E tu che Bridgerton sei?

La serie più discussa del momento non poteva di certo passarci inossarvata.

Voto UVM: 4/5 – bellissima e perfetta per il momento, leggera e intrigante ma forse un po’ sopravvalutata

La fabbrica di sogni (e disgrazie) di Shonda Rhimes ha prodotto ancora una volta un grande successo: Bridgerton, una serie tv in cui non c’è nulla di scontato, neanche la durata di un episodio, e nella quale la «vita scandalosa dell’elite di Manhattan» si è trasferita – temporalmente e spazialmente – nell’Inghilterra di Orgoglio e Pregiudizio.

Lady Whistledown e le sue cronache ci rendono partecipi della vita scandalosa delle debuttanti e delle loro famiglie. E noi, un po’ come tutti, adoriamo gli scandali.

Qual è il modo migliore per parlarne se non tramite i protagonisti?

Eloise Bridgerton

La seconda giovane donna di casa Bridgerton – prossima al debutto in alta società – con una discutibile acconciatura e le gonne «troppo corte» è uno dei personaggi più apprezzati; ma perché?

Sicuramente perché lei (come le sottoscritte e il resto del mondo) vuole sapere chi si cela dietro le famose cronache rosa, ma questo non basta. La giovane nobile si considera al di fuori dal contesto della stagione degli eventi mondani e pur con il dovuto rispetto, considera le altre come «pollastre che sbattacchiano le ali in cerca di attenzioni maschili», non le vogliate male, siamo state tutte un po’ come lei.

Che sia Sua Maestà la regina o sua madre, Eloise riesce a sempre tenere testa e non si piega alle convenzioni.

fonte: townandcountrymag.com

Addirittura pare si sia stabilito il “matriarcato di Eloise”: una giovane donna così consapevole delle proprie scelte tanto da non accettare gli stereotipi; una nobile fuori tema ma non per questo meno solidale, meno femminile o meno gentile.

E questo è forse un urlo di femminismo celato dietro lustrini e modiste.

Anthony Bridgerton

Il visconte è un personaggio affascinante e severo, pieno di doveri e di rinunce. Che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità» Anthony lo sa benissimo, il primogenito Bridgerton non può permettersi di sbagliare perchè tutti sono sotto la sua protezione; ma forse lui non è ancora pronto.

fonte: popbuzz.com

Protezione, onore e rispetto sono i valori preponderanti e sposteranno con forza amore e sincerità; questi due ideali – che per tutti sono essenziali – qui perdono tono e infine il giovane dovrà rinunciarvi. Il peso della nobiltà si fa parecchio evidente e il  il cliché della bella ma povera verrà perfettamente interpretato dalla cantante d’opera.

Questo rende bene quanto dura sia la vita dell’alta società e ci ricorda che nonostante tutto è vero che non è tutto oro ciò che luccica.

Sua Maestà la regina

E’ vero, non è un Bridgerton però sapete che c’è? È uno dei  personaggi più interessanti e discussi. Apparentemente piena e ricca di ogni cosa ma concretamente povera di affetto e di gioia. È una regina di colore che ha fatto discutere molto, sopratutto circa la veridicità del contesto storico e della sceneggiatura generale, ma che è stata ben inserita.

fonte: wondernetmag.com

La splendida interpretazione rende giustizia ai tratti non convenzionali della sovrana e dietro animali e dame di compagnia, ci mostra come si nasconde una donna sola che si nutre solo dell’etichetta e delle convenzioni.

Daphne Bridgerton

La quarta degli otto Bridgerton: la figlia di mezzo. Anzi, l’esemplare perfetto di figlia di mezzoDaphne è un personaggio che tenta di essere contemporaneamente all’altezza degli standard richiesti dall’alta società ottocentesca ed un modello per la propria famiglia. Nominata «gioiello della stagione» già al suo debutto, incontrerà un forte ostacolo alla realizzazione dell’unico obiettivo della sua vita, il matrimonio: stiamo parlando del suo carattere. 

