La strage di Piazza Fontana: il brusco risveglio dal sogno democratico

La mente umana tende a rimuovere i traumi, una sorta di meccanismo di autodifesa.

Vale lo stesso per la memoria collettiva?

Se così fosse, sarebbe saggio interrogarsi su quanto possa essere utile allo sviluppo e alla serenità del nostro vivere insieme pacificamente come società. 

 Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo.

È la frase di George Santayana, incisa in trenta lingue sul monumento all’ingresso del campo di concentramento di Dachau’.  

Senza dubbio è assodato, anche se passa inosservato che, se non conosciamo il passato, non possiamo comprendere il presente e la realtà che ci circonda.  

Nell’anniversario della strage di Piazza Fontana, dopo cinquantacinque anni, ricordiamo le diciassette vittime che non hanno mai avuto giustizia, se non nelle parole di chi mantiene viva la loro memoria.

1. Giovanni ARNOLDI, anni 42
2. Giulio CHINA, anni 57
3. Eugenio CORSINI
4. Pietro DENDENA, anni 45
5. Carlo GAIANI, anni 37
6. Calogero GALATIOTO, anni 37
7. Carlo GARAVAGLIA, anni 71
8. Paolo GERLI, anni 45
9. Luigi MELONI, anni 57
10. Vittorio MOCCHI
11. Gerolamo PAPETTI, anni 78
12. Mario PASI, anni 48
13. Carlo PEREGO, anni 74
14. Oreste SANGALLI, anni 49
15. Angelo SCAGLIA, anni 61
16. Carlo SILVA, anni 71
17. Attilio VALE’, anni 52

prima pagina del quotidiano l'Unità 13/12/1969
Parte della prima pagina del quotidiano l’Unità del 13/12/1969 – Strage di Piazza Fontana – Attentato a Milano

 

Le bombe a Milano e Roma inaugurarono la strategia della tensione

Il 12 dicembre 1969, il sincero spirito democratico della giovane Repubblica Italiana veniva messo sotto tortura.

Alle 16:37 una valigetta contenente sette chili di tritolo esplodeva all’interno della Banca Agricola di Milano, provocando diciassette morti e ottantotto feriti.

Nell’arco dei cinquantadue minuti successivi, altri tre ordigni esplosivi mutilarono anche la città di Roma. In successione il terrore esplose nella Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio, in piazza Venezia e all’Altare della Patria. Le tre bombe, a Roma, causarono in totale altri diciassette feriti.

Un quinto ordigno per difetti di fabbricazione non esplose e venne ritrovato nei pressi della Banca Commerciale di Milano.  

Questa strage fu il primo sanguinoso episodio che inaugurò la cosiddetta “strategia della tensione”. Un modo per chiamare con meno imbarazzo quella che fu la lunga stagione delle “stragi di Stato” iniziate quel giorno e conclusasi nel 1993.  

 

La democrazia e i diritti costituzionali finiscono dove inizia il segreto di Stato

Ventiquattro anni di bombe, stragi, attentati al popolo italiano, di traffici di armi, di droga e terrorismo nero. Vergogne della Repubblica Italiana, insabbiate da depistaggi clamorosi.

Fondamentale è ricordare che il terrorismo non è la fantomatica identità di un gruppo X di individui, ma una strategia militare e politica.

Sono stati anni in cui gli esecutori materiali di tale strategia furono svariati. I mandanti non furono mai individuati, intoccabili, su cui è stato vietato indagare in quanto posti al di sopra della legge.

Tutto grazie al sistematico uso del “segreto di Stato”. Tuttavia, i veri registi delle stragi sono facilmente individuabili in attori statali internazionali, i quali hanno diretto dall’esterno insieme alla collusione di deviati apparati dei servizi segreti italiani. Meschini nemici della Repubblica, traditori della patria e della sua rifondazione democratica.

I mandanti si sono serviti, nel corso di questi decenni, della manovalanza sia di gruppi eversivi dell’estrema destra Italiana che della massoneria. Tutto reso possibile grazie al fondamentale supporto logistico e di intelligence dei servizi segreti, che spesso e volentieri hanno agito al servizio… e qui sorge la spontanea domanda: al servizio di chi?

Non solo neofascisti e servizi segreti, il pragmatismo assoldò paramilitari e mafie

L’epilogo di questa stagione di morte e terrore ha visto l’ampio uso della mano armata delle mafie per colpire i servitori dello Stato che a esso erano fedeli.

