Tra psiche e intestino: la Sindrome dell’Intestino Irritabile

Negli ultimi decenni si sta rivolgendo una maggiore attenzione nei confronti del rapporto tra intestino e cervello. Proprio questa comunicazione potrebbe, in parte, spiegare la SII, ovvero la Sindrome dell’Intestino Irritabile.

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  1. Cosa è?
  2. Come si sviluppa?
  3. Come curarla? Gli approcci
  4. Conclusioni

 

Cosa è?

La SII ( Sindrome dell’intestino irritabile), è un disordine intestinale di tipo funzionale.  Tale condizione è caratterizzata da dolore addominale e l’alternarsi di stipsi (mancata evacuazione) e diarrea.

La prevalenza mondiale è di circa il 10%. I soggetti interessati appartengono alla fascia compresa tra i 20 e i 40 anni, principalmente di sesso femminile (rapporto F:M di 2:1). Dunque, è una condizione abbastanza frequente e rappresenta una delle più comuni malattie gastrointestinali oggi diagnosticate.

Per la sua diagnosi si utilizzano i criteri di Roma IV:

  1. Dolori addominali intensi, acuti, a localizzazione periombelicale, della durata di un’ora o più;
  2. Intervallo di settimane o mesi tra gli episodi;
  3. Dolore invalidante e interferente con le normali attività;
  4. Dolore associato a 2 o più dei seguenti disturbi: anoressia, nausea, vomito, cefalea, fotofobia, pallore;
  5. I  sintomi non possono essere spiegati da altra condizione medica.

Va sottolineato che ad oggi la diagnosi è ancora di esclusione. Il ritardo che ne deriva ha delle conseguenze sia sul soggetto, in quanto questa sindrome impatta negativamente sulla qualità di vita, che sul Sistema Sanitario, poiché vengono eseguiti diversi esami e quindi un costo sociale elevato.

Come si sviluppa?

La SII è una sindrome multifattoriale in cui intervengono tre principali fattori: ipersensibilità viscerale, alterazioni dell’attività motoria gastrointestinale e disturbi della sfera psicologica.
Recenti studi hanno dato importanza anche alla composizione del microbiota intestinale, la cui alterazione potrebbe essere un fattore scatenante in soggetti predisposti.

A livello intestinale, il Sistema Nervoso si organizza in maniera peculiare e viene definito Sistema Nervoso Enterico.
Presenta diversi tipi di neuroni: alcuni deputati alla percezione del dolore (neuroni sensitivi), altri alla motilità intestinale (motoneuroni).
I soggetti affetti presentano l’alterazione di un tipo di neuroni sensitivi, i quali normalmente si attivano solo in caso di stimoli pericolosi. In questo caso invece, essi si attivano anche per stimoli innocui generando dolore. L’alterazione dei motoneuroni, invece, spiega la presenza di stipsi e diarrea.

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Una componente fondamentale nella fisiopatologia di questa sindrome è l’aspetto psicologico del paziente. Diversi disturbi di natura psicologica possono presentarsi in questi quadri clinici: ansia, ostilità, fobia, paranoia, somatizzazione e abuso di sostanze.
E’ stato osservato che in questi soggetti si ha maggiore tendenza a sviluppare sintomi in seguito ad eventi stressanti; pertanto i cosiddetti fattori ambientali (lavoro, studio, ecc) assumono un importante ruolo. Spesso i classici dolori crampiformi compaiono durante la giornata (per esempio al risveglio) in relazione a ciò che circonda la persona, mentre sono assenti durante il sonno o possono scomparire durante periodi di vacanza.
Soggetti stressati inoltre, possono sviluppare sintomi extraintestinali come disturbi del sonno, alterazioni del tono, lombosciatalgia o cistiti.

Come curarla? Gli approcci

Esistono due tipi di gestione: farmacologica e non farmacologica. La scelta viene effettuata sulla base della severità clinica.

