di titoli famosissimi Il Marchese del Grillo di Mario Monicelli, Fanny e Alexander di Ingmar Bergman, La città delle donne e lo stralunato film a sfondo sociale Prova D’Orchestra di Federico Fellini).

Renzo Rossellini ha anche collaborato insieme al padre alla scrittura di quella che è la testimonianza diretta del suo rapporto d’elezione con la Sicilia e con la sua anima popolare: Idea di un’Isola è un documentario pensato per la TV americana con il contributo della Rai alla fine degli anni ’60 e di recente riproposto nella programmazione di Fuori Orario. Una terra sempre cara al cineasta che ha fornito una lettura attenta per raccontare in poco meno di 60 minuti i luoghi e le espressioni salienti sedimentate in secoli di storia della più grande isola del mediterraneo: “la mitica rupe di Scilla e il gorgo di Cariddi sono i pilastri dello stretto che la divide dal continente”.
A fare da raccordo a una carrellata che mette in simbiosi il teatro dei pupi, il vivo fuoco del folclore religioso, l’arte e l’islam, le saline e lo sguardo sulle industrie attive in quegli anni tra Gela e Milazzo, i tratti tipici del siciliano che quasi per abitudine secolare, costretto ad avere sempre un nuovo oppressore, ha maturato diffidenza, prudenza e segretezza: “in Sicilia certe cose non si dicono; si alludono. Per cui si è sviluppato un linguaggio più discreto di quello verbale, fatto di gesti. Più significativo”.

La voce fuori campo del palermitano Corrado Gaipa (doppiatore di Burt Lancaster nel Gattopardo) mostra uno spaccato interessante della realtà di alcuni luoghi, anche se non privo di una impostazione didattica un po’ cartolinesca, se vogliamo, del resto tipica di questo genere di produzione rosselliniana anche negli anni a venire, accompagnata a delle immagini documentarie comunque ricche di freschezza e leggerezza. Fu per effetto della forte presenza di immigrati italiani se nel ‘67 una famosa TV statunitense chiese a Rossellini di realizzare un cortometraggio che avesse come tema la Sicilia. Lui, che di Palermo conosceva ogni angolo, compresi i migliori ristoranti – ha precisato il figlio – accolse come un’opportunità irripetibile l’occasione del soggiorno nell’isola per realizzare le riprese. Alcuni critici osservarono come la rappresentazione idilliaca e pacifica di Idea di un’isola occultasse, al di là di una superficiale coloritura, ogni riferimento problematico alla mafia. Una decisione imputabile in buona misura alle direttive dell’emittente. Certo è che sono ancora lontani gli anni in cui le trattative stato-mafia, anche se già attive storicamente, sarebbero venute a galla.

Ma la Palermo tanto amata da Roberto Rossellini, città dell’accoglienza e scenario in cui civiltà diverse avevano convissuto (la Sicilia è la chiave di ogni cosa, diceva Goethe), è anche lo specchio del suo modo di operare con la cinepresa; tanto che, questa volta in tempi non sospetti, scrisse una sceneggiatura destinata a una serie in cinque puntate mai realizzata e pubblicata poi da Renzo col titolo Impariamo a conoscere il mondo musulmano (1975). Una storia dell’Islam rivolta alla televisione. Per Rossellini che nell’ultima lettera al figlio scriveva “ho cercato di fare per tutta la vita del cinema un arte utile agli uomini” il cinema doveva essere diretto non al “pubblico”, ma all’intelligenza della gente. Anche la televisione poteva quindi diventare uno strumento utile per non subire l’influsso della propaganda e per non diventare vittime di dittatori o come oggi, di politici prepotenti.
Bruno Roberti ha ricordato in proposito come il suo fosse un cinema senza uniforme: “È imprendibile, non può essere catalogato e storicizzato, per questo è attuale”.

Per molti abitanti di Stromboli l’arrivo della troupe insieme alle macchine da presa coincise con la scoperta del cinema. Il film del 1950 racconta l’incontro di una profuga con un prigioniero di guerra palermitano in un campo per stranieri alla fine della seconda guerra mondiale. Impossibilitata a tornare in Argentina la giovane decide di sposare l’uomo e, partendo da Messina, di trasferirsi con lui a Stromboli. Il tenore di vita e gli usi locali, molto lontani dalle sue abitudini, porteranno la ragazza a ripudiare il posto in cui si trova e desiderare di scappare dal giogo di un’isola primigenia e primitiva.

