“Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze”: con questo libro si fa il pieno di Bukowski

9788807885235_quarta“Dalle Sue dita uscivano carbone e diamanti”: leggete e piangete con questo capolavoro di Bukowski

La maggior parte delle poesie che conosciamo ci ricordano di un tempo ormai passato, di un romanticismo oggi più che mai superato, di amori struggenti narrati dalla nobile penna dei grandi poeti che la storia ricorda, nulla a che vedere con quello che Charles Bukowski ci ha lasciato in questo libro e in tutti gli altri suoi capolavori di una vita vissuta intensamente e, spesso, al di fuori delle righe…

“Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze” è un libro di “poesie” anomalo. Non segue la rima, non cura il particolare, non descrive paesaggi maestosi o umidi amori sotto la pioggia d’estate, ma ci fa toccare con mano le viscere della passione di un uomo. Con estrema durezza ci catapulta in una realtà a noi distante fatta di alcol, donne e sesso, contornata da una decadenza asfissiante tipica dei bassifondi dell’America degli anni Settanta.

Il protagonista dei racconti è quasi sempre lo stesso scrittore che narra in prima persona ciò che vede, sente e vive ogni giorno, tra un bicchiere di troppo e l’amore fugace con le donne che incontra durante i suoi continui vagabondaggi. Le storie non seguono un filo logico, ma tutte hanno una volontà comune: la voglia di raccontare il vero senza veli né farse, anche ciò che può far disgustare i più deboli e storcere il naso al lettore medio. Le descrizioni degli intrecci passionali tra il suo corpo e quello delle donne con cui passa le notti sono la perfetta trasposizione su carne di ciò che rappresenta un ossimoro, intensità e dolcezza, rabbia e debolezza, piacere carnale e sentimento astratto, tutto costruito in modo da rendere ogni parola tagliente, senza smussarne gli angoli.

Fiumi di alcol attraversano le pagine di questo libro. È un testo ubriaco di sentimento, di quello grezzo che ci sporca le mani e che difficilmente si lava via. Ci invita a pensare, ci fa imprecare, ci impressiona, ma sempre insegnandoci qualcosa…

“Molta gente scrive poesie che non sente pienamente. Lo faccio anch’io, a volte. Vita dura genera verso duro e con verso duro intendo un verso vero privo di orpelli.” 

È una lettura consigliata per chi ama le storie, quelle concrete, pure e spesso anche dure da comprendere. Per chi vuole superare lo stereotipo dell’amore romantico per poter vedere con i propri occhi il vero, a volte osceno, ma pur sempre reale sentimento umano.

Giorgio Muzzupappa

Abbatti lo stereotipo- Il terrone fuori sede

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Chi non ha un amico che studia lontano dalla sua calda e amata terra natia?

Dalle regioni più vicine fino ai freddi centri trafficati del nord, lo studente meridionale si insinua nella vita universitaria dei romani, dei polentoni ( chi più ne ha, più ne metta) regalando assaggi della terronia e creando, spesso, degli stereotipi che oggi, una volta per tutte, abbatteremo.

 

Ecco a voi i quattro cliché del terrone fuori sede:

  1. Le valigie piene di cibo. Leggende narrano che, per gli aeroporti italiani, viaggino solitarie e profumate, valigie cariche di braciole, di cannoli, di arancini ( o arancine, così nessuno si arrabbia). Probabilmente qualcuna ce ne sarà in circolazione, ma demitizziamo questi racconti: la verità è che il vero terrone, rientrando a casa per le vacanze, si rimpinza di questo cibo fino a scoppiare e, tornando su, il frigo è in dieta e le valigie sono solo piene di quei maglioni pesanti che al sud nessuno mai oserebbe indossare.
  2. La nonna al telefono, prima di salutare, dice: “ Hai mangiato?”. Beh sì, lo chiedono, ma non prima di aver fatto una serie di domande che la rassicurano sulla tua incolumità. Il questionario della nonna si struttura in: “ Hai chiuso la porta a chiave?”, “ Hai spento il gas?”, “Non è che cammini in strade buie ed isolate?” ed infine “ Hai mangiato, vero? Quando torni ti faccio mangiare io!”. Mi sembra doveroso, però, precisare che la telefonata è rigorosamente in dialetto .
  3. Uscire è transitivo. Touché. Regola grammaticale completamente introdotta da noi meridionali e che, con molta, troppa difficoltà, abbandoniamo. Ed ogni volta che il povero studente fuori sede prepara, per lui e per il coinquilino, il caffè ed urla “ È uscito il caffè”, le orecchie di un polentone sanguinano. Difficile sfatare questo mito, ma i terroni imparano in fretta: “uscire” come transitivo è off-limits.
  1. Ritardatari cronici. “ Fra un PAIO di minuti sono pronto” quel “paio” meridionale che va da una decina di minuti all’ora spaccata. Il terrone soggetto a questo pregiudizio, però, ormai è puntuale come un milanese, addirittura arriva in anticipo e, asserendosi paladino della giustizia sociale, sfata ogni cliché sulla non puntualità dei terroni.N.B.: il genere femminile, chiaramente, si astiene dallo smentire il mito della non puntualità.

