… soltanto a Messina si potevano coniare monete in Sicilia?

A Messina è consuetudine far due passi in centro lungo il viale San Martino o, nelle belle e fresche sere di qualsiasi stagione, in piazza Duomo e per finire in Piazza Cairoli, nonchè in tantissimi altri posti ormai da tempo valorizzati.  Così, chiacchierando con qualche amico, i due passi diventano oltre mille e si conversa per qualche ora.

Uno degli argomenti sui cui spesso si discute, tra i tanti, è “la cultura a Messina”. Cultura generalmente parlando, senza entrare mai nello specifico.

Ognuno di noi dice la sua su cosa si dovrebbe fare, su cosa si è fatto, in un continuo susseguirsi di “si dovrebbe, forse, mi sa” e di inesperienza sull’argomento, specie in molti giovani coetanei.

La realtà è che non si fa e non si è fatto nulla in termini di conoscenza, come dimostra la sostanziale ignoranza che la maggior parte dei cittadini mostra sull’argomento.

Proprio nell’ottica di favorire lo sviluppo culturale e riscoprire la storia della città di Messina, partiamo da uno spunto: il Ripostiglio Monetale, di notevole valore, noto come  Tesoretto di Castroreale.

Castroreale, fonte: Wikipedia

Correva l’anno 2002: in occasione del 188° anniversario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, è stato presentato a Palazzo Zanca, per la prima volta al pubblico, il “Tesoretto di Castroreale“.

Questo fu ritrovato in contrada Serro di Castroreale (borgo nell’area metropolitana della città di Messina) nel lontano 9 dicembre 1934, durante i lavori agricoli in un appezzamento di terreno da tale Mazzeo Francesco di anni 42.

Il ripostiglio di monete antiche risalenti ad un periodo compreso tra il 1625 e il 1736, consta complessivamente di 48 pezzi(44 d’argento e 4 di lega bronzea).

La dottoressa Maria Amalia Mastelloni, ex dirigente del Museo Regionale di Messina, ha curato il restauro delle monete e ha pubblicato un articolo dettagliato in proposito.

Attualmente il Ripostiglio Monetale è esposto nel Museo Interdisciplinare Regionale di Messina.

Dettaglio monete

Ma quale insegnamento possiamo trarre da un evento così fortuito?

Nel medagliere del Tesoretto, il pezzo più antico è una moneta del 1625, coniata dalla Zecca di Messina nel periodo di Filippo IV di Spagna.

Dettaglio monete

Infatti, fin dai tempi dei Greci è documentata la produzione di monete nella città dello Stretto, punto di snodo commerciale fondamentale all’interno del Mediterraneo.

Ma il massimo sviluppo si ebbe sotto il regno normanno: tra i vari privilegi concessi alla città da re Ruggero II di Sicilia, all’atto della sua incoronazione (1130), è riportato che “soltanto in Messina potesse battersi moneta”.

Il diritto di coniazione per il regno di Sicilia resisterà e sarà più volte riconfermato durante le successive dominazioni (svevi, aragonesi, angioini) fino a seguire l’inarrestabile declino della monarchia Spagnola, cessando definitivamente nel 1754.

Di fatto, l’unico “requisito ideale” che mancò alla capitale Palermo fu proprio il privilegio di Messina: quando il vicerè duca di Alcalà aprì a Palermo un’altra zecca nel 1635, i messinesi fecero ricorso proprio a Filippo IV, il quale ordinò che la nuova zecca fosse chiusa e persino che le monete circolanti fossero raccolte e nuovamente coniate.

Filippo IV di Spagna in un ritratto del 1656 di Diego Velázquez

Di particolare interesse storico sono anche due monete (scudo stretto) della Repubblica Genovese (1679 e 1682), le quali attestano il ruolo dominante negli scambi commerciali dei due importanti porti, messinese e genovese.

A tal proposito ricordiamo che, proprio a cavallo del  XVII e XVIII secolo, molte furono le famiglie liguri e genovesi che si trasferirono in Sicilia e in particolare nell’area del messinese.

I genovesi assunsero in Sicilia una presenza pressoché continua, come testimoniano i nomi delle nobili famiglie che abitarono Messina, ancora oggi riscontrabili nella popolazione messinese: Grimaldi, Ventimiglia, Vento, Marini, Marino, Costa, Ferrari, Ferrara, Conte e tante altre.

Questo è solo un esempio di quanto accadde, ed è ancora oggi riscontrabile, a Messina: ho scelto di raccontare la semplice storia di queste monete, nella speranza che l’amico dei due passi in centro conosca sempre più la nostra e quindi la propria città.

L’excursus su questo piccolo tesoretto rappresenta una testimonianza della nobile storia messinese: un’impronta di ciò che Messina è stata e che dovrà tornare necessariamente ad essere.

Una città realmente centrale nel panorama italiano e internazionale.