Inoltre, troppa poca luce è stata fatta su quell’apparato segreto comprendente una rete paramilitare al servizio della Cia e della Nato. Una rete disseminata in tutta Italia, che ha operato durante tutta la guerra fredda. Un vero e proprio esercito clandestino, denominato GLADIO. Un apparato ombra di cui erano a conoscenza solo i vertici dello Stato. Un esercito mimetizzato nella società italiana, dotato di depositi di armi, a cui è stata data carta bianca su tutto il territorio nazionale.

Suo scopo ufficiale era quello di sabotare le retrovie nemiche nel caso l’Italia fosse stata invasa dall’Unione Sovietica o dalla Yugoslavia

L’invasione non arrivò mai e questo esercito di canaglie, composto da persone con una doppia vita, operò per conto della Cia fino alla caduta del muro di Berlino, macchiandosi di efferati crimini e sporchi traffici, sempre protetti dall’impunità sistematica. Un agire al di sopra della legge che ha portato morte e miseria alla società italiana, silenziando col piombo chi per sbaglio incappò nel loro cammino.

Tutti loro sono rimasti impuniti e sono ancora tra noi.

L’Italia tra i teatri principali della guerra fredda

L’Italia, durante la guerra fredda, era terra di confine tra il blocco occidentale e quello orientale. Un confine non meno teso rispetto alla Berlino divisa dal muro. Rappresentava una portaerei naturale, posta al centro del Mediterraneo.

In Italia, non entrava e usciva una mosca senza che gli apparati della Nato, deputati al controllo, non ne fossero a conoscenza. Le armi da guerra, gli esplosivi, le materie prime per produrre le droghe pesanti che hanno distrutto intere generazioni  sarebbero state impossibili da recuperare per le mafie e i terroristi neri nel corso di quegli anni.

Quasi nulla sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la diretta collusione, un agire in concerto tra servizi segreti, l’apparato gladio, le mafie e i terroristi neri.

Il popolo italiano è stato vittima del grande gioco. Una scacchiera dove la vita dei cittadini, posti come pedine, valeva nulla.

Pagina del quotidiano Liberazione
Pagina del quotidiano Liberazione

La giustizia e l’ordine democratico italiano sono solo una favola per il popolo ingenuo?

Se così non fosse, resterebbe inspiegabile come fu possibile che tutti gli attentati ai danni del popolo italiano e dei suoi sinceri servitori (tra cui ricordiamo, oltre che quella di Piazza Fontana, anche la strage di piazza della Loggia, di Ustica, della stazione di Bologna, la bomba sul treno italicus o la strage di Pizzo Lungo, l’omicidio del generale Dalla Chiesa, dei giudici Falcone e Borsellino, il Moby prince) abbiano tutte sempre avuto tra le vittime la verità.

Nel corso degli anni ‘70, ’80 e 90, si è assistito al manifestarsi di depistaggi clamorosi. Omicidi di testimoni e di giornalisti, atti giudiziari misteriosamente spariti dentro le aule di tribunale, assoluzioni e prescrizioni vergognose si sono puntualmente verificate a beneficio degli autori materiali, individuati nel corso delle inchieste. Inoltre, pesa come un macigno insormontabile il sistematico e compulsivo ricorso al “segreto di Stato”, atto ad impedire al popolo italiano e alla sua democrazia di ottenere giustizia.  

Quando si fa ricorso al segreto di Stato,  giustificandolo per motivi di interesse nazionale, al netto degli eventi è chiaro che l’interesse nazionale non è quello nazionale italiano. Bensì quello di attori statali internazionali, i quali limitano e decretano i confini della nostra sovranità e democrazia.

La carta costituzionale e i diritti che la stessa dovrebbe tutelare sono stati sospesi e violentati ripetutamente nel corso di questi eventi, senza il minimo rispetto.  

Una strage pianificata per spianare la strada al golpe

In particolare, il 12 dicembre 1969  ebbe luogo la collaborazione di militari italiani, che tradirono la patria, e membri del SID (Servizio informazioni difesa). Una collaborazione che utilizzò la mano nera dei gruppi eversivi neofascisti come “ordine nuovo” per piazzare le bombe e destabilizzare l’ordine democratico italiano.

Tra gli obiettivi strategici vi era, per una mano quello di addossare la colpa alle sinistre, che all’epoca godevano di un crescente consenso popolare, spingendo così l’opinione pubblica a destra; e dall’altra, il tentativo di indurre l’allora presidente del consiglio Mariano Rumor a dichiarare lo stato d’emergenza, in modo da sospendere le garanzie e i principi democratici, e facilitare l’avvento di un regime autoritario, sul modello della dittatura dei colonnelli greci all’epoca al potere nello Stato ellenico.  

pagina del quotidiano ''Il Fatto''
Pagina del quotidiano Il Fatto

Le sentenze della vergogna

La collusione dei servizi segreti militari italiani nel depistaggio è stata confermata dalla sentenza, passata in giudicato dal tribunale di Bari, confermata dalla Cassazione il 27 Gennaio 1987.  

