Una nuova legge in Norvegia obbliga a segnalare l’uso del fotoritocco

Il Parlamento norvegese ha votato una legge che obbliga influencer e aziende a segnalare il fotoritocco nelle immagini pubblicate sui social. L’obiettivo? Combattere la kroppspress (la pressione corporea).

Erna Solberg, primo ministro norvegese – Fonte: www.ansa.it

Le immagini come questione politica

Le immagini non sono soltanto immagini. Sarebbe un’illusione pensarlo. Le foto sui social network non riproducono semplicemente la nostra vita ma la plasmano.  Sono veicolo di un “dover essere” che esercita una certa influenza, seppur inconsciamente, anche sui più restii.

Le immagini, oggi, non sono soltanto la rappresentazione della realtà, piuttosto la stessa realtà in cui viviamo.  Riconoscere che la modalità dell’esistenza sociale è quella delle immagini, significa ammettere che quella delle foto è ormai una questione politica.

E il fatto che in Norvegia le foto siano state protagoniste di un dibattito in Parlamento è da attenzionare perché dice qualcosa di importante: le immagini hanno una tale rilevanza sociale da necessitare una seria riflessione e un’azione politica.

La kroppspress

A muovere i politici norvegesi è stata la tematica della “kroppspress”, la pressione corporea, cioè il senso di inadeguatezza e la bassa autostima  di fronte agli standard di bellezza proposti dalle foto sui social network che, talvolta, possono sfociare in gravi disturbi psicologici.  “La pressione del corpo è sempre presente, spesso impercettibile, ed è difficile da combattere”, ha affermato il ministero in una nota.

Nel mirino le foto ritoccate che diffondono ideali di bellezza irreali e irraggiungibili.  L’obiettivo, ha spiegato il ministro della famiglia del Paese scandinavo, è fare in modo che bambini e giovani

«si accettino per come sono, perché le foto ritoccate producono un’immagine distorta del corpo».

La legge e la reazione degli influencer

La legge, approvata lo scorso 2 giugno e che entrerà in vigore dall’estate del 2022, obbliga aziende e influencer a segnalare le immagini con corpi ritoccati da filtri, app e programmi grafici tramite un apposito logo fornito dal ministero della Famiglia. La nuova normativa riguarderà qualsiasi alterazione che influisca sull’aspetto delle dimensioni del corpo, della forma o del colore della pelle, compreso anche l’uso di semplici filtri di Instagram. Ogni modifica dovrà essere resa esplicita. Le violazioni della legge saranno punite con multe salatissime.

Nonostante possa rappresentare un limite all’attività degli influencer, è stata accolta con largo favore dal mondo degli influencer norvegesi, per esempio da Janka Polliani e Kristin Gjelsvik, due tra le più seguite in Norvegia. Non solo. Alcuni influencer, attraverso i media locali, hanno chiesto di estendere i controlli alle immagini in generale.

Janka Polliani – Fonte: www.vixen.no
Kristin Gjelsvik – Fonte: www.kk.no

La bassa autostima è una male sociale

Non è una norma di facile applicazione; necessita di un ulteriore dibattito per superare alcune difficoltà e rispondere agli interrogativi che essa pone: le regolazioni dell’illuminazione o della saturazione nelle foto saranno considerate violazioni? Come rendere il controllo concretamente operativo? Sarà sempre facile capire se una foto è stata ritoccata?

Tuttavia, si tratta di una legge rivoluzionaria non solo perché, come già detto, fa delle immagini una questione politica ma anche perché diffonde una consapevolezza nuova: la bassa autostima, nella società delle immagini, non è un problema individuale, è piuttosto un male sociale che rischia di compromettere la qualità della vita e, in quanto tale, deve essere affrontato collettivamente attraverso azioni politiche.

Influencer contro la perfezione ideale

Sulla stessa questione, in febbraio, si era già pronunciata l’ASA, advertising standard authority, che gestitsce l’industria pubblicitaria nel Regno Unito, vietando l’uso, nelle pubblicità sui social media, di filtri che esagerano l’effetto dei prodotti. Da quel momento è diventato obbligatorio per le influencer in UK dichiarare quando utilizzano un filtro beauty per promuovere skincare e cosmetici in generale, pena l’esclusione dai social media.

