NextGenerationMe: Tonino Alessi, tra chimica e pasticceria

Eccoci nuovamente con  la rubrica “NextGenerationMe”. Entriamo per la prima volta nel mondo del food blogging e della pasticceria con Tonino Alessi, messinese classe ’95 originario di Faro superiore.

Dopo aver ottenuto il diploma scientifico presso il Liceo Scientifico “Archimede”, si è laureato in “Ingegneria industriale” -curriculum “chimica e materiali”- presso l’Università degli Studi di Messina.

La sua più grande passione è senza dubbio la cucina, che studia da autodidatta e spera possa diventare presto la sua professione. Alla cucina è dedicato il suo profilo instagram @incucinacoltony, dove posta le sue creazioni.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Tonino per conoscerlo meglio.

Se dovessi scegliere un aggettivo che ti descriva al meglio, quale sarebbe? 

Bella domanda, anche se un pò complicata. Posso dirti di essere una persona molta curiosa. Tendo sempre a voler conoscere qualcosa di nuovo ed è una caratteristica che mi aiuta molto anche quando mi approccio alla cucina; l’idea è quella di migliorare e la curiosità mi spinge sempre ad andare avanti, ad ampliare conoscenze e competenze. Quindi se dovessi scegliere un solo aggettivo direi “curioso”.

Quando è nata la passione per la cucina, quando è scoccata la scintilla? 

Non c’è stata una vera e propria scintilla o un episodio specifico, è stato un percorso graduale. A 21 anni ero arrivato a pesare 127 kg. Ho sempre avuto parecchi problemi alimentari, sfogavo paure e timori classici dell’adolescenza, sul cibo. Questo mi aveva portato a mangiare in maniera ossessiva ed, ovviamente, ad una qualità della vita bassa sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Un giorno ho deciso di rivolgermi ad un medico specializzato in nutrizione; complice il fatto che studiassi chimica ho avuto modo di conoscere e capire il funzionamento vero e proprio che il cibo ha sul nostro corpo. Mentre imparavo a cucinare i piatti che servivano al mio nuovo percorso alimentare, studiavo gli ingredienti e le loro proprietà e così sono passato dall’informarmi su internet all’acquisto di libri sempre più specifici e tecnici, finchè non mi sono reso conto che la cucina, in breve tempo, era diventata il centro dei miei interessi.

Poi mi sono avvicinato alla pasticceria e non credo sia un caso; prima di dimagrire ero molto goloso di dolci ed è come se da quella passione malsana ne fosse nata un’altra del tutto positiva.

In che modo la tua formazione accademica ha influenzato il tuo nuovo percorso?

La mia formazione universitaria ha giocato un ruolo importante. Quando fai pasticceria, infatti, hai un approccio più scientifico, perchè sei consapevole del fatto che gli ingredienti base utilizzati non sono poi così tanti; devi capire che unendo e trattando questi pochi ingredienti in modo diverso, ottieni risultati diversi, un pò come succede in chimica.

Di fatto, comprendere determinati fenomeni che avvengono tra molecole biologiche o molecole metalliche è più o meno la stessa cosa o, comunque, l’approccio o il metodo di studio è il medesimo. Così la mia passione ed i miei obiettivi si sono spostati gradualmente verso la pasticceria e la panificazione.

Oggi la cucina vive un periodo di grande esposizione mediatica, programmi come Masterchef che effetti hanno avuto sul settore? 

Secondo me  questa nuova veste mediatica della cucina nasce dalla volontà di alcuni ristoratori di investire sulla propria immagine pubblica; questo ha innescato un meccanismo, per il quale sia le grandi aziende che la televisione hanno percepito le potenzialità del prodotto ed hanno iniziato ad  investire su format culinari, per non parlare dei social.

Il settore ne ha beneficiato sicuramente ed oggi sempre più ragazzini hanno la  possibilità di appassionarsi alla cucina, anche se dietro a ciò che viene mostrato in tv ci sono sono ore di duro lavoro e grandi sacrifici.

Penso che ci sia un aspetto negativo per quanto riguarda i social, cioè la possibilità di creare un’immagine fuorviante, o non veritiera, tramite la preparazione di contenuti semplicemente ben confezionati e ottenere un grande successo senza che alla base ci sia una preparazione adeguata, ma non bisogna generalizzare. Io stesso, essendo all’inizio del percorso, sfrutto i social per farmi conoscere, ma credo che un percorso più graduale e solido alla fine possa fare la differenza.

Che progetti  hai e cosa pensi ci sia nel tuo futuro?