Depistaggio con il quale si cercò di utilizzare come capro espiatorio la corrente anarchica e che portò alla morte di un’altra vittima, la diciottesima. Una morte collaterale agli eventi di Piazza fontana, quella dell’ex partigiano Giuseppe Pinelli, colpevole di essere anarchico e volato misteriosamente dalla finestra della questura di Milano, durante un interrogatorio. Fu sospettato arbitrariamente per l’attentato di Piazza Fontana.

Ben presto, però, il fallace tentativo di depistaggio non resse e sempre più palese fu la manovalanza neofascista utilizzata nel commettere la strage.

Questi tragici eventi rendono quasi profetiche le parole scritte dal filosofo Karl Popper, che scrisse:

Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.

Parole, oggi come ieri, più che mai attuali.

Oggi, ricordiamo le 18 vittime di Piazza Fontana e, insieme a loro, anche l’ingiustizia morale e storica, oltre che materiale, che il sistema giuridico italiano e lo Stato tutto hanno riservato per le vittime innocenti. Un crimine storico che ha gettato chi crede nella giustizia nello sconforto, poiché dopo cinquantacinque anni nessuno ha pagato per il vile atto terroristico che ha spezzato le vite di questi cittadini italiani.

Sebbene gli autori materiali siano stati individuati, la Corte li ha scandalosamente assolti.

Così recita la sentenza che ha sancito per gli stragisti, protetti da certi apparati dello Stato, l’impunità. Sentenze che hanno dichiarato irreversibile la morte celebrale della giustizia e della democrazia italiana, che dall’esplosione di quelle bombe si trova in stato di coma terminale.  

La sentenza del 30 giugno 2001 condanna Maggi, Zorzi e Rognoni all’ergastolo per la strage e dichiara invece il non doversi procedere contro l’armiere Digilio, che resta l’unico autore giuridicamente riconosciuto della strage, ma con il reato prescritto, grazie alle attenuanti per la collaborazione. Tale giudizio è riformato dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello del 12 marzo 2004: questa assolve Maggi e Zorzi dal reato di strage ex art. 530 secondo comma c.p.p., assolve Rognoni per non aver commesso il fatto. Le assoluzioni sono confermate dalla Cassazione con sentenza del 3 maggio 2005.

 

 

 

Fonti:
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/261-cronaca/87215-piazza-fontana-52-anni-fa-la-strage-che-segno-l-inizio-della-strategia-della-tensione.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_piazza_Fontana
https://memoria.cultura.gov.it/en/w/scheda-sul-processo-per-la-strage-di-piazza-fontana-procura-
https://www.vittimeterrorismo.it/vittime/la-strage-di-piazza-fontana/
https://www.passaggilenti.com/giuseppe-pinelli-piazza-fontana/

Strage sul lavoro: cinque operai sono morti a Casteldaccia

Lunedì cinque operai sono morti a Casteldaccia, comune in provincia di Palermo, durante un lavoro di manutenzione a una rete fognaria. Secondo i Vigili del Fuoco di Palermo, la causa del decesso è stata l’inalazione di solfuro di idrogeno. I manutentori stavano lavorando in una vasca di depurazione di acque reflue a 6 metri sotto il livello del suolo nelle vicinanze di un’azienda vinicola. Gli operai in questione sono Epifanio Assazia, 71 anni, Ignazio Giordano, 57 anni, Giuseppe Miraglia, 47 anni, Roberto Raneri, 51 anni, e Giuseppe La Barbera, di 26 anni. Un sesto operaio è attualmente ricoverato in gravi condizioni al Policlinico di Palermo dopo l’inalazione delle esalazioni tossiche. È rimasto illeso il settimo operaio che è riuscito a chiamare i soccorsi alle 13:48.

I Vigili del Fuoco hanno accertato che il livello del gas si trovasse a una concentrazione dieci volte superiore alla norma e che gli operai non indossassero protezioni. Non sono note le cause per le quali i manutentori non ne fossero provvisti. Un’indagine è stata dunque aperta dalla Procura di Termini Imerese.

(vigilidelfuoco.it)

Le dinamiche dell’accaduto

Gli operai coinvolti facevano parte dell’azienda Quadrifoglio Group di Partinico (ad eccezione di La Barbera che era dipendente di AMAP). La Quadrifoglio Group, di cui Assazia era inoltre uno dei titolari, aveva vinto una gara d’appalto per la manutenzione della rete fognaria. Insieme a quella idrica, a gestire le fogne è AMAP, Azienda Municipalizzata Acquedotto di Palermo.

