L’amore proibito che diede origine al mito di Wonder Woman

(La locandina del film – themarysue.com)

Ultimo appuntamento per il cineforum #socialequity in collaborazione con AEGEE-Messina: film della serata sarà Professor Marston and the Wonder Women; pellicola del 2017 diretta da Angela Robinson e basata su una storia vera.

In tema di diritti civili, questo film drammatico-biografico si colloca come “punto di arrivo” di un percorso iniziato settimane fa, ed abbraccia alcuni degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni. Inoltre, tratta con estrema delicatezza questioni che – ad oggi – rappresentano motivo di scandalo per la società occidentale.

Voto UVM: 4/5 – film interessante e scorrevole, ma pecca in alcuni punti

La sinossi e i temi trattati

Dominanza, seduzione, sottomissione e condiscendenza. Queste sono le quattro parole che riassumono l’intera carriera – se non la vita – del dottore in psicologia William Moulton Marston (Luke Evans), studioso della teoria DISC, seguace della neo-corrente del femminismo liberale ed intento a creare la prima macchina della verità. È il 1928 quando quest’ultimo, assieme alla moglie e ricercatrice Elizabeth Marston (Rebecca Hall), inizia una relazione poliamorosa con una studentessa che frequenta il suo corso d’insegnamento ad Harvard, Olive Byrne (Bella Heathcote).

Tale rapporto, connotato da un amore vero e sincero, lo avvicinerà presto al mondo del bondage, al punto che ne approfondirà gli aspetti psicologici trasponendoli al contempo all’interno del proprio fumetto: nascerà così la celebre eroina Wonder Woman e la sua immensa eredità.

Le complessità di questo dramma sono molte: innanzitutto vi è il sentimento poliamoroso, perno dell’intero lungometraggio; poi abbiamo l’interesse alla pratica bondage. Accanto ai temi appena citati si pone infine quello della discriminazione subita dai protagonisti e dai figli, i quali tuttavia vivevano quella realtà con normalità e felicità. Dalla paura, dalla vergogna, dal tormento subìto per via di tali persecuzioni, nascerà l’intento del protagonista di creare qualcosa che dia un nuovo vigore alla figura della donna e che inviti ciascuna a lottare per i propri diritti: l’opera di Marston si pone così all’interno di un’ottica femminista che ben si conforma agli ideali del creatore.

Due argomenti che meritano di essere trattati con delicatezza, senza toni scandalistici o paternalistici: in tal senso, la Robinson è riuscita a non sfociare nella banalità, mostrando un affetto puro e degno da parte di tutti e tre i personaggi. Un affetto che, dopotutto, si condenserà nel personaggio di Wonder Woman, che rappresenta una fusione delle due donne amate da Marston.

(C’è da notare come il professore nutrisse un profondo rispetto per il mondo femminile, essendo vicino agli ideali di femminismo, nota assolutamente progressista per i tempi in cui la vicenda è ambientata).

(In una scena del film, il professore illustra lo studio della DISC ai propri studenti – newswise.com)

La nascita di Wonder Woman e il rapporto tra i personaggi

Wonder Woman è effettivamente ispirata alla forza d’animo di Elizabeth ed Olive, due caratteri agli antipodi ma che si temperano ed attraggono a vicenda. Da un lato la signora Marston, incarnazione della donna in carriera anni ’20; dall’altro Olive, dolce, ingenua ma determinata. A fare “da ponte” tra le due vi è sicuramente il mite ed ambizioso Bill. Il personaggio risulta abilmente lavorato: dall’interpretazione di Luke Evans si nota la smania di grandezza, la voglia di “strafare” sempre e costantemente tenuta a freno dalla disillusione della moglie.

È proprio quest’ultima a mostrarsi inizialmente indecisa verso il rapporto che si andava creando, nutrendo una gelosia nei confronti del marito che tuttavia non passerà mai. E sarà sempre lei a non volersi “cedere” psicologicamente fino all’ultimo, fin quando non si sarà fatta palese la necessità di stabilità nella loro vita: una stabilità che solo Olive è capace di offrirgli.

Inutile però voler negare l’azzardo della regista nel trattare così tanti temi in soli 90 minuti di film: un approfondimento della loro intesa (soprattutto del momento della nascita di essa) avrebbe garantito una maggiore comprensione dei meccanismi del loro amore, anche ai più restii. Rimane invece in dubbio, osservando il complesso, se fosse vero amore o semplice necessità; necessità di alimentare il fuoco di un matrimonio che andava a spegnersi, forse.

