Poesie dai confini del mondo. Il soggiorno a Messina di Friedrich Nietzsche

“Alla fine del mese vado alla fine del mondo: se lei sapesse dov’è!”.

Sono queste le parole del filosofo e scrittore Friedrich Nietzsche nella sua missiva dell’ 11 marzo 1882 indirizzata all’amico musicista Paul Gast, in cui annunciava il suo prossimo viaggio verso la terra alla “fine del mondo”, in Sicilia, nella nostra bellissima città di Messina.

Il filoso di Röcken, tormentato dal Föhn (l’afoso vento tedesco), aveva dall’anno precedente intrapreso un viaggio in Italia, alla ricerca di un clima più favorevole alle sue condizioni di salute.

Dopo un lungo soggiorno della durata di sei mesi sulla costa ligure, partì alla volta della città dello Stretto. Un arrivo in sordina quello di Nietzsche: salpato da Genova a bordo di un veliero, toccò le sponde messinesi il 31 marzo 1882 e, battuto dal mal di mare, venne portato in barella fino al suo albergo, nei pressi di Piazza Duomo.

Ma cosa spinse il filoso del “Superuomo” ad andare a Messina?

La citta dello Stretto in un’antica rappresentazione – Fonte: letteraemme.it

Teorie sulle motivazioni del viaggio a Messina

Sappiamo per certo che non si trattò di un colpo di testa, ma di un progetto che lo portò fino in Sicilia, insieme alla possibilità di restarci per qualche anno. Un insieme di eventi conducono a diverse ipotesi.

Ad esempio Koelher nel suo “Nietzsche. Il segreto di Zarathustra” ipotizza una possibile motivazione nella presenza a Taormina del barone Von Gloeden (fotografo tedesco), che in quegli anni stava attuando una propaganda artistica attraverso il concetto di bellezza, espressa dai giovinetti siciliani in pose antico-greche.

Un’altra valida motivazione è che Nietzsche fu spinto dall’amore per Goethe, che nella sua visita a Messina e a Taormina trovò l’ispirazione per la sua “Nausicaa”. Nietzsche aveva di certo letto il “Viaggio in Italia” del suo connazionale, al punto da rimanerne colpito. Qualche tempo prima aveva scritto all’amico Gast:

“Sempre mi aleggia intorno la Nausicaa”.

Un altro avvenimento non meno rilevante fu la presenza in Sicilia dell’ormai ex amico Richard Wagner, che aveva passato l’inverno a Palermo a comporre il Parsifal; il suo arrivo a Messina fu annunciato in pompa magna. È quindi del tutto improbabile che il filosofo non sapesse della visita del Wagner; di un eventuale incontro tra i due, però, non si sa nulla.

Wagner e Nietzsche – Fonte: messina.gazzettadelsud.it

Il mistero messinese

La permanenza in incognito di Nietzsche a Messina fu contornata da un alone di mistero talmente fitto da far arrossire gli stessi biografi del filosofo.

Una cosa è certa: Nietzsche ha amato Messina tanto quanto Messina ha amato il suo illustre ospite, come egli stesso ha raccontato agli amici Gast e Overbeck:

“I miei nuovi concittadini mi viziano e mi corrompono nel più amabile dei modi”.

In particolare, a Overbeck scrive che i messinesi sono amabili e premurosi al punto che gli sfiora l’idea che qualcuno possa averlo preceduto in Sicilia allo scopo di “comprarmi i favori di questa gente”.

Un soggiorno breve ma altamente proficuo, perché proprio nella città dello Stretto il filosofo completò gli “Idilli di Messina” e iniziò la stesura de “La Gaia Scienza”.

Solo dopo poco più di due settimane, il 20 aprile 1882, il filosofo fece rotta verso la “città eterna”, dove ad attenderlo c’erano l’amico Paul Rée e l’affascinante femme fatale Lou von Salomé (l’eterno amore di Nietzsche).

Friedrich Nietzsche – Fonte: gazzettadelsud.it

Gli “Idilli di Messina

Gli “Idilli di Messina” rappresentano un unicum all’interno della molteplice produzione filosofico-letteraria di Friedrich Nietzsche, in quanto unica opera prettamente poetica, pubblicata nel maggio 1882 sulla rivista «Internationale Monatsschrift» qualche mese dopo la sua composizione.

Una forma modificata e composta da sei di questi componimenti farà successivamente da appendice per la seconda edizione de “La Gaia Scienza” (1887).

Gli idilli nascono dall’impossibilità di rappresentare una singola immagine e al suo interno fissare gli stadi dell’incessante accadere.

“Ho la meta e il porto obliato,

Di tema e lode e pena sono immemore:

Ora io seguo ogni uccello nel volo.”

(da “Principe Vogelfrei”)

 

Le poesie seguono un percorso crescente ricco di continui rimandi alla differenza tra essere e divenire, tematiche che il filosofo affronterà in seguito. L’essere che ha la funzione di stato sincronico che può essere colto, si scontra con il divenire che non ha le sembianze di un flusso di coscienza distruttivo (tipico della filosofia nietzscheana), ma di un progetto, scelto e portato avanti, quello dell’oziosa incoerenza del divenire stesso.

Un progetto tale da portare la stabilità dell’essere nel divenire, quello stesso essere staccato da ogni continuazione della personalità. Da qui nasce l’espediente poetico, dove, tolta la devastante e prepotente filosofia nichilista, non resta che un puro gioco letterario piacevole e spensierato che traspare limpidamente nella lirica.

“E le sillabe, in questo verseggiare,

Saltellavano, oplà, l’una sull’altra,

Così che scoppiai a ridere d’un tratto

E risi per un quarto d’ora.”

(da “Giudizio d’uccello”)

 

In particolare, nel “Canto del capraio”, il testo viene modellato da versi ironici e indolenti, da cui traspaiono tutte le impressioni del soggiorno nell’estremo Meridione.

Copertina de “La Gaia Scienza” e gli “Idilli di Messina” – Fonte: maremagnum.com

 

Gaetano Aspa

 

Articolo pubblicato sull’inserto “Noi Magazine” della “Gazzetta del Sud” in data 17/02/2022

Il giro del mondo: alla ricerca dei luoghi più pericolosi

Siamo abituati a meravigliarci di fronte a paesaggi fiabeschi, acque incantevoli e pianure interminabili. Tuttavia, il nostro pianeta riserva per noi non solo luoghi magici. Alcuni sono spaventosi e, soprattutto, pericolosi, che destano sgomento e inquietudine. La Terra è anche questo.

  1. Il Lago della Morte
  2. Sable Island
  3. Il Camino de la Muerte
  4.     Un luogo segnato da stragi
  5. Il Lago Kivu
  6. Conclusioni

Il Lago della Morte

Il primo luogo non si trova molto lontano. Il “Lago della morte” è considerato uno dei posti più pericolosi della Terra, e si trova proprio in Sicilia, nei pressi del comune di Palagonia, a Catania. Qualsiasi organismo vivente provi a sopravvivere all’interno di questo lago, fallirà. Infatti, sono presenti quantità notevoli di acido solforico, noto per le sue proprietà corrosive, accentuate dalla reazione di dissociazione con l’acqua, a cui si aggiunge il pericolo di disidratazione della pelle a seguito del contatto con il calore di dissociazione. I vapori emanati possono provocare danni alle mucose, al tratto respiratorio e agli occhi.  Tra le testimonianze raccolte, lo scienziato Francesco Ferrara  parlò inoltre della presenza di metano e di anidride carbonica. Appare chiaro come non sia il luogo migliore dove poter abitare.

Ancora oggi, però, sono molti i dubbi attorno all’esistenza stessa del lago, e gli abitanti del luogo restano un po’ scettici al riguardo. Ciò che è certo è che questa storia diventa ancora più affascinante se immaginata tra mito e realtà.

Storia, miti e misteri della Sicilia: scomparso il lago Naftia - Men's Enjoy
Fonte: www.mesenjoy.com

Sable Island

Se pensiamo a navi scomparse in mare vengono in mente le storie legate al triangolo delle Bermuda. Ma in questo caso si fa riferimento ad un altro luogo, al largo della Nuova Scozia, in America Settentrionale. Si tratta di Sable Island, un “banco di sabbia” a forma di mezzaluna pronta a divorare navi. Si parla di circa 350 navi scomparse dalla fine del XVI secolo. Bastava un piccolo errore per far sì che la sabbia le inghiottisse, aiutata anche dalla scarsa visibilità dovuta alle nebbie, che costituiscono una costante dell’isola. La spiaggia è infatti al centro dell’incontro tra tre correnti: la corrente del Labrador, la corrente di Belle-Island, la corrente del Golfo. Nel 1801 si decise di creare una stazione di salvataggio permanente per aiutare i naufraghi, ma questo non impedì i 230 morti del 1872, a seguito dell’incagliamento del piroscafo SS Hungarian. Oggi, fortunatamente, i sistemi di navigazione satellitare permettono di avere una migliore percezione delle rotte. Sable Island è diventata il luogo delle storie passate e dei suoi relitti.