Filippo Celi

Bibliografia:

Articolo n. 48  Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica, Maria Amalia Mastelloni (è possibile consultare tale pubblicazione nella Biblioteca Universitaria di Messina, collocazione “M.C/MISC/B/2869”)

Fatti memorabili delle Istorie Messinesi, Giacomo Crescenti

Un angolo di Lombardia a Messina: il Quartiere Lombardo

©Andrea Rapisarda – Case Feltrinelli, Messina 2019

Posto in pieno centro, il Quartiere Lombardo nasconde una storia che in pochi conoscono, residenti e non della città dello stretto.

Una storia ricca di solidarietà e senso di unità nazionale, valori che al giorno d’oggi sembrano degli echi lontani che risuonano da una fonte ormai quasi esaurita.

Il nome infatti, così come i nomi delle vie che lo percorrono (Brescia, Cremona, Bergamo, Como), testimonia quanto sia stato importante l’apporto delle città lombarde nella ricostruzione di Messina dopo il disastroso terremoto del 28 dicembre 1908.

Fonte: storia della Croce Rossa

All’indomani della tragedia, si assistette a un’impressionante mobilitazione nazionale e internazionale, per provvedere alle immediate necessità della popolazione sopravvissuta.

Il clima di fervente solidarietà è espresso al meglio da un articolo del quotidiano Alinari: “sul vasto campo seminato di macerie e di cadaveri vedemmo piangere i fratelli di tutto il mondo, qui convenuti in nome di un sentimento che affratella uomini di diverse razze e di diverse parti. E fra questa gente noi ricordiamo oggi […] i buoni e generosi fratelli lombardi i quali […] vollero dare il primo esempio della resurrezione delle città distrutte”.

Questo “primo esempio” non è altro che il Quartiere Lombardo, in assoluto il primo post terremoto ad essere costruito in muratura e rispettando le norme antisismiche in quella che molti definirono la “città provvisoria” o “città di legno”, essendo costituita essenzialmente da baracche.

Rinascita urbanistica

Alla data dell’inaugurazione del quartiere (28 dicembre 1910), tra le macerie ancora in vista, gli edifici “si contavano ancora sulle dita di una mano”.

Case Lombarde e via Milano – Fonte: solnet.it

I cittadini, perso il patrimonio storico-monumentale-architettonico e con esso la loro stessa “messinesità”, avevano un disperato bisogno di una miccia che desse inizio a quel processo di rinascita edilizia in grado di restituire un volto alla città e alla comunità che essa ospitava.

Questa rinascita partì proprio dal quel nucleo di 23 edifici a due piani, tra i quali spiccava l’Orfanotrofio Lombardo, costruiti su un’area di 21.620 mq a ridosso del torrente Zaera (viale Europa).

In tutta la Lombardia, in particolar modo a Milano, si assisteva a una vera e propria gara di solidarietà, che coinvolse tanto le istituzioni quanto i privati cittadini, incoraggiati dal Corriere della Sera, che seguiva attentamente la mobilitazione, pubblicando ogni giorno la “lista dei sottoscrittori” con i nomi di coloro che decidevano di spendersi per la causa.

I protagonisti veri e propri dell’edificazione del quartiere furono:

  • L’Opera Pia Lombarda: con la donazione di 1.600.000 lire vennero costruite le 23 “Case Lombarde”, l’Orfanotrofio, l’asilo Carlo Castiglioni, intitolato al benefattore medaglia di bronzo al valore.
  • Il Comitato Lombardo: costituito dal senatore Ettore Ponti (ex sindaco di Milano), dal commissario Rusconi (industriale lombardo), dagli ingegneri Nava e Broggi che progettarono gli edifici. Si stima che il Comitato donò circa la metà dell’intero contributo materiale e finanziario nazionale pubblico e privato.

Anche il futuro santo Don Luigi Orione accorse immediatamente a Messina (e vi rimase dal 1909 al 1912) per soccorrere i superstiti e ricostruire un’identità religiosa ai margini del quartiere. Egli stesso celebrava messe in una delle prime chiese-baracche, Maria SS. Consolata, che divenne ben presto punto di riferimento della comunità locale.

 

Orfanotrofio Lombardo – Fonte: solnet.it

I materiali per edificare il quartiere furono forniti dalle società Ferrobenton S.p.A. e Fratelli Feltrinelli Legnami, entrambe fondate dal padre del noto editore Giangiacomo Feltrinelli.

Rinascita culturale

“Il Quartiere Lombardo fu la grata

dietro la quale

era rinchiuso il mondo.

Case senza radici

e senza storia

piccoli cubi di lardo salato

salso di mare

vento africano..”

Così recitano i versi del giornalista e poeta Giuseppe Longo (Messina 1910 – Roma 1995), che volle rendere omaggio in una raccolta omonima al quartiere dove visse all’indomani del terremoto.

In una città pervasa da un senso di sradicamento socio-culturale, il quartiere fu casa ospitale e centro di aggregazione per alcune delle più importanti personalità del mondo culturale italiano.

Numerosi movimenti d’avanguardia sorsero tra le Case Lombarde: dai futuristi messinesi (Jannelli, Vann’Antò, Vasari) tanto apprezzati dal padre del futurismo italiano Marinetti; ai poeti simbolisti, ai quali si deve la prima rivista simbolista d’Italia “Le Parvenze” (Calabrò, Camagna, Toscano, Restori).