     

     

    Terroni fuori sede, siete vittime di altri stereotipi? Scriveteci e li sfateremo tutti ( o almeno, ci proviamo).

     

    Jessica Cardullo

     

Moonlight: un film da non perdere

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Negli ultimi anni l’industria cinematografica e televisiva ha avuto come tema ricorrente la questione di genere e la comunità LGBT. Pochi film però sono stati così delicatamente incisivi e toccanti come “Moonlight”, film di apertura dei festival di Telluride e Roma di quest’anno, è stato proiettato anche al NYFF, al TIFF e al BFI di Londra.

Seconda opera di Berry Jenkins racconta la vita di un ragazzino di colore nei bassifondi di Miami e l’accettazione della sua sessualità.

Strutturato in tre capitoli, per tre fasce di età, denominati col nome con cui Chiron si fa chiamare o viene chiamato. Da piccolo Chiron attira l’attenzione di uno spacciatore (interpretato da Mahershala Ali il cui nome non vi dirà nulla ma che avete visto in molti film e tv series fra cui House of cards nei panni di Remy Danton, l’avvocato che diventa capo dello staff di Underwood) che , insieme alla moglie (la cantante Janelle Monae) lo accoglie in casa, e sopperisce alla figura paterna.

I bulli che lo perseguitano fin da piccolo lo faranno diventare un’ altra persona da adulto. O forse sarà una semplice corazza. Chiron è una persona taciturna, quasi muto, sensibilissimo e timido. Il mare dietro quello sguardo profondissimo. La spiaggia e il mare: i luoghi in cui è libero di essere se stesso.

E’ un film necessario per l’America dopo la strage di Orlando e per gli spettatori di tutto il mondo, perché racconta la battaglia interiore ed esteriore di un ragazzo di colore , sessualità e bullismo. Delicato e prorompente, non scade mai nel cliché. Jenkins ha una visione unica e mai vista fino ad ora , permette agli spettatori di riflettere sulle ferite visibili ed invisibili dell’altro, argomento che probabilmente non aveva mai sfiorato la loro mente.

Insomma è un’opera da non perdere.

Arianna De Arcangelis

Cinefilia per idioti: i Film Romantici

 

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Tutti lo abbiamo fatto almeno una volta. E non mi riferisco al mettersi le dita nel naso in pubblico o al parlare male di qualcuno. Mi riferisco al fantasticare sulle le vite degli altri, quelle vite che cinicamente critichiamo ogni giorno al bar o su post svergognati ma che in, realtà, sogniamo da sempre. Tutti, insomma, subiamo il fascino delle tipiche storie d’amore a lieto fine. C’è chi si ostina a dare ancora la colpa ai cartoni Disney; io dico che è insito in un ognuno di noi quel sentimento di speranza che ci fa scegliere quel film, quella sera, “perché oggi m’annoio” per finire con un sorriso ebete o nel peggiore delle ipotesi, con una montagna di fazzoletti pieni di muco. Credo sia giunta l’ora però di essere onesti con noi stessi, che anche i film romantici a cui siamo più affezionati presentano dei cliché che si ripetono in loop, quasi come la melodia di un carillon rotto.

Le nostre protagoniste ( perché si ammettiamolo sono quasi sempre delle donne con evidenti problemi psicologici e relazionali) sono ovviamente inconsapevolmente bellissime, o semplicemente hanno bisogno di togliere solo un paio di occhiali da vista e sciogliere i capelli in rallenty, per non passare inosservata il giorno dopo a scuola/lavoro. Avete notato che difficilmente questo tipo di film sono ambientati all’università? forse perché, qui, sarebbe difficile immaginare un lieto fine anche nella fantasia? Come nelle favole, la protagonista ha quello che possiamo definire “un aiutante”, o meglio ancora, un’amica/o fuori dal comune ( solitamente cinico e con gusti d’abbigliamento discutibili).

