Santa Maradona e la precarietà dei millenials

Film dalla trama un po’ piatta, ma che spicca per dialoghi pronti e perspicaci – Voto UVM: 4/5

Esattamente sul finire di ottobre di 20 anni fa, le sale italiane proiettavano Santa Maradona.

Tratto da una sceneggiatura di Marco Ponti (sua sarà pure la regia) destinata ad essere cestinata, il film, in un primo momento passato in sordina, si presenta come un esperimento ben riuscito che mette in evidenza senza troppe pretese la precarietà esistenziale dei millenials.

Trama e personaggi

Al centro di un intreccio molto scarno, vediamo il quasi trentenne Andrea Straniero (Stefano Accorsi), che vola di colloquio in colloquio alla ricerca di un impiego stabile nel settore creativo delle aziende torinesi.

Un giovane Accorsi sul set di “Santa Maradona”- Fonte: mole24.it

Andrea ha un coinquilino di nome Bart (Libero De Rienzo, scomparso a lo scorso luglio), un “critico letterario” che passa le giornate sul divano tra tv, videogames e letture. I due dividono uno squallido appartamento nel centro di Torino arredato approssimativamente con frigo anno ’60 e mobiletti e poltroncine da salotto anni ’70.

La qualità della fotografia e del montaggio non sono dei migliori; infatti la casa di produzione aveva stanziato il minimo indispensabile per produrre il film e lo stesso regista si è dovuto arrangiare.

Ma evidentemente ciò che doveva spiccare in Santa Maradona non erano di certo effetti visivi e neanche una trama articolata, ma il senso di vuoto, la totale stasi e la paura di cambiare dei due coinquilini che rappresenterebbero un po’ tutti noi nati tra inizio anni ’80 e fine anni ’90.

Da sinistra a destra Libero De Rienzo (Bart), Stefano Accorsi (Andrea), Mandala Tayde (Lucia), Anita Caprioli ( Dolores Angeli) e il regista Marco Ponti. Fonte: cinemafanpage

 

Le giornate trascorrono nel disordinato e poco illuminato bilocale torinese e a volte in qualche bar o al cinema. Andrea apparentemente prova a crescere e a migliorarsi presentando curricula fatti male nelle virtuose aziende torinesi mentre Bart dall’alto del suo divano guarda il mondo e il futuro con cinica rassegnazione.

Un’ora e trenta di pellicola che sembra scorrere piatta se non fosse che la genialità in quest’esordio di Ponti sta nei dialoghi pronti e perspicaci dei vari personaggi. Battute e ragionamenti talvolta attinenti alle varie vicende si alternano a conversazioni quasi alla Tarantino, buttate lì come fossero nonsense (ma così non è).

“Vedi, la sregolatezza pura, che non ha a che fare con il genio, m’esalta”.

Esordio di De Rienzo

Accanto ad un appena famoso Stefano Accorsi grazie a L’ultimo Bacio, proiettato nelle sale sempre nello stesso anno, si contrappone un appena esordiente Libero De Rienzo. La rivelazione è proprio lui che con la sua interpretazione magistrale riuscirà a dare un tono alla calma piatta dell’intera pellicola.

Libero De Rienzo nei panni di Bart – Fonte: Mikado Film

Non è semplice calarsi nei panni di uno come Bart e renderlo ai propri occhi anche simpatico: un soggetto tutto sarcasmo e rassegnazione che con la sua cinica genialità a volte si rende irritante.

“è brutto avere una risposta bella pronta e nessuno ti fa mai la domanda giusta”

Bart non è logorroico come Andrea ma i suoi “botta e risposta” carichi di acidità lascerebbero chiunque di stucco.

Perchè Santa Maradona è attuale anche oggi

L’ambientazione ad inizio terzo millennio non è un caso. Ponti attraverso i due coinquilini traccia un confine tra gli over 25 dei primi anni ’90 – con già un impiego e magari anche famiglia a carico – e gli over 25 post anni 2000, come Bart e Andrea che appena laureati ciondolano nell’apatia di un appartamento tra telefilm e palleggi contro il muro.