Anni fa ho fatto una scelta importante ovvero quella di non proseguire il percorso universitario per seguire il forte impulso che avevo verso la cucina e non me ne pento. Oggi sono alla ricerca di un lavoro che possa permettermi di compiere gli step successivi nel mio percorso in cucina e, nel frattempo, voglio continuare a migliorare e far crescere i miei profili social per farmi conoscere.

Il mio obiettivo più a lungo termine è iscrivermi ad una scuola di pasticceria che mi possa dare le competenze  necessarie a trasformare la mia passione in professione e sono convinto che passo dopo passo io possa riuscirci.

Ciao Tonino, ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato.

Grazie a voi, a presto!

 

Emanuele Paleologo

 

Tonino sui social:

instagram.com/incucinacoltony/

facebook.com/tonino.alessi

linkedin.com/

Le esperienze di Tonino:

20/01/2017 Ospitata Youtube nel canale “AlidaTeenchef” condotto da Alida Gotta(ex concorrente Masterchef)

04/11/2018 Lezione di cucina “Sous vide e cottura a bassa temperatura” presso Accademia FoodLab (TO)

28/11/2018  Serata di premiazione contest organizzato da Fuudly e Altroconsumo presso Sonia Factory (MI)

24/03/2019 FICO Social Tour organizzato dal Consorzio Mortadella Bologna IGPcon Sonia Peronaci

28/06/2019: Corso su “BarbecueFood” con Denise Delli(ex concorrente Masterchef)

11/01/2020 Trial lesson di pasticceria moderna con Luca Perego (@lucake) presso Congusto Gourmet Institute

07/2020 – OGGIOspitate su Cusano Italia TVnel programma streaming “A CASA E IN FORMA”

 

 

 

 

Power You Digital – prorogati i termini di partecipazione

L’Università di Messina in collaborazione con ManpowerGroup ha avviato il progetto di orientamento al lavoro e allo sviluppo delle Soft Skills “Power YOU DigiTal”.

Possono partecipare gli studenti Unime regolarmente iscritti all’ultimo anno accademico di un corso magistrale o a ciclo unico e in regola con il pagamento delle tasse per l’A.A. 2019/20.

 

 

 

  • E’ previsto un numero massimo di 1000 partecipanti, scelti secondo l’ordine di presentazione delle candidature ed il possesso dei requisiti.
  • Il percorso prevede una giornata di formazione in aula tra febbraio e marzo 2020, e un’attività on-line a partire dal 1 aprile e entro il 31 luglio 2020.
  • L’obiettivo è fornire agli studenti una preparazione adeguata per la transizione e l’ingresso nel mondo del lavoro.

Il percorso permetterà infatti di mettere in evidenza i propri punti di forza e curare la propria immagine professionale,valorizzando le proprie capacità relative all’utilizzo professionale delle piattaforme social.

 

I primi tre classificati al Game “Power You DigiTal”, oltre a ricevere il diploma, parteciperanno a selezioni di personale presso le sedi Manpower e svolgeranno tirocinio extracurriculare retribuito presso aziende nazionali individuate da Manpower Group.

 

Inoltre, il portale www.powerudigital.com permetterà ai giovani studenti di imparare formandosi e apprendendo le 8 competenze chiave delineate dalla Commissione Europea per integrare la formazione scolastica con le competenze richieste dal lavoro.

 

Le 8 competenze saranno certificate attraverso un percorso a tappe con mini test per ciascuna delle competenze.

  • L’open badge consentirà ai partecipanti di condividere le certificazioni ottenute in rete, sui profili social e sul proprio cv digitale.
  • I termini di presentazione della propria candidatura (da effettuare collegandosi alla sezione Bandi della propria area personale ESSE3) sono stati prorogati al 21 febbraio 2020, ore 12,30.

 

Link bando: https://www.unime.it/it/node/126303

 

Antonio Mulone

Karma City: forse, il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…

Giovedì 18 aprile 2019. Messina. Viale Giuseppe Garibaldi, 56. La Gilda dei Narratori.  Massimo Bisotti ha presentato il suo nuovo romanzo: Karma City. L’autore romano ha cambiato anche editore, seguendo il suo editor, Carlo Carabba, che nei mesi scorsi ha lasciato Mondadori per HarperCollins Italia: infatti il romanzo esce per la divisione italiana della casa editrice americana.