Come ogni essere umano più o meno intelligente anche questo personaggio sarà costretto a rivalutare le proprie lucenti prospettive di “mangiatrice di uomini” o “piacione” per quelle che sono delle regole non scritte ma, sempre valide, che muovono il sole e l’altre stelle, potrà innamorarsi solo e soltanto dell’amico/a dell’anima gemella del/la protagonista. ATTENZIONE: esistono casi in cui le nostre care commedie romantiche riescono a stupirci con trame alternativamente scontate. Come quando il vero amore della protagonista le è sempre stato “davanti agli occhi” ma doveva attirare l’attenzione di mezza scuola per rendersene conto. Inutile fingere, sapete benissimo di chi sto parlando: del suo migliore amico.

Esemplare che suscita tenerezza fin da subito nello spettatore, perchè, chi non vorrebbe qualcuno che ci ami in modo segretamente incondizionato?Per tutto il film non faremo che dare della stupida alla protagonista, Perché ” che scema come fa a non accorgersi che è lui quello giusto!” ma ei quello che critichiamo negli altri è quello che non sopportiamo in noi stessi. Ciononostante l’obiettivo ultimo di ogni ragazza non sarà quello di realizzarsi come donna ( professionalmente o spiritualmente) ma quello di essere notata dal più bello, anche involontariamente, perché essere sfigata o racchia nei film non ti salverà dal trovare il vero amore.

Ed è dopo questa affermazione che mi preme chiedervi, siete ancora sicuri di voler vivere in film? Non rispondetevi subito però, ancora non ho finito. Se la protagonista o il protagonista sta con qualcuno all’inizio del film, il regista, la cui mission è quella di fare innamorare i due, crea catastrofi e spargimenti di sangue affinché possano stare insieme. Vietato lasciarsi come delle persone normali ( ma chi è che si lascia in modo normale?) Lui o lei prima dovranno soffrire, come quando sei costretto a trattenere la pipì per ore, perché tu la fai solo nel tuo bagno o perché altrimenti ti sentono, affinché poi la cose vadano come dovevano andare. PS: La scelta del regista di far vedere o intendere al protagonista che il proprio partner li tradisca è un optional.

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Prima degli intrighi e dei tradimenti ( sopracitato) i protagonisti devono trovarsi, e questo genere ci pone due alternative sempreverdi: Dall’odio nasce l’amore o amore a prima (s)vista. La teoria “l’odio non è altro che l’altra faccia dell’amore” diviene terreno fertile per questo genere di film. Prima di arrivare ad un lieto fine smielato, per non rendere tutto estremamente scontato ( e quindi renderlo oltremodo scontato), i due protagonisti proveranno davvero poca simpatia l’uno per l’altro, punzecchiatosi per tutto il film, una sera in riva al mare apriranno il loro cuore l’un l’altro e si innamoreranno. Certo, potrebbe accedere anche a bordo piscina, davanti casa, su un prato sotto le stelle, il punto è che succede. Ed anche se questo aspetto potrebbe sembrare possibile nella realtà, nessun ragazzo pagherà la banda e canterà ” i love you baby” scendendo le scale davanti tutta la scuola ( vedi 10 cose che odio di te).

Ma avete presente quando ad un concerto voltate la testa e in mezzo a tutte quelle persone lui è li, li che vi guarda ed entrambi provate qualcosa? NELLA REALTA’ NON ACCADRA’ MAI, o se dovesse accadere io vi consiglio sempre di girarvi per vedere se c’è qualcuno di più interessante di voi alle vostre spalle, perché magari quello sguardo languido non è per voi( cioè quasi sempre). Ma nei film accade spesso e volentieri che l’amore nasca da subito, con un solo sguardo. ( Questo perché l’aspetto fisico non è tutto nella vita, bambine). Ovviamente non diranno mai che dopo tre giorni dalla fine del film i protagonisti si lasciano. Perché sognare è bello. E noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Più del metabolismo lento e della cellulite, una maledizione che colpisce tutte le ragazze è quella convinzione innata di poter cambiare le cose, le persone

Dentro ognuna di noi nasce, cresce e corre una piccola anima da crocerossina che ci impedisce di vedere le cose per come stanno. Non capite? E’ lapalissiano,colpa dei film che ci fanno credere che solo con il nostro amore incondizionato e la nostra dedizione potremmo cambiare lo stronzetto di turno. ( come se tutti i cattivi ragazzi fossero come Dylan e tutte le ragazze come Branda di Beverly Hills 90210). Ragazze, fingere di non essere gelose o ignorare il fatto che sia andato a letto con molte ragazze prima di voi non è la soluzione. Ne realmente possibile, a meno che non siate malate terminali ( vedi i passi dell’amore) e quindi non avete tempo da perdere in queste elucubrazioni mentali. (Perciò siate ingegnose: usate le malattie a vostro vantaggio. Anche un raffreddore.)