Secondo le prime ricostruzioni, inizialmente sarebbero scesi solo due operai. Gli altri tre, alle prime richieste di aiuto, li avrebbero poi seguiti per soccorrerli rimanendo però uccisi dalle stesse esalazioni, seppur in un soppalco superiore. Un altro operaio, ora ricoverato in gravi condizioni, sarebbe poi sceso rimanendo anch’egli ferito. A chiamare i soccorsi è stato dunque il settimo operaio, rimasto illeso.

(Flickr)

La sostanza che ha ucciso gli operai

Il solfuro d’idrogeno (o idrogeno solforato) è un gas che viene prodotto durante la fermentazioni di alcuni composti organici. Se inalato, risulta estremamente tossico per le vie aeree, con effetti letali. La sua presenza è percepibile per l’odore sgradevole di uova marce che emana, seppur tenda a diminuire man mano che aumenta la concentrazione nell’aria.

Per evitare l’inalazione è sufficiente indossare delle protezioni delle vie aeree: gli operai, al momento dei lavori, non le indossavano. Diverse sono state le irregolarità riscontrate durante il lavoro: oltre alla mancanza di dispositivi di protezione individuale, due degli operai rimasti uccisi non avevano sufficienti competenze e un altro era formalmente pensionato.

(Pexels)

I commenti di AMAP e le reazioni dei sindacati

L’AMAP ha commentato l’accaduto come «assurdo», ritenendo di godere di rigidi protocolli di sicurezza e formazione del personale. Durante la manutenzione era comunque presente il direttore dei lavori e responsabile della sicurezza, che viene ora ascoltato dalla Polizia. Nel frattempo, i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno indetto uno sciopero di quattro ore per oggi e organizzato un sit-in di fronte alla Prefettura di Palermo in via Cavour. Un altro sciopero di 8 ore indetto da Fillea, Filca e Feneal si affianca a quello delle maggiori sigle sindacali. Le mobilitazioni sono state organizzate per chiedere maggiori tutele di sicurezza sul lavoro, a fronte del crescente numero di vittime.

Sulla tragedia si sono espressi il Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e il sindaco di Casteldaccia Giovanni Di Giacinto, esprimendo il loro profondo cordoglio. Di Giacinto ha poi affermato in collegamento con RaiNews.it che non si tratta del primo lavoro di manutenzione della vasca, affermando vi si opera «da più di vent’anni». Molto provato dalla tragedia ha poi raccontato ai microfoni lo shock dell’operaio rimasto illeso. Dopo aver chiamato i soccorsi ed essere venuto a conoscenza della morte dei colleghi, avrebbe ricevuto supporto psicologico dai medici giunti sul posto.

(Wikimedia)

Francesco D’Anna

Strage a Nashville, 28enne spara all’interno di una scuola elementare

Audrey Elizabeth Hale di anni 28, ex studente transgender, ha fatto irruzione nell’istituto elementare presbiteriano Covenant School uccidendo tre bambini e tre adulti. Hale aveva frequentato in passato tale scuola e, secondo le indagini, aveva pianificato nei dettagli il massacro. L’ennesima strage all’interno di una scuola che porta, ancora una volta, in alto il dibattito sul possesso delle armi negli Stati Uniti. La 129/a dall’inizio dell’anno, oltre una al giorno da gennaio.

Ricostruzione dei fatti

Lunedì, verso le 10 del mattino, l’ex studente dell’istituto Audrey Elizabeth Hale, irrompe all’interno di una scuola elementare cristiana; frantuma il vetro dell’entrata laterale e fa il suo ingresso. Ha con sé due armi d’assalto e una pistola, indossa gilet, pantaloni militari e un cappellino rosso, in base alle immagini fornite dalle telecamere di sicurezza. Con sè, anche le mappe dell’edificio. Un attacco di 14 minuti, poi la prima chiamata di soccorso alle 10:13 e la conclusione alle 10:27, con la morte di Hale ad opera della polizia. Le vittime sono tre bambini di 9 anni, un supplente, un amministratore della scuola e un custode.

 Penso che i genitori di Audrey siano scioccati come tutti noi nel vicinato. Non c’è nulla che mi avrebbe mai portato a pensare che sarebbe stato capace di un gesto simile o che la sua famiglia avesse accesso a una pistola.

Ha dichiarato un vicino di casa ad alcuni media americani.