Fino ad arrivare al premio Nobel Salvatore Quasimodo, all’intellettuale Giorgio La Pira, al poeta Tommaso Cannizzaro, al cronista Mario La Rosa e ancora al giurista Salvatore Pugliatti.

Il Quartiere Lombardo è stato quindi al centro della rinascita non soltanto strutturale, ma soprattutto intellettuale, di una Messina devastata dal terremoto.

 

Il Quartiere oggi

©Andrea Rapisarda – dettaglio Quartiere Lombardo, Messina 2019

Sebbene dei 23 edifici originali oggi siano solo 12 i superstiti, la città non ha mai dimenticato l’impegno profuso dai compatrioti lombardi.

Attualmente, il Quartiere si estende tra il viale Europa, via Salandra, via Catania e il Viale San Martino.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

In via Brescia troviamo l’Istituto Don Bosco, che ha preso il posto dell’Orfanotrofio Lombardo nel 1930, oggi scuola e oratorio per centinaia di bambini e ragazzi. Due targhe commemorative, prima collocate nelle pareti dell’Orfanotrofio, sono state poste all’esterno della struttura nel 2008.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

Immediatamente accanto è sito l’Istituto Don Orione, oggi casa di accoglienza, cinema-teatro e sede di uno storico cineforum, nonché una statua del santo.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

Sul lato opposto  del viale Europa sorgono le Case Feltrinelli, donate dai fratelli omonimi, che recano una targa con parole di ringraziamento scritte da Cannizzaro.

In questo complesso intreccio di personaggi, istituzioni ed edifici, possiamo dunque ancora oggi ritrovare tutti i protagonisti di questa meravigliosa storia, semplicemente passeggiando per l’affollato centro messinese.

©Andrea Rapisarda – Quartiere Lombardo, Messina 2019

Le vicende del Quartiere Lombardo prendono così nuovamente vita, nella sempre più concreta convinzione che l’Italia abbia bisogno, ora più che mai, di reali esempi di solidarietà tra Nord e Sud, per superare ogni differenza, diffidenza e disparità.

 

Emanuele Chiara

 

Bibliografia

Sergio Di Giacomo, “Il Quartiere Lombardo, la nobile Milano e la Lombardia per la risurrezione di Messina dal terremoto del 1908” e la bibliografia in esso citata.

I Diritti Conquistati dalle Donne

 

Le Donne hanno incominciato ad avere Diritto di voto, quando fu esteso il Suffragio Universale Femminile, ricordandoci questo movimento, femminista con le “Sufraggette”.
La Donna incomincia ad avviarsi come “Cittadina” del mondo, sia nell’ambito sociale che nell’ambito politico da come ci narra la storia .

Ma sfortunatamente tutt’oggi, il ruolo della Donna nell’ambito “Sociale –politico” viene rappresentata come “Antagonista” della sua vita, dimenticandosi che essa ha un ruolo “Storico –Rivoluzionario”

Un genere che ha sempre lottato per i suoi Ideali e che tutt’oggi , ogni giorno affronta le piccole “Disuguaglianze” che ancora la nostra società rileva in maniera eccessiva, senza notare che il “Ruolo Femminile” resterà sempre quella rivelazione che nessuno si aspettava prima d’ora .

Hanno intrapreso battaglie per un futuro migliore. Essere Donna non significa essere diverse ma essere unicamente forti.

 

Dalila De Benedetto

A qualcuno piace brutto

Una città che, seppur mostri segni di miglioramento, non perde mai l’occasione di perdere un’occasione.

Dopo tanti anni ce l’abbiamo fatta, è successo che Gugliotta ha citato se stesso! 
In alto la conclusione dell’editoriale Blu scompare da Bologna. Cosa è rimasto a Messina? pubblicato nell’aprile del 2016 dove denunciavamo le condizioni in cui verteva il meraviglioso murale di via Alessio Valore, vilipeso dal primo impunito che passa. Nonostante l’amministrazione Accorinti avesse speso parole rassicuranti nulla è cambiato, anzi, la situazione è degenerata. Nel settembre 2013 l’allora assessore Sergio Todesco, con un comunicato stampa sottolineava come l’amministrazione comunale intendesse “adottare misure volte alla valorizzazione dell’edificio in oggetto” con tanto di collocazione di segnaletica illustrativa, esecuzione di lavori di pulitura, manutenzione dei manufatti. A questo comunicato seguì un sopralluogo della Soprintendenza dei beni culturali, ma niente e nessuno ha impedito che il murales, alla fine del 2014, venisse brutalmente vandalizzato. Un atto vile ed imbecille a cui sono seguite solo le parole dell’assessore Tonino Perna, fiducioso riguardo la possibilità di recuperarlo. In occasione dello Street art tour ci eravamo anche premurati di consegnare all’ex consigliere comunale Lucy Fenech una copia cartacea del sopracitato editoriale, perchè potesse essere uno sprono a riqualificare un’opera di rilevanza internazionale lasciata a se stessa. Niente da fare. Oggi il dono del writer BLU alla nostra comunità è in queste condizioni:

©GiuliaGreco – Mercato Ittico, Messina, 2019
©GiuliaGreco – Mercato Ittico, Messina, 2019
©GiuliaGreco – Mercato Ittico, Messina, 2019
©GiuliaGreco – Mercato Ittico, Messina, 2019

Come si può “apprezzare” il murales è completamente irriconoscibile rispetto al 2016

©GiuliaGreco – Mercato Ittico, Messina, 2016

E nel frattempo, come se non bastasse, l’attuale amministrazione lo ha letteralmente ignorato piazzandoci davanti un parcheggio a strisce blu assieme al mercato domenicale

©GiuliaGreco – Mercato Ittico, Messina, 2019

Messina non è certamente una città d’esempio in Europa per quel che riguarda la sensibilità artistica, ma gli atti di vandalismo oramai sono all’ordine del giorno. Esclusi i casi (vergognosi) del vilipendio al monumento ai caduti nei pressi della Fiera e dei danni al pianoforte in Galleria Vittorio Emanuele, gli atti vandalici più rilevanti negli ultimi mesi hanno sempre avuto come oggetto elementi dell’arte urbana. La prima settimana di gennaio Elisabetta Reale sulla Gazzetta ed il Mezzo TG di Todo Modo hanno portato agli onori di cronaca lo scempio al murale dello stabilimento della Miscela D’Oro, atto compiuto con un movente di matrice xenofoba.

messina.gazzettadelsud.it

Più recenti invece sono gli esempi di miopia per l’arte di questa amministrazione comunale: i fatti di via Maregrosso. Un quartiere di rara bruttezza, dal quale convenzionalmente facciamo iniziare la zona sud di Messina, famoso perché dimora di due locali di successo come il Retronouveau e l’Officina, che in realtà avrebbe anche altro da offrire. Esiste infatti una costruzione particolare, una architettura spontanea che per tutti risponde al nome de La Casa del Puparo

Giovanni Cammarata già Cavalier Cammarata, è stato un muratore e veterano di guerra che trasferitosi a Maregrosso ha deciso di abbellire la sua baracca, costruendo un esempio mirabile di arte del riciclo, che per i posteri dovrebbe essere qualcosa di più. Uno fra tutti a pensare che Casa Cammarata sia più di un semplice esperimento è il Prof. Pier Paolo Zampieri, docente di Sociologia urbana ed esperto di Outsider art, che da anni è impegnato nella riqualificazione della via Maregrosso a partire dall’eredita lasciata dal Cavaliere. Uno dei progetti meglio riusciti è la Via Belle Arti, immaginata da Cammarata per soppiantare il degrado di cui siamo ancora oggi testimoni. Tramite concorso, ogni anno vengono chiamati artisti ad impreziosire le pareti della via su cui sorge la casa del puparo, dando di fatto una chance alla comunità di Maregrosso. Purtoppo il desiderio di riabilitazione sociale non è nelle corde di tutti gli uomini e così la casa è stata in parte abbattuta nel 2007 nella realizzazione di un primo centro commerciale ed oggi, nel giubilo degli autoctoni per l’apertura di un secondo centro, la costruzione si trova in queste condizioni:

Anche peggio è andata ad una delle opere realizzate per il progetto di Via Belle Arti dall’artista messinese Giuseppe Raffaele, autore del Pesce Spada infiocinato in fil di ferro, che non è stato tutelato nel rifacimento del marciapiede della via, la quale ora rischia di rimanere priva della sua arte.

normanno.com

In una città a cui serve disperatamente la bellezza esistono altri esempi di anticorpi al degrado, come i ragazzi di PuliAmo Messina che in questi giorni hanno terminato il ciclo di incontri aperti alla cittadinanza Messina arcana. Grazie alla buona ruscita dell’evento sono addirittura riusciti a raccogliere quasi duemila euro per l’illuminazione artistica della fontana di Nettuno.

Qualcuno diceva “non ci resta che piangere“, forse. Intanto, facendosi strada tra le macchine e le buche sull’asfalto, si può entrare nel nuovo centro commerciale Maregrosso, salire su per la scale mobili, prendersi un bel caffè al bar del secondo piano, uscire sul terrazino ed ammirare il panorama.

Alessio Gugliotta

 

“MessinArcana”: alla scoperta delle bellezze meno note della città

L’associazione No Profit Puli-AMO Messina, nata nell’agosto del 2015 come collettivo spontaneo di cittadini, rappresenta oggi la più importante realtà messinese nell’ambito della rigenerazione urbana. Dichiaratamente apolitica e apartitica, le azioni promosse dall’Associazione mirano alla valorizzazione del territorio a partire dai luoghi della “non-memoria”: tasselli del tessuto urbano di fondamentale importanza storica, artistica o culturale, ma spesso in stato di forte degrado e abbandono.

