Con l’app DreamLab diventi parte attiva nella lotta contro il cancro (mentre dormi)

L’estate è ormai iniziata da molto, almeno secondo il calendario, la sessione estiva è terminata da poco e, che sia andata bene o male, ormai le vacanze sono vicine anche per i più stacanovisti (o comunque così si spera). Le giornate saranno lunghe e dominate, finalmente, da relax, mare, sole e granite, intervallate da lunghe dormite dopo notti brave. E se anche mentre dormiamo potessimo “pigliare pesci”? O comunque, se anche durante la nullafacenza potessimo produrre qualcosa di utile? Beh questo si può fare, e non sto parlando di una canna da pesca automatica per pescatori narcolettici (anche se ammetto che potrebbe essere una svolta per il mercato ittico).

Tutto ciò che serve è il nostro smartphone, un caricabatterie, l’app DreamLab e qualche buona ora di sonno. L’app in questione, sviluppata in comunione da AIRC e da Fondazione Vodafone, trasforma il nostro telefono in uno strumento virtuoso, capace di accelerare la ricerca sul cancro. Dopo aver scaricato l’app, totalmente gratuita, e aver collegato il telefono al caricabatterie, basterà attivare DreamLab per far sì che la potenza di elaborazione dello smartphone sia messa a disposizione della ricerca, in modo da velocizzare i complicatissimi calcoli che sono sempre necessari al giorno d’oggi per gli studi oncologici. Fondazione Vodafone ha già lanciato l’app nel Regno Unito, in Australia e in Nuova Zelanda, e in Italia ha messo l’app al servizio del progetto Genoma in 3D di IFOM, l’Istituto FIRC per l’oncologia molecolare.

Tanto vale approfittare, quindi, delle ore di inutilizzo dello smartphone e mettere in funzione la sua capacità di calcolo per uno scopo virtuoso. Quando lo smartphone è inutilizzato e collegato alla rete elettrica, l’app scarica piccoli pacchetti di dati, li elabora e li invia ai ricercatori. Così, contribuisce a indagare in modo analitico la struttura tridimensionale del Dna nel nucleo cellulare. Quello che una macchina con processore a otto core attiva 24 ore su 24 può fare in 600 giorni, mille smartphone attivi per sei ore a notte lo fanno in circa 20. Trenta volte in meno.

Come spiega Francesco Ferrari, a capo del progetto di ricerca e responsabile del laboratorio di genomica computazionale di IFOM, il progetto “Genoma in 3D” punta a caratterizzare in modo accurato la struttura tridimensionale del DNA. Finora la maggior parte della ricerca molecolare sul cancro si è concentrata sulle mutazioni che riguardano la porzione di DNA codificante per delle proteine particolari, ossia quelle che permettono o bloccano la replicazione cellulare. I geni che codificano per queste proteine infatti, se mutati, causano la proliferazione incontrollata delle cellule, quindi la neoplasia. Questa porzione, però, rappresenta solo una piccolissima parte del nostro DNA, circa il 2 per cento. Il restante 98 per cento contiene, tra le altre cose, “istruzioni” che servono a regolare se e quando i geni codificanti devono essere attivati, per fabbricare le rispettive proteine, e in che misura lo devono fare.

Ne consegue che capire il ruolo di queste regioni e come loro eventuali mutazioni influiscano sull’insorgenza e la progressione del cancro sia diventato di fondamentale importanza per la ricerca, essendo questo un mondo ancora quasi inesplorato. “Il fatto è” precisa Ferrari a AIRC “che all’interno del nucleo di una cellula i filamenti di DNA sono avvolti attorno a una serie di proteine e insieme a esse sono ripiegati in una specifica architettura in tre dimensioni che non è casuale, e anzi contribuisce a modulare la funzione delle regioni sia regolatorie sia codificanti.”