L’azione dell’ASA rispondeva  alla campagna #filterdrop, lanciata da Sasha Pallari, attivista beauty, make-up artist e modella di 29 anni che già dal 2019 ha smesso di usare filtri mostrando la sua pelle al naturale e che nel 2020 ha coniato l’hashtag #filterdrop postando un video di se stessa senza filtri e invitando i suoi followers a fare lo stesso.

Dal profilo instagram dell’influencer Sasha Pallari

In Italia ClioMakeUp si è pronunciata sul pericolo dell’uso dei filtri soprattutto per i più giovani. In un post dello scorso 13 aprile che la ritraeva al naturale ha scritto:

“Mai come oggi con i social il paragone diventa così facile e può portare a delle ossessioni o forme di depressione. A volte la leggerezza con la quale si usano i filtri per migliorarsi il viso, e anche in generale la vita, mi fa paura”.

Di recente, a farsi paladine della bellezza al naturale sono state anche l’attrice Matilda De Angelis e l’influencer Aurora Ramazzotti che sui social non hanno nascosto la loro acne.

Matilda De Angelis al naturale su instagram – Fonte: www.tg24.sky.it

 

 

 

 

Chiara Vita

Facebook: solo la metà degli adolescenti lo usa

 Sempre più utenti giovani prendono le distanze dal social network Facebook, da sempre considerato il social più apprezzato e popolare.

I dati della ricerca condotta da Pew Research Center dal titolo ‘Teen, social media e Technology 2018’ mettono in chiaro che i millenials americani preferiscono di gran lunga Youtube, che in fondo è un social anomalo considerato che per guardare clip e video non serve un account, ed è frequentato dall’85% dei teenager. Vanno molto bene anche Instagram frequentato dal 72% e Snapchat  dal 69%, che è in fondo l’applicazione che, negli anni, ha condotto alla rivisitazione di tutte le altre con le recenti Stories e le Lens (filtri e maschere).

Secondo l’indagine, solo il 51% dei teenager statunitensi utilizza Facebook, seguito da Twitter e Tumblr, a loro volta 32% e 14% degli adolescenti.

Il gioco cambia quando viene chiesto “Qual è il social più volte aperto?” e la risposta più gettonata è Snapchat, seguito da Youtube, Instagram e Facebook.

Ci sono social network che ci accompagnano nel corso della giornata, social di cui non riusciamo a fare a meno, accumuliamo notifiche su notifiche e teniamo il cellulare a portata di mano anche quando dormiamo, e quella della sveglia è una scusa bella e buona. I giovani migrano verso altri social meno impegnativi dal punto di vista dei contenuti, questo perché Facebook ha perso la sua esclusività, non è più il luogo naturale di ritrovo.

Fra i giovani il 95% (nel 2015 era il 73%) dice di usare uno smartphone e quasi la metà (45%, il doppio di tre anni fa) di essere online “quasi costantemente”. Un altro 44% rivela di connettersi diverse volte al giorno. Insomma, nove su dieci vivono collegati ma i dati sulle ragazze sono più elevati. I ragazzi non hanno tuttavia un’idea univoca sui possibili effetti dei social su di loro. Il 45% crede per esempio che l’impatto non sia né positivo né negativo. Tre su dieci, invece, si ritengono convinti che le conseguenze siano positive (sottolineando la possibilità di collegarsi agli altri e di fare comunità ma anche di informarsi) e il 24% non è così fiducioso.

Serena Votano

Quando la vita virtuale sovrasta la vita reale

Quando una scommessa, un gioco, si trasformano in una tragedia mortale, l’animo umano come realmente reagisce? Sicuramente una parola frulla nelle menti di tutti: perchè? O siamo troppo grandi per comprenderlo, o troppo cinici per dispiacerci. L’8 marzo scorso si è consumata una tragedia a cui ancora difficilmente si riesce a dare una risposta razionale. È successo in Calabria, tre ragazzini di 13 anni hanno ben deciso di attraversare la linea ferroviaria del treno, intorno alle 18.30, per raggiungere più velocemente via spiaggia il centro cittadino del comune limitrofo; lì ad uno dei tre è balenata la fantastica ed ammirevole idea di voler scommettere su chi riuscisse a fare un “selfie” il più possibile vicino al treno che proseguiva la sua corsa. Si può ben dedurre che qualcosa andò storto: due si sono salvati scansandosi in tempo dalle rotaie, mentre uno di loro è morto sul colpo.