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Fonte: www.sperimentalradio.it

Il Camino de la Muerte

Spostandoci un po’ più lontano giungiamo in Bolivia, dove si trova “Il Camino de la Muerte”, la strada più pericolosa del mondo. Fu costruito agli inizi degli anni Trenta da operai imprigionati durante la guerra del Chaco. Il percorso si estende per circa 60 km, attraversa tre province, fino ad arrivare a Coroico. 3640 metri di dislivello, con un’altitudine massima di 4700 metri in corrispondenza del passo della Cumbre. Oltre all’altezza, ciò che fa tremare è che non ci sia alcun guardrail o muro a delimitare la strada, che è per di più totalmente sterrata, coperta di vegetazione e attraversata da corsi d’acqua che scendono a cascata. È costeggiata da precipizi, spesso sono presenti nebbia e pioggia che rendono il cammino più complesso di quanto già non lo sia.

Un luogo segnato da stragi

Già tra i suoi edificatori ci furono delle vittime e da allora continuarono a perdere la vita molte altre persone. La strada era ed è soggetta alla caduta di enormi massi dall’alto e a frane. Nell’incidente più grave, accaduto nel luglio del 1983, un autobus precipitò, provocando 100 morti. Da quel momento si è cercato di prendere più precauzioni e di definire delle regole stradali, tra cui l’obbligo della guida a sinistra. Nonostante ciò, ogni anno si registrano almeno 200 morti tra autisti e ciclisti. Alla meraviglia dei paesaggi del luogo si accompagna la temerarietà della morte.

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Fonte: imagenesbolivianas.com

Il Lago Kivu

Ritornando ai laghi, in Congo ne è presente uno altrettanto pericoloso. Si tratta del lago Kivu. Al confine con il Rwanda, è uno dei grandi laghi africani, con una superficie di 2700 km2. Ospita alcuni isolotti, tra cui l’isola di Idjwi (340 km2). Da molti è stato definito una vera e propria “bomba ad orologeria”. Varie operazioni di carotaggio hanno rilevato la presenza di depositi di monoidrocalcite (un minerale raro) coperti da diatomee (alghe unicellulari). Andando ancora più in giù troviamo infine sedimenti sapropelici con elevata quantità di pirite. Si stima che, in profondità, vi siano almeno due trilioni di metri cubi di gas metano e di biossido di carbonio. La miscela di questi elementi può provocare esplosioni di tipo limnico  (dal gr. λίμνη: acqua stagnante), che prevedono, appunto, rilascio di biossido dalle acque dei laghi. Esplosioni di questo tipo sono già avvenute in passato. Le enormi quantità di gas porterebbero alla morte per asfissia. A tutto ciò si aggiunge la possibilità di uno tsunami.

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Fonte: www.filmcrewfixersuganda.com

Conclusioni

Quelli appena visti sono luoghi immortalati tra fascino e orrore. Ma questi sono solo alcuni dei territori considerati tra i più pericolosi al mondo. Ve ne sono altri, forse ancora più rischiosi, pronti per essere scoperti.

Giada Gangemi

Per approfondire:

Sable island, la sabbia che non perdona

Lago di Morte in Sicilia: verità o mito? 

Sergio Mattarella, il primo Presidente della Repubblica siciliano

Amato dagli italiani per l’autorevolezza di “pater familias” manifestata al potere e il profilo basso tenuto nella guida della sua altissima carica, Sergio Mattarella chiude il settennato che, a dispetto della sua immagine di uomo restio ai conflitti, è stato tra i più complessi della storia repubblicana.

Tra i personaggi pubblici del nostro tempo è forse il più schivo, probabilmente il meno portato a raccontarsi, a farsi pubblicità; l’Anti-Narciso per eccellenza.

Nel corso della sua vita ha maturato un’esperienza straordinaria come servitore delle istituzioni, eppure dell’uomo Mattarella poco si conosce. In questo articolo ripercorriamo i momenti salienti della vita -precedente alla sua prima elezione alla Camera– del primo Presidente della Repubblica siciliano.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Fonte: varesenews.it

Gli anni della giovinezza e della formazione

Sergio Mattarella nacque a Palermo il 23 luglio 1941, quarto figlio di Bernardo Mattarella, politico democristiano cinque volte ministro tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e di Maria Buccellato. Nello scegliere il nome per l’ultimogenito i genitori pensarono, forse profeticamente, a Sergio I, un papa santo del VII secolo nato a Palermo e descritto dalle fonti come “uomo di notevole cultura che aveva percorso tutta la carriera e ricomposto molte controversie e discordie”.

Il piccolo Sergio crebbe in un ambiente familiare profondamente stimolante, immerso fin da subito nella politica grazie alla figura del padre. Proprio a causa dei suoi incarichi di governo, nel 1948 la famiglia si trasferì a Roma, dove i fratelli frequentarono dalla terza elementare alla maturità classica l’istituto religioso S. Leone Magno dei Fratelli Maristi.

Ricordando questo periodo Mattarella dirà:

“La scuola credo mi abbia aiutato a non restare una pietra inerte. Vivere insieme un’esperienza di comunità, di studio, mi ha insegnato a comprendere le esigenze, i problemi, le attese degli altri. Questo mi ha fatto capire che si cresce se si cresce insieme, che si è davvero liberi –liberi dall’ignoranza, liberi dal bisogno, liberi dalla violenza- se liberi sono anche gli altri”.

Nel quinquennio 1960-1964 si consolidarono le radici della formazione professionale e sociale del giovane Sergio che conseguì la laurea in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi su La funzione dell’indirizzo politico.

Il giovane Sergio Mattarella con il padre Bernardo – Fonte: rainews.it

L’incontro con Marisa Chiazzese

All’inizio del 1958 a Palermo, il sedicenne Sergio conobbe Marisa Chiazzese, la sorella tredicenne di Irma, fidanzata di Piersanti, e figlia di Lauro Chiazzese, ex rettore dell’Università di Palermo e docente di Diritto Romano.

I due si fidanzarono nel 1964 e l’anno dopo Sergio tornò a vivere in Sicilia per starle vicino.

Il 21 marzo 1966, giorno dell’equinozio di primavera, si sposarono nella chiesa barocca di S. Caterina di Palermo. Dal matrimonio nacquero tre figli: Laura, Bernardo Giorgio e Francesco.

Di personalità mite, analitica, riservata, Marisa non ha mai avuto l’attenzione mediatica di cui, troppo spesso, godono le compagne o i compagni dei Capi di Stato, in quanto il primo marzo 2012, tre anni prima dell’inizio del mandato del marito come Presidente della Repubblica, è venuta a mancare a Castellammare del Golfo.

Il profondo attaccamento di Sergio Mattarella alla moglie è testimoniato dall’assidua presenza con cui l’ha affiancata nell’affrontare il calvario della malattia che l’ha portata via.

Nel 2015 il presidente la ricordò in un discorso al Quirinale in occasione della Giornata internazionale della ricerca sul cancro:

“Per seguire la persona a me più cara al mondo, ho trascorso a più riprese numerose settimane in ospedali oncologici. Sarebbe auspicabile che ogni tanto le persone in buona salute trascorressero qualche giorno in visita negli ospedali, perché il contatto con la sofferenza aiuterebbe chiunque a dare a ogni cosa il giusto posto nella vita”.

Sergio Mattarella e la moglie Marisa Chiazzese – Fonte: urbanpost.it

Il ritorno a Palermo e la carriera accademica

Una volta rientrato a Palermo si unì a un gruppo di giovani studiosi che seguivano il giurista Pietro Virga, professore di diritto costituzionale e poi amministrativo presso l’Istituto di Diritto Pubblico dell’Università.

Nel 1965 intraprese la carriera accademica come assistente di diritto costituzionale. Nel 1969 divenne professore incaricato di diritto parlamentare presso la facoltà di Scienze politiche, dedicandosi all’insegnamento fino al 1983, quando si mise in aspettativa per le elezioni alla Camera.

L’attività scientifica e le pubblicazioni di questo periodo riguardarono in prevalenza argomenti di diritto costituzionale: intervento della Regione siciliana nell’economia, attività ispettiva del Parlamento, procedimento legislativo, bicameralismo, indennità di espropriazione. L’attività accademica lo portò a svolgere relazioni e interventi in convegni di studi giuridici e a tenere lezioni in corsi di master e specializzazione in varie università.