Matrice che rappresenta la struttura tridimensionale della cromatina

Per svolgere questo tipo di analisi servono strumenti bioinformatici e statistici molto potenti. È qui che entra in campo DreamLab. Più alto sarà infatti il numero di utilizzatori di smartphone che aderiranno al progetto, maggiore sarà la velocità di calcolo a disposizione dell’analisi dell’enorme quantità di dati sull’architettura 3D del DNA. L’applicazione è scaricabile gratuitamente per dispositivi Android e iOS. Sarà l’applicazione stessa a darci costantemente notizie riguardo la lotta contro il cancro e, in particolare, lo stato del progetto (ad oggi completato solo per il 4,24%), il numero di “dreamer” -utenti dell’app- (ad oggi solo 16,4 mila), e quanto noi stessi abbiamo contribuito nel nostro piccolo.

I risultati ci aiuteranno a interpretare il significato delle mutazioni nelle regioni non codificanti del genoma in pazienti con tumore” conclude Ferrari, sottolineando che all’inizio il progetto si concentrerà sul tumore del seno, uno dei più diffusi, per poi passare ad altri tipi di neoplasie come quelle del polmone e del pancreas.

Antonio Nuccio

Alla ricerca del tempo perduto

Era il giugno scorso quando il signor Tim Cook ci ha sbattuto in faccia una realtà: <<Le persone stanno troppo tempo davanti allo smartphone>>.

E così meno di tre mesi fa è arrivata sui telefonini di casa Apple la funzione Tempo di utilizzo che informa gli utenti su quanto effettivamente stanno davanti allo schermo di un telefono. Anche la fazione Android si sta, ovviamente, mettendo al passo con la causa sociale avviata da Cupertino e le stesse App figlie di Mark Zuckerberg oggi danno la possibilità di vedere quante ore – perché di ore si parla- si sta attivamente al centro delle piazze virtuali con l’accessoria opportunità di impostare un timer giornaliero che avvisi il social addicted quando sta sforando il tempo da lui stesso prestabilito.

Insomma, se volessimo fare un parallelismo con il mondo alimentare, i signori del web sono passati da essere distributori di junk food a nutrizionisti. Ed ora ci propongono di metterci a dieta.

Una dieta da connessione.
Ma è veramente possibile? Quanto può essere possibile scollegarsi?
Privarsi di una connessione, di essere in rete. Quella stessa rete che, appunto, ci fa sentire parte di qualcosa. E quando ti disconnetti, se è davvero possibile farlo, come fai a non pagare le conseguenze di non essere parte di quel qualcosa?

Però, intanto, un giorno tutti siamo stati messi davanti a quei dati.
3,5 h su Instagram, 2h su Whatsapp, 1h su Facebook, 30 min su YouTube per un totale di… 10/12h di utilizzo di un solo dispositivo, ovvero quasi la totalità delle ore di cui disponiamo in una giornata.

E quindi c’è da chiedersi: quel qualcosa, quella rete, è davvero esterno a noi o ormai è diventato un’estensione di noi stessi?
Ogni momento, ogni singolo momento vuoto lo riempiamo con quel piccolo dispenser formato 5-6 pollici  di autostima, compagnia, felicità, conoscenza.

E quindi la domanda, che almeno a noi, è venuta spontanea è stata

Come riempivamo prima quei momenti
Dove è andato a finire quel tempo? È forse perso?

Cosa facevamo la mattina, appena svegli, senza connetterci con il mondo.

Una connessione con il mondo non fatta semplicemente di notizie, ma di aggiornamenti provenienti dalla nostra sfera di amici, follower, conoscenti, sconosciuti. Insomma, più che notizie, futilità. Futilità buone, d’altronde non di solo pane vive e ha vissuto l’uomo, ma anche di momenti di pura inutilità.