Le indagini

Fonte: Rainews

La Polizia ha dichiarato che Hale non aveva precedenti penali e che l’attacco è frutto di premeditazione: ha studiato nei dettagli le piantine e le mappe della scuola. Il movente? Secondo gli inquirenti, il soggetto provava un forte risentimento nei confronti della scuola per essere stato costretto a frequentare una scuola cristiana dove probabilmente non si è mai sentito accettato identificandosi come transgender.  Dai primi accertamenti, le armi erano state ottenute legalmente, quanto meno due su tre. Hale è stata identificato per mezzo della sua auto posteggiata vicino alla scuola.

A seguito di una perquisizione è stato ritrovato un disegno minuzioso della mappa della scuola dove aveva segnato i punti “migliori” per entrare. Inoltre, sono stai trovati dettagli relativi ad un’altra possibile scuola dove forse si sarebbe recata se non fosse stata uccisa dagli agenti intervenuti sul luogo, oppure, un’altra ipotesi è che si tratterebbe di un bersaglio alternativo scartato perché la scuola attaccata aveva minori misure di sicurezza.

Qualcosa di brutto sta per accadere. Sentirai parlare di me quando sarò morto. Questo è un messaggio di addio. Ci vedremo in un’altra vita.

Queste sono le ultime parole di Hale ad una sua ex compagna di basket.

Le dichiarazioni del Presidente Biden

Il Presidente Biden è stato fortemente criticato per una battuta detta durante la sua prima apparizione pubblica a seguito della strage, all’inizio di un vertice sulle imprese femminili.

«Mi chiamo Joe Biden. Sono il marito della Dott.ssa Jill. Mangio il gelato Jeni’s con gocce di cioccolato. Sono sceso perché ho sentito che c’era il gelato con le gocce di cioccolato. A proposito, ne ho un frigorifero pieno al piano di sopra. Pensate che stia scherzando? Non è così». Ha affermato tra le risate del pubblico. Dichiarazioni ritenute inopportune in un momento come quello.

Il Presidente americano Joe Biden si è poi espresso su quanto accaduto.

È straziante, il peggior incubo di una famiglia. Dobbiamo fare di più contro la violenza di armi da fuoco. Sta facendo a pezzi le nostre comunità. Sta lacerando l’anima stessa della nazione. Dobbiamo fare di più per proteggere le scuole affinché non diventino prigioni.

Anche la First Lady ha invitato ad alzarsi e a stare in preghiera con Nashville.

Biden ha, inoltre, invitato il Congresso ad approvare il divieto di armi d’assalto e ordinato che vengano messe bandiere a mezz’asta alla Casa Bianca e in tutti gli edifici pubblici fino al 31 marzo in onore e memoria delle vittima della strage.

Di seguito il discorso del Presidente Biden:

Le armi d’assalto, come il fucile utilizzato da Hale, sono le armi più utilizzate nelle stragi di massa. I democratici quindi spingono per il divieto e per norme più stringenti, attente e puntuali sui controlli. I repubblicani, in gran parte contrari all’approvazione di una legislazione di controllo sulle armi, hanno puntato il dito contro la comunità Lgbtq+.

«Visto il numero crescente di trans e non binari che compiono sparatorie di massa, invece di parlare armi non sarebbe meglio parlare di questi lunatici che spingono la loro riaffermazione di genere sui nostri figli?» ha postato su Twitter il figlio di Donald Trump.

Anche Marjorie Taylor Greene si è espressa con lo stesso tono sulla strage.

Quanti ormoni come il testosterone prendeva la killer di Nashville? Tutti dovrebbero smetterla ora di prendersela con le armi. La donna che ha sparato a Nashville si identificava come un uomo. Quindi dovremmo ancora puntare il dito contro gli uomini bianchi?

La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, riportando il focus sulla questione, ha dichiarato:

Le scuole dovrebbero essere luoghi sicuri dove imparare e insegnare. Quando è troppo è troppo: il Congresso deve agire contro la violenza delle armi da fuoco. Quanti bimbi devono ancora morire prima di agire?.

 

Marta Zanghì

Negli USA si continua a morire di armi. Sale il numero delle stragi, uccisi 19 bambini in Texas

Nell’arco di dieci giorni, più di trenta persone hanno perso la vita a causa di tre diverse stragi verificatesi tra lo Stato di New York, il Texas e la California. La prima, il 14 maggio, consumatasi a Buffalo per ragioni razziali; la seconda, in una Chiesa presbiteriana di Irvine nei confronti di alcuni fedeli di origini taiwanesi.