Tuttavia, il pathos delle ultime battute del film lascia intendere che durante gli anni il rapporto sia andato fortemente consolidandosi; questo prospetta effettivamente la possibilità che la relazione fosse quanto più che sincera.

La passione e l’affetto che animano i Marston-Byrne si basano sulle quattro parole sopracitate, così come anche lo stesso personaggio di Wonder Woman. Infatti, sin dai primi capitoli del fumetto, l’eroina è ritratta a dominare, sedurre, sottomettere i propri nemici con sfumature erotiche che suscitarono un enorme scandalo.

(I protagonisti in una scena del film – theguardian.com)

Conclusioni

In ultima analisi, il film rimane intrigante sotto molti punti di vista e senza dubbio è piacevole; tuttavia fallisce in alcuni punti, come se la forte drammaticità non riuscisse a trasmettere l’intensità del sentimento provato dai tre. Da guardare se si cerca qualcosa di scorrevole e se ci si vuole avvicinare a tematiche diverse dal solito.

Valeria Bonaccorso

Il diritto di contare: quando il “limite” è solo nella formula

Nuovo incontro in collaborazione con l’associazione AEGEE-Messina per il cineforum #socialequity: il film della settimana è la pellicola del 2016 di Theodore Melfi, Il diritto di contare (Hidden Figures).

Voto UVM: 5/5; una pellicola che pur trattando tematiche importanti è scorrevole e mai banale

Ispirandosi a tematiche di equità sociale, il film racconta la vera storia di Katherine Johnson (conosciuta anche come Katherine Gobble) che con l’aiuto delle proprie amiche, negli anni ’60, lotta contro le mille discriminazioni subite in ambiente lavorativo (e non) per poter esercitare i propri diritti. Tra tutti, quello di contare: ossia quello di vedersi riconosciute le proprie capacità, il proprio potenziale, ma anche e soprattutto quello di essere considerata al pari dei propri colleghi.

Magistrali le interpretazioni di Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe, affiancate da Kevin Costner, Kirsten Dunst e Jim Parsons.

(paoline.it)

La trama

Il film si apre con un salto negli USA del passato, mostrando una Katherine (Taraji P. Henson) in tenera età che studia presso un istituto per sole persone di colore (termine che con accezione dispregiativa veniva utilizzato per indicare la gente afroamericana). Sono gli anni della segregazione razziale e avranno fine solo decenni dopo. La bambina si distingue per le eccezionali doti matematiche, che le garantiscono di poter studiare nei migliori istituti.

Tornati al presente (nel 1961) Katherine ha trovato occupazione come addetta calcolatrice presso gli uffici della NASA assieme alle amiche Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe). Queste ultime – come la protagonista – aspirano entrambe a degli incarichi più alti ed adatti alle loro capacità ma che tuttavia non riescono a raggiungere, per via delle diffuse discriminazioni razziali dell’epoca.

Una svolta si ottiene in seguito alla promozione della protagonista, ammessa a lavorare per la Space Task Group. Quest’ultima, nata in occasione della “corsa allo spazio” contro i sovietici, mirava a mandare un uomo in orbita prima dei russi, ma come sappiamo, il primato è di questi ultimi che lanciarono in orbita di Yuri Gagarin nel 1961.

Da qui, molte sfide incroceranno i destini delle tre donne, che dovranno fare i conti con un computer IBM 7090 – che minaccerà il lavoro di molte addette del settore calcoli – e con una licenza d’ingegneria ottenibile soltanto frequentando dei corsi (presente in un istituto per soli bianchi).

(blog.screenweek.it)

«Un passo avanti per tutte noi»

La pellicola richiama un periodo di forte sofferenza per tutte le donne nere, riuscendo a mettere in luce una discriminazione subita a trecentosessanta gradi: intanto perché nere e successivamente perché donne. Le oppressioni che si riverberano nella vita di queste tre donne geniali ci mettono di fronte ad un grande quesito: dove saremmo oggi se il talento di molte di queste persone non fosse andato sprecato per stupide e immotivate discriminazioni razziali?