Il gruppetto dei tre adolescenti è un clichè: ci sono il capo banda (l’ideatore della prova), il suo “tirapiedi” e la vittima che è sempre il bravo ragazzo, con qualche problema in famiglia che cerca di affrontare, ma viene trascinato per, azzarderei a dire, spirito di sopravvivenza. Tutti direte “un classico”. E perché è proprio un classico? Le dinamiche di questa vicenda si sarebbero potute riproporre anche 100 anni fa, un po’ come nella fiaba di Pinocchio. Peccato che le fiabe hanno il loro “e vissero felici e contenti”.

Si sa che è indole dell’uomo voler appartenere ad un gruppo, per sentirsi accettato, essere utile a qualcosa, per trovare il proprio posto nel mondo. Poi c’è chi per carattere lo crea il “gruppo” e chi invece deve superare delle prove per poterne far parte. I riti di iniziazione a gruppi sociali erano già presenti nell’antica Grecia, e nel corso della storia ogni cultura, ogni popolo, ha adottato i propri, rendendoli parte integrante ognuno della propria identità. Questo atteggiamento non è cambiato fino ad adesso: in ogni piccola formazione che si viene a creare in un contesto (ad esempio il nucleo della classe nel contesto scolastico), affinchè si possa far parte di esso, bisogna superare delle prove, bisogna dimostrare qualcosa a qualcuno che non ha la facoltà di poter giudicare e decidere. “E si la scuola è una giungla, però non si scorda, comunque a 16 anni è una merda” cantavano gli Articolo 31 anni or sono. Che siano 16, 13, 9, o 20 anni per sopravvivere e crearsi dei bei ricordi bisogna sacrificare se stessi. Certamente, ogni età ha i propri parametri di valutazione, a 13 anni non si pensa come quando si hanno 20 anni, e per questo motivo bisogna valutare ogni aspetto della vicenda.

Kiev, Ukraine – October 17, 2012 – A logotype collection of well-known social media brand’s printed on paper. Include Facebook, YouTube, Twitter, Google Plus, Instagram, Vimeo, Flickr, Myspace, Tumblr, Livejournal, Foursquare and more other logos.

Raccogliendo qualche opinione ho notato che molti mi hanno risposto “ben gli sta”, “è una tragedia, ma è stato stupido”. Rispetto il pensiero di tutti, e combatto affinchè tutti possano esprimere la propria opinione, ma ammetto che certi commenti mi hanno infastidita, perché, parlando, mi sono resa conto che nessuno si è soffermato sul reale problema che ha caratterizzato questa vicenda: lo scopo di mostrare qualcosa ad un gruppo che è molto più grande di noi, il social network. Ormai con le varie piattaforme le notizie, le informazioni, girano alla velocità della luce, qualsiasi cosa diventa virale acquisendo notorietà e vana gloria. Tutto ciò porta ad una brodaglia di opinioni che influenzano notevolmente la crescita di ogni essere umano: dalle 2000 che sembrano ragazze degli anni ’90, agli over 40 con i loro “buongiornissimo!1!! kaffè?”. Il fenomeno social invade la sfera umana di ognuno di noi, e tende ad azzerare il singolo pensiero, la fonte basilare per cui siamo diversi da ogni altro essere vivente, massificandoci per agire nello stesso modo, per raggiungere gli stessi scopi, legandoci con catene invisibili.

Nella prima fase adolescenziale è difficile non sentirsi dipendenti dai giudizi altrui, dal volere altrui, anche e soprattutto contro la propria volontà e contro i principi che sono stati (o dovrebbero essere stati) insegnati ed impartiti dai genitori. In questa triste vicenda la colpa è di tutti e di nessuno. Siamo tutti colpevoli tirando la pietra e nascondendo la mano; tutti noi che sfruttiamo in modo errato l’immenso potere della comunicazione, tanto da spingerci a non valutare il reale pericolo. Il rischio più grande che corriamo è mettere da parte noi stessi.

 

Giulia Greco

Immagine in evidenza: Giulia Greco