Dopo essersi incontrati, amati e lasciati tutto si conclude con un colpo di scena del tutto scontato: lasciare qualcuno all’altare per chi sia ama davvero (per prendere una decisione seria aspetti fino all’attimo prima di sposarti, “perché non si sa mai”), scoprire che è uscito con voi solo per una scommessa, ma alla fine, vi ama davvero ( questa cosa, lui, mica poteva dirla prima. La deve scoprire lei origliando discorsi fatti con altri), scoprire che in realtà amavate quel ragazzo sfigato che vi è sempre stato vicino, e non il belloccio su cui volevate fare colpo per tutto il film. Una mia spassionata considerazione? Questi film non ci insegnano nulla, se non di continuare a fantasticare e perciò vivere infelici. Smettete di vederli.

 

Elisia Lo Schiavo

Dimmi chi voti e ti dirò se ti rimuovo dalle amicizie Facebook!

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Delegare la possibilità di scegliere su questioni di vitale importanza è un topic la cui origine si perde nel tempo. Viste le imminenti elezioni di novembre (non Unime, ndr) che vedranno lo scontro tra la visione “rivoluzionaria” che ha del mondo Trump e la ricerca di una conferma della discontinuità (iniziata col periodo Obama) della Clinton, e vista l’importanza che rivestiranno nei confronti delle future politiche ed economie in tutto il globo, è impensabile credere che non possa accadere qualcosa che possa minare la credibilità di uno piuttosto che dell’altro candidato, vivendo nell’era dei Social Media. Non sono mancate infatti minacce di possibili attacchi informatici (si è bisbigliato negli ultimi giorni di furto di credenziali nei confronti della Clinton), con riversamento di informazioni e che potrebbero compromettere la campagna elettorale e veicolare quantità innumerevoli di voti da una parte o dall’altra.
h2>Sperimentiamo un po’
Al di là di quello che può essere un atto “piratesco” di attacco nei confronti di una persona, a prescindere da quella che sia la volontà di una persona di rivelare alcune informazioni, credo ci sia qualcosa di cui preoccuparsi ulteriormente, e sono i cosidetti “esperimenti social”. Da qualche giorno a questa parte è disponibile per gli utenti Facebook americani la possibilità di poter effettuare un “endorsement” nei confronti di uno dei due candidati attraverso un’applicazione che permette di scegliere chi è il personaggio politico di riferimento con un solo click, e che applica un badge alla propria immagine profilo.
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h2>Possibilità di accanimento
Se da un lato questo può far scaturire la voglia di perdere i legami con ogni singola persona che faccia uso di questa applicazione, dall’altro credo serva una profonda riflessione sul fenomeno, che inizia senza dubbio da un punto: rilasciare informazioni di questo tipo in pasto ad entità quali i Social Media può essere nocivo? Chi conosce il mio “endorsement” può veicolare alcune informazioni piuttosto che altre nei miei confronti, o spingermi ad espormi in un modo piuttosto che in un altro avendo come cassa di risonanza il mondo intero, e di conseguenza esponendomi a pericoli terzi, quali ad esempio atti di persecuzione politica? La risposta non è scontata ne immediata, e richiede sicuramente studi più approfonditi sulla privacy dei dati che forniamo “volontariamente” al Social Media di turno, che spesso non forniscono una panoramica così ampia in tal senso.
h2>Big Brother is coming
Nonostante questo non vuole essere un tentativo di terrorismo psicologico, non è impensabile che i dati immagazzinati nei vari server sparsi per il mondo possano essere successivamente venduti a terze parti, in modo singolo o aggregato, che possono utilizzarli per i più disparati fini.
Il tutto sta nel nostro buon senso e nella nostra sensibilità in merito all’argomento sicurezza, ma immaginare uno o più Big Brothers che interagiscono per controllare ogni tappa della nostra vita, elezioni comprese visto che da queste spesso dipendono i nostri destini, sembra sempre meno lontano.
Salvo Bertoncini

Recensione ”Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti

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Piantala con questi mostri, Michele. I mostri non esistono. I fantasmi, i lupi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni, come te. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri.”

 

Michele, 9 anni, è uno dei tanti bambini del libro che sente la naturale necessità di avventurarsi, di sperimentare, di conoscere, di esplorare i territori nelle campagne del paesino in sud Italia dove vive. A causa di una penitenza durante un gioco, finirà per scoprire un ragazzino nascosto in un buco.

Tutto sarà un mistero per lui, un mistero che a poco a poco verrà svelato, facendo scoprire a Michele il mondo dei grandi che sognano di diventare ricchi e andarsene via di lì.

