Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: top o flop?

“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” (2021) non sarà al pari di film e romanzo, ma non così mediocre come tutti affermano – Voto UVM: 3/5

Dopo quaranta anni ritorna in scena Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino nella veste di una serie tv disponibile su Amazon Prime Video e Sky Q.

Il film e il libro hanno sconvolto varie generazioni, sono opere entrate a far della storia non solo del cinema, ma anche della società, quindi di tutti noi. Difatti raccontano la vera storia della protagonista Christiane F e del suo periodo buio  nella Berlino degli anni 70, tra droga, discoteche e primi amori col sottofondo musicale della voce indimenticabile di David Bowie.

La serie tv è approdata nella piattaforma streaming il 7 Maggio 2021 ed è il secondo adattamento del romanzo, uscito a puntate nel 1979 sulla rivista tedesca Stern. Questa nuova versione della storia di Christiane F. ha fatto subito parlare di sé, ma non è stata accolta in modo positivo né dalla critica e né dal pubblico. Per quale motivo? Cosa non ha funzionato? Ma soprattutto è davvero così mediocre questa produzione?

La protagonista Christiane F (Jana McKinnon) – IFonte: today.it

Noi, ragazzi dello zoo di Berlino (2021): tre ragioni per guardarla

Si imparava in maniera del tutto automatica che tutto quello che è permesso è terribilmente insulso e che tutto quello che è vietato è molto divertente.

Grande attesa e grandi spersanze si prospettavano, ma la serie non ha avuto la critica sperata: difatti, dopo meno di 24 ore, gli haters più accaniti, come fossero Zorro in prima linea col loro smartphone, si sono riversati sui social e hanno detto la loro: c’è chi ha elogiato la serie, chi l’ha definita una produzione da quattro soldi, c’era anche chi si era svegliato con la luna storta ed era spinto a demolire accompagnato più da un gusto personale che da reale senso critico. O forse, ancor meglio, la maggior  parte degli utenti ha seguito la massa dei pareri negativi.

Ma ora fermiamoci un attimo e immaginiamo: se la serie avesse avuto recensioni positive, gli utenti social l’avrebbero comunque criticata? Io credo di no. Ma voglio dire la mia: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (2021) a pieno neanche me, ma, analizzandola nei minimi dettagli, è un’opera che ha il suo perché . Per ben tre ragioni:

1) Si presenta allo spettatore in modo onirico, narra una realtà che non tutti noi possiamo capire se non la viviamo in prima persona o come testimoni diretti.  Come i suoi due “antenati” (film e romanzo), mostra alle nuove generazioni a cosa possa portare la droga e come pian piano possa distruggere non solo il proprio corpo ma anche l’anima.

2) Non c’è solo la storia di Christiane a 360 gradi, ma anche quella degli altri ragazzi. Nel film vediamo nello specifico solo il racconto della protagonista, mentre la serie mostra la storia dei ragazzi dello zoo, dimenticati dai propri genitori, abbondonati per ore e ore in una metropoli come Berlino.

3) C’è un ritorno al passato degli anni ’70, tra rock e mode del momento, niente cellulari e social, ma solo un mondo fatto di maggiore realismo e meno immagini.

I sei “ragazzi dello zoo di Berlino” – Fonte: today.it

Promossa o bocciata?

E’ vero, la serie non presenta quel crudismo dei suoi “predecessori”: non notiamo la sgradevolezza di quei ragazzi distrutti o il disgusto che si riversava nello zoo, ma ci troviamo di fronte a un racconto che si è più adattato alle generazioni attuali.

Forse proprio per questo la serie non rimarrà nella storia: perché è andata a perdere quel senso di empatia che manca alla nostra società attuale. Che lo si voglia o no, ricordiamoci però che mette in scena le vite di quelle persone abbondanate o cacciate di casa, persone che non sanno cosa fare, persone sole, che si rifugiano in un mondo psichedelico perché troppo spaventati da un mondo che non sentono loro, mentre davanti ai loro occhi passano famiglie felici che rientrano nella loro case calde.

Insomma Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino non sarà al passo con i propri “genitori”, ma è comunque una serie che merita di essere guardata e capita fino in fondo.

L’amore è come l’eroina: «che mi fa un solo buco?» e ricadi nella dipendenza totale, «che mi fa un solo sguardo?» ed eccoti qui a piangere di nuovo.

                                                                                    Alessia Orsa

 

 

 

È messinese il protagonista della serie ZeroZeroZero. In esclusiva Giuseppe De Domenico

Quella di ZeroZeroZero è un’operazione ambiziosa pronta a stupire e sconvolgere. In onda da venerdì 14 febbraio su Sky Atlantic, la nuova serie sul mondo del narcotraffico è tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano e diretta da Stefano Sollima, il rinomato regista italiano già autore di serie di successo come Romanzo Criminale, Gomorra ed il film Suburra. Tre continenti, cinque paesi, sei lingue, diecimila comparse e una troupe da più di mille persone per realizzare otto episodi.