Post, foto, video, contenuti altrui che spesso ci strappano gocce di reazioni, emozioni e comportamenti contrastanti: un sorriso, felicità, commozione, invidia, gelosia… STALKING (quello buono, più o meno, che tutti facciamo), verso chi già conosciamo e verso chi vorremmo conoscere.
Ebbene, soffermiamoci su questo punto che, tra l’altro, ci sembra un po’ riassumere l’amore ai tempi del web 2.0.
Quante volte ci capita di arrivare ad un appuntamento e avere l’impressione di sapere già tutto di quella persona. Sentire di aver perso la cognizione del primo incontro, il vedo non vedo dell’amore.
Vedere quel volto che da foto diventa persona, e non più viceversa, ci ha forse fatto un po’ perdere lo stupore per lasciare spazio alla sicurezza.
Le piattaforme social, così come il web in generale, colmano le nostre conoscenze e le nostre mancanze. Abbiamo bisogno di fare lo screening totale della persona che ci troveremo davanti per non arrivare impreparati al mondo reale.
Il nostro smartphone è una piccola medicina che prendiamo ogni momento.
Più che medicina, placebo. Ci illudiamo che il mondo ideale possa essere più accogliente, perfetto, una coccola gratuita per ogni nostro calo di autostima e soddisfazione. Plasmiamo un mondo ideale che rendiamo reale virtualmente, lo viviamo, lo condividiamo, lo accresciamo – anche a pagamento – per avere approvazione e poi ci troviamo insoddisfatti, soli, delusi quando scopriamo che quel mondo, forse, non è poi così reale.
E allora quelle ore, il nostro tempo di utilizzo, perché non impiegarlo in un tempo nuovo – di nuovo – da utilizzare per riscoprire il reale e, senza cadere in inutili banalismi, renderci migliori concretamente, senza filtri. Per ricevere approvazione reale, e non attraverso facili e veloci likes.
Forse dovremmo reimparare a vivere – senza disconnetterci , per carità – ma ricollengandoci con noi stessi, i veri noi, e riprenderci un po’ di tempo perduto alla volta.

Mattia Castano, Martina Galletta

My Cicero ed ATM, splendida combinazione. Peccato per la grammatica

sottomyciceroMessina si avvicina sempre di più alle altre grandi città italiane nel settore dei trasporti pubblici, finalmente i titoli di viaggio dell’ATM sono acquistabili anche da smartphone. Sembrano così lontani i tempi del minimo storico con una quindicina di Bus nel 2013, ormai le corse non vengono più saltate, girano per la città mezzi nuovi ed affidabili e quando si può si trova anche il tempo di istituire nuove corse o ripristinarne di vecchie.

Recentemente l’ATM ha presentato “Messina viaggia in smartphone”, informando la cittadinanza che è adesso possibile acquistare i biglietti per Bus e Trama tramite l’applicazione “myCicero”. Una volta scaricata, bisogna accedere alla sezione Trasporto e poi alla sezione Biglietteria, selezionare “Atm Messina”, e scegliere il biglietto più consono alle proprie esigenze e successivamente bisogna scegliere la modalità di pagamento ed il gioco è fatto. Non resta che obliterare il biglietto prima di salire a bordo premendo il pulsante Attiva presente nel titolo, oppure per i biglietti a corsa basta inquadrare il Qr-code presente sui pannelli informativi affissi sul mezzo.

MyciceroIn occasione della presentazione l’ATM ha anche rilasciato un video esplicativo per spiegare passo dopo passo come acquistare il biglietto con il proprio telefono. Ecco, questo è forse più simile ad un cortometraggio che non ad un tutorial di quelli che si trovano on-line. Poco accattivante per i ragazzi che sono rinomatamente molto intuitivi per quello che è il mondo delle applicazioni, ma di certo più che dettagliato per persone appartenenti a quelle generazioni che non sono propriamente nate con il telefonino in mano. A me in quanto Millennials però non è sfuggito un dettaglio più importante, un errore in una battuta di questa scena muta, precisamente quando la signora impreca “No! Ne ho perso UN’ALTRO”. Ecco, non è per fare il Paolo Sorrentino o il Tullio De Mauro della situazione, ma posto che le cose fondamentali sono la nascita, lo sviluppo e la resa di una idea, anche la comunicazione di questa è importante, no?

Comunque lodi e plausi per l’ATM che un passo dopo l’altro risale la china e ci da ogni giorno un motivo in più per rivalutare la nostra Messina…peccato per il video.

Alessio Gugliotta

E se Pokemon Go fosse fatto per l’Università?