Approccio non farmacologico
Molti pazienti traggono giovamento da una modifica della dieta: diete povere in glutine, ridotto consumo di fruttosio, lattosio o altri tipi di carboidrati. Tuttavia non esistono delle linee guida ufficiali, poiché la sensibilità a tali alimenti è del tutto soggettiva.
Un altro approccio non farmacologico è la terapia cognitivo comportamentale (TCC). Lo scopo è educare il paziente sulla sindrome e sulla gestione dello stress attraverso delle tecniche di rilassamento come la respirazione diaframmatica o il rilassamento muscolare progressivo.

Approccio farmacologico
 Il metodo farmacologico interviene soprattutto sulla sintomatologia. Principalmente vengono somministrati agenti antispastici per il dolore addominale e lassativi o antidiarroici per le variazioni dell’alvo. Nel caso di importante interessamento della sfera psicologica, utile è l’applicazione di antidepressivi.

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Infine, l’indicazione all’utilizzo di probiotici e il ricorso al FMT si spiegano in virtù delle evidenze di correlazione tra gastroenteriti infettive e SII. Un recente articolo di Pimentel M. e Lembo A., riporta le conseguenze osservate su modelli animali dopo un infezione enterica: alterazione della consistenza delle feci, aumentata presenza di cellule infiammatorie, alterazione della componente muscolare e della flora batterica.
Molti soggetti si nota una
variazione della composizione del microbiota dopo l’evento infettivo e, probabilmente, ciò potrebbe essere uno dei momenti chiave per lo sviluppo della sindrome.

Conclusioni

Da anni l’intestino viene soprannominato “secondo cervello” e, alla luce di quanto detto, si può comprendere il perché. Come del resto sosteneva il filosofo Feuerbache: “Noi siamo quello che mangiamo”.

Gaetano Giusino

Bibliografia:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32026278/

https://www.unigastro.it

 

Argimusco: un posto magico immerso nella natura

Oggigiorno la natura è sinonimo di tranquillità e riflessione. A quanti di noi capita di voler staccare dallo stress quotidiano, magari con una passeggiata all’aria aperta? Fortunatamente, riscoprire il legame con flora e fauna – nonché il dovuto rispetto da portare ad entrambe – è alla portata di tutti.

Ma possiamo affermate di conoscere le bellezze naturali che ci circondano? 

Argimusco: una mistica esperienza nel bel mezzo della Sicilia

A pochi minuti di strada dal Comune di Montalbano Elicona, tra una provola fresca ed una ricotta infornata, si stende l’altopiano dell’Argimusco. Il viaggiatore che vi si reca troverà un cancello di legno, solido e curato, con un’indicazione che, riassunta, dice: “Benvenuto, questo è l’ingresso dell’Argimusco, sei libero di entrare, ricorda solo di rispettarlo e non di sporcare nulla“. Questa frase non fa altro che ricordare all’uomo che egli è parte della natura, e, come tale, avrebbe il dovere di non distruggerla. Ma queste poche parole sintetizzano anche le sensazioni che il viaggiatore proverà dopo una giornata passata in quel posto magico: accoglienza, bellezza, serenità.

Megalite colossale nella piana dell’Argimusco – © Salvatore Nucera 

Il sito dell’Argimusco è famoso per i megaliti dalle forme animalesche ed antropomorfe, che si stagliano per tutta la sua superficie. Sarà per questo che il nome “Argimusco” potrebbe derivare dalle parole arabe hagar (da leggere asgiar), ossia “roccia”, e mistah, “pianura”. Hagar mistah sarebbe poi stato latinizzato dai bardi medioevali in Argimustus. Non mancano però altre teorie, per cui il curioso nome potrebbe derivare dal greco arghimoschion, ossia “altopiano delle grandi propaggini”, o dal latino agrimuscus, “campo di muschio”.

A prescindere dall’origine del nome, è certo che il luogo fosse frequentato sin dai tempi antichi. Esso è infatti ritenuto d’importanza strategica per vari studi astronomici e per il riconoscimento delle stagioni, da sempre importantissimo per i cicli di coltivazione agricola.

Prospetto megalitico, la donna orante – © Salvatore Nucera

I megaliti ed il paesaggio. L’Etna ed il Bosco di Malabotta.