Di quello che considerava il suo “vero lavoro” sentì sempre la mancanza:

“Quando mi chiamano a partecipare a dibattiti accademici vado molto volentieri, perché i giovani che guardano alle cose con un’altra ottica mi costringono a riflettere”.

Il professore Sergio Mattarella durante un esame – Fonte: castelvetranoselinunte.it

La morte del fratello Piersanti e l’impegno politico

L’avvenimento che determinò l’allontanamento dall’attività accademica fu la morte del fratello, avvenuta il 6 gennaio 1980. Piersanti Mattarella aveva seguito le orme del padre, passando dalle file della Democrazia Cristiana al consiglio comunale della città di Palermo, fino ad essere eletto, nel 1978, Presidente della Regione Sicilia.

Il giorno dell’Epifania Piersanti si recò a messa con la famiglia senza scorta, non utilizzata nelle uscite private. Improvvisamente un giovane a volto scoperto si avvicinò al suo finestrino e colpì il presidente con una prima raffica di colpi, ferendo anche la moglie Irma. Durante la sparatoria il revolver si inceppò e il killer si diresse con calma verso una 127 bianca, per farsi consegnare dal complice un secondo revolver con cui tornò a colpire Mattarella dal finestrino posteriore.

Fu il nipote Bernardo ad avvertire dell’accaduto Sergio Mattarella, immortalato al suo arrivo nel celebre scatto di Letizia Battaglia, che lo ritrae chino sul corpo del fratello nell’attesa dei soccorsi. Piersanti Mattarella morì sette minuti dopo l’arrivo in ospedale.

Inizialmente considerato un attentato terroristico, il delitto fu indicato dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta come delitto di mafia.

La morte del fratello sconvolse profondamente Sergio Mattarella, che raccolse l’eredità politica e “il patrimonio di energie” del fratello, aumentando progressivamente il proprio impegno politico e dando inizio a una lunga e illustre carriera che lo vide ricoprire le più importanti cariche politiche e istituzionali (Vice-Presidente del Consiglio, più volte deputato e ministro, membro della Corte costituzionale), dedicando particolare attenzione alla lotta contro la mafia e il rispetto della legalità.

Sergio con in braccio il fratello Piersanti Mattarella dopo l’attentato – ©Letizia Battaglia, Palermo 1980

 

Santa Talia

Fonti: 

Angelo Gallippi – Sergio Mattarella, 40 anni di storia italiana, Paesi Edizioni, 2022

https://www.quirinale.it/page/biografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/sergio-mattarella

https://biografieonline.it/biografia-sergio-mattarella

https://www.ilpost.it/2022/01/16/sergio-mattarella-fine-mandato/

Immagine in evidenza:

Il Presidente Sergio Mattarella alla cerimonia della deposizione di una corona d’alloro sulla Tomba del Milite Ignoto, nella ricorrenza del 75° anniversario della Liberazione, Roma 2020 – Fonte: quirinale.it

Incastrati: un giallo siculo

 

Un giallo comico, dipinto con i colori della Sicilia – Voto UVM: 5/5

 

Anno nuovo vita nuova. Lo stesso vale per il duo comico Ficarra e Picone, che sono sbarcati su Netflix il 1 gennaio con la loro prima serie TV.

Un nome una garanzia:  i due siciliani sono sempre pronti a deliziarci col loro umorismo- non quello banale e volgare alla Pio e Amedeo– ma quello che fa riflettere e porre domande, sempre pronti a difendere i diritti degli italiani con l’arma dell’ironia.

 

Ficarra e Picone in una scena della serie Fonte: tvserial.it

Una storia ricca di imprevisti

“Voglio una vita piena di imprevisti”. Queste sono le parole che pronuncia Salvatore che voleva sfuggire dalla monotonia, avere una vita come il commissario di una serie tv, in cui non esiste la parola noia, ma solo tante avventure. Come non detto, il suo desiderio verrà esaudito, ma di certo non come aveva immaginato. Il caro Salvatore dovrà ricredersi. Per quale motivo? Andiamo a scoprirlo. 

Incastrati è una serie scritta e diretta da Ficarra e Picone- composta da sei puntate di 30 minuti ciascuna- e racconta l’avventura di Salvatore (Ficarra) e Valentino (Picone), due riparatori di elettrodomestici che col loro furgoncino girano di casa in casa.

Da un lato abbiamo Salvatore, sposato con Ester (Anna Favella), ossessionata dallo yoga e dalla vita salutista, che impone pure al povero marito, dall’altro Valentino (fratello di Ester e cognato di Salvatore), un uomo ingenuo ma dal cuore d’oro, che vive ancora con la mamma morbosa, che vuole il figlio tutto per sé e fa di tutto per tenerlo lontano dalle donne, viziandolo come un bambino.

I due, oltre ad essere cognati, sono pure grandi amici e, un giorno come un altro, si recano in una casa per lavoro, ma finiscono nei guai: si ritroveranno dentro la dimora di un ex mafioso, ammazzato dalla mafia stessa in quanto pentito.

Da quel momento in poi per i protagonisti inizierà veramente una vita piena di avventure e imprevisti. I due per non essere incolpati si cacceranno ancor di più nei guai e da semplici testimoni rischieranno di passare per probabili assassini.

Non piangere,  che le lacrime contengono DNA


Cast, luoghi e folklore

La serie è ricca di personaggi, interpretati da: Leo Gullotta (Procuratore Nicolosi), Marianna di Martino (Agata Scalia), Anna Favella (Ester), Tony Sperandeo (Tonino Macaluso), Maurizio Marchetti (il Portiere Martorana), Mary Cipolla (Antonietta), Domenico Centamore (Don Lorenzo), Sergio Friscia (il giornalista Sergione), Filippo Luna (vicequestore Lo Russo), Sasà Salvaggio (Alberto Gambino) e Gino Carista (Frate Armando).

Un cast che con il talento fa divertire il telespettatore, utilizzando un’ironia tutta siciliana.

Ficarra e Picone in una scena della serie Fonte: Today

La mafia viene descritta per quello che è: una barzelletta fatta di uomini stolti, privi di etica, un’organizzazione poco furba ma allo stesso tempo pericolosa.

Nota di merito va per la sceneggiatura che descrive nei minimi dettagli la terra del sole: Ficarra e Picone disseminano i tipici luoghi comuni che il sud è condannato a indossare a causa delle menti più arretrate. I due comici però ci offrono anche paesaggi immensi, strade abbellite da cittadini col loro accento, i loro colori, il cibo, e tanto altro che solo il mezzogiorno può offrire.

Un messaggio nascosto?

Usiamo il crimine per farvi ridere

Cosa vuol dire questa frase? Cosa vogliono farci intendere i due attori? La serie va vista non solo come una produzione comica, ma bisogna avere un occhio critico. Come citato sopra, al centro vi è il tema della mafia, un morbo della nostra società.

Forse i due comici ci vogliono portare un esempio di “pornografia del dolore”, che ipnotizza gli individui anche con scene drammatiche, scene agrodolci che deliziano gli animi delle persone, facendole rimanere inermi davanti alla prepotenza? I due protagonisti però non rimarranno di certo immobili e faranno trionfare la giustizia. Un dovere a cui pochi riescono ad adempiere.

Una serie così piacevole, che la si vede tutta in un colpo solo. Ci erano mancati Ficarra e Picone, due comici che hanno portato su Netflix non solo la loro ironia, ma anche la sicilianità, fatta di arancini(e), culture e paesaggi da far invidia al mondo intero.

                                                                                                 Alessia Orsa 

 

Sicilia, da oggi obbligo di mascherina all’aperto: tutte le restrizioni previste dall’ordinanza Musumeci

In Sicilia  da oggi sono in vigore nuove misure di prevenzione anti Covid per contrastare la diffusione del virus, anche nella nuova variante comunemente nota come ‘’Omicron’’. Tra queste, mascherina obbligatoria e maggiori controlli in porti e aeroporti.

Il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. Fonte: ilgazzettino.it

A prevederle, un testo di 5 articoli (vedi versione integrale dell’ordinanza) firmato ieri dal presidente della regione Nello Musumeci, e adottato in seguito alla relazione dell’assessorato alla Salute. In vista delle prossime festività natalizie, l’ordinanza sarà estesa per l’intero mese di dicembre, vale a dire dal 2 dicembre fino al 31.

L’obbligo di mascherina all’aperto

Tutti i cittadini siciliani di età superiore ai 12 anni devono indossare la mascherina nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. Ad assicurare il rispetto della norma sono le autorità addette alla pubblica sicurezza, anche mediante l’applicazione di sanzioni previste dalla legge, ove necessario.