Bisotti, autore molto popolare sui social e con un buon seguito di lettrici e lettori, ha esordito nel mondo letterario nel 2010 con Foto/grammi dell’anima – Libere [im]perfezioni, un insieme di racconti fiabeschi che finiscono sempre con una morale. Ha iniziato a scrivere perché le parole rimarginassero le ferite e si chiudessero in cicatrici, ma prima di diventare famoso, grazie al romanzo La luna blu – Il percorso inverso dei sogni, che ha venduto più di venti mila copie, si promuoveva da solo pubblicando i suoi scritti su Facebook.

Ma veniamo alla trama di Karma city: uno straordinario romanzo capace di raccontare il mondo di oggi e quanto di unico è nascosto nelle profondità del cuore umano.

Otto personaggi, tra i venticinque e i quarant’anni, ognuno di loro con una sua storia particolare. Ma tutti e otto accomunati da un unico fattore: sono insoddisfatti della loro vita. Ed è per questo che accettano la proposta, offertagli da uno psicologo conosciuto online, di abbandonare la loro esistenza quotidiana e trasferirsi su un’isola che sembra offrire loro la possibilità di ripartire da zero. Un luogo bellissimo e appartato, lontano dalla confusione del mondo, in cui si può decidere se lavorare o vivere di rendita, in riva al mare ma con luoghi che riportano l’anima in contatto con la sua parte più vera. Passano i mesi e si creano legami, amori, amicizie profonde. Ma brividi e dinamiche scuotono il gruppo che si è venuto a formare. Forse, il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…

Non vi resta che leggerlo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Alla ricerca del tempo perduto

Era il giugno scorso quando il signor Tim Cook ci ha sbattuto in faccia una realtà: <<Le persone stanno troppo tempo davanti allo smartphone>>.

E così meno di tre mesi fa è arrivata sui telefonini di casa Apple la funzione Tempo di utilizzo che informa gli utenti su quanto effettivamente stanno davanti allo schermo di un telefono. Anche la fazione Android si sta, ovviamente, mettendo al passo con la causa sociale avviata da Cupertino e le stesse App figlie di Mark Zuckerberg oggi danno la possibilità di vedere quante ore – perché di ore si parla- si sta attivamente al centro delle piazze virtuali con l’accessoria opportunità di impostare un timer giornaliero che avvisi il social addicted quando sta sforando il tempo da lui stesso prestabilito.

Insomma, se volessimo fare un parallelismo con il mondo alimentare, i signori del web sono passati da essere distributori di junk food a nutrizionisti. Ed ora ci propongono di metterci a dieta.

Una dieta da connessione.
Ma è veramente possibile? Quanto può essere possibile scollegarsi?
Privarsi di una connessione, di essere in rete. Quella stessa rete che, appunto, ci fa sentire parte di qualcosa. E quando ti disconnetti, se è davvero possibile farlo, come fai a non pagare le conseguenze di non essere parte di quel qualcosa?

Però, intanto, un giorno tutti siamo stati messi davanti a quei dati.
3,5 h su Instagram, 2h su Whatsapp, 1h su Facebook, 30 min su YouTube per un totale di… 10/12h di utilizzo di un solo dispositivo, ovvero quasi la totalità delle ore di cui disponiamo in una giornata.

E quindi c’è da chiedersi: quel qualcosa, quella rete, è davvero esterno a noi o ormai è diventato un’estensione di noi stessi?
Ogni momento, ogni singolo momento vuoto lo riempiamo con quel piccolo dispenser formato 5-6 pollici  di autostima, compagnia, felicità, conoscenza.

E quindi la domanda, che almeno a noi, è venuta spontanea è stata

Come riempivamo prima quei momenti
Dove è andato a finire quel tempo? È forse perso?

Cosa facevamo la mattina, appena svegli, senza connetterci con il mondo.

Una connessione con il mondo non fatta semplicemente di notizie, ma di aggiornamenti provenienti dalla nostra sfera di amici, follower, conoscenti, sconosciuti. Insomma, più che notizie, futilità. Futilità buone, d’altronde non di solo pane vive e ha vissuto l’uomo, ma anche di momenti di pura inutilità.