Tra le varie formazioni rocciose, due delle più suggestive sono quella della donna orante e dell’aquila, forse ricollegata all’omonoma costellazione. Secondo la tradizione, Re Federico III d’Aragona avrebbe incaricato il medico alchimista Arnaldo da Villanova (1240-1313) di realizzare una grande opera di medicina astrale; questo spiegherebbe le curiose forme dei megaliti. Più verosimilmente, l’Argimusco è stato un luogo di passaggio utilizzato dai sovrani di Sicilia, ma anche da altre civiltà del passato, per collegare la sponda Tirrenica con quella ionica.

Prospetto megalitico, l’elefantino – © Salvatore Nucera
Prospetto megalitico, l’aquila – © Salvatore Nucera

È proprio l’ampia vista, di cui si gode dalla cima dell’altura, che permette di scrutare una vasta porzione della Sicilia nord-orientale, ricomprendente tanto l’orizzonte marino con le Isole Eolie, quanto il monte dell’Etna, che d’inverno appare tipicamente innevato. Infine il viaggiatore, dopo aver apprezzato una rapida escursione nel vicino bosco di Malabotta, potrà riposare nella vicina Montalbano, Comune spesosi negli anni per promuovere la bellezza di questi territori.

Montalbano Elicona, Chiesa di San Domenico, Santuario di Maria SS. della provvidenza – © Salvatore Nucera

In questo tripudio di sensazioni, assume una valenza centrale il rapporto tra i vari elementi naturali, favorita dalla personificazione della nuda roccia, quasi a volerci ricordare che siamo un tutt’uno con la Terra. Una giovane amicizia, che dura da circa 2 milioni di anni.

 

Salvatore Nucera

 

Immagine in evidenza: Prospetto megalitico, la vasca sacra – © Salvatore Nucera

Per approfondire:

Orlando A., Argimusco: Cartography, Archaeology and Astronomy, The Light, The Stones and The Sacred, 2017, p.123-155

A Montalbano Elicona: https://amontalbanoelicona.it/le-nostre-tradizioni/argimusco/

 

 

Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

Lo stress in gravidanza potrebbe decidere il sesso del neonato, e non solo

Dalla notte dei tempi, esistono decine e decine di credenze popolari sui segnali che possano predire se il neonato sarà maschio o femmina. La presenza o meno di nausee mattutine, la forma della pancia, la pelle più secca o più morbida, persino la preferenza di cibi dolci o salati e (l’inquietante) test del pendolo sulla pancia. Ma non è tutto così casuale. 

Il sesso del neonato è influenzato precocemente da una vasta serie di fattori. 
Un recente studio condotto alla Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons ha dimostrato come condizioni di stress durante la gravidanza possano influire in modo statisticamente significativo sul sesso del neonato, e non solo. Anche la durata della gravidanza, le complicanze perinataliil peso alla nascita e lo sviluppo del sistema nervoso sono soggetti a variazioni. 

Lo studio, pubblicato sulla rivista PNAS, è stato condotto su 187 gestanti, con età compresa tra i 18 e i 45 anni, senza alcuna condizione clinica patologica. Sono stati quindi formati tre gruppi sulla base delle condizioni di stress individuali. Ma come è possibile valutare in modo oggettivo lo stress? 

I ricercatori hanno utilizzato 27 indicatori specifici per lo stress psicologico, fisico e sociale, quantificati tramite informazioni raccolte sia con questionari sia tramite misurazioni dirette. 
Il campione iniziale di 187 gestanti è stato quindi suddiviso in tre gruppi: 

  • HG (healthy group): il 66.8% delle donne si è dimostrato essere in piena salute. 
  • PSYG (psychologically stressed group): il 17.1% delle donne si è mostrato in maniera clinicamente evidente affetto da stati ansiosi, depressione e stress psicologico. 
  • PHSG (physically stressed group): il 16% delle gestanti ha presentato uno stress fisico rilevante, determinato valutando la pressione arteriosa sistemica, il BMI (indice di massa corporea), l’apporto calorico, lo stress ossidativo e altri parametri. 