Unico protagonista italiano è il giovane talento messinese Giuseppe De Domenico, che nella serie interpreta l’ambizioso e scalpitante Stefano La Piana. L’ho incontrato nella nostra Messina, al suo ritorno dal Festival del Cinema di Venezia, dove sono stati presentati i primi due episodi in anteprima mondiale. Mi ha raccontato del suo percorso, delle difficoltà incontrate e superate. Abbiamo parlato per ore, davanti ad una buona granita.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Il Festival di Venezia è stato per te il primo grande momento di rivelazione al pubblico. La serie è stata accolta molto positivamente e ci si aspetta un successo internazionale. Come hai vissuto quei giorni?

A Venezia sono stati tre giorni di emozioni del tutto nuove per me. Il 4 settembre, a cena, ho conosciuto Roberto Saviano, per me figura iconica del nostro Paese nel mondo. E’ stato strano perché mi ci sono avvicinato per presentarmi ma lui mi ha battuto sul tempo: “Ciao! Tu devi essere Giuseppe!”. Mi ha sorpreso. Ovviamente mi conosceva perché ha scritto anche lui il mio personaggio. In una situazione del genere, in quel mondo così nuovo per me, mi ha fatto sentire un po’ più a mio agio.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Eppure hai iniziato a recitare in teatro. C’è stato qualcosa che ti ha fatto innamorare del mondo della recitazione?

A dire il vero no. Ho iniziato quando ero molto piccolo con mio padre, che scriveva dei piccoli sceneggiati amatoriali. La recitazione è entrata a far parte della mia vita con estrema naturalezza. Quando mi sono iscritto alla Facoltà di Ingegneria ho capito però che non avrei potuto fare entrambe le cose. Quella strada che avevo intrapreso mi chiedeva un distacco netto tra mente e passione. Sentivo l’esigenza di ricercare e coltivare la mia emotività. Così ho abbandonato gli studi per dedicarmi al teatro.

Insomma, una scommessa di vita! E’ stata una scelta difficile?

In realtà, una volta capito che non volevo continuare, mi sono detto “Basta, io vado a Roma”. Sono fatto così: nel bene e nel male, quando capisco che qualcosa non va bene per me, la mollo e mi butto a capofitto in altro. A Roma ho studiato presso una scuola privata. Dopo il primo anno da entusiasta, ho capito che quell’approccio, quel metodo di studio, non era giusto per me, avevo bisogno di altro. Quindi ho fatto la rinuncia agli studi e a Luglio ho lasciato Roma e sono tornato a casa. A Settembre ho partecipato alle selezioni per il Teatro Stabile di Genova, ed in questo caso non avrei avuto piani B. Credo di essere stato un po’ incosciente, ma sono stati due mesi di pura adrenalina.

©DaniloCurrò – Messina, Gennaio 2020

Qual è stato, poi, il tuo percorso all’interno del Teatro Stabile di Genova?

Sono andato a Genova convinto a proseguire nel teatro. Durante quel periodo però ho incontrato una persona incredibile, Anna Laura Messeri, una pedagoga. E’ stata lei a farmi fare uno switch nel mio percorso. In quei due anni e mezzo mi ha fatto capire qual era la mia naturale tendenza recitativa, che non si sposava più con il teatro, come credevo all’inizio.

Dal momento in cui hai deciso di cambiare, come sei riuscito ad entrare nel mondo del cinema?

Ho inviato il curriculum a circa 20 agenzie: 19 non mi hanno nemmeno risposto, una sola si è mostrata interessata. Dopo diversi colloqui ed esami mi hanno preso. La vita di un attore è così, un costante mettersi alla prova del giudizio altrui.

E poi come fai ad ottenere una parte in un film?

Fai provini su provini. Nel mio caso magari pensi che, avendo avuto questo ruolo io abbia alle spalle una carriera di successi. Questo, in realtà, è il secondo “SI” della mia carriera. Avrò fatto in totale 60 provini e ho ricevuto 58 no. Devi sempre fare i conti con il rifiuto: nel 97% dei casi prendi un “no” e quindi passi interi mesi completamente solo, senza un soldo. Ma ciò che è veramente difficile è che, in questa situazione di disagio emotivo e di insicurezza economica, devi rimanere lucido e pronto per un’ eventuale chiamata, pronto a convincere la produzione del caso che sei la persona giusta per quel ruolo.

