Rigenerazione del sistema nervoso: le applicazioni della nanomedicina

La medicina non ha mai smesso di progredire, poiché la scoperta di nuove malattie cammina di pari passo con le strategie intraprese per curarle, per arrivare all’obiettivo primordiale di mantenere il corpo in salute. Le nuove tecnologie, che lavorano su scala atomica e che hanno dato origine al campo della nanomedicina, ci hanno quindi permesso di esplorare alcune strade un tempo inimmaginabili, come la rigenerazione del sistema nervoso.

  1. Potenziare la rigenerazione
  2. I danni del sistema nervoso centrale
  3. I nanocontenitori contro la barriera ematoencefalica
  4. Conclusioni

Potenziare la rigenerazione

I meccanismi di riparazione del sistema nervoso, rispetto a strutture come il sistema scheletrico, sono molto più limitati. Ecco perché la rigenerazione di strutture nervose danneggiate rappresenta un’enorme sfida. A lungo questi danni sono stati considerati irreparabili perché i neuroni, una volta raggiunta la piena maturazione, non si accrescono più. Inoltre, si dava per certo che la neurogenesi, ovvero la formazione di nuovi neuroni, non avesse luogo negli adulti. Questa idea si dimostrò sbagliata quando furono identificate delle cellule staminali neuronali capaci di generare neuroni in determinate condizioni. E’ pur vero che queste cellule non sono affatto numerose e, in condizioni normali, le loro capacità proliferative sono ridotte. Certamente la loro scoperta ha rappresentato un nuovo strumento per la riparazione del tessuto nervoso.

In diverse situazioni, come alcune patologie o certi traumi, un nervo può dividersi in due, e la trasmissione del segnale nervoso si interrompe. Un nervo è costituito da fasci di assoni, lunghi prolungamenti del corpo cellulare dei neuroni. Dopo la rottura, per ottenere la crescita dei capi assonali nella giusta direzione e senza l’interferenza dei mediatori dell’infiammazione, è necessario una sorta di instradamento, un condotto costituito da fibre opportunamente orientate che agisca come sistema guida dei nuovi neuroni. Questa struttura richiede un certo grado di porosità per permettere l’arrivo di nutrienti e l’eliminazione di prodotti di scarto. Questa porosità può essere utile anche per poter somministrare i fattori di crescita necessari per stimolare la crescita dei nuovi neuroni.

Terapie a base di idrogel con cellule staminali per disturbi o lesioni del sistema nervoso. Fonte:

Attualmente per ottenere questo effetto si utilizzano collagene, acido poliglicolico e composti complessi con acido lattico, caprolattone e collagene.

I danni del sistema nervoso centrale

Realizzare ponti che servano da guida tra le due estremità del nervo danneggiato permetterà di ristabilire la funzionalità nei casi relativamente semplici. Ma in caso di danni al sistema nervoso centrale, dove l’orientamento dei neuroni presenta una complessità maggiore e i livelli di connessione sono differenti, la strada dei condotti tubulari che guidano gli assoni non è più percorribile.

Per la ricostruzione si dovrebbero utilizzare impalcature di idrogel nelle quali impiantare cellule staminali. E’ importante però che l’idrogel non induca una risposta immunitaria da parte dell’organismo (la microglia è considerata il sistema immunitario del sistema nervoso centrale). Infatti una sua attivazione causa una rapida distruzione dell’idrogel. Si è pensato allora di caricare l’idrogel con le cellule staminali neuronali del paziente, i fattori di crescita e alcuni inibitori della risposta immunitaria in modo da evitare il rigetto, cioè una risposta aggressiva da parte del sistema immunitario.

Schematizzazione del sistema di somministrazione di idrogel nel trattamento di lesioni del midollo spinale. Fonte:

Questa struttura può favorire la generazione di nuove reti neuronali diverse da quelle iniziali ma che, grazie alla plasticità di molte zone del nostro tessuto nervoso, permetterebbero di recuperare almeno in parte le funzioni perse.