Quando diventi grande te ne devi andare da qui e non ci devi tornare mai più.”

 

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Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti è un romanzo duro e crudo ma tutto filtrato dalla mente di un bambino che conosce appena il male, è un libro commovente, anche se a tratti straziante, ma pieno di quella purezza e innocenza tipicamente infantile.

Serena Votano

Le 7 tipologie di parenti degli Universitari

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Se sei una matricola, questo articolo potrà esserti utile a difenderti dalle trasformazioni che la tua intera famiglia subirà non appena varcherai la porta di casa da Universitario.  Se invece sei una vecchia gloria dell’Ateneo, ti divertirai a riconoscere i tuoi parenti in queste 7  esasperate categorie. Scopriamole insieme.

1. “Mio figlio studia all’Università”

Qui vanno piazzate di sicuro tutte quelle mamme che, dall’immatricolazione in poi, se ne andranno in giro esibendoti come un trofeo. La sorprenderai al telefono con la sua migliore amica, mentre elenca tutte le materie del tuo corso di laurea. Vi capiterà di sentirla persino alla cassa del supermercato che esordisce con un “Niente sconto? Mio figlio va all’Università”. Stai tranquillo, non è una cosa duratura. Prima o poi si renderà conto del fatto che non sei un super eroe.

2. “Hai preso 28?”

Ecco, proprio quando tua madre smetterà di crederti un extra terrestre, succederà più o meno questo: Tu che torni a casa, sei stanco ma contento di aver finalmente passato l’esame per il quale hai penato per circa 2 mesi, rinunciando alla tua vita sociale e pure a quella igienica (perchè diciamocelo, sotto esami pure il tempo che impiegheresti a fare una doccia diventa prezioso). Lei ti scruta curiosa, non sta più nella pelle. Tu non vedi l’ora di mostrarle soddisfatto il tuo libretto, glielo dai. Lei lo apre, lo guarda, ti guarda, lo riguarda, ti riguarda e finalmente esclama: “Solo 28? hai preso solo 28?”. Ecco, forse non smetteranno mai di crederci degli extra terrestri.

3. “Stai mangiando, vero?”

Tua nonna. Da sempre la miglior infornatrice di parmigiana di melanzane, e la migliore decoratrice di torte del quartiere. Ti ha ingozzato fin dai tempi dell’asilo, nascondendoti nel piccolo zaino il panino salame, formaggio e pomodori secchi che, se lo riportavi indietro rischiavi di farla finire al pronto soccorso e allora ti inventavi le peggiori trattative coi tuoi compagni che i cartelli messicani ciao proprio. Ecco, nella sua testa l’ostacolo adesso è ai massimi livelli. Ti vede andare a lezione, poi studiare e passare le notti insonni a ripetere. Sente l’ansia gironzolare per casa e vorrebbe abbatterla al posto tuo, a colpi di mattarello e lievito di birra. Ma lei ha di sicuro la ricetta perfetta: Sta già infornando l’ennesima teglia di pasta al forno perchè oh, “ti vedo sciupato”. E niente, forse tua nonna non è troppo cambiata da quando facevi l’asilo.

4. “Quando ti laurei?”

Se sei single ti chiederà: “Ma quando ti trovi un/a  fidanzato/a?”.  Se il/la  fidanzato/a  ce l’hai già, ti chiederà: “Ma quando ti sposi?”. Se sei felicemente sposato/a ti chiederà: “Ma quando te li fai due bei bambini?”. Se nessuna di queste categorie ti appartiene perchè sei fermo al primo punto e ti sei pure arreso al fatto che no, non ti fidanzerai mai perchè una relazione richiede troppo tempo, allora preparati perchè lei sarà lì. Tua zia, quella che sei costretto a vedere una volta ogni quattro mesi alle riunioni di famiglia. Colei che non aspetta altro che infierire sulla tua già infelice vita da studente senza bambini, ne matrimonio, ne fidanzata/o. Puntualmente ve lo chiederà con quel ghigno malefico “Ma quanto ti manca alla laurea, ancora molto?” e tu magari ti sei appena immatricolato e vorresti solo metterle del lassativo nel bicchiere.

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5. “Tua sorella ha finito in tempo”

Tutti abbiamo una sorella più intelligente. Anche tu, figlio unico che di sorelle e fratelli non ne hai mai visto nessuno. Una volta entrato a far parte del mondo universitario, ti ritroverai a dover lottare non solo con dispense, professori ed esami improponibili. La tua sarà una gara contro il modello perfetto al quale ti paragoneranno costantemente. Non hai una una sorella ne un fratello? Sono sicura che se ti fermi 30 secondi a pensare al tuo albero genealogico, ecco che ti salta in mente il 110 e lode in giurisprudenza di tua cugina, il master in ingegneria nucleare del fratello di tua cugina, la laurea in medicina e chirurgia della tua vicina di casa, tutte rigorosamente conquistate lontano dal fuoricorso che mamma mia, ho l’ansia solo a pensarci mi sa che vado a studiare.