©DaniloCurrò – Messina, Gennaio 2020

Dopo tutti questi rifiuti sarebbe davvero facile mollare. Mi chiedo, a questo punto, dove trovi la motivazione e la forza di andare avanti dopo tutti questi “NO”.

Quando ti arriva un “SI” e fai quell’esperienza lavorativa costruisci un ricordo che ti spinge ad andare avanti sempre. Fare della tua passione un mestiere ti infonde una sensazione di benessere che è totalizzante. Capisci di essere in possesso di qualcosa di raro, qualcosa che vuoi proteggere e vivere per sempre. Anche io però, in quanto artista, devo fare selezione tra le varie offerte che possono arrivare. La carriera si fonda anche su tutti i “no” che riesci a dire tu, oltre ai “no” che ti diranno gli altri. 

In che senso?

Se sei disponibile ad accettare tutto, il tuo percorso è quantitativo. Magari lavori tantissimo, hai soldi e sei famoso, ma non stai raccontando nulla. Se invece riesci ad essere anche tu selettivo nelle scelte che prendi, sai di stare aspettando l’occasione giusta per raccontare qualcosa e dare valore a ciò che fai.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Andiamo ora su qualche domanda più classica. Come sei stato scelto per questo ruolo?

Prima del mio provino ho deciso di passare una settimana qua a Messina, per fare un carico di “meridionalità”. Ho anche fatto un giro con un amico in determinati quartieri periferici della città, per conoscere e parlare con le persone del posto. Ho fatto un carico di espressioni, mi hanno colpito gli sguardi, i tempi delle frasi, la diffidenza. Sono questi dettagli che poi riescono a fare la differenza.

Raccontami del provino allora…

Ho recitato di fronte a Laura Muccino, che mi ha fatto riprovare la stessa scena per 12 volte, ma sempre con dei piccoli accorgimenti. Non smetterò mai di ringraziarla perché ha visto in me il potenziale ed è riuscita a farlo emergere. Poi ho fatto il provino con il regista, Stefano Sollima, e la produzione, Cattleya.

Eri intimorito da questi nomi così importanti nel mondo cinematografico?

Ero molto concentrato. Non mi sono concesso la possibilità di pensare cosa stessi facendo. Loro erano più consapevoli di me della grandezza del progetto, per fortuna!

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Beh, alla fine però li hai convinti!

Non subito. Si preoccupavano del fatto che io fossi troppo “giovane” perché non avevo mai avuto un ruolo da protagonista, temevano che non fossi ancora pronto. Così l’ultimo provino è stato una vera e propria prova di forza, fisica e psicologica.

Sono tutto orecchie…

Un giovedì sera, alle 21, mi hanno convocato per fare il provino decisivo l’indomani sera. Al telefono mi spiegavano che il regista e la produzione erano già in Messico, perché le riprese erano già iniziate, e avrebbero seguito il mio provino via Skype. Avevo 24 ore per preparare delle scene di cui due nuove, mai provate, che mi avrebbero inviato di lì a poco. “Ah dimenticavo” mi dissero prima di chiudere “qualora la connessione Skype non funzionasse, domani stesso prenderai un aereo per il Messico e farai il provino lì”. Ero sotto shock. Mi giocavo il tutto per tutto in quelle 24 ore. Le due scene nuove sono arrivate alle 2 di notte. Non ho né dormito né mangiato per un giorno intero, ho continuato a studiare e provare ininterrottamente. 

©SkyTG24 – Giuseppe De Domenico sul set

E tutto questo stress non ha influito sul provino?

Sono arrivato stremato. Ho fatto 2 ore e 40 di provino, senza sosta, con una telecamera fissa davanti a me e Laura Muccino in videochiamata col regista che filmava a 30 centimetri dal viso. Ogni volta che finivo una scena mi dicevano “rifalla”.

Nessun cedimento quindi. Probabilmente la maggior parte di noi si sarebbe arrabbiata e avrebbe mandato tutto all’aria, o forse si sarebbe semplicemente arresa.

Dovevo dare tutto me stesso. Non c’era spazio per la stanchezza, per il nervosismo, per il timore del giudizio. Lì mi sono tornate utili tutte le ore formative di teatro, che mi aveva abituato a rifare più volte la stessa scena. Una carriera solida deve passare necessariamente dalla formazione continua, in qualunque ambito.

Hai condiviso il set con attori hollywoodiani. Che effetto ti ha fatto lavorare al loro fianco?

Iniziare le riprese a New Orleans, “a casa loro”, è stato parecchio stressante. Sapevo che avrei dovuto dare molto di più rispetto a quello che ero abituato a dare. Ho studiato e ristudiato ogni sceneggiatura. Provavo in continuazione i toni, i movimenti, le smorfie. Non ero mai sicuro che fosse abbastanza.