Stromboli – Terra di Dio (oggi in versione restaurata grazie alla cineteca di Bologna) è un film spiazzante e modernissimo, in cui polemicamente si è tentato di ravvisare un indizio di conversione al cattolicesimo ma che racchiude una spiritualità diversa, concreta e sofferente, che risiede nell’asperità selvaggia che riveste i tratti delle coste, che investe la severità del vulcano pronto ad esplodere, le case dei pescatori, e in generale l’umanità dei personaggi, cioè gli uomini e le donne dell’isola. Non traspare alcun giudizio morale o parodia macchiettistica costruita nel caratterizzare i siciliani che collaborarono a fianco di Ingrid Bergman (proprio a Stromboli nacque la sua storia d’amore con Rossellini. E per ripicca Anna Magnani lavorò a un altro film alle Eolie; Vulcano).
Prima di iniziare a girare il regista proiettò un film da mostrare abitanti di Stromboli per spiegare loro quello che stavano per fare. “Stromboli è un film sull’umanità, sulla cattiveria, e sulla capacità del cinema di redimere. Racconta delle cose vicine a quelle che viviamo oggi: un personaggio che arriva dall’estero e viene visto come un intruso. Un essere umano che viene trattato come straniero. Quello che sta succedendo un po’ oggi in Italia e in Europa”.
Così dopo il restauro è potuta riaffiorare tutta l’intensità delle immagini e la potenza feroce della natura. L’avventura di Stromboli non è soltanto quella legata a un film, e non si conclude una volta terminate le riprese, ma consiste nella capacità del cinema di entrare in contatto con un luogo e diventare parte delle memoria di una comunità.

Stromboli ha segnato un punto di svolta che non ha mancato di condizionare la Nouvelle Vogue francese.
Ma Rossellini ha inserito riferimenti alla Sicilia anche in Paisà e Viva l’Italia!. Se avesse potuto scegliere, ha detto Renzo con convinzione, avrebbe voluto essere siciliano; di loro ammirava l’intelligenza e il senso dell’umorismo: “Era anche innamorato della cucina siciliana e forse pure di qualche signora siciliana. Diceva che senza stima non si può amare. Lui stimava e si innamorava. Questa è la storia di Roberto Rossellini”.

Eulalia Cambria

Due team messinesi volano alla finale nazionale, EBEC Italy

Atomic Group”, team composto da Ambra Cancelliere, Maria Orifici, Anna Bonfiglio e Dario Morganti e “gli inCIVILI”, composto da Stellario Marra, Pietro Tripiciano, Gianmarco Amico, Rosella Audino: sono questi i componenti delle due squadre dell’ateneo messinese che hanno vinto il round locale della Competizione Ingegneristica più importante d’Europa, EBEC Messina, rispettivamente per le prove del Team Design e Case Study.

La competizione, giunta alla nona edizione, ha visto coinvolti studenti della facoltà di Ingegneria e di Scienze che si sono sfidati nel corso di due differenti prove: il Case Study, risoluzione di un problema manageriale fornito dall’azienda emergente nel territorio messinese “Innesta” (un incubatore di imprese nato per sostenere e dare nuova linfa vitale all’ecosistema imprenditoriale locale) e il Team Design, ovvero la realizzazione di un prototipo funzionante in un tempo limitato e con  risorse fornite. L’obiettivo di quest’anno è stato quello di creare una struttura usufruendo esclusivamente di pasta, scotch, colla e spago. Quattro ore di grande competizione, in cui ogni team ha messo in campo ingegno e creatività, ma non solo: tanto divertimento e lavoro di squadra hanno caratterizzato questa entusiasmante edizione di EBEC Messina.

 

A decretare i vincitori, una giuria composta da professionisti e soci dell’azienda partner: Giuseppe Arrigo, Marcello Perone e Lillo Giacobbo per Innesta, Gabriel Versaci, rappresentante delll’Ordine degli Ingegneri della provincia di Messina, Paolo Patanè dal Technology Transfer Office, Riccardo di Pietro, Candida Milone, Massimo Villari dall’ Università di Messina.