Con sorpresa i risultati ottenuti sono stati piuttosto netti
Premesso che nella popolazione generale il rapporto di nati maschi/femmine è pari a 105/100, a vantaggio quindi dei maschi, tale rapporto è stato confermato (23/18) nel gruppo HG, mentre nel gruppo PSYG è stato pari a 2/3 e nel gruppo PHSG a 4/9, con un’inversione in entrambi i casi rispetto alla norma. 

Inoltre, sia nel gruppo PSYG, ma in modo più significativo nel gruppo PHSG, i neonati sono stati partoriti mediamente con 1 settimana e mezza di anticipo rispetto al gruppo HG, con una percentuale di prematuri aumentata pari al 22% contro il 5% (mentre 9.9% è la media negli USA). 

Un’altra differenza importante è relativa a due valori utilizzati come indici di sviluppo del sistema nervoso del feto, ovvero la frequenza cardiaca media nel feto e l’accoppiamento tra questa e il movimento del feto stessoSono stati rilevati una frequenza media minore e un accoppiamento alterato, il che correla con uno sviluppo nervoso più lento. 

Infine, il peso alla nascita dei neonati dei due gruppi “patologici” è stato minore e, specialmente nel gruppo PSYG, si è avuto un numero di complicanze perinatali significativamente incrementato. 

Queste evidenze, puramente statistiche, hanno tuttavia delle basi biologiche che già da anni vengono discusse. Numerose ricerche scientifiche indicano che i feti di sesso maschile sono meno adatti a sopravvivere in condizioni non ottimali, com’è stato già osservato in altri mammiferi. 

Uno studio della DOHaDInternational Society for Developmental Origins of Health and Diseaseha dimostrato una maggiore vulnerabilità maschile durante lo sviluppo. I feti maschili presentano, in fasi precoci, uno sviluppo più lento rispetto ai femminili, per cui sarebbero più vulnerabili per un arco di tempo più esteso. Inoltre, geni X-linked correlati ad una maggiore capacità di sopravvivenza sono espressi a maggiori livelli nella placenta femminile, giustificando la più alta resistenza a condizioni non ottimali.  

Ricercatori del Robinson Institute’s Pregnancy and Development Group hanno scoperto che in corso di un evento stressante in gravidanza, i feti maschi crescono più velocemente mentre le femmine restano “più piccole“, garantendosi una maggiore probabilità di sopravvivenza. Ciò dipenderebbe principalmente da una diversa risposta agli ormoni materni, controllata differentemente dalla placenta del feto maschile e femminile. 

Secondo alcuni autori il senso biologico di questi meccanismi è dato dalla spinta evolutiva, che favorirebbe il sesso femminile in condizioni avverse come stress o ridotta disponibilità calorica.
È dunque plausibile che le donne soggette a stress tendano a perdere le gravidanze maschili con aborti spontanei in un periodo gestazionale talmente precoce che talvolta nemmeno si accorgono di essere rimaste incinte. 

Ulteriori studi hanno già sostenuto l’idea che l’isolamento sociale e lo stress psicofisico che ne deriva abbiano effetti sulla regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, influenzando la produzione di ormoni quali il cortisolo, riducano la produzione di fattori neurotrofici e alterino il sistema immunitario materno amplificando i processi proinfiammatori. Tutto questo, analizzato a livello molecolare, ha certamente un effetto diretto sulla salute mentale e fisica della madre e quindi sullo sviluppo del feto. 

Risultati immagini per maternal psychosocial stress

Non a caso, proprio lo stress psicosociale, tra i 27 fattori utilizzati nella valutazione delle gestanti, è quello che meglio ha contraddistinto i tre gruppi. E ancor più curiosamente, decine di studi hanno dimostrato statisticamente che in popolazioni colpite da eventi tragici come terremoti, o addirittura negli USA in seguito all’assassinio del Presidente Kennedy o agli attacchi terroristici alle torri gemelle, si è verificato un decremento delle nascite maschili. Uno studio del 2006 su oltre 700 mila nascite a New York ha infatti dimostrato come il livello di nascite maschili sia sceso ai minimi storici nei mesi successivi all’11 settembre. 

ricercatori concludono quindi che lo stress, inteso come condizione clinicamente rilevabile e misurabiledovrebbe essere in futuro incluso nei pannelli di controllo prenatali, così come tra i fattori su cui intervenire per prevenire una serie di problematiche prima e dopo il parto.
Il rallentato sviluppo del sistema nervoso fetale, la maggiore incidenza di complicanze perinatali, di aborti spontanei e di parti pretermine, potenzialmente correlati (soprattutto nel maschio) a disordini neurologici quali autismo, dislessia e ADHD (sindrome da deficit di attenzione ed iperattività), giustificano a pieno titolo tale intenzione.  