Ed è proprio per questo che nelle giornate del 4,11 e 19 Maggio 2019 l’ha vista e la vedrà promotrice di MessinArcana, cioè l’apertura al pubblico di siti culturali solitamente inaccessibili, sconosciuti o non sufficientemente valorizzati come: il dietro le quinte del Teatro Vittorio Emanuele II; il Palazzo Samonà, meglio conosciuto come Palazzo dell’INPS; la camera di commercio; il Salone dei Mosaici alla Stazione Marittima; il santuario di Cristo Re, delle mura di Carlo V e delle prigioni. Tre fine settimana totalmente immersi nella bellezza e nell’arte.

Le visite, malgrado le condizioni meteo avverse e il giorno feriale, hanno registrato grande consenso con circa 250 accessi. La manifestazione ha coinvolto e coinvolgerà numerosi enti ed istituzioni che in questi mesi hanno collaborato attivamente nella realizzazione del progetto. MessinArcana realizzatrice di tour del tutto innovativi e inediti, dei tour multimediali. Si tratta di affidare la guida dei luoghi interamente alle mani dei visitatori grazie a delle visite virtuali accessibili tramite apposite applicazioni per smartphone attivabili per mezzo dei QRCode installati nei vari siti d’interesse. I proventi ricavati dalla svariate visite saranno devoluti per l’opera di riqualificazione di un monumento cittadinouna nuova illuminazione artistica della fontana del Nettuno.

Il prossimo appuntamento sarà sabato prossimo, giorno 11 maggio dalle ore 10.30 alle ore 18.00. Si raccomanda lo smartphone alla mano, le cuffiette e il lettore QRCode!

Gabriella Parasiliti Collazzo

Il Cavallo Rosso, l’opera epica di Eugenio Corti

Più grandi scrittori del ‘900. Voto Uvm: 5/5

 

 

 

 

 

Eugenio Corti nasce a Besana in Brianza nel 1921. Sin da giovane avverte il fascino della letteratura e coltiva la scrittura curando un diario personale, che solo di recente, a qualche anno dalla morte (4 Febbraio 2014) è stato dato alla stampa. In queste sue riflessioni giovanili si legge tutto l’impeto ed il desiderio di dedicare il proprio talento verso qualcosa di grande. Quella della scrittura cominciava ad intuirla come una chiamata, come il motivo del suo stare al mondo. E’ veramente impressionante come accanto all’entusiasmo tipico del giovane si affacci, già allora, la ferma consapevolezza di dover prima ben formarsi per poter maturare la propria opera. 

Le vicende umane del secolo scorso lo portarono a combattere nella seconda guerra mondiale, e quest’esperienza risulterà fondamentale per il suo essere scrittore, tant’è vero che la guerra divenne, una volta tornato, il suo motivo d’ispirazione. Questo avvalora ulteriormente il suo contributo letterario all’umanità: non si tratta di una scrittura reazionaria e/o ideologica- come del resto gli é stato tristemente “rimproverato” da chi mal (o per nulla) ha conosciuto l’uomo Eugenio Corti attraverso quanto ha scritto; é stato piuttosto il senso di responsabilità scaturito dalla consapevolezza di trovarsi coinvolto in una vicenda umana immane che l’ha portato a raccontarla, affinché la memoria dei fatti non si perdesse e le generazioni future potessero evitare di ripercorrere le stesse strade che segnarono in modo drammatico il secolo breve dominato dai totalitarismi, di fatto, «marxismo e nazismo (…) erano dello stesso sangue».

Il Cavallo Rosso, rappresenta l’opera maggiore ed anche la più conosciuta di Eugenio Corti. In poco più di 1000 pagine l’autore narra le vicende di diversi uomini e donne ben radicati nel comune humus della società contadina e cattolica del tempo che, improvvisamente, si trovano proiettati nei tragici eventi del Novecento. L’opera è divisa in tre parti di cui, nella prima, dalla descrizione iniziale della vita civile a Nomana– nome immaginario di un paese in Brianza (probabilmente la stessa  Besana) si passa alle vicende belliche ed in particolare, trova ampio spazio la narrazione della campagna in Russia. Qui il romanzo si fa fortemente autobiografico perché per la narrazione lo scrittore ha ampiamente attinto alla sua esperienza diretta della guerra, essendo stato uno tra i pochissimi italiani che sono riusciti a sopravvivere alla terribile ritirata di Russia dal Dicembre 1942 al Gennaio 1943. In queste pagine si legge la sofferenza di un popolo, quello russo, completamente ridotto alla miseria dall’utopia comunista, storie di intere famiglie straziate dalla fame dopo la collettivizzazione delle terre, il dolore di chi si è visto sparire di punto in bianco qualcuno di caro perché ingiustificatamente etichettato come “nemico politico”, gli agghiaccianti atti di cannibalismo descritti nel Gulag sovietico di Crinovia, come molti altri tragici eventi compiuti anche da parte delle truppe naziste spesso colpevolmente sottaciuti dalle nostre parti.