L’obbligo di tampone per migranti e viaggiatori

Un’altra novità introdotta dall’ordinanza di Musumeci è l’estensione dell’obbligo di tampone in tutti i porti e aeroporti ai passeggeri che arrivano in Sicilia dalla Repubblica del Sudafrica, Botswana, Repubblica Araba di Egitto, Repubblica di Turchia, Hong Kong e Stato d’Israele.
Prima di quest’ultimo provvedimento, il controllo era già previsto per chi provenisse – oppure avesse soggiornato o transitato nei 14 giorni precedenti alla partenza – da Gran Bretagna, Germania, Malta, Portogallo, Spagna, Francia, Grecia, Paesi Bassi e Stati Uniti, per un totale di 15 stati esteri.

Controlli antiCovid nell’aeroporto di Palermo. Fonte: informazione.it

Per quanto riguarda i passeggeri in arrivo da Paesi per i quali il tampone obbligatorio non è previsto, essi potranno comunque fare richiesta e sottoporsi al test direttamente presso lo scalo e a titolo gratuito.
E ancora, coloro che sono giunti in Sicilia nei 10 giorni precedenti all’entrata in vigore dell’ordinanza sono tenuti a contattare il Dipartimento di prevenzione dell’Asp territorialmente competente e il proprio medico di Medicina generale per essere sottoposti a tampone molecolare. Anche i migranti che raggiungono il territorio siciliano dovranno essere sottoposti a tampone molecolare, una volta terminato il loro periodo di quarantena.

Attività dei laboratori regionali sotto monitoraggio

Dal momento che l’ordinanza punta oltretutto ad assicurare in tutte le province dell’isola un’appropriata sorveglianza epidemiologica, per farlo il Dipartimento per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (Dasoe) dell’assessorato della Salute e il Dipartimento per la pianificazione strategica eseguiranno una ricognizione dei laboratori siciliani capaci di sequenziare le varianti del virus (vale a dire individuare mediante lettura dell’intero genoma virale eventuali differenze e mutazioni) e ne coordineranno l’attività. L’obbiettivo da raggiungere è l’aumento progressivo del numero di tamponi sequenziati in Sicilia.

Assembramenti natalizi e contagi

Per comprendere il motivo di simili provvedimenti a pochi giorni dall’inizio delle festività basta pensare alle storiche scene di marzo 2020, quando prima della chiusura totale del governo Conte, centinaia di persone affollavano stazioni e treni con destinazione il Sud: sono molti i giovani studenti e lavoratori che ogni anno alimentano la movimentazione tra una regione all’altra, specie durante le feste.

Dunque, nonostante il numero dei nuovi positivi in Sicilia sia rimasto stazionario negli ultimi giorni, a preoccupare i governi sono soprattutto gli assembramenti nelle vie e piazze dello shopping e l’arrivo di gente da altre regioni, elementi che potrebbero portare ad un maggiore aumento dei contagi, potenzialmente preoccupante seppur non ai livelli dello scorso anno.

Fonte: La Repubblica

Le voci dei sindaci e Musumeci

Con l’obbligo di mascherina all’aperto, la Sicilia ha scelto di adeguarsi ad altre regioni e città dove era già scattato in precedenza l’obbligo come a Torino e a Firenze, seppur in alcuni casi il dispositivo di protezione vada indossato soltanto in determinate vie e piazze particolarmente affollate.

Il presidente dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), Antonio Decaro, ha fatto sapere che vari sindaci hanno richiesto al Governo di valutare l’opportunità di estendere l’obbligo a livello nazionale e fino al mese di gennaio:

“Quelli – ha spiegato – sono i giorni del Natale dove per lo shopping, per la voglia giustamente di stare insieme e di fare comunità, nelle nostre città c’è maggiore possibilità di assembramento. Se ci fosse un provvedimento nazionale, come abbiamo spiegato al Governo, sarebbe tanto di guadagnato, perché daremmo un segnale unico a tutto il Paese”.

Anche il presidente Musumeci ha detto la sua ieri:

Vogliamo passare il Natale in sicurezza, sia dal punto di vista sanitario che economico. La Sicilia non potrebbe sopportare una nuova chiusura”.

Una linea dura è stata adottata nei confronti dei ”No vax”:

“Sono convinto che nell’area “no vax” ci sia una fascia di cittadini cosiddetti non irriducibili, che per timore o insufficiente informazione, rimane diffidente. Credo che con un provvedimento drastico e restrittivo, ovviamente straordinario, potremmo recuperare questa larga fascia di indecisi. I dati dimostrano che l’80 per cento dei ricoverati negli ospedali non ha fatto vaccino”.

Gaia Cautela

Halloween in Sicilia

Abbiamo visto il Sole splendere incandescente in estate, poi le ore di luce e le ore d’oscurità equivalersi in autunno e adesso è venuto il momento in cui le tenebre sono sempre più preponderanti; e non è finita, continueranno ad accrescersi. È il momento in cui la natura dorme, che da sempre ha fatto pensare i nostri antenati non soltanto al ringraziamento per la stagione del raccolto, ma anche alla morte.

Questo periodo ha fatto nascere in àmbito cristiano le festività che sono Ognissanti e la Festa dei Morti, che nel contesto soprattutto celtico sono precedute da Halloween, cioè “Vigilia d’Ognissanti”. Da anni, a causa della popolarità di questa festa, infuriano polemiche d’ogni genere e travisamenti della peggior specie: i cristiani ritengono diabolica la ricorrenza, i tradizionalisti ne denunciano il contrasto con le nostre usanze, i mondani se ne fregano e preferiscono andare a ballare. Ma qual è la verità?

Luna e tenebre – Fonte: latinaquotidiano.it

Frutta e oltretomba

Innanzitutto, partiamo dalle origini. È vero che così per come appare Halloween sia celtica, ma fare questa affermazione sarebbe inappropriato. Nella nostra parte del mondo, a cominciare da Roma e sin in epoca imperiale, si festeggiavano le Pomonalia, cioè in onore della dea Pomona, per ringraziarla del raccolto, anche i frutti raccolti: questo fa pensare, per esempio, all’abbondanza di dolci di questo periodo, che nella forma di frutta martorana imita proprio i frutti e dunque par ricordare un’offerta che si faceva alla dea, ma anche ai defunti ovviamente. Le date delle Pomonalia non erano fisse e non sono accertate, tuttavia si ritiene generalmente che coprissero questo periodo.

Ma qui termina il lato luminoso della vicenda.

Nella maggior parte delle culture, l’incremento delle ore di tenebre sono associate a un’intensificazione dell’attività soprannaturale, che sia benefica, neutrale o nefasta, ma soprattutto i casi sono questi ultimi due. No, che gli spiriti girino nella notte del 31 Ottobre – per cui bisogni scacciarli con spaventosi mascheroni – non è affatto un’idea celtica: anche nella nostra Sicilia si crede all’attività spiritica, che però diviene incontrastabile piuttosto durante la Novena di Natale.

Va detto che le feste cristiane furono collocate in luogo dell’antico SamonioSamhain in gaelico – che si teneva in 31 Ottobre, e non il contrario, proprio per porre fine ai riti non cristiani che ancóra vi venivano celebrati in onore dei defunti. Halloween, in realtà, altro non è che l’antico Samhain che cambia nome, camuffandosi come Vigilia d’Ognissanti – dunque parzialmente un prodotto cristiano – ma riprendendo diversi caratteri dell’antica celebrazione, talvolta in forma parodistica tanto da essere disprezzati anche da coloro che oggi professano qual propria religione il Druidismo.

La celebre frutta martorana – Fonte: radiortm.it

Ma noi siamo peggio…

Come si è visto, dunque, i punti di partenza sono i medesimi. Ma allora perché ogni hanno tanto litigio, tanta amarezza? Si sente dire continuamente che la nostra Festa dei Morti (2 Novembre con vigilia l’1) “è carina” mentre invece quella proveniente dai famigerati paesi anglosassoni “è lugubre”. È davvero così?

Checché ne dicano coloro che vogliono fare della nostra una festa per bambini – i quali per altro sembrano non desiderarla affatto il più delle volte (s’indaghi perché) – essa non è affatto tale. Lo volete sapere che cosa si crede generalmente in Sicilia riguardo ai Morti, in quella notte? O meglio, si credeva, visto che probabilmente abbiamo dimenticato.