Alcune ore fa, nella città di Uvalde, Texas, un 18enne armato ha fatto irruzione nella Robb Elementary School, uccidendo diciannove bambini e due adulti. L’istituto ospita circa 750 bambini, di cui il 90% di origine ispanica. Mancavano appena due giorni alle vacanze estive. L’uomo, identificato come Salvador Ramos, è stato in seguito ucciso dalla polizia, ma prima di procedere alla carneficina aveva sparato a sua nonna, che è sopravvissuta. Nonostante le prime ricostruzioni, rimane ancora oscuro il movente dell’attentato.

Un Presidente Biden visibilmente scosso ha commentato l’accaduto chiedendo una stretta sulla lobby delle armi, su cui ricadrebbe la colpa di aver bloccato gli iter legislativi delle leggi di sicurezza più severe in fatto di armi, come la cosiddetta H.R.8.

La proposta di legge che giace al Congresso

La H.R.8 (Bipartisan Background Checks of 2021) è un disegno di legge, già passato alla Camera ed in attesa che si esprimi il Senato, che stabilisce nuovi requisiti per il controllo dei precedenti per i trasferimenti di armi da fuoco tra privati (cioè individui privi di licenza). In particolare, vieta il trasferimento di armi da fuoco tra privati a meno che un commerciante di armi, un produttore o un importatore autorizzato non prenda prima possesso dell’arma da fuoco per condurre un controllo dei precedenti.

L’allenatore dei Golden State Warriors Steve Kerr si è espresso a favore dell’approvazione della legge, commentando quanto accaduto negli ultimi giorni: «Sono stanco di venire qui a fare le condoglianze alle famiglie devastate, ne ho abbastanza. Quando faremo qualcosa?»

Quello dell’ostruzionismo della lobby delle armi è un problema molto conosciuto in America, la cui economia si basa in parte anche sul commercio e sul trasferimento delle stesse. La scrittrice e giornalista del The New Yorker Bess Kalb in diversi tweet ha citato alcune delle voci della politica statunitense che hanno espresso cordoglio per le vittime, con… L’ammontare dei finanziamenti da ciascuno ottenuti da parte dell’NRA, la National Rifle Association.

Il problema delle leggi più permissive nel Texas

Quella di martedì è la strage più grave verificatasi sin dal 2012, anno dell’attentato alla scuola elementare Sandy Hook, nel Connecticut, dove persero la vita venti bambini sei adulti. Tipicamente, l’esplodere di queste tragedie come eventi di cronaca riporta l’attenzione del pubblico al dibattito sulle armi, di cui la maggioranza degli americani contrari ne chiede il contenimento, più che l’abolizione. Un dibattito sempre e comunque limitato dalle forze Repubblicane, che hanno sempre promosso il possesso d’armi come strumento di difesa personale e di combattimento al tasso di criminalità.

Lo scorso anno, il governatore texano Greg Abbot ha firmato sette disegni di legge sulla diminuzione delle restrizioni al possesso di armi da parte dei cittadini texani, tra cui il rinomato “trasporto costituzionale”, la H.B 1927 che, a partire da settembre, consente ai texani dai 21 anni in su di portare armi anche senza il rilascio di una licenza statale, a condizione che non siano esclusi dal possesso di un’arma da fuoco da un’altra legge federale o statale. In precedenza, la licenza statale richiedeva, ai fini del rilascio, una formazione, un esame di competenza e un controllo sui precedenti.

(Il governatore Greg Abbot / fonte: flickr.com – Gage Skidmore)

I sostenitori della legge sostengono che «la H.B. 1927 mira a ridurre le barriere al libero esercizio del diritto costituzionale dei texani di portare armi e difendere la propria vita e proprietà».

Gli oppositori (circa il 60% nei sondaggi), tra cui vari sindacati di polizia ed istruttori di armi, affermano che la legge aumenterebbe la violenza armata e i conflitti nei luoghi pubblici ed, inoltre, renderebbe più difficile per la polizia identificare i sospetti dai passanti durante una scena del crimine attiva.

Valeria Bonaccorso

Ventinove 19 luglio fa, l’attentato in Via d’Amelio, la cui esplosione riecheggiò in tutto il Paese

Un’immagine d’archivio dell’attentato in via D’Amelio nel quale rimase ucciso il magistrato Paolo Borsellino nel 1992. (fonte: ansa.it)

Ventinove anniversari, ben ventinove lunghi anni e ancora sembra esser passato solo qualche giorno, dalla strage di Via D’Amelio, nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Un attentato messo in atto dalla mafia, minacciata dal lavoro del giudice, capace di colpire nei punti più sensibili.