La particolarità di questo film è che, pur essendo ispirato alla lotta per i diritti civili, non ritrae enormi gesti clamorosi ed eroici: si tratta di persone che riescono a farsi strada grazie alle proprie armi e nello specifico quelle della mente.

E non è perché indossiamo le gonne… è perché indossiamo gli occhiali!

Questo è ciò che afferma la protagonista Katherine mentre passeggia col Tenente Jim, il quale mostra alcuni segni d’incertezza all’idea che una donna possa occuparsi di “cose così complicate”.

(comingsoon.it)

I vari volti dell’oppressione

Da qui, si evincono le oppressioni ricevute non solo dagli oppressori bianchi, ma per giunta dagli uomini neri che stanno al loro fianco. Tale caratteristica viene pienamente impersonata dal marito dell’amica Mary, il quale vorrebbe che lei fosse più presente a casa e la intima a non accettare le «concessioni dei bianchi, perché i diritti si dovrebbero pretendere». Una voce molto più radicale, che tuttavia investe il libero arbitrio dell’aspirante ingegnere. Ciò, tuttavia, non la fermerà dallo scegliere la strada più adatta a sé.

E ancora, naturalmente, non manca l’oppressione da parte di altre donne: la responsabile del reparto in cui lavorano le tre addette, interpretata da Kirsten Dunst, abbraccia il proprio ruolo di antagonista bloccando continuamente la strada a Dorothy che aspira a ricevere il ruolo di responsabile permanente.

Molti saranno gli ostacoli, molte le umiliazioni che si porranno sul cammino delle tre matematiche: a partire dalle difficoltà di trovare un bagno per gente di colore, passando per i famosi autobus coi posti a sedere per soli bianchi.

(rsi.ch)

Una valutazione finale

Insomma, un tripudio di tematiche che se non fossero state gestite con la massima serietà ed accuratezza avrebbero potuto mettere a rischio il film: fortunatamente quella che ci è stata servita è una pellicola seria ma leggera, dalla vena ironica (il classico “si ride per non piangere”) che coinvolge, che ci fa entrare nel mondo di una donna afroamericana negli anni ’60.

Riuscendo nell’intento, questo lungometraggio è riuscito a guadagnarsi varie candidature agli Oscar, tra cui quella a Miglior film, a Migliore attrice non protagonista (per Octavia Spencer) e quella a Migliore sceneggiatura non originale.

Una storia non certo facile da raccontare, ma da cui le giovani donne nere di oggi possono trarre ispirazione ed un sospiro di sollievo nel vedersi rappresentate. E questa componente non va affatto sottovalutata.

 

Valeria Bonaccorso

Corri Forrest corri (e noi proveremo a starti dietro)

In occasione della collaborazione con l’associazione AEGEE-Messina e nell’ambito del Cineforum #socialequity, noi di UniVersoMe siamo lieti di approfondire uno dei film più belli della storia, pieno di spunti di riflessione e di ispirazione.

Voto UVM: 5/5 – Senza alcun dubbio uno dei capolavori del cinema moderno

Celebre film dalla immemore colonna sonora, targata Alan Silvestri, Forrest Gump (1994) è un capolavoro.

Nonostante abbia vinto un’ innumerevole quantità di premi (di ogni tipologia e anche in diversi anni), se c’è una cosa che il film è “riuscito” a fare – e nello stesso modo pochi altri – è darci una consapevolezza. Si parla di filosofia gumpiana, facendo riferimento all’atteggiamento di Forrest, un po’ ingenuo ma profondamente vero; la sua capacità di vivere il sogno americano senza neanche rendersene conto ha incantato milioni di spettatori ed emozionato intere generazioni.

Stupido è chi lo stupido fa

Considerato un “sempliciotto” e un “ragazzino sui generis”, Forrest prende la vita così come gli si presenta. Misurandole  in termini di intelligenza – come si è soliti fare attualmente – le capacità del ragazzo sono minime; un ragazzo un po’ speciale «con dei limiti».

Ma siamo sicuri che quelli fossero realmente dei limiti?

Forrest e Jenny da piccoli – Fonte: artspecialday.com

Forse quella di Forrest è una capacità straordinaria: riuscire ad isolarsi dalle cose che – per lui – non sono importanti per poter arrivare a ciò che invece è essenziale.

E di cosa si potrebbe trattare se non di amore e famiglia, celati dietro i personaggi di Jenny (Robin Wright) e della mamma (Sally Field)? Sembra banale, ma non lo è.