Si credeva che i Morti nella notte tra l’1 e il 2 Novembre (anziché tra 31 e 1!) uscissero dalle tombe componendo lunghi cortei e invadessero le città attraverso complicati e misteriosi cerimoniali che comprendevano il loro vestiario, le formule pronunciate, i comportamenti tenuti e persino il percorso seguìto. Questo lo si racconta in più o meno tutte le parti della Sicilia, e in alcune di esse queste figure sono davvero spaventose e financo pericolose (a Milazzo, per non andare lontano), tanto che non è quasi mai contemplata nemmeno l’idea di poter fare incontri ravvicinati. Tutte queste informazioni le ha tramandate l’insigne etnologo Giuseppe Pitrè, nel volume sulle feste della sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane.

Per non parlare poi di quali sono i dolci che ci mangiamo… le ossa di morto in primis, che nel nome e nella forma richiamano a qualcosa di piuttosto evidente, e le almuzze che raffigurano anime del Purgatorio con le braccia incrociate in penitenza. Noi non ce ne accorgiamo, ma dovremmo fare caso al fatto che nelle dolcerie adibite ad Halloween in Britannia o in Irlanda non esistono simili lugubri dolci, ma li facciamo soltanto noi; sicuramente, se dovessimo fare a gara, li batteremmo per chi fa i migliori dolcetti di Halloween a tema!

Casca tutta l’impalcatura a questo punto, non è vero che si tratta d’una festa mite e infantile. Il ritenerla tale è semplicemente il risultato dell’averne dismesse le usanze più antiche, relegandola a un gioco d’infanti: quando un oggetto si rompe o è vecchio lo si dà a loro per giocarci, passa da oggetto d’uso a giocattolo improprio destinato a distruzione definitiva.

Poi, certo, c’è tanto altro. C’è che questi Morti sono in fondo i nostri antenati, per quanto inquietante il loro monito possa essere, e che lasciano doni quando visitano le case lungo il loro tragitto, anche se non vogliono farsi incontrare.

Classico travestimento da fantasma – Fonte: wearegaylyplanet.com

Una nuova festa?

Il problema però resta, i tradizionalisti non hanno tutti i torti: perché festeggiare qualcos’altro se abbiamo la nostra, di tradizione? Ebbene, per preservare una tradizione innanzitutto bisogna conoscerla, e la maggioranza delle persone non la conosce o ne ha una versione edulcorata. Bisogna osservare che cosa piace, dunque, e capire che cos’è nella nostra tradizione che appare bene in linea con tal gusto (tutto, invero!).

Se oggi, soprattutto la gioventù, in Halloween brama la possibilità di confrontarsi con la dimensione della morte ed esorcizzarla, perché insistere per forza sull’aldilà placido e beato che in fondo noi stessi sappiamo essere una semplificazione? Abbiamo creduto per secoli le stesse cose alle quali si fa accenno nella “tradizione halloweenesca”, perciò recuperiamo la nostra, piuttosto, e non potremo certamente più lamentarci della distruzione dei nostri costumi.

Sicuramente sarebbe bello inscenare – con rispetto, senza fare gli sguaiati – le processioni dei Morti secondo l’antica tradizione, in queste sere, o vedere appositi mercatini ove le pasticcerie possano vendere i dolci tradizionali da esse prodotti, e dunque dare nuovo incentivo al recupero delle usanze culinarie.

Tante cose sarebbero belle, come in molti campi, ma se prima non cambiamo mentalità e atteggiamento, tanto vale rassegnarci a farci seppellire dalla mercificazione consumistica delle festività che tanto critichiamo (Natale compreso).

Ai posteri l’arduo giudizio!

Daniele Ferrara

 

Immagine in evidenza

Fonte: blogsicilia.it

 

Lunedì da codice rosso per il maltempo. Si tratta di un “uragano del Mediterraneo”

Una sferzata di maltempo ha colpito, nella notte e nella serata di ieri, Calabria e Sicilia. Negli scorsi giorni, l’allerta da parte degli esperti, i quali avevano notato una concentrazione di bassa pressione formarsi nelle isole Baleari, per poi incrementare lungo il tragitto attraverso il Mar di Sicilia e trasformarsi in un cosiddetto “uragano del Mediterraneo”.

Un’immagine satellitare di ieri sera, 24 ottobre, che registra il passaggio del ciclone (fonte: ANSA)

Il ciclone influenzerà il tempo al Sud per tutta la settimana. Da giovedì verrà investita anche la Puglia meridionale. Al Nord, invece, il tempo migliorerà con più sole, anche se l’ingresso di venti quali Bora e Grecale farà diminuire le temperature notturne. Questa ondata di maltempo sembra pregiudicare gli spostamenti di molti italiani per il ponte festivo dell’1 e 2 novembre.

Nella giornata di ieri, l’annuncio della protezione civile di allerta meteo, alzata al massimo grado per le fasce ioniche di Calabria e Sicilia.

Scuole chiuse nelle province di Reggio Calabria, Messina, Catania, Siracusa ed Enna, ma poi anche nell’agrigentino. Sospensione didattica anche per la nostra università.

 

La Sicilia è la regione più colpita

“È allarme rosso.” – ha dichiarato Salvatore Cocina, direttore della protezione civile regionale siciliana – “È in atto una perturbazione molto forte sulla Sicilia, una cellula temporalesca che si è già abbattuta su Pantelleria e che si appresta a raggiungere le zone dell’agrigentino e il nisseno. Un’altra cellula temporalesca ha già scaricato una grande quantità di pioggia tra Palagonia, Scordia, Militello, Francofonte, provocando frane e allagamenti e danni alle cose ma fortunatamente senza alcun ferito. Un’altra cella investe la zona di Giarre. La situazione è in evoluzione e ci attendiamo ulteriori fenomeni. Siamo in allarme rosso e sono aperti oltre cento centri operativi comunali che stanno monitorando la situazione.”.

Il maltempo, come previsto, è arrivato da Sud, colpendo prima Pantelleria, in provincia di Trapani, dove è ancora forte lo choc per la tromba d’aria di settembre che ha causato due morti e nove feriti. Poi, il coinvolgimento di tutta la parte orientale e ionica della Sicilia. Strade trasformate in torrenti.

Siracusa (fonte: www.3bmeteo.com)

 

Il Catanese, finora, registra i danni più ingenti. Le previsioni annunciavano la caduta, in circa 48 ore, di una quantità di pioggia pari a quella che, in generale, cade in 6 mesi nella zona. Il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, ha disposto la chiusura delle scuole pubbliche e private, di ogni ordine e grado, per la giornata di oggi, con decorrenza immediata dei parchi e dei cimiteri comunali.

Tantissime chiamate ai Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Catania a causa della pioggia e del forte vento. Per ora, si pensa a mantenere le stesse chiusure, anche per agevolare il pronto intervento dei soccorsi e della Protezione Civile.

Intanto, ripercussioni anche sul traffico aereo: a Catania decine di voli cancellati o dirottati (alcuni anche sullo scalo di Lamezia Terme, in Calabria), mentre consistenti sono stati i ritardi accumulati da molti altri voli. Stesse problematiche hanno coinvolto anche l’aeroporto di Palermo.

Tragedia sempre nel catanese, a Scordia, dove le strade sono state travolte da fango. Da ieri sera, una coppia risulta dispersa, marito e moglie, lui 67 anni e lei 54. A dare l’allarme un automobilista rimasto bloccato dentro la sua auto per la presenza di un fiume di acqua e fango in strada. Una volta messo in salvo dai Vigili del fuoco, ha detto loro di avere visto la coppia scendere dalla loro Ford Fiesta e poi essere travolta dalla furia dell’acqua.

Sempre a Scordia, la Protezione civile ha dovuto soccorrere cinque turisti stranieri, che viaggiavano su un pulmino che è stato investito dalla furia dell’acqua lungo la strada statale 385, che collega con Catania. I turisti sono stati fatti scendere dal mezzo e portati in un luogo sicuro.

In diverse abitazioni del centro abitato, si è interrotta l’erogazione dell’energia elettrica e sono stati segnalati nuclei familiari rimasti isolati.

Le strade di Scordia diventano fiumi di fango (fonte: www.tgcom24.mediaset.it)

 

Ieri, nella tarda serata, il nucleo Saf (speleo alpino fluviale) dei Vigili del fuoco di Trapani e la squadra di Alcamo hanno salvato quattro uomini rimasti improvvisamente intrappolati a causa del rigonfiamento del fiume caldo che attraversa le Terme Segestane sul versante del Comune di Castellammare del Golfo (Trapani).

Le Isole Eolie sono da due giorni spazzate dal vento e mareggiate, che hanno allagato porti e strade. Lipari, Salina e Vulcano senza collegamenti da 48 ore, i traghetti non viaggiano, mentre pendolari e merci sono stati bloccati a Milazzo. Poi, ieri mattina, riuscita la partenza di alcune corse.