Ogni anno, per quanto ricordare sia dolorosissimo non solo per le famiglie delle vittime, si celebra il ricordo di Borsellino, che insieme a suo fedele collega Giovanni Falcone, è stato e continua ad essere più che un uomo di Stato.

Tutti noi sappiamo ormai bene cosa successe quel 19 luglio del 1992, ma siamo altrettanto consapevoli di quanto, se pur a caro prezzo, sia necessario ricordare un evento funesto come questo.

Questa sera, alle ore 21, a Palermo, proprio nel luogo dell’attentato, si accenderà il nuovo impianto di illuminazione con i colori del tricolore italiano, proposto dal fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, e voluto anche dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, dopo un’intensa giornata di commemorazioni.

Il giudice Paolo Borsellino (fonte: palermo.italiani.it)

Quel terribile giorno

51 anni, da 28 in magistratura, procuratore aggiunto nel capoluogo siciliano dopo aver diretto la procura di Marsala, quel 19 luglio 1992, Borsellino pranzò a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia. Poi, si diresse con la sua scorta in via D’Amelio, dove vivevano la madre e la sorella.

Una Fiat 126 con circa cento chili di tritolo a bordo, parcheggiata press l’abitazione della madre esplose al quando il giudice si avvicinò, uccidendo anche i cinque agenti. Erano le 16.58.

Una foto dei momenti dopo la strage (fonte: ansa.it)

 

L’esplosione, nel cuore di Palermo, venne avvertita in gran parte della città e uccise il magistrato e gli agenti della scorta, tra cui, ricordiamo, Emanuela Loi, 24 anni, la prima donna poliziotto in una squadra di agenti addetta alle scorte. Unico superstite Antonino Vullo.

 

Gli agenti della scorta di Borsellino che persero la vita (fonte: ansa.it)

Tanti, troppi misteri irrisolti riguardo la strage, un sospettato e inquietante passaggio di informazioni fino agli assassini mafiosi a partire da non identificati soggetti, forse appartenenti proprio allo Stato, per cui Borsellino ha sacrificato la propria vita.

“Uno Stato che non merita fiducia perché a 29 anni di distanza ancora non si è indagato a sufficienza su molti punti rimasti oscuri, a partire dalla presenza dei servizi nella strage e su chi veramente ha ordito certe mistificazioni.”. A lasciare andare parole tanto pesanti è stato il fratello del magistrato, Salvator Borsellino.

In un certo senso a rispondere è stato il procuratore generale di Caltanissetta, Lia Sava: “le indagini sulle stragi non si sono mai fermate e non si fermano” ha assicurato. Sapere che vi sono donne e uomini che continuano o, quantomeno, provano a riprendere la strada tracciata dai due magistrati eroi, rassicura tutti noi italiani.

Oggi, tante le iniziative in programma, proprio per portare avanti l’intento di sensibilizzare i cittadini tramite il ricordo della strage. Interverranno anche, ancora una volta, i familiari delle vittime, per poi concludere con la suddetta accensione delle luci tricolori alle 21.

 

Le parole del presidente Mattarella e dell’ex procuratore generale di Palermo

Non è mancato, stamattina, l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le cui parole, considerando la sua personale storia di vita, toccano il cuore e la coscienza:

“L’attentato di via D’Amelio, ventinove anni or sono, venne concepito e messo in atto con brutale disumanità. Paolo Borsellino pagò con la vita la propria rettitudine e la coerenza di uomo delle Istituzioni. Con lui morirono gli agenti della scorta. La memoria di quella strage, che ha segnato così profondamente la storia repubblicana, suscita tuttora una immutata commozione, e insieme rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale.”.

Poi, ancora, le parole dell’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, intervenuto nel capoluogo siciliano alla conferenza di “Antimafia Duemila”, organizzata in occasione dell’anniversario, sono parole fortissime, che si inseriscono nel contesto di sospetti assai inquietanti e condivisi da molti.

“Più trascorrono gli anni e più si comprende che la strage di via D’Amelio non è solo un caso giudiziario, ma è molto di più. È un capitolo della storia della lotta al potere in Italia, una cartina di tornasole del reale funzionamento del potere in Italia, il segreto ritratto di Dorian Gray nel volto feroce e criminale in alcuni settori della classe dirigente. E la strage di via d’Amelio è ancora tra noi, non è finita”.

Spesso si sono riaccese le luci sui i vari tentativi di depistaggio nelle indagini sulla strage, a cominciare dalla scomparsa dell’agenda rossa del magistrato: “C’è stato un perfetto coordinamento operativo tra i mafiosi che fanno esplodere l’autobomba e gli uomini dei servizi che pochi minuti dopo completano il lavoro prendendo l’agenda rossa. Era essenziale prendere quell’agenda, non bastava uccidere Borsellino – ha spiegato l’ex procuratore – perché se l’agenda rossa fosse finita nelle mani dei magistrati, sarebbe saltato tutto.