Forrest è sincero, forse è la parte più sincera celata in ognuno di noi; sincero ma determinato. Non è influenzabile, ma indirettamente influenza chi gli sta accanto (e noi che siamo dietro uno schermo anni dopo).

Non sono un uomo intelligente ma so l’amore che significa.

Mamma diceva sempre: devi gettare il passato dietro di te prima di andare avanti

L’ingenuità di Forrest che crede ed esegue – letteralmente – quello che gli viene detto è un masterpiece firmato dal regista Robert Zemeckis (il soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Winston Groom) ed interpretato da Tom Hanks. La bravura di un attore (pluripremiato anche grazie a questo film) che riesce a rendersi semplice ma non scontato.

La storia e la fotografia ci portano nell’America a cavallo tra anni ’40 e ’80, apparentemente senza niente di speciale, e raccontata da una semplice panchina dal nostro protagonista: Forrest Gump, che ha conosciuto i nomi più importanti degli Stati Uniti del 20esimo secolo; lui così semplice ma così indelebile, con estrema semplicità racconta la sua storia. La racconta a persone che neanche conosce (e che potremmo essere noi) e senza pretese ci fa immergere in un flashback di ricordi: ordinati e nitidi.

Gump che corre, fonte: pluggedin.com

Un susseguirsi di scene ci fanno vedere il bambino dello scuolabus che crescerà fino ad andare alla Casa Bianca, il giovane addestrato per la guerra nel Vietnam che finisce a fare l’imprenditore di barche per gamberi; una serie di cose che sembrano sconnesse tra loro, anche se in realtà il fil rouge c’è: mantenere le promesse fatte. Tutto ciò che succede sembra essere stato una conseguenza dell’aver rispettato i desideri e le richieste altrui: a Bubba (soprannome di un suo commilitone e amico, interpretato da Mykelti Willianson) alla mamma non importa, per Forrest sono tutti uguali; e questo involontariamente gli permette di uscire vittorioso dalle situazioni, anche dalle peggiori.

Semplicemente prendersi cura degli altri, incredibile.

Mi manchi tanto, Jenny! Se hai bisogno di qualcosa non sarò molto lontano

La storia d’amore tra due giovani americani che si conoscono a scuola sembra essere un must have di ogni film; qui però è molto diversa. Mentre Forrest corre (letteralmente) per raggiungere i suoi obiettivi Jenny sembra fare di tutto per autodistruggersi.

Ogni loro incontro si conclude con un arrivederci, Forrest la lascia andare via senza rabbia o orgoglio: se lei ha detto così è così che deve essere. Non è accondiscendenza, bensì rispetto. La semplicità e l’intelligenza sembrano essere indissolubili e l’animo di Gump che adesso è più ferito che mai, è talmente nobile da permettergli di accettare e – con molta più intelligenza di altri dal QI elevato – di andare avanti.

Forrest che saluta Jenny, fonte: pinterest.it

Quando raggiungerà la felicità con la donna che ha sempre amato sarà messo a dura prova ma ancora una volta avrà il coraggio di avere rispetto. E noi siamo lì con lui, sotto quell’albero a darci una giustificazione per ciò che è successo:

 non lo so… se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza… ma io… io credo… Può darsi le due cose. Forse le due cose capitano nello stesso momento.

Mamma diceva sempre: la vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita!

Forrest, la tua mamma aveva ragione. La profondità di questo film emoziona e l’imprevedibilità degli eventi che narra forse spaventa un po’.

È un film cult che ha fatto la storia e che ha educato generazioni. Senza nessuna remora possiamo dire che Forrest correva leggero, dando peso solo alle cose importanti e riusciva ugualmente a rendersi conto della bellezza del mondo: da una racchetta di ping pong a dei gamberi, tutto era fonte di stupore.

Forrest e la sua scatola di cioccolatini, fonte: edizionideste.it

L’“ingenuità” di un ragazzo con deficit intellettivo si accompagna alla capacità di saper prendere decisioni e di farlo in modo assolutamente originale. Ci insegna a ripartire e a fermarci; in questo mondo ormai sempre più caotico, forse anche a darci un po’ di tregua senza troppe spiegazioni:

Sono un po’ stanchino. Credo che tornerò a casa ora.

Barbara Granata