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Durante le riprese, c’è stata qualche scena che ti ha portato al limite? Una difficoltà che non immaginavi, qualcosa che ti ha fatto dire “non ce la faccio”?

Ci sono stati tanti momenti difficili. Ma forse quello più emblematico è stata una scena in Marocco. Era una scena molto importante che mi richiedeva un grande sforzo emotivo e fisico. L’abbiamo girata per 19 ore consecutive. Alla fine, quando ormai ero con il medico che mi faceva le punture miorilassanti per via dei crampi che avevo, mi chiedono di fare un primo piano dell’apice della scena, assieme a Dane DeHaan. Sentivo addosso la responsabilità di non poter deludere un attore hollywoodiano del suo calibro, ma ero stremato. Quindi faccio questo primo piano dando tutto quello che avevo, cerco di spremermi fino all’osso. Una volta finito, il regista mi dice “Non va bene, era troppo. La dobbiamo rifare”. 

Immagino lo sconforto, la stanchezza.

In quel momento sono scoppiato a piangere, ho avuto un crollo emotivo. Mi sono seduto e continuavo a dirmi “non ce la faccio”. Avevo attorno a me il regista, produzione, truccatori. “Proprio ora vuoi mollare?” continuavano a ripetermi, ma io non li sentivo nemmeno. 

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Ad un tratto passa Dane, incrociamo lo sguardo per una frazione di secondo, ed il suo sguardo non trasmetteva affatto compassione, tutt’altro! Era quasi scocciato della perdita di tempo. In quel momento, preso un po’ dalla rabbia, un po’ dall’orgoglio, ho capito che non potevo mollare, non volevo buttare tutto all’aria per qualche lacrima. Così mi sono alzato, ho rigirato la scena ma in una condizione psico-emotiva che non avevo mai sperimentato fino ad allora, perché avevo appena superato il mio limite. E alla fine, quel nuovo stato emotivo, si è rivelato essere perfetto per quella scena. Molto spesso, le risposte che cerchi sono solo un centimetro più in là rispetto a quello che è il tuo limite.

Credimi, sono emozionato. Non vedo l’ora di vedere questa scena, e ricordarmi che parlavi proprio di quella!

Anche io sono curioso di guardarla e di sapere da te e da tutto il pubblico se ha funzionato come credo. Le emozioni vanno vissute per poterle trasmettere davvero.

Antonio Nuccio

 

Si ringrazia il fotografo messinese Danilo Currò per la concessione delle foto d’autore.

Twin Peaks : il ritorno

Venticinque anni fa andava in onda l’ultima puntata. Parlo di Twin Peaks la serie cult degli anni Novanta creata da David Lynch e Mark Frost. Precorritrice delle serie d’autore, per la qualità di sceneggiatura, trama e attenzione ai minimi dettagli.

 
Era l’aprile del 1990 quando il corpo di Laura Palmer venne ritrovato avvolto nella plastica, la nebbia della confusione si addensava sempre più con l’avvio delle indagini di questo omicidio e tutta la cittadina di Twin Peaks era passata al setaccio dall’agente del FBI Dale Cooper.
Fra i seriali e non solo c’è grande attesa per questo ritorno di cui si parla dal 2014.


Riecco Kyle MacLachlan nei panni di Dale Cooper, e gli altri volti storici della serie, da Mädchen Amick a Sherilyn Fenn e Sheryl Lee, fino a Ray Wise.
Sono  tanti i nuovi ingressi: da Laura Dern (che in tanti definiscono la musa dello stesso Lynch dai tempi di Blue Velvet)  poi abbiamo Amanda Seyfried, Jennifer Jason Leigh, Naomi Watts, Trent Reznor, Jim Belushi, Eddie Vedder e persino una italiana : Monica Bellucci. Per un totale di 217 attori.
Della trama non si sa nulla, solo che è un sequel. Gli episodi sono 18 e sono stati scritti da David Lynch e dallo sceneggiatore storico della serie Mark Frost. Le musiche sono state composte da Angelo Badalamenti.

 


Nella notte fra domenica 21 e lunedì 22 dalle 3.00 su Sky Atlantic HD sarà possibile vedere i primi due episodi della nuova stagione in versione originale con sottotitoli.
La serie verrà trasmessa in contemporanea con gli Stati Uniti, data di inizio il 26 maggio ogni venerdì alle 21,15 su Sky Atlantic HD.

Le aspettative sono alte, la prima stagione fu un caso storico, la seconda un flop e con conseguente cancellazione del programma. Qui Lynch e Frost si giocano tutto, le carte per un sequel memorabile ci sono.
Voi preparate caffè americano e torta alle ciliegie che mal che vada ci si consola.

 

Arianna De Arcangelis