I nanocontenitori contro la barriera ematoencefalica

Le lesioni al cervello o i danni causati dai processi neurodegenerativi presentano un ulteriore problema a cui deve far fronte qualsiasi trattamento: la barriera ematoencefalica. Questo sistema impermeabilizza i vasi sanguigni del cervello in modo che solo poche molecole riescano a passare dal sangue al tessuto nervoso e viceversa. Infatti questi vasi sono privi di fenestrature o porosità, e con poche proteine che agiscono da sistema di trasporto specifico. Quindi i farmaci, che non sono riconosciuti dai trasportatori, non riescono a raggiungere la zona del cervello danneggiata.

Una strategia efficace per attraversare questa barriera consiste nell’incorporare i farmaci all’interno di liposomi o di altri tipi di nanocontenitori. Bisogna però aggiungere altre molecole capaci di legarsi alle pareti dei vasi sanguigni della zona cerebrale. In questo modo possono attraversare la barriera ematoencefalica e trasportare il farmaco fino alla sede del danno. Questo approccio offre prospettive interessanti per lo sviluppo di terapie che controllino malattie neurodegenerative come il Parkinson o l’Alzheimer.

Liposomi funzionalizzati permettono di trasportare i farmaci attraverso la barriera ematoencefalica e raggiungere la rete neuronale all’interno del cervello. Fonte:

Conclusioni

Al momento abbiamo ottenuto solo risultati promettenti in laboratorio, per questo motivo c’è da sperare che in futuro questi approcci comincino a dare risultati concreti, tali da avviare il loro trasferimento nella pratica clinica. Inoltre è stato visto che per attenuare la perdita di neuroni è possibile somministrare fattori di crescita o altri agenti che stimolano la rigenerazione neuronale.

Infine lo sviluppo della nanotecnologia consente oggi di progettare robot di dimensioni molecolari, i nanorobot, in grado di agire all’interno del nostro organismo con intenti riparativi.

Pietro Minissale

Bibliografia

LA NANOMEDICINA – La rivoluzione della medicina su scala molecolare di NATIONAL GEOGRAPHIC – Pagine 7, 96-102, 118

Overcoming Brain Barriers Through Surface-Functionalized Liposomes for Glioblastoma Therapy; Current Status, Challenges and Future Perspective

Frontiers in Bioengineering and Biotechnology – ResearchGate

Recent trends in the development of hydrogel therapeutics for the treatment of central nervous system disorders – nature.com

 

 

Parkinson: la Dnl201 sarà la molecola decollo?

Dopo l’Alzheimer, il Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa.
Si tratta di una malattia che coinvolge funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio, ad evoluzione lenta e progressiva, che rientra tra un gruppo di patologie note come “Disordini del Movimento”.

  1. Cenni storici
  2. Dove è possibile riscontrarla?
  3. Zone del cervello coinvolte
  4. Cause scatenanti
  5. Sintomi 
  6. Come effettuare la diagnosi di Parkinson
  7. Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?
  8. Conclusioni

 

Cenni storici

Una prima descrizione di questa lenta ma inesorabile malattia fa riferimento ad un periodo intorno al 5.000 A.C in uno scritto di medicina indiana; il nome è legato però a James Parkinson, farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che, per primo, descrisse e racchiuse tutti i sintomi in un famoso libretto, il “Trattato sulla paralisi agitante”.

Dove è possibile riscontrarla?

E’ possibile vederla in entrambi i sessi con una leggera prevalenza maschile. Il Parkinson solitamente ha il suo esordio intorno ai 58-60 anni, mentre nel 5% dei pazienti questa farà la sua comparsa nella fase adulta, tra i 21 e i 40 anni. Prima dei 20 anni è particolarmente rara.