6. “C’è sempre il prossimo appello”

Ecco, forse è il momento di descrivere gli alleati. Si, perché in mezzo a tutta questa ansia avrai di sicuro degli alleati. Se sei cresciuto in una famiglia numerosa, i compagni di gioco non ti saranno mancati; I tuoi cugini coetanei o semi coetanei, quelli con i quali dividevi il ruolo dei power rangers (io sono quello rosso che è il più forte, se vuoi giocare resta solo quello rosa) o delle super chicche. Adesso siete chiaramente tutti in lizza per il titolo più prestigioso della famiglia, ma stavolta siete tutti seduti dalla stessa parte del tavolo. “Io lo do al prossimo appello, tu?”  e finalmente ti sembra di aver trovato un oasi in mezzo al deserto.

7. “Il super eroe di te stesso”

E alla fine,  ci sei tu. Tu che volente o nolente, una volta oltreppassata la linea da studente universitario, ti sentirai un po cambiato. Tu che riesci a rinunciare ad una birra il venerdì sera, per rimanere a casa e non sentirti in colpa. Tu che non hai paura di rinunciare al sonno, per finire di sfogliare tutte le pagine che avevi previsto sulla tua tabella di marcia. Tu che ti siedi, senza timore, davanti al peggior professore d’Ateneo, anche se sai solo l’argomento a piacere. Tu che punti 7 sveglie ad intervalli di 3 minuti, per non fare tardi a lezione. Tu che hai scelto, con coraggio, di continuare gli studi, rinunciando a zappare la vigna di tuo nonno. Tu che in fondo, ogni giorno, sei il super eroe di te stesso. 

Vanessa Munaò

Scusate il Disordine!

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La musica non la si prendeva. Mai!”

 

 

 

In “Scusate il disordine” Luciano Ligabue lascia di nuovo, dopo “Il rumore dei baci a vuoto”, senza parole. Una raccolta di racconti che lascia sempre incompleti e liberi di interpretare a modo proprio quello che succederà dopo. Una chiave di lettura: la musica. Presente in tutte le sue inclinazioni, con diversi amore verso di essa ma racchiusa tutta in uno spartito che ha proprio il sapore di Ligabue.

Ogni racconto si concentra sulla musica e sul rapporto che il personaggio ha con essa, fama o non fama, portandoci realtà che conosciamo ma spesso ignoriamo. Come Anchise che, nonostante la sua età, pur di continuare a suonare paga i componenti della sua band di tasca propria e si lega le bacchette alla mano a causa dell’artrosi; o un rapper che raggiunto il successo crede di potersi permettere una qualsiasi azione, probabilmente l’aspetto più raccapricciante dell’essere famosi.

Durante il primo pezzo ti hanno mitragliato di foto. Poi hai chiesto se adesso potevano mettere via macchinette e telefonini. Non c’è stato verso, hanno continuato a scattare ininterrottamente. Sei lì. È inevitabile. Per un attimo ti chiedi se non sanno, ma poi ti dici che sanno, sanno

Ligabue usa un linguaggio semplice e diretto, cambiando spesso registro a seconda del messaggio che vuole trasmettere. Consigliato a chi non ha paura di mostrare il disordine dei pensieri dentro di sé, le proprie emozioni e i propri dolori. A chi non nega il disordine della propria vita perché, per quanto si cerchi di regolarla, di dirigerla, non ci riusciamo e dobbiamo ammetterne l’impotenza. Non si può controllare.

Recentemente, il 24 e il 25 settembre, il ritorno live di Ligabue al Parco di Monza.

 

Serena Votano

Game Over: ultime memorie di un (quasi) neo laureato

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Game over. È finita (quasi). Mi sto per laureare. Veramente molto bello. No dai, una buona fetta di sarcasmo ce la metto perché non è bello manco per niente. È come trovarsi alla fine della maratona, dopo aver percorso 42 km e aver faticato tantissimo per un lungo periodo di tempo e iniziare a vedere davanti a te, finalmente, il traguardo. Peccato questa sia la maratona di Boston.