A detta degli stessi autori, sono necessari ulteriori studi che confermino le evidenze ottenute, ma questa ricerca funge da utile terreno di base da ampliare e arricchire. 
Il messaggio chiave è che l’utero è una “casa” molto influente, probabilmente più della casa in cui il bambino crescerà, e quanto questa casa sia accomodante dipende in maniera determinante dalla salute, anche mentale, della madre. 

Davide Arrigo 

 

Fonti: 

https://www.pnas.org/content/early/2019/10/08/1905890116.short?rss=1
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31221426
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5286731/

Un semplice oggetto per passare gli esami

Schermata 2016-05-04 alle 13.12.38E’ giunto, dopo le varie scampagnate di pasquetta, festa della liberazione e dei lavoratori, è arrivato il momento di ritornare sui libri per cercare di superare al meglio gli esami. Ed è quindi arrivato il momento dei mal di schiena, dello stress dovuto alla lettura e dell’eccessivo nervosismo causato dal caffè, red-bull… e caffè mischiato con red-bull.

Ma se vi dicessi che esiste un oggetto che vi aiuterà non solo ad accelerare i ritmi dello studio, ma anche a ridurre tutti i problemi citati sopra? L’oggetto in questione è una semplice scrivania, già proprio così, ovviamente diversa da quelle tradizionali, poiché è una standing-desk, o se vogliamo tradurla in italiano, una scrivania rialzata.

Questa invenzione non poteva che essere principalmente usata dal popolo dei più famosi produttori di scrivanie, ossia gli svedesi (in primis), seguiti dai norvegesi e finlandesi.Come si è accennato precedentemente, questa scrivania permette di studiare in piedi, prevenendo dolori fisici ed eventuali rischi dovuti alla sedentarietà (come l’obesità o il diabete) e diminuendo lo stress e la fatica durante lo studio.

Inoltre, a differenza d
i quelle usuali, questa scrivania è portatile e non molto ingombrante, perciò può essere posizionata secondo le proprie preferenze.

Schermata 2016-05-04 alle 13.18.35Ma quanto costa una standing-desk ? (lo scrivo in inglese perché fa più figo). Beh come tutte le cose bisog
na  dare uno sguardo al rapporto qualità prezzo; infatti quelle migliori possono costare fino a 400 €, mentre quelle più economiche anche 25/30 € (ma ci sarà senza dubbio un motivo no?).C’è da notare però che il cambiamento che si effettua dalla posizione seduta e quella alzata, deve essere graduale, infatti proprio come afferma Josephine Chau, responsabile dello studio riguardo l’utilizzo della standig-desk, effettuato insieme ai ricercatori dell’Università di Sydney : “E’ come iniziare un nuovo programma di esercizi, il corpo si deve abituare, non si va dal correre zero chilometri a 42 chilometri da un giorno all’altro”.

Comunque vorrei farvi notare che già precedentemente personaggi illustri come Winston Churchill, Leonardo Da Vinci e Thomas Jefferson, utilizzavano scrivanie simili alla standing-desk “scandinava”, quindi perché non alzarsi in piedi e provare, male che vada diventi come loro.