 

 

Allo stesso modo la narrazione documenta l’incredibile inadeguatezza di mezzi e l’imbarazzante ristrettezza di risorse con cui il fascismo spinse l’Italia in guerra. Per contro, Corti non manca di raccontare il valore degli uomini chiamati a combattere e, specie, gli atti di vero eroismo compiuti dal Corpo degli Alpini. 

Nelle altre parti del libro, mentre alcuni protagonisti fronteggiano la guerra, altri personaggi, soprattutto femminili, vivono in Italia le vicende di quegli anni. Viene descritto lo scontro politico tra la Democrazia Cristiana, luogo naturale di collocamento ideale e politico di alcuni dei protagonisti, ed il partito comunista. Com’é noto lo scontro si conclude il 18 Aprile 1948 con la vittoria della DC. Vittoria successivamente inficiata dal declino dei cattolici nella vita politica italiana, decadenza che paradossalmente si verifica mentre la DC si mantiene come partito politico dominante. Sappiamo anche che all’occupazione della cariche di potere é corrisposta un’azione politica incoerente con quei princípi che nel ’48, si pensava, venissero rappresentati. Quindi si arriva alla terza parte in cui il romanzo prosegue seguendo i protagonisti ed i loro discendenti fino alle soglie della data del referendum sul divorzio negli anni settanta.

L’autore rende la lettura della sua opera estremamente attiva in quanto accanto allo snodarsi della trama si ripropongono costantemente riflessioni sul senso della storia, del vivere e del morire, sulla fede e la presenza di Dio nelle vicende umane. Riflessioni che, certamente, investono l’occhio che legge ed in generale ciascuno, configurandosi come le domande fondamentali dell’uomo. Anche per questo “Il cavallo Rosso” è stato considerato alla stessa stregua del racconto epico. L’epica, infatti, è un’opera esemplare che narra le gesta -storiche o leggendarie- di un eroe o di un popolo, attraverso le quali si conserva la memoria e l’identità di una civiltà. Questo romanzo realizza l’epica delle persone comuni trascinate in vicende molto più grandi di loro.                               

Buona lettura!

 

 

Ivana Bringheli

 

 

8 marzo: “Giornata Internazionale della Donna”

 

Oggi, 8 marzo 2019, ricorre la Giornata Internazionale della Donna, più comunemente chiamata anche “Festa della Donna”.

Questa giornata viene ogni anno celebrata per ricordare le conquiste delle donne nell’ambito economico, politico e sociale, ma anche per non dimenticare le violenze a cui purtroppo ancora oggi le donne sono sottoposte.

Alcuni cenni storici, non del tutto affidabili, ci dicono che questa giornata iniziò dal momento in cui nel marzo del 1908 alcune donne operaie della “Cotton”, industria tessile di New York, scioperarono a causa delle condizioni lavorative a cui erano costrette.

Questo sciopero durò fino all’8 marzo, momento in cui il proprietario della fabbrica decise di rinchiuderle nella stessa, appiccando fuoco all’edificio e facendo morire tutte le donne chiuse all’interno.

Altri cenni storici più affidabili, invece, ci dicono che l’origine della ricorrenza dell’8 marzo provenga dall’incendio della fabbrica “Triangle”.

 

 

Qui le donne lavoravano circa sessanta ore la settimana in condizioni estenuanti e antigieniche; la sorveglianza era molto rigida, le donne venivano sottoposte a ritmi di lavoro massacranti, che spesso causavano danni durante le ore lavorative.

Per questo gli ingressi della stessa fabbrica erano completamente chiusi per impedire alle operaie di fuggire dal posto di lavoro anche per soli cinque minuti di riposo.

Il 25 marzo del 1911 un incendio scoppiò all’interno della “Triangle”, propagandosi in men che non si dica ai piani superiori, causando la morte di 146 operai, gran parte giovani donne immigrate di origini italiane ed ebree, con un’età compresa fra i 13 e i 22 anni.

Probabilmente l’incendio della “Triangle” è l’origine della celebrazione dell’ 8marzo, ma è bene considerare le condizioni della donna nella società industriale di quell’epoca: sfruttata, priva di ogni forma di diritto (tra cui anche il diritto di voto), ricoperta di pregiudizi, ritenuta un essere inferiore rispetto all’uomo.

Oggi la realtà fortunatamente è un’altra, viviamo in un mondo in cui su sette miliardi di persone due miliardi sono donne lavoratrici, in cui la donna possiede ogni diritto, compreso il voto, in cui in ogni ambito sociale non vi è più la differenza tra uomo e donna.

L’ultimo problema, sicuramente il più grave, è che purtroppo tutt’oggi si sente ancora parlare di violenza sulle donne, violenza su ragazze e bambine, una tutela che da questo punto di vista manca, perchè come si suol dire “le donne non si toccano neanche con un fiore”.

Pertanto, il 1975 fu designato come “Anno Internazionale delle Donne” dalle Nazioni Unite e l’8 marzo le organizzazioni femminili celebrarono in ogni parte del mondo la “Giornata Internazionale della Donna”, con manifestazioni che onoravano l’avanzamento della donna nella società e soprattutto l’eguaglianza in tutti gli aspetti della vita civile.