Post, foto, video, contenuti altrui che spesso ci strappano gocce di reazioni, emozioni e comportamenti contrastanti: un sorriso, felicità, commozione, invidia, gelosia… STALKING (quello buono, più o meno, che tutti facciamo), verso chi già conosciamo e verso chi vorremmo conoscere.
Ebbene, soffermiamoci su questo punto che, tra l’altro, ci sembra un po’ riassumere l’amore ai tempi del web 2.0.
Quante volte ci capita di arrivare ad un appuntamento e avere l’impressione di sapere già tutto di quella persona. Sentire di aver perso la cognizione del primo incontro, il vedo non vedo dell’amore.
Vedere quel volto che da foto diventa persona, e non più viceversa, ci ha forse fatto un po’ perdere lo stupore per lasciare spazio alla sicurezza.
Le piattaforme social, così come il web in generale, colmano le nostre conoscenze e le nostre mancanze. Abbiamo bisogno di fare lo screening totale della persona che ci troveremo davanti per non arrivare impreparati al mondo reale.
Il nostro smartphone è una piccola medicina che prendiamo ogni momento.
Più che medicina, placebo. Ci illudiamo che il mondo ideale possa essere più accogliente, perfetto, una coccola gratuita per ogni nostro calo di autostima e soddisfazione. Plasmiamo un mondo ideale che rendiamo reale virtualmente, lo viviamo, lo condividiamo, lo accresciamo – anche a pagamento – per avere approvazione e poi ci troviamo insoddisfatti, soli, delusi quando scopriamo che quel mondo, forse, non è poi così reale.
E allora quelle ore, il nostro tempo di utilizzo, perché non impiegarlo in un tempo nuovo – di nuovo – da utilizzare per riscoprire il reale e, senza cadere in inutili banalismi, renderci migliori concretamente, senza filtri. Per ricevere approvazione reale, e non attraverso facili e veloci likes.
Forse dovremmo reimparare a vivere – senza disconnetterci , per carità – ma ricollengandoci con noi stessi, i veri noi, e riprenderci un po’ di tempo perduto alla volta.

Mattia Castano, Martina Galletta

Scontro sui vaccini: riflessioni di uno studente di medicina

Salvini, paura e populismo: non è il metodo Burioni che salverà i bambini italiani.

L’ultima entrata in scivolata contro il mondo dei vaccini risponde al nome del neoeletto Ministro degli Interni Matteo Salvini. Non è stata la prima “frase accalappia voti” e non sarà l’ultima sull’argomento. Ma nella disputa pro-vax vs no-vax, chi è davvero il peggior interlocutore?

E’ ormai da circa vent’anni che dilaga a macchia d’olio la paura del vaccino. Se prima rimaneva confinata tra mura domestiche, come un tarlo si insinuava nei genitori e ne nascevano discussioni più o meno convinte, da pochi mesi a questa parte l’argomento ha assunto dimensioni inimmaginabili.

Pochi comprendono il funzionamento di questa conquista scientifica, o che almeno era considerata tale quando ancora amici e parenti morivano di poliomelite, pertosse, morbillo e meningite. 

Si sa, noi italiani, siamo appassionati di storia solo quando si tratta di elencare i pregi del periodo fascista o quando elenchiamo tutti i goal segnati dalla squadra del cuore (sì, è una frase qualunquista, ma sfido chiunque a sfatarla).

La maggior parte ignora quanto il vaccino abbia fatto per i propri nonni, genitori, e connazionali. Ignoriamo, cioè, la storia dei vaccini, le personalità che vi hanno dedicato la vita, e ancor meno conosciamo la storia di chi ha avviato la lotta ai vaccini: Andrew Wakefield. E’ questo il nome del medico inglese che nel 1998 pubblicò uno studio in cui associava le infiammazioni intestinali all’autismo,  riferendo inoltre che alcuni dei bambini affetti da autismo avevano sviluppato i sintomi dopo la somministrazione del vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia (Mpr). 

La ricerca, pubblicata sul rinomato Lancet, concludeva dichiarando espressamente che non era ancora dimostrabile alcun legame tra vaccinazioni e sintomi manifestati in quei bambini. Tuttavia lo stesso Wakefield organizzò varie conferenze nelle quali sosteneva che tale legame fosse probabile, generando il panico generalizzato. La soluzione sarebbe stata quella di una somministrazione monovalente per i vari virus del trivalente, che però ancora non esisteva. Anzi, fuori il coniglio dal cappello! L’aveva appena brevettata!

Che colpo di genio, che coincidenza! No. Ovviamente la ricerca era stata falsata, mancavano i casi-controllo, alcuni reperti istologici erano stati manomessi, e venne anche fuori che la ricerca era stata commissionata da un avvocato che voleva intentare una causa miliardaria contro la casa di produzione del suddetto vaccino. Insomma, i no-vax lottano contro l’economia delle case farmaceutiche abbindolati proprio da chi era pronto ad intentare una truffa sulla salute della popolazione mondiale.