Riccardo Figliozzi 

Cervelli in ansia: dalle neuroscienze nuovi dati per comprenderne il meccanismo

Sto in ansia. Quante volte, nella vita di tutti i giorni, avremo usato questo termine per riferirci a tante piccole quotidiane situazioni di stress psichico e nervosismo? Eppure forse non tutti sanno che, accanto a queste situazioni assolutamente fisiologiche, esiste una ansia patologica, con sintomi che spesso possono essere altamente invalidanti. In psichiatria si distinguono diversi disturbi d’ansia, diversi fra loro ma accomunati da una sintomatologia basata su componenti somatiche (sudorazione, pallore cutaneo, aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca e altri segni e sintomi correlati a una attivazione abnorme del sistema nervoso simpatico), cognitive-emotive (senso di pericolo e di allerta, calo della concentrazione) e comportamentali (atteggiamenti di fuga) che possono seriamente compromettere la vita relazionale del paziente.

In particolare, fra i vari disturbi d’ansia, il più elusivo da comprendere è il disturbo d’ansia generalizzato (GAD, generalized anxiety disease) in cui la sintomatologia ansiosa non è collegata a un oggetto o una situazione particolare (come ad es. nelle fobie) ma si verifica in maniera aspecifica, appunto generalizzata.

Da anni la ricerca scientifica cerca di comprendere perché e in che modo, con quale meccanismo, si verifichino questi sintomi. Diversi autori concordano sul fatto che alla base del GAD possa esserci una ipergeneralizzazione degli stimoli di pericolo: normalmente, la nostra esperienza ci permette di associare determinati stimoli sensoriali (per esempio, la vista di un serpente per terra o il suono di una sirena d’allarme) a una situazione di pericolo dando origine a una risposta adeguata, di tipo “combatti o fuggi” (cioè mediata dal sistema nervoso simpatico) non appena gli stimoli vengono percepiti; nel GAD una generalizzazione eccessiva fa si che vengano percepiti come potenzialmente pericolosi anche stimoli che normalmente non lo sono e questo spiegherebbe le manifestazioni della patologia.

Una delle domande dei ricercatori in proposito è se questa generalizzazione sia legata a un meccanismo cognitivo, cioè in parole povere all’incapacità di decidere quali stimoli sono pericolosi e quali no, oppure derivi da un problema percettivo, cioè legato a una anormale percezione sensoriale degli stimoli stessi. Un recentissimo lavoro in pubblicazione su Current Biology, curato da ricercatori del Weizmann Institute e del Jerusalem Mental Health Center*, propone una possibile risposta a questa domanda.

Lavorando su un gruppo di 25 pazienti di GAD e 16 controlli sani, i ricercatori hanno fatto ascoltare ai soggetti suoni di diverse frequenze, associandoli a situazioni di rischio (guadagno o perdita di denaro): dopo questo condizionamento, hanno fatto riascoltare i suoni ai soggetti chiedendo di riconoscere quelli associati al rischio, riscontrando che i pazienti di GAD tendono più dei soggetti sani ad associare al pericolo i suoni anche quando le frequenze risultano essere più distanti da quelle con cui è avvenuto il condizionamento. In un secondo luogo è stata svolta una indagine con risonanza magnetica funzionale (fMRI), una tecnica che si usa per studiare l’attivazione di aree del cervello mediante la misura delle variazioni nel loro utilizzo di sangue ossigenato, rilevate tramite MRI. Tale metodologia, in uso da anni nel mondo delle neuroscienze, ha consentito di osservare, soltanto nei soggetti ansiosi e durante il condizionamento, l’attivazione di un ben preciso network neuronale composto da aree corticali e sottocorticali (come amigdala, putamen, corteccia cingolata anteriore) correlata direttamente alla percezione del rischio e del tipo di rischio. Pertanto, pur senza negare l’importanza dei meccanismi cognitivi nello sviluppo del disturbo d’ansia generalizzato, i ricercatori concludono evidenziandone l’aspetto di disturbo principalmente percettivo. Una tale scoperta, oltre a costituire un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi alla base del disturbo d’ansia generalizzato, contribuisce anche, insieme a tantissimi altri lavori simili, a mettere in una nuova luce l’affascinante problema delle relazioni fra la nostra mente e il nostro cervello, e fra la nostra mente e il nostro corpo. Ma questa, naturalmente, è tutta una altra storia…

*Laufer et al., Behavioral and Neural Mechanisms of Overgeneralization in Anxiety, Current Biology (2016)Qui l’articolo 

Gianpaolo Basile