 

 

Da quell’anno in poi, fino ai giorni nostri, l’8 si celebra la “Festa della Donna” per ricordare tutti i sacrifici che le donne dovettero affrontare prima di poter ottenere i giusti diritti e il giusto rispetto.

 

Piero Cento

Presentazione volume “Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica”

Venerdì 1 Marzo 2019, alle ore 15.30 nell’Aula dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti , sarà presentato il libro di Francesco Benigno, “Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica” (Einaudi, Torino 2018).
Benigno, ordinario di Storia Moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nel suo nuovo volume riflette sul significato dell’atto terroristico in diversi momenti della storia: dalla Rivoluzione francese, alle bombe anarchiche, all’attentato a Giovanni Paolo II, fino all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

Da questo excursus storico, il gesto terroristico appare avere una costante nel tempo ossia lo scopo primario di richiamare alla lotta la propria comunità contro un nemico considerato più forte. Solo in seconda battuta l’azione terroristica mira a generare paura nel nemico e nel suo popolo.

Di questi temi l’autore discuterà con tre storici dell’Ateneo messinese: Salvatore Bottari (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne), Luigi Chiara (Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche), Giacomo Pace Gravina (Dipartimento di Giurisprudenza). Introdurrà e modererà i lavori Giovanni Moschella, prorettore vicario dell’Università di Messina.
L’iniziativa è promossa dall’Università degli Studi di Messina e dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti.

Qui di seguito si allega la locandina dell’evento: locandina_37

Il Palazzo Reale di Messina: una grande storia durata sette secoli

All’incrocio tra la via I Settembre e il Viale San Martino oggi sorge il Palazzo della Dogana, costruito in stile Liberty, nel 1914, su progetto di Giuseppe Lo Cascio.
Vi è da sapere, però, che in quella stessa area in antichità si trovava una delle più maestose regge della Sicilia: il Palazzo Reale, voluto dai Normanni nella seconda metà dell’XI secolo e rimasto una delle principali residenze reali dei re e vicerè di Sicilia fino alla fine del XVIII secolo.

In realtà, molto probabilmente, il Palazzo aveva un’origine ancora più antica: i normanni, infatti, non avrebbero fatto altro che riedificare un preesistente castello arabo, dimora degli emiri durante la dominazione islamica della Sicilia. Ciò si evince da alcune iscrizioni arabo normanne del XII secolo, che verosimilmente ornavano una delle facciate della reggia e che oggi sono conservate al Museo regionale di Messina.
Ad ogni modo, il Palazzo Reale ebbe grande rilievo in epoca normanna: nel 1061, Messina fu la prima città siciliana conquistata da Roberto il Guiscardo e il fratello minore Ruggero (diventato poi il primo Conte di Sicilia). Proprio nella città dello Stretto, i sovrani normanni si stabilirono e cominciarono ad erigere fortificazioni, fra cui appunto la grandiosa reggia che divenne la loro residenza. Solo dopo la morte di Ruggero, sua moglie Adelasia del Vasto, regina madre e reggente, e l’erede al trono Ruggero II si trasferirono a Palermo.

La reggia messinese continuò comunque ad avere la sua importanza: il sovrano spesso tornava a soggiornarvi, essendo la città peloritana la seconda capitale di quello che divenne, nel 1130, il Regno di Sicilia. A cavallo tra il 1190 e il 1191, il Palazzo ospitó anche re Filippo II di Francia : diretto verso la Terra Santa, per combattere la Terza Crociata, le tempeste invernali lo costrinsero infatti a fermarsi a Messina per diversi mesi.

Nel corso dei secoli, la reggia subì diversi rimaneggiamenti. Nel periodo aragonese, più precisamente sotto il dominio di Federico III, fu eseguito un ampliamento.
Successivamente, dal 1565 al 1589 il Palazzo fu riconfigurato in chiave rinascimentale per volere del vicerè Garcia di Toledo e su progetto dell’architetto toscano Andrea Calamech. Mentre in epoca medievale l’edificio aveva probabilmente sei torri, nella ricostruzione attuata da Calamech si presentava poi con quattro torri, quattro logge e quattro saloni grandi.
Sempre in epoca spagnola ulteriori ampliamenti e rinnovamenti furono eseguiti per volere dei vari vicerè di Sicilia.

Nel 1714, cioè un anno dopo che l’isola era stata ceduta dallo spagnolo Filippo V al duca di Savoia Vittorio Amedeo II, il messinese Filippo Juvarra, architetto reale di casa Savoia, elaborò un progetto di ristrutturazione e ampliamento di quella che sarebbe stata la dimora del nuovo sovrano. L‘intenzione era quella di conferire alla reggia lo status e quindi le caratteristiche di una corte europea. Il progetto di Juvarra, tuttavia, non fu eseguito a causa del rientro della corte sabauda a Torino dopo pochi anni.
Da alcuni rilievi fatti sull’edificio per volere di Carlo IV di Borbone, nel 1751, sappiamo come al tempo era strutturato lo stesso e quindi possiamo anche provare ad immaginare come si svolgeva la vita al suo interno. Nei corpi bassi del palazzo si trovavano le rimesse, il carcere, la chiesa e la casa del custode; al piano terra i locali di servizio, ossia la lavanderia, la cucina, la cavallerizza, ecc.); al piano nobile gli uffici (la Segreteria di Stato, la Tesoreria, l’archivio); al terzo piano gli appartamenti reali, una cappella e un salone per le feste da ballo; al quarto livello, infine, gli alloggi per la servitù.