Nella città di Messina ieri sera il sindaco Cateno De Luca ha diramato l’allerta meteo, poichè anche la città rientrava tra le zone d’ombra sotto l’area della perturbazione, ma  al netto di piogge continue e abbondanti – fortunatamente -non si registrano danni.

In Calabria meno danni, nonostante i forti temporali

Ad essere maggiormente colpita dalla pioggia, la provincia di Reggio, come preannunciato. Il sindaco, Giuseppe Falcomatà, aveva disposto la chiusura al transito veicolare e pedonale del lungomare della città. In varie zone, numerosi interventi dei vigili del fuoco per la caduta di alberi e rami sulle strade, ma non sembrano essersi verificati danni davvero importanti, come nel resto della regione.

Eccezione fatta a Cosenza, dove si è verificato un blackout elettrico all’acquedotto Abatemarco, a causa della caduta di un albero, che ha tranciato una delle linee elettriche. I tecnici sono subito accorsi per cercare di riparare il danno, ma non si riescono a capire i tempi di ripristino.

A Crotone, evacuate una ventina di famiglie, ma in via precauzionale, poiché le rispettive abitazioni sorgono lungo un torrente. Queste persone, circa un’ottantina, hanno passato la notte nella palestra di una scuola.

L’attenzione rimane altissima per le prossime ore. Intanto, ci si chiede, come accade sempre più spesso, se il principale problema sia la natura di questi fenomeni metereologici, brevi e molto intensi, o l’inadeguatezza delle condizioni di molti nostri territori, in cui servirebbero, forse, più interventi di manutenzione e prevenzione.

 

Rita Bonaccurso

Le 5 località più belle della città metropolitana di Messina pt.2: la zona ionica

Torna con il secondo appuntamento il nostro carosello turistico messinese: dopo le località tirreniche, stavolta ci occuperemo della zona ionica. Tra noto e celato, passando da mari, distese verdi e piccole cittadine, eccola qui la sublime trinacria, sempre pronta ad accogliere, costantemente pronta a stupire, culla di semplicità e contemporaneamente di cultura.
Di seguito le 5 località ioniche più belle della città metropolitana di Messina, spalancate gli occhi e… buon viaggio!

Taormina: il comune più famoso della regione

Tutto il mondo conosce Taormina, ma siamo davvero sicuri, almeno noi isolàni, di conoscerla abbastanza? Ci siamo stati almeno una volta: Corso Umberto tappeto rosso del centro storico, il maestoso Duomo, piazza IX Aprile per godersi la vista panoramica. Ce ne sarebbero tanti di frammenti da elencare, se consideriamo i luoghi limitrofi anche l’isola Bella e Castelmola.
Eppure siete mai stati ai giardini pubblici a godervi, per esempio, un arieggiato pranzo al sacco? La villa comunale, in origine, era di proprietà di una facoltosa donna inglese appassionata di uccelli, la quale decise di costruire diverse strutture al suo interno, tra cui mangiatoie e cassette per i nidi. Un armonioso cinguettio vi accompagnerà lontano dalla folla del centro storico, all’ombra di fruscianti alberi verdi.
Fra le vostre memorie però non dimenticate il teatro greco di Taormina, seppur conosciuto da molti perfettamente, non finisce mai di spezzare il fiato, che sia per un concerto, una tragedia o una visita archeologica.

Villa Comunale di Taormina – Fonte: rivierazzurraolivieri.it

Giardini Naxos, le incantevoli spiagge e la Nike

A poca distanza da Taormina, un altro comune molto amato dai turisti e dai siculi stessi è senza dubbio Giardini Naxos. Fino al 1970 circa questo era un tranquillo comune di pescatori, mentre ora è un centro di movida e ritrovo giovanile, pur conservando importanti pezzi di storia.

Amatissima la spiaggia di Recanati, ma meritano senza dubbio una visita anche la meravigliosa spiaggia di Porticciolo di Saia e la spiaggia di Schisò.

A Capo Schisò è conservata la Nike. La scultura, opera di Carmelo Mendola nel 1965, è ispirata alla Nike di Samotracia ospitata dal Museo del Louvre e raffigura la dea messaggera della vittoria. Una seconda copia della statua è stata collocata nel 1980 a Calcide Eubea, a simboleggiarne il gemellaggio. Un assaggio di Grecia in questo paese che poco ha da invidiare ad altri.

Nike di Capo Schisò – Fonte: commons.wikimedia.org

Forza d’Agrò, il suo borgo e le testimonianze architettoniche

Secondo i dati sono meno di 900 gli abitanti di questo paese medievale, un incantevole borgo a 420 metri di quota, incastonato tra colli e mar Ionio. Fu fondato nel X secolo ed è casa di interessanti testimonianze architettoniche, quali la Chiesa Madre dedicata alla Santissima Annunziata, il Convento Agostiniano, lo spagnoleggiante Palazzo Miano e i ruderi del Castello Normanno.
Il castello divenne nella seconda metà del XIX secolo e per circa un secolo il cimitero del paese, che, essendo attualmente in via di smantellamento, rende la visita ancor più suggestiva, seppur potenzialmente pericolosa a causa della sua decadenza e della mancanza di manutenzione. Ci si accede tramite una lunga e ripida scalinata in pietra e all’interno della cinta muraria sono ancora visibili i resti della chiesa del S.S. Crocifisso e gli alloggi dei soldati.

Castello Normanno di Forza d’Agrò – Fonte: ttravelguy.wordpress.com

Sant’Alessio Siculo e il suo Castello

Sant’Alessio Siculo si erge ai piedi del monte Tauro ed è delimitato a nord del torrente Agrò e ad est dallo Ionio. La bellezza del paese è contornata principalmente dal castello di Capo Sant’Alessio, edificato dai saraceni appena conquistata la Sicilia, poi andato in rovina nella tarda epoca normanna, successivamente riqualificato in epoca aragonese. Del periodo saraceno rimangono alcune tracce nel quartiere vecchio, immediatamente sottostante al promontorio su cui sorge Forza d’Agrò.
Nel quartiere della Madonna del Carmelo, invece, si trova una chiesa risalente al periodo normanno. In più il paese ospita la Villa Genovesi. Un luogo insomma attraversato da molte culture, ognuna, a suo modo, da ricordare.

Castello di Capo Sant’Alessio Siculo – Fonte: bandw.it

La riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi

La Riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi è un’area naturale protetta istituita nel 1998 che si estende nei territori di Alì, Fiumedinisi, Italia, Monforte San Giorgio, Nizza di Sicilia, San Pier Niceto e Santa Lucia del Mela, comuni della provincia messinese sullo Ionio. È gestita dal Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali.

Bellissima riserva, pulita, dove la natura regna sovrana, purtroppo dai molti poco nota. Regala non poche sorprese all’appassionato naturalista: esemplari di erica arborea ai piedi di Monte Scuderi, boschi di tutte le specie di roverella conosciute in Sicilia, le fiumare e l’infinità di ciottoli di diversa origine minerale, sono solo alcuni dei punti di forza di quest’attrazione turistica Peloritana.
Percorrerla è senz’altro un ottimo modo di respirare aria verde di cui lo smog e il caos delle città spesso ci privano.

Riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi – Fonte: rivierazzurraolivieri.it

 

 

Corinne Marika Rianò

L’Opera dei Pupi: tradizione e fantasy siciliano

Sull’attenti e mano sul petto: stiamo per parlare dell’Opera dei Pupi! Molto più che marionette, sono una di quelle cose (forse la primaria!) che più condensano e rappresentano la nostra identità.

Marionette e burattini li hanno quasi tutti i popoli del mondo, ma i nostri pupi sono speciali: oltre all’essere caratterizzati dalla ricerca particolarmente raffinata dei costumi (armature comprese), sono le figure veramente “vocate” al rappresentare scene di combattimento anche in maniera estremamente realistica. I nostri pupi si distinguono anche per avere abbandonato l’uso dei fili sottili per il controllo, in favore di ben robuste aste di ferro che sono in grado d’impartire movimenti più realistici e precisi ai personaggi.

Pupi catanesei, della famiglia Napoli – Fonte: nautilaus.com

Due tradizioni (o poco più)

Due sono le principali tradizioni dell’Opera dei pupi, che per comodità vengono appellate la Catanese e la Palermitana; queste poi si diramano in più piccole categorie.