Una generazione la loro – o meglio la nostra – che “non ha sogni nel cassetto o forse non ha neanche il cassetto dove metterli”, che si divide tra colloqui di lavoro e spritz delle sei – che tanto prima o poi arriverà l’occasione che cambierà la vita – che vorrebbe cambiare il mondo, il corso degli eventi ma ha paura come Andrea o non ci prova nemmeno come Bart e nel frattempo che si fa?… Meglio chiudersi in un appartamento e finire tutta l’ultima stagione di una serie Tv su Netflix.

Come ha detto Ponti, i suoi personaggi utilizzano l’espediente di Maradona cercando di fare goal di mano. Esattamente come Bart e Andrea, anche noi tra i 20 e i 30 anni, in questo periodo storico che sicurezze non ci dà, cerchiamo di fare goal di mano nello stadio della vita.

Ilenia Rocca

 

La Dea Fortuna: il film che conferma in pieno lo stile del regista Ferzan Ozpetek

Fonte: MyMovies

Proiettato nelle sale a fine 2019 e con diverse nomination ai “Nastri d’argento”, La dea fortuna rappresenta l’ultima fatica cinematografica del regista Italo turco Ferzan Ozpetek.

La trama

Protagonisti della storia, ambientata a Roma, sono Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi). Entrambi hanno una relazione stabile e convivono da molti anni. Arturo, l’intellettuale della coppia, in attesa di un miglior impiego si occupa di traduzioni di opere letterarie, mentre Alessandro è un idraulico. La normale routine della coppia, che oscilla tra i piccoli problemi della quotidianità e i ritrovi con gli amici di quartiere, viene quasi sconvolta dall’arrivo di Annamaria (Jasmine Trinca), una vecchia amica di Alessandro, con i suoi due figli. Annamaria si fermerà a Roma e affiderà temporaneamente i figli alla coppia.

Fonte: Artwave

Tematiche affrontate dal regista

Come in molti altri film di Ozpetek, anche ne “La dea fortuna” la sceneggiatura si concentra su una relazione omosessuale quale quella di Alessandro e Arturo. Chi conosce bene il regista sa che questo è stato molte volte un trend topic di molti suoi film di successo e apprezzati dalla critica.

I due protagonisti è come se quasi improvvisamente diventassero genitori. Forse in modo indiretto o forse invece in modo del tutto evidente, l’intento del regista stavolta non è stato quello di concentrarsi sulle problematiche  comuni ad ogni relazione sentimentale sia essa etero o gay, bensì affrontare un tema molto discusso quale quello dell’omogenitorialitá, e ancora di più riuscire ad affrontarlo in modo del tutto naturale. Infatti, nessuno guardando “La dea fortuna” si sentirebbe in grado di dire cosa sia giusto o sbagliato, insomma di prendere posizione. Tutto ciò passa in secondo piano grazie all’abilità di Ozpetek di incastrare le vicende della maggior parte dei suoi personaggi e di rappresentare i loro stati d’animo in una maniera tale da non lasciare spazio al pregiudizio.

Fonte: MyMovies

 

Analogie con i precedenti lavori

Conoscendo i precedenti lavori del regista non si può fare a meno di notare parecchie analogie soprattutto con uno dei suoi film, “Le fate ignoranti” (2001). Similitudini nel cast ma anche nell’ambientazione di molte scene significative.  Dall’appartamento dei protagonisti in cui si ritrovano con i loro “singolari” amici, che abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso palazzo, alla terrazza in cui si organizzano eventi o si improvvisa qualche festa la sera con un po’ di musica turca per smorzare la tensione della giornata. Stesso spirito di solidarietà e di condivisione.

I figli di Annamaria diventano un po’ figli di tutti, i problemi di Alessandro e Arturo accomunano tutti.

Fonte: Radio Musik

In “La dea fortuna” come ne “Le fate in ignoranti” troviamo pure come protagonista Stefano Accorsi. Presenti in entrambi i lavori anche Serra Yilmaz, nota attrice turca e conosciuta in Italia grazie ai film di Ozpetek, e Filippo Nigro nel ruolo di amici della coppia.