Il dubbio è da sempre linfa per l’uomo, perché conduce ad una ricerca che a sua volta porta al superamento di un limite, ad una conoscenza maggiore, all’acquisizione di un vantaggio evolutivo. Ma un dubbio non supportato da un metodo scientifico, può diventare qualunque cosa. E quando più persone con lo stesso dubbio e con la stessa mancanza di senso critico si incontrano, rafforzano le proprie convinzioni, il dubbio diventa paura. La paura alimenta se stessa, attecchisce senza destare sospetto. E quando la paura dilaga allora è utile strumentalizzarla, perché porta consenso. Da qui il suo sfruttamento dai vari politici di turno.

Viene montata ad hoc la guerra “popolo” contro “èlite”, dove èlite è chiunque faccia parte di un mondo visto inaccessibile, difficile, fatto di competenza, di dati, di razionalità; popolo è chi rifiuta l’esperto, chi si fida delle sensazioni, chi trova risposte semplici a problemi complessi. Ogni volta che un esperto si esprime, c’è una parte di paese che lo avverte come nemico, perché dati, prove e dimostrazioni negano propri i sentimenti. Perché la tua analisi dovrebbe valere di più di quello che io provo?

Ecco come medici, chimici, farmacisti, biologi, sono diventati bersaglio di biasimo, di rabbia da parte dell’opinione pubblica fino ad essere tacciati per servi del potere.

Fino ad oggi, lo staff medico ha combattuto questa guerra con le stesse armi degli oppositori, guerra combattuta nella piazza più grande e più complessa che esista: i social network. Allo scettico si è risposto con l’indisponenza, al dubbioso si è risposto con la superbia, alla “mamma informata” si è risposto con la derisione. Ecco perché il Dottor Burioni sbaglia, e con lui i suoi sostenitori. Il virologo marchigiano è probabilmente l’influencer pro-vax più conosciuto d’Italia, il punto di riferimento sui social per la fetta di utenti concordi con le sue idee e che rivedono in lui un porto sicuro quando, fuori, la tempesta no-vax inghiotte le navi solitarie. La preda perfetta per tutti gli hater, complottisti e no-vax che sotto ogni suo post scatenano le proprie battaglie. L’atteggiamento da lui assunto nel rispondere a tali critiche, che più spesso sono insulti, è comprensibile, ma del tutto inefficace. 

Ad esempio: se il signor Cocco Meningo sostiene di non voler vaccinare il proprio bambino per aver letto su www.ivaccinisonounatruffadellecasefarmaceutiche.org che il vaccino “x” causa la malattia “y” è sicuramente poco e male informato. Rispondergli che non capisce nulla, che “la scienza non è democratica”, che “dovrebbe studiare prima di aprir bocca” non farà altro che rafforzare nel signor Meningo la propria idea, aizzerà la rabbia sua e di chi la pensa come lui, a subirne le conseguenze sarà suo figlio che non verrà vaccinato.

Non basta, Dottor Burioni, riportare in interminabili post le prove dell’utilità dei vaccini, ciò che comporta il loro inutilizzo, i link delle fonti scientifiche da cui ha attinto, perché è pane solo per chi ha i “denti” del senso critico, della conoscenza della materia. Per tutta la restante popolazione, la maggioranza, il suo modus operandi non è commestibile, è benzina sul fuoco, parole che non verranno mai lette e comprese, coperte immediatamente dalla rabbia di chi ha paura e si sente preso in giro pubblicamente. 

La vera soluzione sta nel rivedere il rapporto umano che il medico, quello di base ed il pediatra in primis, e in generale tutti i membri dello staff sanitario, devono instaurare con i pazienti ed i loro parenti. Oggi più che mai, il “rapporto umano” su cui si è costruita da sempre l’arte medica, deve trovare nuove vie per approcciare  chi ha paura e riconquistare la sua fiducia. La paura, l’ignoranza e la malattia sono cose intime: come si pensa di poterle sconfiggere sui social? Questi, semmai, possono tornare utili in un secondo momento, per eventuali approfondimenti, curiosità e confronti. Non possono e non devono essere la prima fonte di informazione, né sostituire la visita medica e il rapporto paziente-medico.

Oltre a ripartire da zero sul fronte del rapporto medico-paziente, occorre riorganizzare il fronte dell’istruzione, dalle scuole elementari alle superiori. Più che incentivare lo studio delle materie scientifiche, dovrebbe assumere primaria importanza l’acquisizione del metodo scientifico, del senso critico, di cosa vuol dire dimostrare una tesi, confutarla, costruire un esperimento, osservare e dedurre conclusioni. Un tipo di educazione che stimoli non a contenere informazioni, bensì  alla critica, alla creatività all’elaborazione attiva di ciò che si impara.