Zone del cervello coinvolte

La malattia di Parkinson consiste in una riduzione costante della produzione di dopamina (molecola organica che svolge l’importantissimo ruolo di neurotrasmettitore). Il calo di dopamina è dovuto ad una continua degenerazione di neuroni in una regione del mesencefalo chiamata Substantia Nigra. Si stima che la perdita cellulare sia di oltre il 60% all’esordio dei sintomi e per tale motivo non è attualmente possibile ritornare del tutto alla normalità. Si pensa che l’α-sinucleina, una proteina, sia il motivo di questa ampia diffusione.

Fonte: www.bing.com

Cause scatenanti

Non sono ancora del tutto note le cause della malattia, ma sembra ci sia una moltitudine di elementi che mediano il suo sviluppo. Tra questi abbiamo quelli genetici. Si stima che il 20% dei pazienti abbia familiari con riscontro positivo alla malattia di Parkinson. I geni che concorrono nella sua evoluzione sono α-sinucleina (PARK 1/PARK 4), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK7), Parkina (PARK-2), la glucocerebrosidasi GBA e LRRK2 (PARK-8).
Altre cause sono l’esposizione ad alcuni pesticidi, idrocarburi solventi o a metalli pesanti (quali ferro, zinco e rame). Paradossalmente, nonostante le numerose controindicazioni al fumo di sigaretta, questo potrebbe svolgere un ruolo di fattore protettivo nei confronti della malattia.

Sintomi

I sintomi dei pazienti spesso non vengono riconosciuti nell’immediato per via della sua progressione lenta e quasi “mascherata”. Questa viene fuori in punta di piedi, con una manifestazione asimmetrica, quindi solo un lato del corpo è maggiormente interessato. Inoltre i sintomi sono facilmente trascurabili dal paziente inconscio. Tra gli indici di insorgenza ritroviamo: il tremore a riposo, il “tremore interno” – cioè una sensazione avvertita solo dal paziente -, rigidità, lentezza dei movimenti (fenomeno noto come “bracidinesia”) e instabilità posturale.

Possono quindi svilupparsi sviluppi di tipo motorio e non motorio.
Tra i disturbi motori emergono episodi di ”Freezing Gait” cioè un blocco motorio improvviso; postura curva con braccia flesse e tenute vicine al tronco, il quale è flesso in avanti. Il tronco potrebbe anche pendere da un lato, manifestazione della cosiddetta ”Sindrome di Pisa”; Disfagia, cioè problemi legati alla deglutizione. Possono essere pericolosi, poiché solidi e liquidi potrebbero essere aspirati causando polmoniti. Possono anche incombere fenomeni di Balbuzie, che rendono difficile la comprensione del paziente (in questo aiuta la logoterapia).
Tra i disturbi non motori invece, ne figurano alcuni anche molti anni prima rispetto a quelli motori. Questi possono essere legati alle alterazioni delle funzioni viscerali (disturbi vegetativi), dell’olfatto e dell’umore, ma possiamo avere anche disturbi cognitivi, dolori e fatica. Tra i disturbi viscerali ricordiamo la stipsi, cioè un rallentamento delle funzioni gastro-intestinali, disturbi urinari, disfunzioni sessuali, problemi cutanei e sudorazione. Infine, possiamo notare nei soggetti colpiti anche disturbi comportamentali ossessivi compulsivi, apatia e sintomi psicotici (tra cui deliri e allucinazioni).

Fonte: www.bing.com

Come effettuare la diagnosi di Parkinson

Il neurologo risale al morbo di Parkinson attraverso la storia clinica e dopo un’attenta valutazione dei sintomi. Tra gli esami strumentali si ricorre alla SPECT DATscan, scintigrafia del miocardio e PET cerebrale. L’aiuto strumentale è di fondamentale importanza per allontanarci da una diagnosi sbagliata evitando di inciampare nei cosiddetti “Parkinsonismi”, cioè patologie simili al Parkinson.

Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?

