C’era una volta il tempo. E ora?

«C’era un volta il tempo. Avete presente il tempo? Il tempo delle sveglie e quello del riposo, il tempo degli appuntamenti presi e saltati, il tempo che manca sempre, il tempo che non passa mai, il buon tempo di chi non ha niente da fare, i mala tempora che currunt senza andare da nessuna parte».

Si, purtroppo sappiamo a quale tempo si riferisce Simone Tempia, autore di “Vita con Lloyd”, la celebre raccolta di dialoghi tra Sir e il maggiordomo Lloyd.

Nel suo secondo libro “Il giardino del tempo”, Tempia ci accompagna alla scoperta del suo giardino: rigoglioso, pieno di fiori, alberi e frutti. Un giardino non sempre curato, a volte lasciato alle intemperie.

Il giardino si fa metafora del tempo, quel tempo che, come descriveva all’inizio, è un po’ frenetico, scandito dalla corsa della vita.

Siamo così bravi a correre e a rincorrere che potremmo diventare tutti maratoneti. Eppure poi esclamiamo “non ho neanche il tempo per andare a correre”. Un paradosso, insomma.

 

L’evoluzione del concetto del tempo

Ma andiamo indietro proprio nel tempo.

Il concetto di tempo è molto antico ed è stato uno degli oggetti di riflessione che più ha affascinato i grandi pensatori, tanto da studiarne ogni piccolo frammento. Componente centrale della nostra quotidianità ed esperienza del mondo, fa riferimento alla “dimensione con cui si concepisce, organizza, rappresenta e misura lo scorrere degli eventi e il susseguirsi di stati”.

Continuità illimitata ma suddivisibile, distinguibile in passato, presente e futuro.

Una suddivisione che Dickens traccia abilmente attraverso il suo romanzo “Christmas Carol”. Durante quella notte di Natale, il tempo si comprime e si dilata in un processo astratto e contraddittorio,  che fugge da ogni fondamento scientifico.

Periodo andato, istante trascorso, presente che svanisce, futuro incentro: è sempre una questione di tempo. Una fiamma che arde senza mai consumarsi, pronta a illuminare un passato coperto da fitte tenebre.

 

Henri Bergson: uno scorrere continuo e indivisibile

Henri Bergson, filosofo francese del tardo XIX e inizio XX secolo, ha offerto una distinzione tra un tempo scientifico e misurabile, e un tempo vissuto, introducendo il concetto di durée”, come flusso continuo e indivisibile che è percorso internamente, riflettendone la coscienza e l’esperienza soggettiva.

Per Bergson la durata della vita è interna, fluida, indivisibile, al contrario dello spazio che risulta esterno, statico e divisibile.

La visione di Bergson pone l’accento sull’importanza dell’esperienza soggettiva e qualitativa del tempo, centrale per la nostra comprensione. Questa prospettiva invita a riconoscere che il tempo vissuto è fondamentale e non dovrebbe essere ridotto a una semplice dimensione misurabile come lo spazio.

La memoria ha un ruolo essenziale: collega il passato con il presente, mantenendo la continuità della durata.

Quindi, se per il filosofo francese lo spazio è una forma che frammenta e esteriorizza il flusso continuo, la durée abita dentro ognuno di noi, regolando la nostra coscienza. Questo mette in luce la profondità della nostra esperienza interna e critica la riduzione del tempo a una mera dimensione quantificabile.

 

Come sperimentiamo lo scorrere degli eventi?

«Scandisco la vita attraverso nuove unità di misura[..]. E così mi sono creato il mio tempo tutto verde. Un tempo che non è più fatto di numeri, ma di arbusti. Un tempo di ciò che cresce e anche i ciò che secca. Un tempo di cui aver cura. Un tempo che non cammina, ma che si attraversa, osservando tutto quello che c’è e quello che manca. Un tempo in cui tutto, a suo modo, ha un senso».

Attenzione, memoria ed emozioni sono i principali meccanismi cognitivi coinvolti nella codifica e nella manipolazione delle informazioni temporali. Si tratta di un fenomeno che guida tutta la nostra vita. Ci consente di organizzare ed eseguire le azioni, di orientarci in modo coerente a ciò che ci circonda.

Non è solo lo scorrere degli anni, dei mesi, delle settimane, dei giorni, delle ore, dei minuti e dei secondi. Non è solo una continuità quotidiana, una relazione con lo spazio in cui ci troviamo. Non è neanche una scatola vuota che dobbiamo riempire con tutta la nostra vita, con gli impegni, le preoccupazioni, i pensieri.

 

Il tempo della consapevolezza

Il maggiordomo Llyod definisce il tempo come un campo da coltivare, quello che scorre tra un prima e un poi. Fornisce un’idea di quanto qualcosa è cambiato nel suo divenire. Proprio come un giardino, che non dà subito i suoi frutti, non profuma all’istante di rosa o di lavanda.

Aristotele sostiene che per avere una percezione del tempo sia necessaria una mente capace di misurare, accentuando il nesso che intercorre tra tempo e anima.

Dunque, il tempo si definisce in relazione al soggetto che ne fa esperienza. E siamo noi i contadini che ci premuriamo di coltivare il nostro campo, senza fretta, aspettando quel soffio di vento che ci ridesti dalla frenesia di un tempo che si allontana dalla durée bergsoniana e dalla pazienza di Llyod.

Non importa quanto grande sia ciò che facciamo nel nostro tempo. O quanto grande pensiamo che debba sembrare.

Qualunque cosa fai, se sai come viverla e inserirla nel tuo tempo, può trasformarsi in un giardino ancora più verde.

 

Fonti:

https://www.treccani.it/enciclopedia/henri-louis-bergson/

 

Elisa Guarnera