Il medico oggi deve accettare la realtà in cui è obbligato ad operare, non combatterla. Solo scendendo a patti con se stesso e con il paziente potrà rieducarlo. Non può più contare sull’autorità che un tempo il camice bianco conferiva a chi lo indossava: deve costruire il rapporto persona per persona, parola per parola, solo allora acquisterà un peso sostanziale ed un raggio di azione che il medico formale non ha mai avuto.

Antonio Nuccio

L’amore ai tempi del tram

Nel 21 secolo l’amore ha preso casa nei social network. Le richieste d’amicizia su Facebook hanno finito per sostituire la presentazione faccia a faccia, il primo passo è un like sulle foto di Instagram e si finisce per lasciarsi per un ultimo accesso di Whatsapp.

In tutto ciò ci siamo noi, giovani in balia di tutti questi social che si sovrappongono tra di loro, presi da notizie, fake news e soprattutto meme di serie tv che guardiamo quando dovremmo studiare.

Così, un mattino, ricordi casualmente di dover andare a lezione all’università e prendi il tram (pieno e puzzolente, come sempre), indossi le tue cuffie e parte la solita playlist di Spotify che segue un ordine sconosciuto e che ti propone la solita canzone d’amore, solo che tu hai finito le tue 6 possibilità di cambiare canzone perciò ti arrendi, sposti finalmente gli occhi dal cellulare e … “tra rose e fior nasce l’amor

È così facile innamorarsi di uno sconosciuto, chissà cosa avrebbe fatto Dante … Forse l’avrebbe stalkerata sui vari social inondandola di like, o forse avrebbe cominciato a pubblicare stories minatorie con canzoni, mare, libri, paesaggi che gli altri comuni mortali non avrebbero capito.

In fondo non sappiamo cosa avrebbe fatto Dante, ma sappiamo cosa ha fatto una ragazza a Milano.

AL RAGAZZO DEL TRAM. La notte del 9 maggio, sei sceso qui. Eravamo sul 33, occhi blu e orecchino. Mi hai lanciato un bacio. Dove sei. Mi trovi al Lume mercoledì 16

Di lei non si sa nulla, e altrettanto poco si sa sul misterioso ragazzo. Il biglietto è stato ritrovato in zona Città Studi, è  stata la giornalista e scrittrice Daniela Faggion a beccare il biglietto e a far crescere l’attenzione intorno alla storia.

E ora? L’appuntamento è stasera, mercoledì 16 maggio: i gestori del Lume hanno fatto sapere che c’è una prenotazione per due.

E se il ragazzo non dovesse presentarsi, dopo averle mandato un bacio, ma soprattutto dopo un biglietto così, io direi alla cara ragazza di non temere … sarà soltanto lo spunto per scriverci una nuova canzone sul 9 maggio.

Serena Votano

In esclusiva Carlo Freccero: “Unitevi, siate autentici, costruitevi la vostra identità”

Carlo Freccero, consigliere di amministrazione della Rai e già direttore di Rai2 e Rai4, è stato ospite d’onore alla Cerimonia di Consegna dei Diplomi, nella cornice del Teatro Antico di Taormina il 24 luglio. Freccero ha rivolto i suoi auguri ai neo laureati dell’Ateneo peloritano e prima di volare verso altri lidi, ci ha concesso una interessante intervista in cui abbiamo parlato di comunicazione, fake news e medium emergenti.

C’è in atto una manipolazione dei poteri forti sui medium emergenti, ad esempio la rete?

Assolutamente si, ma d’altra parte è normale, i media si rivolgono alle masse, a una moltitudine di persone,è connaturale in qualche modo che la manipolazione sia insita. Il problema è essere capaci di decriptarla, ed è questo il nostro compito: credo che la rete abbia tutti gli anticorpi per poter fare cose. È sempre un corpo a corpo con i medium, ricordatevelo, all’inizio essi sono delle fate, poi diventano delle streghe: è importante saper gestire e decifrare questa trasformazione.

Qual è il ruolo della televisione di Stato dei nativi digitali sempre di più attratti dai “new media”?