Ebbene sì, ho deciso di congedarmi con una buona dose di black humor. E, suvvia, non fate i moralisti proprio adesso, sto scherzando. Però la metafora rende perfettamente il concetto. Sì, perché ho faticato veramente tanto in questi tre anni, ho fatto esami, seguito lezioni e altre cose stupende che si fanno all’università. E adesso sono qui, con la mia manina protesa a prendere “il mio bel pezzo di carta” che dovrà darmi un futuro, ma il futuro non lo vedo. No dai, non voglio farvi deprimere, lo siete già abbastanza probabilmente. Cioè siete studenti universitari, per lo più, non può essere altrimenti. La mia è solo una considerazione sulla vita, sul futuro, sulle possibilità del nostro paese.

Vi confesso subito una cosa: io non ci capisco molto di politica e non sono nella posizione di fare un’analisi sull’argomento. Ma me ne frego altamente e la faccio lo stesso: BENVENUTI IN ITALIA, SE NON VI STA BENE EMIGRATE CHE QUI STIAMO DIVENTANDO UN PO’ TROPPI. Già, alla faccia del Fertility Day. Ma torniamo a noi, il futuro. Ora, visto che ho aperto il mio cuore con voi e sapete bene che non ho le conoscenze adatte per parlare del futuro di un giovane laureato in Italia, mi limiterò ad utilizzare un’espressione che su entrambe le rive dello stretto viene adoperata per descrivere al meglio la situazione: “Non c’è nenti”.

Esatto, la sentite la satira? Tutto in una frase, poche parole ed hai già detto tutto. Argomentare? Pff, lasciamolo fare a quei cervelloni che governano il paese. Ma, ora, mi chiedo se sia veramente così… Beh probabilmente sì. Mi riferisco soprattutto al sud, dove le alternative spesso mancano e dove i giovani sono costretti ad emigrare. E lo fanno veramente. Secondo una statistica, fatta da me, 3 ragazzi su 3 una volta finita la triennale al sud decidono di proseguire gli studi al nord. Ok, ammetto che non ho fatto un gran lavoro di ricerca. Ho chiesto ai miei tre colleghi che si stanno laureando con me dove pensano di proseguire gli studi e mi hanno risposto: “Lontano da qui!”. Pensavo bastasse come ricerca statistica. Forse non ho seguito al meglio i corsi di statistica sociale.

Eppure non sono completamente convinto che qui, al sud, non ci sia niente. Basta avere un po’ di fantasia, estro e creatività. Non vedete possibilità? Createle voi! Alzate il vostro bel culetto dal divano e cercate di cambiare le cose. Beh sì, forse mi faccio sgamare un’altra volta, ma non è che sono la persona più adatta di questo mondo per dire una cosa del genere. Ehi, non biasimatemi però, non è colpa mia se Netflix decide di aggiornare il suo catalogo ogni santo giorno. EHILÀ VOI DI NETFLIX? QUI C’È UN’ORDA DI GIOVANI CHE STA CERCANDO DI COSTRUIRSI UN FUTURO. POTETE, PER FAVORE, SMETTERLA DI PRODURRE COSÌ TANTI PRODOTTI DI QUALITÀ? GRAZIE. Già sempre a dare la colpa agli altri… Ho già detto “benvenuti in Italia”?

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Ed eccomi che mi trovo qui, in procinto di prendere una laurea considerata sfigata (anche più sfigata di quella in “Scienze della comunicazione”, quella quantomeno a furia di prenderla in giro è diventata famosa), che mi guardo indietro e ripenso a questi anni passati qui all’università. Sono stati dei begli anni. Beh forse lo devo dire per forza, non posso mica dire che mi hanno fatto schifo… Vi immaginate se dovessi ricevere qualche denuncia o qualche querela per questo? Sono troppo povero per potermi permettere di pagare un avvocato e se mi dovessi difendere da solo continuerei a dire qualcosa del tipo: “Ehm mi appello all’Articolo 21… quello sulla libertà d’espressione… o almeno credo sia il 21… no no, ne sono sicuro è il 21… l’ho studiato all’università… vedete, qualcosa l’ho imparata!” Non finirebbe tanto bene per me.

Però anche se probabilmente “il mio pezzo di carta”, di questi tempi, non mi garantisce un futuro lavorativo, sono contento di aver passato questi anni all’università. È un’esperienza e come ogni esperienza ti segna nel profondo. Ora, per i più svariati motivi personali (di cui non ve ne frega niente), probabilmente non utilizzerò le conoscenze acquisite in questi anni nel mondo del lavoro. Ho semplicemente deciso di cambiare percorso. Ma non sono abbattuto, anzi sono felice di aver provato questa esperienza e di aver vissuto così tante cose. E credetemi ne ho viste di cose strane e assurde all’università, dagli esami, alle lezioni, ai professori, alle code in segreteria. Tutte queste cose mi hanno formato e mi hanno fatto crescere, in un modo o nell’altro. Potrei raccontarvene tantissime e rimanere qui a discutere per ore. Ma vi ricordate il discorso sull’avvocato, l’articolo 21, ecc…? Ecco, come vi dicevo, sono stati veramente degli anni bellissimi.