Buona parte di tutto ciò andò distrutta nel terremoto della Calabria meridionale del 1783. Da lì ebbe inizio la parabola decisamente discendente di quella che un tempo fu un’imponente reggia. Ferdinando I delle Due Sicilie nel 1806 decise di spostare la sede del Palazzo Reale presso il Palazzo del Gran Priorato Gerosolimitano dell’Ordine di Malta. Mentre quel che rimaneva del vecchio edificio reale venne ulteriormente danneggiato nel 1848, durante la rivolta antiborbonica. A partire dall’anno dopo, le strutture che avevano resistito furono adibite a magazzini per il porto.
Il resto lo fece il terremoto di Messina del 1908: l’edificio fu raso al suolo, come del resto gran parte della città peloritana. Nel dopo-terremoto, poi, le parti superstiti vennero distrutte completamente per costruire su quella stessa area strategica, a ridosso del mare e del porto, il Palazzo della Dogana.
Oggi del Palazzo Reale non rimane altro che un nome e qualche testimonianza, perlopiù iconografica (raffigurazioni pittoriche, piante e progetti). Per molti, poi, “Palazzo reale” è solo una fermata del tram… Ma noi ci auguriamo che, dopo aver qui ripercorso la sua storia, ad ognuno, passando da quel luogo o anche solo leggendo o pensando a quelle due paroline, torni in mente che lì si è svolta una parte importante della storia siciliana e che da lì sono passati gli uomini che appunto hanno scritto tale storia.

Francesca Giofré

…due donne, Dina e Clarenza, salvarono Messina durante l’assedio angioino?

Avete mai fatto caso alle due statue in bronzo dorato che battono le ore e i quarti nel campanile del Duomo? Alte tre metri, rappresentano due donne: non figure angeliche, come potrebbe sembrare, né personaggi casuali. Si tratta di due donne che hanno a che fare con la storia di Messina e a cui la città è stata tanto grata da renderle immortali, rappresentandole su uno dei suoi monumenti più famosi. I loro nomi sono Dina e Clarenza e per raccontare la loro storia dobbiamo fare un lungo passo indietro, fino al XIII secolo.
Era il 1282: il 30 marzo, lunedì dell’Angelo, scoppiò a Palermo la rivolta contro gli odiati dominatori francesi, gli Angioini. L’insurrezione, passata alla storia con l’espressione “Vespri siciliani”, si propagò ben presto in tutta la Sicilia. Il 28 aprile, anche Messina, che era rimasta l’ultimo baluardo dei francesi, si ribellò al giogo straniero.
Non riuscendo a sedare la rivolta, Carlo I d’Angiò decise di intervenire militarmente. Forte di 200 navi e 75mila uomini, a luglio, prese d’assalto la città dello Stretto, considerata la chiave della Sicilia: caduta questa, era convinto che l’intera isola sarebbe capitolata. Ebbe così inizio lo storico assedio di Messina, durato sino alla fine di settembre, durante il quale la popolazione peloritana mostrò straordinario coraggio nel resistere e combattere contro il feroce nemico.
L’8 agosto, accadde che una parte delle mura, presso il colle della Caperrina, rimase scoperta perché gli uomini di guardia erano andati a mettersi al riparo da un terribile temporale. I francesi ne approfittarono e in poco tempo riuscirono ad oltrepassare le mura. I messinesi, però, immediatamente accorsi, li respinsero e subito dopo ripristinarono le barricate. Quella notte, poi, sulle mura le donne presero il posto degli uomini, stremati.
Due di esse, Dina e Clarenza, erano di guardia proprio presso la Caperrina e quando videro che i francesi si avvicinavano, mirando ad attaccare nuovamente in quel punto, si adoperarono per allertare i concittadini. Al grido di “all’arme”, Dina iniziò a rotolare massi per rallentare l’avanzata dei nemici, mentre Clarenza di corsa raggiunse la torre campanaria del Duomo e suonò le campane a stormo. La popolazione si precipitò sul colle e in poco tempo ricacciò le truppe angioine.
Alle due donne, dunque, venne riconosciuto il merito della salvezza della città.
Due vere e proprie eroine, di cui la storia ci ha tramandato solo i nomi, ma che nel tempo sono state celebrate in versi e canti popolari, oltre che rappresentate, appunto, nel campanile del Duomo e, inoltre, sulla facciata lato nord di Palazzo Zanca in due grandi bassorilievi.

Francesca Giofrè