Domanda molto interessante, a me particolarmente vicina perché io ho creato Rai 4, la prima rete digitale, free (come voi ben sapete) rivolta ad un pubblico che non ha memoria storica della Rai, bensì si rivolge ai millennials, tant’è che abbiamo fatto in modo di programmare fantasy, sci-fi, fantascienza…

E Giulia le è grata perché una delle sue serie preferite è Doctor who ed in italia si vede solo su Rai 4!

Esattamente, sono io che l’ho importato, e a riguardo non vedo l’ora di vedere la nuova protagonista in azione. Benissimo, e proprio in questo modo la Rai ha il compito di rivolgersi a tutti i pubblici, con attenzione particolare verso i millennials (ndr tutti i nati tra il 1979 e il 2000). Insomma, è importante fornire un’offerta di fiction adeguata (che la fiction di Rai 1 non ha nulla a che vedere con la fiction dei millennials) e rinnovarsi sempre parallelamente alla crescita e all’evoluzione del pubblico.

Nell’era delle fake news, generata dalla rete, come può la televisione tradizionale acquisire maggiore credibilità rispetto al web?

Innanzitutto le fake news esistono da tempi immemori, ci sono sempre state. È vero che con il digitale l’immagine può essere corretta, completamente modificata anche, ed è una forma di realtà definitiva. Però c’è da dire che chi crea fake news generalmente ha il potere. È un discorso molto ampio, difficile da concentrare in un’intervista! (siete proprio arguti voi eh? * ridendo *). Quello che posso dire riguardo l’analisi dei media, adesso è fondamentale per creare un spettatore critico e consapevole, non più contemplativo ma che possa in qualche modo decriptare tutto quanto.

Qual è il consiglio che lei da ai giovani giornalisti o ai futuri fotoreporter? A chi vuole intraprendere una carriera nell’ambito della comunicazione di massa.

Come il vostro giornale è online, il digitale è l’ibridazione di tutti quanti i media, quando non esiste più una preminenza della stampa, della tv o della radio, tutti i media interagiscono ed è molto importante perché crea un universo unico. Penso, sfortunatamente, che il lavoro intellettuale è deprezzato, e chi vince è la firma, il testimonial. Credo sia fondamentale che voi creiate tra di voi delle cooperative e in qualche modo dare visibilità a notizie che i media mainstream (stampa, tv, ecc) non danno: tutto questo mondo è dominato dalle grandi firme, e poter dar voce a ciò che viene nascosto, che viene scartato per puri fini economici. Unitevi, siate autentici, costruitevi la vostra identità.

Giulia Greco, Alessio Gugliotta

Ai tempi dell’università (a)Social: Instagram.

Sicura è solo la morte, diceva mia nonna. Cara nonnina, se tu ci fossi ora penseresti che siamo degli imbecilli (già lo pensavi all’epoca di MSN, quindi figurati).

Sicura è solo la morte… E gli studenti che procrastinano le loro giornate sui social. Quelli sono sicuri forse più dell’amica friz, là.

E qua subentriamo noi. In un momento di intesa riflessione shakespeariana, essere o non essere, dormire o non dormire, mangiare o mangiare fino a scoppiare, ci siamo chieste…

Facebook o Instagram? Questo è il problema.

Un problema davvero esistenziale (si vede che non ne abbiamo tanti di problemi, no?). Beh, guardiamo in faccia la realtà: è così.

Le nostre giornate di studio oscillano tra momenti di noia e dolore, con piccoli picchi di ‘’questa la pubblico su Instagram o su Facebook?’’

E, quindi, la vera domanda è: e TU, si tu, lettore di UniVersoMe… Che studente sei?

 

Lo Studente su Instagram:

  • L’instagrammer ‘’Solo Nature Morte’’

Questa è una delle categorie più atroci che descriveremo.

L’instagrammer “solo nature morte” vive in diretta streaming manco fosse al Grande Fratello speciale Università. Il suo profilo instagram è costantemente aggiornato; Foto, foto, foto e ancora foto ovunque e comunque. Se vi dicessi che il soggetto in questione vive costantemente con lo smartphone in mano, sarei banale (chi di noi non lo fa, dai.. su)

La sua particolarità, però, è quella di tenere sempre attiva la fotocamera. La mattina si sveglia? Foto del libro accanto alla tazza di premuta d’arancia. SCATTATO E POSTATO. Deve dare un esame? Foto del prima e del dopo al libretto (Anche qui… Scattato e Postato) Arriva in facoltà? Foto di sedie, banchi, penne, matite, cattedra e professore.. #LessonTime.