 

Candidature Nastri d’Argento

La pellicola ottiene ben otto nomination alla nota manifestazione cinematografica riuscendo a portare a casa tre Nastri D’Argento, nella categoria miglior attrice protagonista a Jasmine Trinca, miglior cameo dell’anno a Barbara Alberti e migliore colonna sonora a Pasquale Catalano.

 

Sicuramente La dea Fortuna rispetta le aspettative degne di un film di un regista quale Ferzan Ozpetek: infatti, il suo stile non solo non si smentisce, ma ne esce maggiormente rafforzato.

 Ilenia Rocca

 

A casa tutti bene

“Io sono cresciuto orfano, a me la famiglia mi sta sul cazzo!”

Cosa succede quando una numerosa e aggrovigliata famiglia si riunisce dopo tanto tempo?
Può un banale festeggiamento di un anniversario mettere fortemente in bilico la tranquillità apparente di così tante persone? E può un luogo così bello e tranquillo da apparire quasi fuori dal tempo, quale un’isola, diventare scenario di tradimenti, litigi, concerti improvvisati e crisi isteriche?
Se dietro la macchina da presa c’è Gabriele Muccino, e sulla scena un cast di attori di un livello indiscutibilmente alto, la risposta è sì, è assolutamente possibile!

Per i loro 50 anni di matrimonio, i due pensionati Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti), che da tempo si sono ormai ritirati a vita privata su di un’isola, decidono di riunire la loro numerosa famiglia per un tranquillo pranzo in casa.
Quando la giornata e i festeggiamenti volgono al termine, tutti si affrettano, decisamente sollevati, a dirigersi verso i traghetti che li riporteranno a casa. Ma il caso, il destino o semplicemente un’immensa sfortuna fanno sì che infuri un tempo talmente brutto da impedire ai traghetti di partire. Nonostante il generale sgomento, a tutti non resta che rassegnarsi ad un inatteso, forzato, breve ma intenso prolungamento del soggiorno. Ed è a questo punto che inizia tutto quello che mai si sarebbero aspettati.

Il cast è eccezionale, Sabrina Impacciatore da prova per l’ennesima volta della sua immensa bravura; unica figlia femmina della coppia, è la classica donna, moglie e madre, che pur essendo sull’orlo di un esaurimento nervoso e pienamente cosciente dei tradimenti del marito, fa finta che tutto vada bene e continua a cantare Jovanotti.

Altrettanto bravo e perfettamente calato nel suo personaggio è Pierfrancesco Favino, altro figlio della coppia, che si ritrova diviso tra la vecchia e la nuova famiglia; lì entrambe le donne sono presenti, la ex Valeria Solarino e l’attuale, Carolina Crescentini, bravissima a interpretare la moglie isterica possessiva e con evidenti crisi di inferiorità che passa dal chiedere “perché non mi fai sentire amata?” a “perché non mi scopi più spesso?“.
Terzo e ultimo figlio della coppia è Stefano Accorsi, eterno Peter Pan, scrittore, che di ritorno da un viaggio in bicicletta decide di aprire le danze del caos generale che si andrà poi creando, portandosi a letto la cugina. Ma, vuoi la banalità delle affermazioni con cui se ne esce, molto più adatte ad uno pseudo film adolescenziale, vuoi che la figura dell’artista giramondo ormai non convince più molto, il suo personaggio è decisamente quello meno riuscito dell’intero film.

Dunque, tradimenti nuovi e tradimenti vecchi che vengono a galla. Scenate di gelosia che portano a tentativi di “omicidio”.
Canzoni suonate al pianoforte da un Gianmarco Tognazzi che insieme alla moglie Giulia Michelini, sono la coppia assolutamente più fuori luogo ma anche la più vera. Ed è proprio della Michelini l’ultimo sfogo, un’esplosione di rabbia, dolore e verità nei confronti di tutti gli altri.
Esplode in una crisi isterica anche Claudia Gerini, moglie di un eccellente Massimo Ghini, malato di Alzheimer che è l’unico che, purtroppo o per fortuna, non si accorge del malessere generale che incombe su quella casa.
“Li trovo così inquieti i miei figli” afferma la Sandrelli.