Le due squadre vincitrici parteciperanno al round nazionale presso il Politecnico di Milano, dal 31 marzo al 2 aprile. In questa occasione si sfideranno tutti i team vincitori provenienti dagli altri cinque atenei italiani coinvolti nella competizione: Roma “La Sapienza”, Roma Tor Vergata, Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Federico II di Napoli.

 

Grandi novità sul piano degli sponsor e partner che, quest’anno, hanno sostenuto l’iniziativa dell’Associazione studentesca; si ringraziano, in particolare: Pentel, leader sul mercato globale degli strumenti di cancelleria, MindtheGum, produttore di integratori alimentari per lo studio e anche UniVersoMe, radio ufficiale dell’ateneo messinese, che ha seguito in diretta la competizione. Ultimo ma non per importanza, si ringraziano i patrocini degli Ordini degli Ingegneri, dell’Università di Messina e del comune.


Il project manager, Giuseppe Ipsale, il presidente di BEST Messina, Francesca Callà, e l’associazione tutta, sono molto orgogliosi dei risultati ottenuti: l’evento, unico nel suo genere a Messina, ha avvolto gli studenti con puro entusiasmo in un sano clima di competizione, evadendo dalla routine universitaria.

Laura D’Amico

Sotto il cielo c’è una gran confusione.

Il caos regnava prima ed è solo aumentato col nuovo anno.

noemi554266_396001393827287_301528613_n-f7613La confusione è amica dei potenti, getta sabbia negli occhi della maggioranza e scredita gli “investigatori della verità”.
Il caos è mezzo favorito per difendersi spostando l’attenzione su fatti per i quali l’incidenza è teoricamente pesante e permettendo così di agire verso il fine reale.
Si attaccano prima i magistrati e il sistema giudiziario per poi passare alla stampa divulgatrice di falsità e costantemente opposta al potere di turno.
Lavoro non facilitato da quella cerchia di giornalisti e comuni cittadini che , un po’ per divertimento un po’ per la retribuzione , diffondono il falso e tendono alla calunnia. Questa è questione antica lo stesso Umberto Eco in una intervista con Livio Zanetti alla fine degli anni Novanta criticava certa stampa di titoli ingannevoli o falsi scoop.
C’è bisogno di buon senso di discernimento per destreggiarsi nel bombardamento di informazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente, l’errore è comunque in agguato.

Mentre gli spettri della xenofobia e nuovi nazionalismi aumentano di forza e dilagano in Europa  in Italia c’è un’istinto di “coprirsi gli occhi”.
Il 1968, l’anno in cui Pier Paolo Pasolini teneva settimanalmente la rubrica “Il caos”  in cui documentava e rifletteva sulle questioni di quegli anni, sembra una realtà estranea da quella odierna.
La politica preferisce parlare di “scissioni” “dimissioni” “nuove elezioni” e non di compromessi in virtù di fini superiori e comuni.
Se una faccia della medaglia è l’ immobilismo politico dall’altra il caos : in mezzo mondo milioni di donne e uomini si ribellano, gridano no ai soprusi dei governi e aspirano ad un cambiamento, le piazze si riempiono e si fa politicaCrk-PPLWIAEtu4b

Hobsbawm nel suo “Secolo breve” che iniziava cronologicamente con lo scoppio della prima guerra mondiale parlava di fallimento di ideologie e presenza di uomini forti e terminava con la prima guerra del Golfo.
Il saggio si conclude con una riflessione  sulla possibilità di una implosione o esplosione della società conosciuta fino ad allora e avverte che il futuro non può essere una semplice continuazione del passato. 

Per i greci Χάος era un “immenso spazio vuoto”  l’opposto di ciò che è ora per noi, e per i filosofi il luogo in cui il si attinge per la formazione dell’ordine.
E’ in questo spazio vuoto che si inseriscono le novità.
La molteplicità può portare a soluzioni uniche ed adatte a sciogliere i nodi. Trovando i punti di contatto, eliminando il superfluo e il nocivo, tutto sta nella capacità della formazione sociale di “capare” il necessario. 