Si, perché gli hashtag sono forse la parte peggiore. Rigorosamente in inglese giusto per sentirsi un po’ più vicini ai colleghi di Oxford, che poi vorrei proprio vederlo uno che ad Oxford utilizza un hashtag del genere (Amici di Oxford vi lanciamo una sfida. Tutti con l’hashtag #ItaliansDoItBetter)

Il posto preferito degli Instagrammer “solo nature morte”? Senza dubbio le biblioteche, il miglior punto di ritrovo per gli scatti da 30 e lode.

  • L’influencer instastories compulsivo

Dai, ammettiamolo: a chi di noi non è piaciuta l’idea delle InstaStories? Quando MARK ZUCKENBERG, sempre il solito simpaticone, ha aggiornato l’app ha fatto un passo in avanti verso la nostra completa rovina (sono quasi sicura che faccia parte di un complotto internazionale per lavarci il cervello a tutti).

 

Da quel momento le persone si sono divise: chi ha continuato a postare in tranquillità e chi ha iniziato ad avere l’InstaStory compulsiva.

E qua entriamo in gioco noi studenti: similmente all’amichetto del punto 1, lo studente ossessionato dalle InstaStories mostra ogni singolo minuto della sua giornata di studio.

Autoproclamandosi regina delle celebrità (no bella, no magnifica MA senza pietà per noialtri), lo studente influencer ci rende perennemente aggiornati dei suoi spostamenti.

 

Non solo: fa l’update come le app. Si aggiorna. Prima erano solo video o foto di lui a lezione/mentre studia/ in biblioteca/ #pausacacca! Poi sono subentrati gli effetti. E i Boomerang. E i video da lontano che tanto c’è l’opzione senza mani (manco fossimo alle giostre). E gli adesivi. E gli adesivi con la posizione. E gli adesivi con l’orario. MA BASTA MARK TI PREGO ABBI PIETA’.

 

Speriamo solo che le sue conoscenze non si eliminino dopo 24h come le sue amate storie, sennò mi sa che finisce a #18&sto.

  • Il Chiara Ferragni dei Poveri

Ah meraviglia. Loro non sono studenti, sono degli sculati. VE LO GIURO. Sono i nostri Chiara Ferragni: viaggiano, ogni notte fanno serata, si rilassano con lo shopping e #Sushino?, che non guasta mai.

 

Che tu guardi i loro post e ti chiedi: MA COME CAZZO FAI, AMICO?

Sui loro profili l’università non è esistente, zero. Solo nuovi outfit, nuovi piatti, nuovi luoghi con #landascape da sogno. Ma PERCHE’?

 

Eppure studiano, vengono a lezione. Come lo sai? Perché LI VEDI. Cavolo, sempre abbronzati e rilassati, pronti per il prossimo hashtag, mentre tu fai schifo e ti sei ridotto come un verme insonne che dalla vita non ha niente.

 

ChiarE Ferragni: vogliamo sapere il vostro segreto. VI PREGHIAMO. Rendereste la nostra vita migliore.

 

  • L’incoerente

Avete presente quello che “no, le Nike le odio”, e poi le compra. “No, io a quella festa? Mai” e poi ci va. “No, io con quella non ci uscirei mai” e poi ci si fidanza (vabbè, diciamo che questo nei film succede tipo sempre)

 

L’incoerente è incoerente sempre, ma anche e soprattutto sui social. Odia e percula tutti quelli che ne fanno un utilizzo spropositato “Compà, cazzo ti posti?”. Finge di essere completamente disinteressato all’universo di like e commenti, si perché FINGE.

 

Prova particolare ribrezzo per coloro i quali sputtanano l’#UniversityLife su Instagram. Ma, ve l’ho già detto… FINGONO, FINGONO SEMPRE.

Con un po’ di attenzione riuscirete a scovare la loro reale ma segreta passione.

 

L’incoerente ha iniziato a seguire Università degli Studi di Messina, UniVersoMe, Vita Universitaria e Lo Studente Modello (con tutte foto di studenti a petto nudo in passerella) L’incoerente ha messo “mi piace” a una foto di Pietro Navarra. Ha lasciato un commento su una foto di “Studenti Disperati”… “Chi non si dispera non piglia CFU” ha scritto…

 

Poi si laurea e… Corone d’alloro, tesi di laurea, torte, champagne e regali. #AdMaiora. No… #AdFanculo.

 

“Ma io uso di più Facebook”… Non ti preoccupare, caro lettore. Arriverà anche il tuo momento, basta che aspetti la prossima settimana.

@elegram18  ( Elena Anna Andronico)

@vanemuna ( Vanessa Munaò)