La tradizione catanese è quella della Sicilia Orientale, includente anche Messina. I suoi pupi sono grandi e pesanti, rigidi, adatti a rappresentare la solidità di questi titanici eroi, e sempre abbigliati in maniera variopinta ed estrosa ed equipaggianti con armature del tutto personali non soltanto nei simboli ma nella stessa forma. I pupi vengono manovrati dall’alto, dai manianti appostati sopra un piano rialzato immediatamente dietro lo sfondo, e le voci dei personaggi sono donate dal parlatore e dalla parlatrice. Molto questa tradizione ha saputo sfruttare le nuove tecnologie, con l’introduzione della riproduzione di grandi brani orchestrali che rendono più coinvolgente la scena, in luogo delle vecchie orchestrine, e talvolta l’uso di realistici effetti sonori.

La tradizione palermitana è quella di tutta la Sicilia Occidentale. I suoi pupi sono agili, leggeri, possono piegare le ginocchia ed estrarre le spade, si muovono sulla scena con grande realismo apparendo a tratti persone vere, scattanti e leggiadri nelle loro armature dal rigido stile ma oltremodo luccicanti. Gli opranti si muovono di fianco al palco quando manovrano i pupi, potendoli muovere addirittura su più scene una dietro l’altra, molto utili nelle battaglie, e sono essi stessi a fare le voci dei personaggi mentre li muovono. Al momento presente, questa tradizione può definirsi conservatrice, e utilizza ancòra rigorosamente i brani del pianoforte a cilindro e gli effetti sonori prodotti dagli stessi pupari.

In seno alla tradizione orientale vale la pena di ricordare alcune specificità: l’antico sistema acese, nel quale i manianti operano da un ponticello direttamente sopra la scena, la recente innovazione siracusana che prevede la realizzazione dei volti in duttile cartapesta anziché in legno, e l’ormai secolare tecnica messinese della cromatura delle armature.

Le tradizioni differiscono anche nella concezione delle rappresentazioni e nella scelta del repertorio. Risulta persino difficile, alla luce di tutte queste differenze, parlare di un’unica Opera siciliana, giacché forse bisognerebbe contare almeno due Opere diverse.

Pupi palermitani, della famiglia Cuticchio – Fonte: wikipedia.org

Il repertorio dell’Opera

Veramente vasto e variegato è il repertorio dell’Opera dei pupi.

Assolutamente centrale, raccolta e cucita dall’ottimo Giusto Lodico, è la Storia dei Paladini di Francia (il Ciclo Carolingio), ovverosia la leggendaria cerchia dei Conti Palatini di Carlo Magno che dalla realtà storica traghettano qui in una dimensione fantastica. Nomi e sembianze di personaggi storici s’involano, per divenire prestavolti di figure immaginarie che si accompagnano ad altre della stessa specie in un mondo che, seppur assomigli al nostro, in verità è un’altra dimensione con un corso storico separato. Protagonista maggioritario è il purissimo conte Orlando, nipote dell’Imperatore e suo Primo Paladino, insieme al vivace e libertino principe Rinaldo suo cugino, figura antitetica, mentre l’antagonista principale è il conte Gano di Magonza che, tentando di riportare sul trono la sua antichissima casata d’ascendenza troiana, ordisce la loro rovina; ma i personaggi sono centinaia. Il corso degli eventi, tuttavia, comincia dal tempo mitico greco e dalla storia romana (la “Materia di Roma”), denominate “Storia Greca” e “Reali di Francia” e rielaborate dalla sensibilità dei pupari, e si conclude dopo la Disfatta di Roncisvalle, con la Storia di Guido Santo et alia.

Se l’Opera palermitana si limita a rappresentare devotamente il Ciclo Carolingio, molto più variegata ed estrosa è l’Opera catanese, che nel corso del tempo ha incluso numerosi romanzi e poemi cavallereschi già esistenti (Trabazio imperatore di Costantinopoli, Calloandro e Leonilda, Gerusalemme liberata), tutti riscritti da varî autori e poi pubblicati da un editore e autore di grande pregio artistico: Giuseppe Leggio. Ma soprattutto, alla tradizione catanese e orientale sono state donate, dall’inventiva brillante e appassionata di pupari e scrittori e dai tipi di Leggio, nuovissimi romanzi ispirati dai precedenti ma di concezione integralmente siciliana, ambientati in Sicilia e nel mondo. È doveroso mentovare Uzeta il Catanese, Erminio della Stella d’Oro e Gemma della Fiamma, Guido di Santa Croce, Tramoro di Medina, Guelfo di Negroponte, Farismane e Siface, tutte queste opere di concezione catanese, e una speciale menzione va fatta del Belisario da Messana, scritto da Rosario Gargano e incentrato proprio su Messina, del quale la Compagnia rappresenta tuttora una porzione. Quasi tutte queste opere, purtroppo, attualmente non vengono rappresentate nei teatri (divise in puntate, raggiungevano il centinaio!), e sfortunatamente le loro trame sono di difficilissima (ma non impossibile) reperibilità, non essendo mai stati ristampati in cent’anni.

Storie d’intrighi, e intricate, di guerra, persino violente e crude, in un mondo in cui la realtà e la dimensione fantastica si mescolano espatriando infine in quest’ultima, e d’amore, e ricche di virtù, ove il Bene pur con tutte le atroci difficoltà trionfa sempre sul Male, anche a costo del sacrificio estremo dei suoi protagonisti.

Un bellissimo Uzeta della famiglia Napoli – Fonte: lapisnet.it

Le compagnie ancòra attive

Qui di sèguito trovate le compagnie ancòra in attività nell’anno corrente.

Prima tra tutte occorre nominare l’Opera dei pupi messinesi Gargano, che, nella nostra Messina, tiene alto l’onore della tradizione da ben cinque generazioni, essendo una delle famiglie più antiche e rinomate di pupari (circa duecento anni). A Catania la Compagnia Marionettistica Fratelli Napoli, centenaria da quest’anno, è spesso portabandiera di quest’arte a livello internazionale. Importante esponente della tradizione acese è l’Opera dei Pupi Turi Grasso, dal nome del suo fondatore e maestro che tuttora la dirige. Più anziana in Acireale è la Società Cooperativa Teatro Emanuele Macrì. A Palermo, tra le maggiori in tutta la Sicilia anche per il riscontro estero è la Compagnia Figli d’Arte Cuticchio, anche contastorie. Palermitana e di grande maestria e sensibilità è pure la Compagnia Famiglia Argento. Altra bella compagnia palermitana è la Compagnia Famiglia Mancuso. Più recente, ma degna erede della tradizione palermitana, è la Compagnia Brigliadoro. L’Antica Compagnia Opera dei Pupi Famiglia Puglisi di Sortino pare sia proprio la più antica esistente, vantando quasi trecento anni. Altra compagnia d’antichissima tradizione è la Compagnia Opera dei pupi Siciliani “G. Canino” di Alcamo, il cui capostipite inventò i pupi “palermitani” duecento anni fa. A Siracusa, capitale spirituale della Sicilia, in Ortigia, ha sede l’energica Compagnia dei Pupari Vaccaro-Mauceri. Particolare, la Compagnia Marionettistica Popolare Siciliana è caratterizzata dall’introduzione nel repertorio di “storie antimafia”. Messina può vantare un’altra compagnia, più recente, la Compagnia Marionettistica dell’Ippogrifo, che riprende anche l’antico genere delle satire.

Quasi tutte queste compagnie sono partecipi della lodevole iniziativa Sicilian Puppets Series indetta dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino per la quale sono e saranno visionabili in diretta streaming un totale di 80 spettacoli.

Un bellissimo Orlando della famiglia Gargano – Fonte: famidisicilia.it

Pupi che furono, che sono, che saranno

Il fantasy siciliano del teatro dei pupi precedette d’un trentennio l’opera di grandi autori come John Ronald Reuel Tolkien e Robert Erwin Howard, e senza diretto collegamento ne contiene molti archetipi comuni, come l’eroe errante nelle storie di Conan il Barbaro.

Ma il nostro è meno un “fantasy mitologico-escatologico” come quello del Silmarillion e quindi de Il Signore degli Anelli (quasi coevi), invece è molto vicino a un sottogenere apprezzatissimo nel nostro tempo – in anticipo di cento anni! – cioè il “fantasy politico-verista”: i protagonisti sono sempre membri di famiglie nobili e potenti, in lotta per il potere o per una realtà più giusta. In un’epoca in cui sempre più ci si appassiona a opere come le brillanti Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George Raymond Richard Martin, trasposte con grand’effetto ne Il Trono di Spade, ove congiure e battaglie sono preponderanti, penso che i Paladini di Francia e tutti gli altri eroi dei nostri pupari possano trovarsi pienamente a loro agio! In fondo, sono state “serie ‘televisive’” ante litteram.