Questo “tutto” si riferisce a una sospettata e terrificante rete che avrebbe legato e continuerebbe ancora a legare, la mafia e alcuni soggetti esterni, forse nascostisi sotto il nome dello Stato. “Lo stesso Borsellino che lo aveva capito, come disse a sua moglie espressamente: ‘Sarà la mafia a uccidermi, ma quando altri lo decideranno’.” ha detto Scarpinato.

Leggere gli “appunti” di Borsellino, avrebbe significato avere le chiavi di lettura per dare un volto ai mandanti e ai registi esterni della sua uccisione, ma anche quella di Falcone.

Un filo conduttore che continuerebbe ancora oggi, secondo l’ex procuratore, che lega gli atti orribili di vari soggetti, le cui azioni hanno cambiato per sempre il volto del nostro Paese, interrompendo bruscamente e definitivamente la via della resilienza tracciata e intrapresa da Borsellino e Falcone, strappando a tutti gli italiani la più grande possibilità presentatasi finora di metter già fine una volta per tutte a questo incubo chiamato mafia.

Una foto da una delle manifestazioni per l’anniversario (fonte: ansa.it)

 

Rita Bonaccurso

 

Messina scende in piazza: IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO

21 Marzo 2019.Si è svolta a Messina in Piazza Lo Sardo (Piazza del popolo) la XXIV° Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie organizzata da Libera “Orizzonti di Giustizia Sociale. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare mai il suo nome. Un dolore insopportabile. Una vittima meno vittima. Una vittima di serie B. Una vittima a cui viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome.

Così, dal 1996, ogni anno, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Un lungo rosario civile recita nomi e cognomi, per farli vivere ancora una volta, per non farli morire mai. Perché nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta. Tanti i luoghi del nostro Paese che si uniscono per un abbraccio sincero ai familiari delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie, non dimenticando le vittime delle stragi, del terrorismo e del dovere. Un appuntamento preceduto da centinaia di iniziative promosse in Italia e in Europa, tra incontri nelle scuole, cineforum, dibattiti e convegni.

Libera sceglie l’equinozio di primavera non a caso. Ѐ fortemente metaforico. Vuole far sì che si viva in modo differente il solstizio, promuovendo e realizzando un percorso simbolico di risveglio delle coscienze e della memoria. Un percorso di preparazione che dura da diversi mesi, realizzato dalle organizzazioni del Presidio “Nino e Ida Agostino”, da associazioni come le Acli e dalle oltre 20 scuole, che hanno partecipato consapevolmente all’iniziativa e hanno dato vita ai “100 passi verso il 21 marzo” attraverso parole e striscioni narrando “Storie di memoria, Percorsi di verità”. Una giornata di impegno, partecipazione, riflessione, di lotta per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone.

Antonio Gallo, Presidente Provinciale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Messina spiega la volontà di unirsi ad un’associazione come Libera:

“Insieme alle altre associazioni che hanno aderito, noi delle Acli ci consideriamo in prima linea in questo percorso, la nostra società nasce nel 1944 da principi cristiani, infatti, il nostro punto di riferimento è la dottrina sociale della chiesa, di conseguenza è insito nel nostro DNA associativo essere paladini della legalità e di ogni forma di antimafia. Ci poniamo l’obiettivo di continuare a lavorare per la cultura della giuridicità, per fare in modo che questa straordinaria partecipazione si trasformi in un nuovo impegno di tutti i cittadini, dal Nord al Sud della Penisola.  Per la fioritura di una nuova terra. Una terra di speranza e riscatto, per una nuova primavera dell’impegno civico e sociale. Oggi partecipiamo attivamente all’iniziativa ma è solo una delle tante iniziative a cui abbiamo aderito e aderiremo. Negli anni scorsi abbiamo, infatti, partecipato a delle marce in nome di Falcone e Borsellino”.

I promotori dell’evento sottolineano che per contrastare le mafie e la corruzione occorre sì il grande impegno dell’arma, ma prima ancora, occorre diventare una comunità solidale e corresponsabile, che faccia del “noi” non solo una parola, ma un crocevia di bisogni, desideri e speranze. Non vi è la necessità di grandi opere ma dell’opera quotidiana di cittadini responsabili, capaci di tradurre la domanda di cambiamento in forza di cambiamento.

Gabriella Parasiliti Collazzo