Nicola Ripepi

Cafè Society: leggerezza e ironia amara nel nuovo film di Woody Allen

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Se l’autunno che avanza diffonde sulle nostre vite una ventata malinconica in grado di allontanare i ricordi briosi e dolci dell’estate, l’avvio della nuova annata di cinema offre un efficace antidoto capace di risollevarci, o almeno di incanalare nel giusto cantuccio le emozioni che erano rimaste a lungo assopite sotto l’ombrellone. Il ritorno di Woody Allen, regolare come quello delle stagioni, rischiara i sentimenti con tocco soave, riconducendoli al proprio ordine naturale. Appaiono vivaci i riferimenti consueti del cineasta in un’opera che racconta l’amore non senza sganciarsi dagli aspetti beffardi dell’esistenza. E che ancora attraversa con nostalgia le lancette del tempo.

 

Siamo nei colorati anni ’30 dello star system di Hollywood. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) è un giovane ebreo di New York figlio di un orefice per nulla attratto dalla prospettiva desolante e noiosa che la permanenza in città e il lavoro del padre paiono offrirgli. Con l’ambizione di inserirsi nell’industria del cinema si rivolge allo zio Phil (Steve Carell) manager di attori famosi, presenza attiva alle feste eleganti a bordo piscina. Il rapporto coi divi e la società frivola di Los Angeles si impadroniscono della sua nuova vita e sarà così, alla fine, l’incontro con la disinvolta e magnetica Vonnie (Kristen Stewart), segretaria di Phil, a stravolgere ogni suo progetto. Il triangolo amoroso che coinvolge i tre protagonisti scaverà con intensità il dubbio della scelta dell’amata. La delusione al ritorno nella città natale farà crescere Bobby senza inibizioni e lo spingerà a fondare un locale notturno frequentato da alcune teste coronate d’Europa, da signori mondani e altolocati della società dell’epoca, nonché da esponenti della malavita italo-americana.

 

In Cafè Society, frutto delle 80 candeline spente dal regista lo scorso dicembre, i temi dei film di Woody Allen ricorrono senza esclusione di colpi: l’umorismo corale dei personaggi brulicanti e caratterizzati di Radio Days, il fascino fiabesco verso altre epoche, i due poli in antitesi di New York e Los Angeles alla maniera di Annie Hall, il sempre eterno ritorno alle proprie origini newyorkesi e quel senso di attesa e di oscuro presagio rappresentato dal futuro che incombe. Non sono nuovi gli argomenti cari al regista, affrontati senza dubbio con ben diverso spessore e profondità che in altre storiche pellicole precedenti. Eppure l’apparente giocosità e mancanza di pesantezza di questa nuova brillante amara commedia romantica lascia posto a espedienti tecnici e a una rinnovata cura del dettaglio, specialmente visivo, realmente sorprendenti.

cafesocietIl peso di Vittorio Storaro alla fotografia (premio oscar per Apocalypse Now) si palesa su una storia semplice, priva di novità clamorose, nel solco di una rappresentazione tipica e prevedibile, ma accompagnata da immagini e sensazioni che lasciano il segno. A catturare lo schermo è l’eccezionale bellezza di Kristen Stewart, vera nuova musa di Woody. Ma è anche l’ironia, cifra del suo cinema, che non subisce increspature, incrinature, segni del tempo. L’esito finale è quello di un regista che dopo ben 47 film mantiene ancora in piedi la sua freschezza. Cafè Society è un film imperfetto, così come lo sono talvolta le opere che arrivano a sedimentarsi nel nostro immaginario per arricchirlo e costruirci intorno altre storie. E questo proprio perché, come uno dei personaggi afferma in una scena, la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo. Il film scorre veloce e a tratti con passaggi frettolosi, ma non perde di vista la sua efficace unità espressiva fortemente inquieta e drammatica dietro la patina di leggerezza.

 

Messo da parte il tono sarcastico delle origini, la verve comica cerebrale e nevrotica dei primi film, Cafè Society è un’opera della piena maturità, formalmente riuscita, in buona misura riassuntiva e emblematica (immancabile la colonna sonora jazz nei titoli di coda e la magia che l’avvolge). Un film che vale la pena andare a vedere nelle sale, e che, alla fine della proiezione, accantonate le incertezze e le riserve sulla sceneggiatura, rimane come puro esempio di cinema.

Eulalia Cambria