Purtroppo, i romanzi utilizzati nell’Opera non sono mai stati presi seriamente sul serio dagli studiosi di letteratura; ma del resto, l’Italia, pur avendo avuto Ariosto, Pulci e Boiardo, padri del fantasy, ha una critica letteraria notoriamente ostile a questo genere. Non faccia lo stesso errore la Sicilia, ch’è stata capace di portare avanti così brillantemente la sua forma di fantasy!

Ho la certezza che ancòra tanto successo sia capace di riscuotere oggi l’Opera dei Pupi, sia grazie alla nuova ondata di fantasy affine, sia per le nuove tecnologie che possono agevolare le rappresentazioni e innovarle; e questo è il grande augurio che voglio porgere!

Di primaria importanza è – e rimarrà sempre –, soprattutto a Messina, che le istituzioni si mobilitino per la difesa di questa tradizione unica al mondo, che ha unito il genere fantastico al teatro di figura.

E adesso, dame e cavalieri… addentratevi in questo mondo!

Pupi della famiglia Argento, Orlando e Rinaldo in battaglia

 

Daniele Ferrara

Bibliografia:

Mimmo Cuticchio, Alle armi, cavalieri! , Donzelli editore 2017
Alfredo Mauceri, Pupi Siciliani – Sicilian Marionettes, Sime Books 2017
Alessandro Napoli, Il racconto e i colori. “Storie” e “cartelli” dell’Opera dei Pupi catanese, Sellerio editore Palermo 2002

Immagine in evidenza:

Orlando e Rinaldo in una scena de L’incanto di Creonta della compagnia Gargano, ispirata dal Morgante di Pulci – Fonte: normanno.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Messina, la guerra punica, l’indipendenza

Com’è evidente, a Messina c’è poca persistenza di antichità, ma abbiamo gli strumenti per conoscere la storia della Città in tempi anche remoti, tramite quanto ci hanno tramandato gli storici antichi.

Uno dei temi senza dubbio più affascinante è quello della prima Guerra Punica. Sfortunatamente, di solito l’istruzione di base è poco attenta a sottolineare come il conflitto ebbe la sua causa proprio in Messina, e questo fatto basilare rimane quasi una conoscenza iniziatica dell’istruzione superiore. Insomma, sempre la stessa situazione: la storia l’abbiamo fatta noi però non la sappiamo.

È importante anche sottolineare che la Sicilia non fu interamente conquistata in quella guerra, bensì de facto si ritrovò suddivisa in almeno tre stati! Or parlandone, scoprirete, forse con stupore, che quella volta Messina si è costituì (per la prima volta) quale stato autonomo di fronte a una Sicilia più o meno compatta, un tema particolarmente caro ai nostri eruditi del passato, che ancòra quattrocento anni fa avrebbero voluto farne a tutti gli effetti una Repubblica (come Venezia o Firenze!).

“Moneta mamertina”: da un lato la testa di Zeus, dall’altro guerriero da alcuni identificato come Feremone, figlio di Eolo  – Fonte: wildwinds.com

La Guerra Punica scoppiata a Messina

Messina era da poco stata presa dai Mamertini, una compagnia mercenaria osca che, dismessa dall’esercito del Regno di Sicilia dopo la morte di Agatocle, si era ritrovata senza ingaggio ed, evidentemente, con molta voglia di fare. Se già Messina in passato era stata una fiorente città-stato e poi aveva avuta una forte tendenza a difendere la propria autonomia dalle mire dei sovrani in Siracusa, con l’avvento al potere del “nuovo partito” questa volontà divenne un’esigenza imprescindibile, giacché il nuovo governo aveva intenzione di farla pagare ai Mamertini per la loro condotta disdicevole e riguadagnare Messina, in un tempo in cui la Repubblica di Cartagine stava ormai allungando gli artigli su tutta la Sicilia.

Quando i Mamertini si ritrovarono sconfitti dallo stratego siracusano Ierone figlio di Ierocle (presto re Ierone II) nella celebre battaglia del Longano (oggi il Patrì, territorio di Rodì-Milici), Messina fu costretta a cercarsi un potente protettore che potesse farle salvare la propria indipendenza. C’erano due fazioni, l’una che voleva rivolgersi a Roma e l’altra che voleva chiamare Cartagine; all’inizio prevalse quest’ultima, e un distaccamento punico di stanza nella Sicilia Occidentale rapidamente si spostò per presidiare Messina. Ma nel frattempo, convincendosi anche che la presenza cartaginese mettesse tutt’altro che in sicurezza l’indipendenza, alcuni mamertini decisero di raggiungere infine Roma. E Roma scese in guerra a favore di Messina, cogliendo l’occasione per aggredire la rivale.

Le truppe romane in aiuto a quelle mamertine dovettero prima rompere l’assedio di Messina operato dall’armata cartaginese congiunta con quella di re Ierone, poi si aprì lo scontro con Siracusa che si chiuse in breve tempo con un armistizio e un successivo cambio di alleanza, grazie alla lungimiranza di Ierone II che comprese come salvare il salvabile in quello scontro fra titani in cui Siracusa non era più un titano. La guerra fu combattuta tutta in Sicilia, i Romani con gli alleati guadagnarono città dopo città tra quelle schierate dalla parte di Cartagine, con le buone o con le cattive, finché quasi tutta la Sicilia fu occupata.

Mappa della prima Guerra Punica – Fonte: wikipedia.org

Messina: la città federata con Roma

Quando la Repubblica di Roma sconfisse la Repubblica di Cartagine, la gran parte della Sicilia fu creata prouincia, la prima di una lunga serie, ossia un territorio esterno a quello amministrato direttamente da Roma (l’Italia) che doveva essere governato per conto del Senato da un suo designato, che in questo caso aveva sede a Marsala, la capitale. Dell’isola rimaneva indipendente quanto rimaneva del Regno di Sicilia ossia, quasi tutto l’odierno Val di Noto, in quel momento retto ancòra da re Ierone, con capitale Siracusa. Ma rimase indipendente anche un’altra entità politica: quella di Messina, seguìta più avanti sulla stessa scia da Taormina e da Noto che si staccarono dal Regno Siracusano.

La Città aveva, secondo le relazioni romane, una precisa condizione: era una ciuitas foederata (“città federata”), il che significa che tra Messina e Roma era stato stipulato un trattato bilaterale nel quale le due parti avevano ciascuna messi per iscritto i proprî diritti e doveri nei confronti della controparte. Questo significa che Messina – e più avanti Taormina e Noto – era in tutto e per tutto uno stato autonomo, con le proprie leggi e la propria volontà, con il diritto a intrattenere le proprie relazioni, ma al tempo stesso sempre rispettando il patto siglato con Roma. Tuttavia, essa era comunque uno stato minuscolo, soffocato da uno stato alleato ben più potente, che a sua volta tendeva a guardarla in un rapporto di vassallaggio, come uno stato cliente di Roma.

Su come Messina rimase indipendente abbiamo già parlato prima. Alla fine della guerra, la Città, non sottomessa con le armi ma invece partecipe del conflitto con le proprie, si era fondamentalmente trovata al tavolo dei vincitori. Messina aveva dunque potuto ottenere quello ch’era l’obbiettivo dei Mamertini: rimanere libera, indipendente, il suo status insomma non fu un dono ma fu semplicemente conservato.

Con la seconda Guerra Punica, essendosi schierato il Regno Siracusano di nuovo con Cartagine, esso fu sconfitto e il suo territorio annesso da Roma nella Prouincia Sicilia, la cui capitale fu spostata da Marsala a Siracusa; questo è un termine preciso. Secondo diversi studiosi fu allora che Taormina e Noto, dissociandosi dal cambio d’alleanza e mettendosi con Roma, rivendicarono in cambio l’indipendenza. Comunque, anche le “tre sorelle” persero a un certo punto il loro status di “stati minori”, allorché presero la parte sbagliata durante sollevazioni o conflitti in Sicilia, o comunque quando ormai un certo tradizionale equilibrio era venuto meno. Cicerone parlava di Messina ancòra come ciuitas foederata, sebbene il suo status risultasse ormai quasi “spurio”, ma quando Sesto Pompeo prese il potere in Sicilia, nella terza delle tre guerre civili romane, dalle fonti pare che la sua base fosse Messina, una situazione che sarebbe risultata davvero complicata se essa fosse stata anch’allora una città-stato come duecento anni prima.

Moneta di Sesto Pompeo: da un lato il faro e il colosso del Peloro, dall’altro Scilla che sta distruggendo una nave – Fonte: numisbids.com

Con la speranza d’avervi aperto un piacevole squarcio attraverso le nebbie della storia, affidiamo questo articolo ai vostri cuori!

 

Daniele Ferrara

 

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Fonte: ancient-battles.com