Il pluralismo può confluire in univocità : l’Europa può ridefinire gli elementi fondamentali e proporre adeguati modelli meritevoli del suo eterno (fino ad ora) soprannome  di  “patria della democrazia”.

Arianna De Arcangelis

Quando girare con un Super 8 era bello da morire

Nel lontano 1979, in Ohio, un giovane ragazzo di nome Joe Lamb (Joel Courtney) perde la madre in un incidente di fabbrica.
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La scena si apre proprio sulla veglia di quest’ultima, con Joe in lacrime, seduto su un’altalena che assiste inerme ad un ospite (Ron Eldard) appena arrivato cacciato dal padre del ragazzo (Kyle Chandler), facente parte del comando di polizia locale.

Passati quattro mesi, Lamb sembra apparentemente aver superato la morte della madre e insieme al suo migliore amico Charles Kaznyk (Riley Griffiths) ed altri suoi compagni di scuola Cary McCarthy (Ryan Lee), Martin Read (Gabriel Basso) ePreston Scott (Zach Mills), decidono di girare un film per un concorso cinematografico, trattando una storia basata su degli zombie e un detective che indaga su di essi.
Charles riesce ad aggiungere al gruppo una ragazza molto popolare a scuola, Alice Dainard (Elle Fanning), per interpretare la moglie del detective. Così, gruppo riunito, si danno appuntamento a mezzanotte per dirigersi verso una stazione ferroviaria per girare una scena precisa del futuro film, approfittando del passaggio del treno per rendere la scena più emblematica.
Tutto tranquillo finché Joe nota un pick-up dirigersi verso le rotaie in direzione del treno. Nel momento stesso in cui avvisa i suoi amici, avviene l’impatto devastante, talmente impetuoso da far deragliare il treno e far letteralmente volare tutti i vagoni che si disperdono nella zona circostante. Verificata la situazione di tutti i componenti della “produzione”, per fortuna interamente illesi, si dirigono verso il pick-up, dove trovano alla guida un loro professore scolastico, Thomas Woodward(Glynn Turman) che puntandogli una pistola contro gli intima di scappare e di non parlarne con nessuno, pena l’incolumità loro e delle loro famiglie.

Stasera-in-tv-Super-8-di-JJ-Abrams-su-Italia-1-8Con “Super 8”, per chi non ne fosse a conoscenza, si intende un tipo di formato cinematografico nato nel 1965. Ed è proprio da questo che il noto regista J.J. Abrams prende il nome per il suo film del 2011, prodotto anche da Steven Spielberg.
Perché proprio “Super 8”? Fondamentalmente al centro delle vicende c’è proprio la cinepresa e la necessità di creare un film, per cui sebbene si marginale, è proprio essa ad essere la protagonista ed il motore del film.
Il lavoro di Abrams è pieno del suo stile, tratti caratteristici ed altre componenti che lo rendono assolutamente particolare. Per i più, sembra ricordare lavori quali “Lost”, intramontabile e leggendaria serie tv curata proprio dal suddetto regista. Scindendo dalle componenti fondamentali come fotografia e regia, che sono senza dubbio curate e discutibili solo con note positive, la narrazione nonostante tratti temi che almeno in teoria potrebbero risultare contrastanti, riesce a creare un connubio perfetto rendendo ciò che sembra impossibile, quasi plausibile.
Un lavoro egregio che, sicuramente, non renderà Super 8 un film perfetto, ma assolutamente un opera piacevole e bella da vedere. Che, in sostanza, questo è ciò che importa.

 

Giuseppe Maimone

 

Un cult del cinema : Pulp fiction

“Quando devo scrivere una sceneggiatura io parto sempre dalla musica dei titoli di testa. Diventa il ritmo del mio film!”

pulp-fictionAprite Internet, cercate Miserlou di Dick Dale, mettete su le cuffie e preparatevi ad essere proiettati in uno degli universi più adrenalinici, frenetici e coinvolgenti che il cinema abbia mai partorito.

Benvenuti in “Pulp Fiction”!