Lo stile Mucciniano è inconfondibile. Il senso di inquietudine, di smarrimento e di angoscia, la fanno infatti da padrone; questo accade grazie ad un perfetto lavoro di sceneggiatura, ad una grandiosa caratterizzazione dei personaggi, che pur essendo molto numerosi vengono tutti perfettamente descritti, nessuno viene messo maggiormente in luce rispetto agli altri.
La bravura del regista si mostra ancora una volta. Tratta un tema apparentemente semplice, quello della famiglia, dell’eterno attaccamento alle nostre origini. Ma va oltre i grandi pranzi, il cibo, i classici racconti e pettegolezzi familiari e le vecchie canzoni cantate a squarciagola. Ci mostra inizialmente la facciata di una famiglia apparentemente serena che non si aspettava certamente forti scosse e poi ne rivela violentemente la realtà, i segreti, tutto quello che si nasconde dietro.

Gabriele Muccino ha creato un film decisamente superiore ai suoi lavori precedenti, sensibile e insieme destabilizzante. Un piccolo capolavoro del cinema nostrano assolutamente da non perdere.

Benedetta Sisinni

Fortunata – la guerriera di Tor Pignattara

Il caldo di un torrido agosto e un desolante quartiere romano fanno da sfondo a questa storia. E tra pettini, spazzole, tubetti di tinta per capelli, si muove la sua protagonista.

Fortunata (Jasmine Trinca) è una donna messa a dura prova dalla vita: un matrimonio fallito con un uomo, Franco (Edoardo Pesce), che non si rassegna ancora alla rottura e la tormenta con violenze psicologiche e fisiche, la sua piccola Barbara (Nicole Centanni) da crescere da sola e un duro lavoro di parrucchiera a domicilio (e “a nero”) da svolgere.

Nonostante ciò Fortunata non si arrende, a testa alta porta avanti la sua vita e coltiva il sogno di aprire un suo personale salone, spinta da un profondo desiderio e bisogno di emancipazione, indipendenza e felicità.

È il sesto lavoro da regista di Sergio Castellitto, la sceneggiatura è invece opera dell’autrice Margaret Mazzantini; tale connubio artistico da vita ad un’opera tanto cruda quanto realistica, tragica e al tempo stesso vitale, personaggi complessi ma umani e molto vicini a noi.
È una storia attuale, sono tante le donne che potrebbero riconoscersi nella figura di Fortunata, ed è principalmente a loro che è rivolto il messaggio di speranza che avvolge continuamente il film. Da un punto di vista tecnico la pellicola è perfettamente realizzata.

Sergio Castellitto mostra ancora una volta il suo talento, non solo davanti ma anche dietro la macchina da presa. Perfetta la scelta degli attori.
Jasmine Trinca è immensa nel sua interpretazione e perfettamente calata nel personaggio, si può dire quasi lo stesso di Stefano Accorsi, nei panni dello psicoterapeuta infantile; anche se probabilmente il suo personaggio poteva essere più approfondito in fase di scrittura del film, un perdonabile errore della Mazzantini.

Jasmine Trinca

Le ambientazioni e la fotografia rendono perfettamente giustizia a quella che vuole essere la realtà rappresentata, quella di una Roma periferica,”sporca” e degradata. Ottima anche la scelta delle colonne sonore che incorniciano perfettamente le scene più forti e crudeli.

Il cast a Cannes (da sx Nicole Centanni, Jasmine Trinca, Sergio Castellitto, Stefano Accorsi, Alessandro Borghi e Hanna Schygulla)

Il film è stato presentato il 20 maggio 2017 al Festival di Cannes nella sezione Un certain regard, dove Jasmine Trinca ha ottenuto il premio per la migliore interpretazione, ed è stato successivamente candidato a 7 Nastri d’argento.

Ci troviamo di fronte ad un piccolo capolavoro, un film diverso, uno schiaffo a coloro che pensano che il cinema italiano non abbia più nulla da offrire.

Benedetta Sisinni