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Avevo circa 10 anni, non di più. Me ne stavo nel sedile posteriore della macchina dei miei nonni, tutto stretto accanto al finestrino, schiacciato dai bagagli residui e da mia zia durante un viaggio Messina – Torino, passando per tratti dello stivale che “Autostrade per l’Italia” proprio scansate, e l’unica gioia, con 40 gradi fuori e 30 dentro, era il mio game boy color, o meglio, la cassetta che ci stava dentro. Quel Pokemon Diamante mi aveva fatto imprecare, festeggiare, piangere per la rabbia e divertire. Quello schermo senza luce interna mi costringeva a giocare e poi fermarmi nelle gallerie, in quell’auto, oppure a mettere in pausa quando sapevo che le batterie stavano ormai per esaurirsi. Se 10 anni fa mi avessero detto: “tra un po’ di tempo potrai giocare con i Pokemon dallo stesso apparecchio con cui telefoni”, avrei risposto, con la mia solita eleganza, “Siii dumani”, essendo proprietario di un modesto Motorola Turtle modello “carbone”, per farlo funzionare era necessario proprio incendiarlo.
Ragazzi, mi sono dovuto ricredere. Non solo adesso i Pokemon stanno nel mio smartphone, ma per catturarli non giro più per Lavandonia o Biancavilla, ma per il corso Cavour, via Garibaldi, il bagno di casa mia, il balcone e spio il vicino perchè c’era Zubat e della privacy onestamente chi se ne frega.
Pokemon Go è ufficialmente una droga, ci si mette con il cellulare puntato, gambe in spalle e si parte (i più eccentrici mettono anche il cappello al contrario che proprio Ash Ketchum chi?!): per catturarli tutti, ma davvero tutti, adesso si viaggia per palestre che sono luoghi reali, si portano i propri animali in centri ricovero adatti (ma perchè la mappa mi segna la statua di Padre Pio sulla circonvallazione come punto di cura?).
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C’è solo un problema: “Claudio ma me la vuoi dare una soddisfazione in questa vita infame e ti prendi sta laurea?”. C’è questo problema, la frase di mia madre che mi gira spesso in testa quando mi perdo ore con questi giochi. Dovrei dare esami, studiare ed invece no, cerco di unire l’utile al dilettevole, e mentre ripeto a casa giro con il telefono acceso e provo a vedere che trovo (Rattata vicino al tappeto vuol dirmi qualcosa o è solo coincidenza?) o in biblioteca o nei bar, mentre leggo, dove ho trovato un Pikachu nella granita fragola (ma che cazz) e un Magikarp nel gelato di un tizio che mi stava accanto (onestamente il cono mi sembrava di un aspetto strano, tipo lilla, forse un Pokemon così inutile si trovava in un gusto del genere perchè, sinceramente, lilla è una minchiata di gusto). Comunque, io propongo un compromesso: perchè non fare Pokemon Go anche con il mondo accademico? 
Seriamente, cioè, parliamone, immaginiamo che io cammini per via Palermo e trovi un appello regalato dell’esame di privato, mi metterei a catturarlo anche se avessi una gamba sola. Se passeggiando sulla litoranea vedessi un cfu selvatico i rapporti sociali finirebbero, prenderlo è l’unica cosa che conta. Girovagando per il viale San Martino, se mi spuntasse davanti un blocco di appunto di dottrine politiche, datemi una masterball che vi cambio anche il trattato di Maastricht così, no look, come fece Pirlo nel 2006. Non ne parliamo se poi nella via Tommaso Cannizzaro, a buffo, spuntasse un riassunto del libro di 1000 e più pagine quando mancano solo 10 giorni all’esame, lì inutile dirvelo, già ho preso i contatti per vendere il rene ed avere una pokeball infallibile.
Non si scherza, fate Pokemon Go con l’università, lo propongo davvero, altro che boom di donwload, saremmo tutti costantemente collegati. Il server down sarebbero un problema, ci toccherebbe studiare, ma insomma, l’importante, nella vita, è essere Charizard al momento giusto e mai, dico mai, Magikarp nel gusto lilla. Ora vado, il capo-palestra della Fiera di Messina ha certe responsabilità, quando divento quello del dipartimento di Scienze Politiche vi chiamo, anche se la vedo dura. Altro che acchiappali tutti, accettali tutti (i 18) è il mio nuovo motto. Dopo aver catturato Alakazam.
Claudio PaneBianco