PS: si prega di indossare gli occhialini protettivi, ci saranno parecchi schizzi di sangue…

È il 1994 quando nelle sale cinematografiche di tutto il mondo viene affisso un manifesto raffigurante una provocante ragazza con gli occhi di ghiaccio e il caschetto nero (Uma Thurman) che regge una sigaretta in una cupa stanza da letto; in cima, una scritta gialla a caratteri cubitali: “PULP FICTION”, diretto da Quentin Tarantino, con Samuel L. Jackson, John Travolta, Bruce Willis, Tim Roth.
In poco tempo diventerà uno dei Cult della cinematografia mondiale di tutti i tempi, uno di quei film che ogni amante del cinema deve aver visto almeno una volta nella sua vita.

La storia è divisa in tre episodi che non seguono l’ordine cronologico (l’ordine della fabula), ma si intrecciano tra di loro riprendendo lo stile già usato da Tarantino nel suo precedente film “Le Iene”. Il risultato di questa scelta è una sorta di smarrimento tra i dialoghi convulsi e i colpi di scena che, come in un climax, accresceranno la suspense attimo dopo attimo:

1) Vincent Vega e Jules Winnfield

Sono due gangster al servizio del boss Marsellus Wallace, interpretati rispettivamente da John Travolta e Samuel L. Jackson, che avranno il compito di recuperare una misteriosa valigetta sottratta al proprio capo da un gruppo di ragazzi. Arrivati nel loro appartamento i due killer faranno fuori tutti i giovani tranne uno, che viene rapito per essere portato al cospetto del boss. In questa scena si colloca per la prima volta nel film il famoso monologo che Jules era solito recitare prima di uccidere le sue vittime, tratto da un “particolare” passo biblico “Ezechiele 25:17”, che effettivamente risulta ispirato, in parte, da un “Credo” di arti marziali del famoso Sonny Chiba, attore e regista di film orientali, particolarmente amato da Tarantino. Durante il viaggio in macchina verso il locale dove si sarebbero incontrati con Marsellus, inavvertitamente Vincent spara alla testa dell’ostaggio imbrattando la macchina di sangue e cervella. I due gangster saranno costretti a ripulire lo scempio con l’aiuto di Mr. Wolf (Harvey Keitel)…

2) Vincent e Mia Wallace

A Vincent viene dato il compito di uscire con la moglie di Marsellus, Mia Wallace (Uma Thurman), ma prima di raggiungerla a casa si dirige dal suo spacciatore di fiducia per comprare una grossa dose di eroina che in parte consumerà prima dell’incontro. I due andranno a cenare al “Jack Rabbit Slim’s”, locale in stile anni 50’ dove, dopo aver discusso per qualche minuto su temi banali e non, saranno coinvolti in una gara di ballo sulle note di “You Never Can Tell” di Chuck Berry, una delle scene più conosciute di questo film…

3) Butch Coolidge e Marsellus Wallace

Nel locale in cui Vincent e Jules incontrano Marsellus Wallace dopo aver recuperato la valigetta, Butch Coolidge (Bruce Willis), famoso pugile ormai al termine della sua carriera, sta avendo un colloquio con lo stesso boss che lo invita a perdere il suo prossimo incontro in cambio di una grande quantità di denaro, ma nonostante l’incontro sia truccato, Butch, mosso da un forte sentimento di orgoglio, non solo non andrà al tappeto, ma vincerà il round per KO, uccidendo il proprio avversario…

Anche in questo, così come in tutti i film di Tarantino, possiamo apprezzare alcuni dei punti di forza del suo stile di regia: l’inquadratura p.o.v. dall’interno di bauli o bagagliai; le lunghe scene di dialoghi faccia a faccia dove gli attori “cantano” le proprie battute; i primi piani sui piedi delle attrici, tra le quali la stessa Thurman; i fiumi di sangue che macchiano indelebilmente la pellicola del film; i continui collegamenti alla sua difficile infanzia.

Risulta davvero difficile recensire un film del genere senza cadere nella banalità o nei tanto temuti spoiler. Pulp Fiction è il capolavoro di un regista che nei suoi film mischia alla perfezione genio e sregolatezza; che riesce a calare nella vita di tutti i giorni violenza e sangue rendendoli parte integrante della vasta gamma di emozioni e sensazioni che proviamo nella nostra esistenza, nonostante spesso cerchiamo di evitarli; che fa della sessualità uno dei punti di forza dei suoi film senza mai mostrare una scena di nudo, bastano gli occhi, la musica, i sospiri.