Su “Scienze Translational Medicine” sono stati pubblicati i risultati riguardanti uno studio terapeutico.
Negli Stati Uniti è stata conclusa la prima fase di sperimentazione su una molecola capace di inibire l’enzima prodotto da LRRK2 (gene tra i più importanti presente nella lista delle possibili cause scatenanti), il quale potrebbe rallentare l’evoluzione della malattia. La terapia a base della molecola Dnl201 potrebbe migliorare la funzione del lisosoma evitando che questo possa accumulare proteine tossiche che portano alla neurodegenerazione.

Conclusioni

Gli studi si occupano del controllo dei sintomi della malattia, ma non ne arrestano lo sviluppo. Questi si concentrano maggiormente sul miglioramento delle terapie e sulla prevenzione, ma ancora non è possibile poter ricorrere ad una vera e propria cura che possa bloccarla definitivamente. Fortunatamente esistono numerosi trattamenti capaci di regalare una vita quasi normale, per guadagnare tempo in modo tale da poter scavalcare l’ostacolo finale: annientare questa malattia.

 

La soluzione si trova attraverso la sperimentazione. Soltanto se si esce dalle vecchie abitudini si possono trovare nuove strade.

Andrew S. Grove

 

Dario Gallo

Per approfondire:

Cos’è il Parkinson

Malattia di Parkinson – Wikipedia

Malattia Parkinson, sintomi, diagnosi, cause, fattori ambientali, fattori genetici, trattamenti (iss.it)

A step forward for LRRK2 inhibitors in Parkinson’s disease (science.org)

Dopamina (my-personaltrainer.it)

Sintomi neurologici da covid-19: alterazioni di gusto e olfatto

 

La malattia da Coronavirus SARS-CoV-2, nota col nome Covid-19, comporta principalmente un quadro clinico caratterizzato da sintomi respiratori. L’evenienza più grave, come ben sappiamo, è rappresentata dalla polmonite interstiziale, ma questo virus ha la capacità di diffondersi anche in altri distretti. In particolare il sistema nervoso sembra poter essere interessato precocemente e le manifestazioni lievi connesse potrebbero aiutare a velocizzare il processo diagnostico. Ciò sarebbe utile a discriminare i soggetti che non svilupperanno polmonite ma sono portatori attivi dell’infezione.

Quali sono i sintomi neurologici del coronavirus?

La risposta arriva da dove ci si sta avviando ad una lenta ripresa delle attività dopo la fase critica dell’epidemia, ovvero dalla Cina. Proprio uno studio cinese, recentemente pubblicato su JAMA Neurolgy, ha portato alla luce possibili sintomi e complicanze neurologiche della Covid-19. I partecipanti allo studio sono stati 214 pazienti ospedalizzati SARS-CoV-2 positivi, sia uomini che donne, sia con infezione severa che non. Di questi, 78 pazienti (il 36,4%) mostravano una sintomatologia neurologica, più frequente in coloro con malattia grave. In base alla sede coinvolta, hanno distinto i sintomi in:
– Manifestazioni del sistema nervoso centrale: mal di testa, perdita della coscienza, accidenti cerebrovascolari acuti (coinvolti il 24,8% dei pazienti oggetto di studio, ictus nel 6%).
Manifestazioni del sistema nervoso periferico: compromissione del senso del gusto (ageusia: perdita della capacità di discriminare i sapori) e dell’olfatto (anosmia: mancanza della percezione degli odori nell’aria), ma anche problemi visivi (8,9%).
– Danni ai muscoli scheletrici, con coinvolgimento del 10,7% della popolazione studiata.
La maggior parte dei sintomi neurologici si sono mostrati precocemente, anche in assenza del classico quadro respiratorio, potendo costituire quindi un elemento utile al riconoscimento precoce ed un miglior trattamento. Comunque un grande limite di questa analisi è la bassa numerosità del campione in esame.

Quali riscontri nel vecchio continente?