È un film da vedere e rivedere più volte per assaporarne sempre meglio le sfaccettature; per capirne il senso bisogna macchiarsi del sangue di questo capolavoro e sentirlo pienamente nostro, essere parte del mondo semplice e reale, seppur folle e cruento, che questa pellicola ci mostra.

Giorgio Muzzupappa

Assassin’s Creed: molto “assassin” e poco “creed”

Assassin’s Creed, come ben noto, è un film liberamente ispirato alla gloriosa serie videoludica omonima targata Ubisoft.asscreedposter

Senza troppi convenevoli, un discreto lavoro di fotografia ci accoglie nel 1492, precisamente in Spagna. Qui assistiamo a quello che sembrerebbe essere una sorta di rituale alla quale fanno parte gli “Assassini”, riconoscibili per via del loro caratteristico abbigliamento, con dialoghi interamente in lingua spagnola. Assistito a questo evento, ci catapultiamo in tempi più moderni (1986 per la precisione) in una scena incentrata su un ragazzino che, dopo aver cercato invano di fare del parkour con la sua bicicletta, corre a casa scoprendo il corpo esanime della madre, con accanto il padre (Brendan Gleeson) abbigliato nel classico modo degli assassini. Il ragazzino visibilmente stupito dall’accaduto chiede spiegazioni al padre, che semplicemente gli intima di correre poiché “li hanno trovati”. Un ennesimo “gap” temporale e ci ritroviamo nel 2016, dove per la prima volta veniamo introdotti alla figura del vero protagonista del film Callum Lynch (Michael Fassbender), costretto in una cella di prigione con la compagnia di un sacerdote in procinto di concedergli l’estrema unzione. Capiamo dunque che Callum è condannato a morte per omicidio e si appresta ad andare al “patibolo”. Ricevuta l’iniezione letale, sembrerebbe davvero finita per il nostro protagonista, ma a sorpresa, soprattutto di quest’ultimo, si ritrova ancora in vita con una donna accanto (Marion Cotillard), che gli rivela di essere apparentemente morto per il resto del mondo, ma di assoluta importanza per il progetto di cui lei è la direttrice.

Come è facile comprende, Assassin’s Creed di Justin Kurzel, è assolutamente un film commerciale. Nonostante abbia cercato di prendere le distanze dal videogioco, con una storia di pura fantasia che non riprende nessuna narrazione del prodotto originale, il risultato è abbastanza deludente. Gli eventi presentati risultano essere abbastanza confusi e difficilmente incastrabili fra loro, pur seguendo una sorta di processo causa-conseguenza. Il problema fondamentale è riscontrabile nella quasi nulla possibilità di immersione dello spettatore nelle vicende, errore importante visto il tipo di pubblico che richiama nelle sale il titolo stesso, ovvero molti videogiocatori che nel gioco hanno passato ore ed ore su, non uno ma molteplici titoli della saga. Punibile è anche il lavoro sui personaggi troppo distaccati fra loro e con ruoli, ad eccezione dei protagonisti, difficili da identificare ad un punto tale da riconsiderare la loro utilità, benché essa potesse essere più o meno necessaria. Ciò che può essere escluso da commenti troppo severi sono la fotografia e la regia, che risultano pertinenti, soprattutto per il primo elemento.

Assassin’s Creed aveva un ottimo potenziale e la possibilità di far capire come le trasposizioni cinematografiche di videogiochi non siano da considerare necessariamente scadenti. Un esempio recente può essere “War Of Warcraft”, che sembra aver inaugurato questa nuova tendenza, non considerando il passato con “Lara Croft”, ma purtroppo il film in questione fallisce anche da questo punto di vista. Per tutti gli “Assassini” di tutto il mondo: ci sarà un’altra occasione per rendervi giustizia.

Giuseppe Maimone

Due nuove realtà messinesi

La nostra città è protagonista da decenni di un movimento : l’associazionismo.
Nate in contemporanea ma con fini completamente diversi si aggiungono al panorama messinese due nuove realtà : l’associazione ARTU’ e l’organizzazione Studenti Indipendenti.

La prima , il cui nome è un acronimo per Associazione Rappresentativa Territorio e Università, ha come idea base il confronto e la cooperazione sul territorio e l’università messinese.
Verrà presentata oggi alle 17:30 al Teatro Vittorio Emanuele.

La seconda , Studenti indipendenti , è formata da studenti dell’ateneo messinese ed è collegata a Link Coordinamento Universitario. una organizzazione che mette in contatto gli studenti delle realtà universitarie locali. Come si legge sul sito “di ispirazione sindacale e politica, autonome, indipendenti e autofinanziate, con l’obiettivo di promuovere i diritti degli studenti universitari e di affermarne il protagonismo nella costruzione di una società più giusta.” .

 

Arianna De Arcangelis

Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali

Un altro “fantastico” lavoro del visionario Tim Burton.

Adattamento cinematografico del romanzo di Ransom Riggs,
“La casa per bambini speciali di Miss Peregrine”, il film spopola nelle sale italiane a dicembre, riscuotendo un grande successo di pubblico. Meno clementi invece alcuni pareri della critica che arrivano a definire il film come commerciale.

Alla morte del nonno, il giovane Jacob Portman (Asa Buttmissperegrinesmallerfild) si reca nel Galles alla ricerca della residenza di Miss Peregrine (Eva Green), un orfanatrofio, di cui il nonno gli aveva a lungo parlato. Qui vengono ospitati ragazzi dai particolari poteri: c’è chi è invisibile, chi ha le stesse proprietà dell’aria, chi si ritrova una forza sovrumana.

Durante la permanenza Jacob scopre che dietro la storia dell’istituto si nascondono inquietanti misteri e che le storie che gli erano state raccontate non erano solo fantasie.

Come ogni film burtoniano che si rispetti, anche questo sorprende per il suo essere “spettacolare”. L’atmosfera è tanto macabra ed inquietante quanto mozzafiato, la suspence sempre presente e alcuni deliziosi momenti di “terrore” non deludono per nulla le aspettative dello spettatore. I ragazzi sono rappresentati fisicamente in maniera perfetta e lo stesso può esser detto dei mostri, belli ed inquietanti.

Ciò che delude un pò è l’andamento della seconda parte del film, che risulta essere un insieme poco curato di effetti speciali che sfiora quasi il grottesco e rischia alle volte di annoiare il pubblico.

Qualche pecca la presenta purtroppo anche la sceneggiatura, ciò può essere giustificato ricordando che Burton non ne prende parte, limitandosi al suo ruolo di regista.

Nulla di negativo può esser detto sulla recitazione di Eva Green, convincente ed impeccabile; altrettanto lo è quella di Asa Butterfield che particolarmente si addice al ruolo di ragazzo solitario affidatogli da Burton.

Lo stesso Tim Burton è presente, anche se poco visibile, in una scena del film, un piccolo particolare che i suoi fans noteranno ed apprezzeranno!

Il film nel complesso è assolutamente da vedere; gli amanti del genere e del regista sapranno ben apprezzare la “strana” pellicola.

Benedetta Sisinni

Corsa al senato – Daniele Tripoli

1504155_10201686993669249_189922758_o-1Il mio nome è Daniele Tripoli, nato a Caltanissetta 08/10/1994.

Sono uno studente dell’Università degli Studi di Messina iscritto al Corso di Studi in Infermieristica. Consigliere presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale ed eletto a voto unanime alla Consulta studentesca del suddetto dipartimento. Questa mia candidatura, che vede per la prima volta uno studente di Infermieristica candidato al Senato Accademico, nasce dopo anni di impegno personale e soprattutto di gruppo, ponendosi l’obiettivo di concretizzare e proporre le nostre idee e valori mettendoli a disposizione di tutti gli studenti. Grazie al costante impegno e presenza, io ed il gruppo di ragazzi che hanno deciso di appoggiare la mia candidatura e mettersi in gioco in prima persona per rappresentare gli studenti del nostro ateneo, siamo riusciti a raggiungere piccole vittorie, ma essenziali affinché il nostro percorso accademico possa puntare ad un costante miglioramento.
“I limiti come le paure, spesso, sono soltanto un illusione.” Cit. Michael Jeffrey Jordan