Anche in Europa sono in corso delle ricerche a riguardo. Uno studio condotto su 417 pazienti ricoverati in 12 località diverse si è soffermato sulle disfunzioni di gusto ed olfatto. Il 34,5% dei soggetti studiati era nella fase acuta della malattia. Le principali comorbilità del gruppo erano rinite allergica, asma, ipertensione arteriosa ed ipotiroidismo.
Per quanto riguarda i sintomi olfattori i risultati sono stati i seguenti:
– L’85,6% della popolazione campione presentava disordini dell’olfatto, di cui la maggior parte lamentava anosmia.
– La fantosmia, ovvero la percezione di un odore per il quale nell’ambiente non è presente alcuna molecola, interessava il 12,6% dei soggetti durante il decorso clinico.
– Mentre la parosmia, cioè lo scambiare un odore per un altro, veniva lamentata dal 32,4%.
– In 247 pazienti con infezione clinicamente risolta, in cui erano scomparsi tutti i sintomi “canonici”, le disfunzioni olfattive persistevano per un tempo indeterminato nel 63% delle persone.
Riferendoci alle alterazioni del gusto, queste hanno dato manifestazioni nell’88,8% dei pazienti. Consistevano in una riduzione o distorsione della percezione di alcuni sapori, in particolare salato, dolce, amaro ed acido.
Basandoci sui risultati dello studio, i disturbi olfattivi e gustativi sono risultati essere sintomi significativi dei pazienti Covid-19 europei. Inoltre possono rappresentare, in alcuni casi, anche gli unici sintomi in assenza di complicanze e per questo necessitano di essere riconosciuti per aiutare nella limitazione della diffusione del contagio.

Trattamento anosmia
Opzioni terapeutiche adottate in questo studio europeo per i pazienti con problematiche dell’olfatto (Da https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas ).

 

Come SARS-CoV arriva al sistema nervoso?

L’esame del liquor cefalorachidiano è in genere negativo, quindi il virus non attraversa la barriera emato-encefalica. Certo, sono possibili eccezioni, ma non sono state riscontrate frequentemente meningiti o encefaliti, come invece può avvenire con gli Herpes virus. Per identificare le porte di ingresso del Coronavirus al SNC le ipotesi sono due.
La prima prende in considerazione la possibilità che il virus possa risalire dai neuroni del bulbo olfattivo. Questo spiega l’elevata frequenza di anosmia riscontrata negli studi sopra citati ed è una via già utilizzata da altri virus respiratori.
Secondo l’altra ipotesi il danno neurologico non sarebbe diretto, bensì scatenato dalla tempesta di citochine sistemica dovuta all’infezione. Le nostre difese immunitarie iperattivate andrebbero fuori controllo e coinvolgerebbero altri distretti, fra cui il sistema nervoso ma anche il cuore (possibilità anche di miocarditi).

Struttura delle vie olfattive
Bulbo olfattivo ed epitelio olfattivo nel naso separati solo dalla lamina cribrosa dell’osso etmoide (Da Stanfield, Fisiologia umana)

 

Anche i neurologi possono quindi essere aggiunti alla lista degli specialisti che, insieme ad infettivologi e pneumologi (oltre ai medici di medicina generale), potranno avere contatti con pazienti covid già alla prima diagnosi od essere coinvolti durante il loro trattamento. Già si sta cercando di scrivere delle linee guida ad hoc che permetteranno di affrontare l’infezione da coronavirus dal punto di vista multidisciplinare. Così da prepararci al meglio a quella che sarà la fase 2, di cui iniziamo a vedere gli spiragli, in cui si auspica la messa in funzione dei Covid hospital. Si tratterà di centri interamente dedicati ai pazienti covid con l’obiettivo di facilitare anche la ripresa degli altri reparti ospedalieri, le cui attività ambulatoriali sono state momentaneamente sospese.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas
https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/2764549
https://www.focus.it/scienza/salute/la-covid-19-da-anche-manifestazioni-neurologiche

Quando l’infezione da COVID-19 si ‘traveste’ da ictus o da stato confusionale