Infatti, nonostante i chiacchiericci positivi sul suo potenziale, Daphne non riesce a trovare marito. Da un lato sembra essere il fratello maggiore a scacciare via ogni pretendente, d’altro canto è anche vero che Daphne sembra più adatta ad essere un’amica che altro per via della sua socievolezza, della gentilezza e della sottile ironia. Tale tratto, per quanto giochi a suo sfavore, sarà fondamentale nell’avvicinarla al Duca di Hastings.

fonte: looper.com

Il personaggio dovrebbe rispecchiare la classica tipizzazione dei period dramas, una Jane Bennet rivisitata dalla Rhimes che finisce per assumere connotazioni alterate rispetto a quelle della classica signorina: dalla scoperta della sessualità ai raggiri, Daphne finisce per collidere contro sé stessa, creando una discrepanza tra il personaggio della signorina per bene che la società conosce e la ragazzina ingenua e desiderosa di amore che è realmente. Perché sì, Daphne è ingenua. Molto ingenua, ma anche sottilmente subdola come, dopotutto, molte dame del tempo.

Simon, Duca di Hastings

Veniamo a lui: il bello e dannato. Un lavoro di Shonda Rhimes non potrebbe mai sussistere senza il suo Stranamore personalizzato, è proprio la condicio sine qua non.

Ma osserviamo il personaggio ben oltre l’innegabile bellezza offerta dall’interprete Regé Jean-Page. Simon è infatti una persona profondamente traumatizzata: sin dall’infanzia è costretto ad affrontare un immotivato rifiuto del padre dovuto alla sua balbuzie, fatto che lo indurrà a credere di non essere meritevole di essere amato neanche dopo aver superato l’ostacolo della parola. Tali traumi si riverberano, in età adulta, in un desiderio di vendetta accecante al punto tale da mettere in pericolo la sua stessa felicità. Simon è un personaggio rancoroso, ma sotto il rancore vi è una fragilità d’animo ed un bisogno d’amore tipici dei personaggi della Rhimes. Però non lasciatevi intenerire: anche il nostro Duca sa essere testardo e subdolo, a volte detestabile poiché spinto dall’egoismo.

fonte: vanityfair.it

Un punto a favore di Hastings vogliamo però ricordarlo: egli rimane sempre molto umile nei confronti delle persone che gli stanno attorno e lo dimostra il fatto che il suo migliore amico sia un semplice oste/pugile, oltre che il suo odio verso il titolo con cui è nato (ma questo è dovuto sempre e comunque al desiderio di mancare di rispetto al padre).

E voi in quale personaggio della prima stagione di Bridgerton vi rispecchiate di più? Se, invece, ritenete di non riuscire ancora ad immedesimarvi in nessuno di loro, state tranquilli. Sono alte le probabilità che una seconda stagione venga confermata molto presto e che le riprese comincino a marzo 2021. Intanto, possiamo anticiparvi che molto probabilmente la serie seguirà la struttura originale dei libri, concentrando ciascuna stagione su un Bridgerton diverso.

Quale degli otto fratelli dominerà in futuro il palinsesto di Netflix ma, soprattutto, la penna affilata di Lady Whistledown?

Barbara Granata e Valeria Bonaccorso

Speciale di Natale: 5 film e serie TV (più un libro) per passare al meglio le festività

Una cosa è sicura: quest’anno sarà un Natale diverso dal solito. Ma come trovare il giusto spirito natalizio? Sicuramente un film, una serie TV o un libro potrebbero aiutare (sopratutto se a tema).

Ne abbiamo scelti alcuni per voi, tra quelli più nuovi e adatti a tutti i tipi di età.

Holidate

Questo film originale Netflix, uscito nel 2020, è una commedia romantica di John Whitesell con attori protagonisti Emma Roberts (Sloane) e Luke Bracey (Jackson). 

Fonte: netflix.com

Sloane è una ragazza single che viene assillata dai propri parenti affinché trovi un fidanzato ufficiale così da non essere sola per le feste; prenderà in esempio lo stratagemma usato dalla zia: il festa-amico, cioè uno sconosciuto che la accompagni alle feste in famiglia. Sloane incontra in un centro commerciale Jackson, anche lui alla ricerca di stratagemmi per non passare le feste da solo, come organizzare appuntamenti al buio. In fila per restituire dei regali di Natale si conosceranno e si racconteranno le proprie vicende disastrose, decideranno così di diventare festa-amici. Cosa accadrà?

Jingle Jangle – Un’avventura Natalizia

Jingle Jangle è un musical – fantasy con attori protagonisti Forest Whitaker (Jeronicus Jangle) e Madalen Mills (Journey), diretto da David E. Talbert e distribuito da Netflix.

Fonte: spettacolo.periodicodaily.com

E’ ambientato nella cittadina di Cobbleton, in cui vive Jeronicus Jangle con tutta la sua famiglia; è un famoso giocattolaio dalle magiche invenzioni che avrà dei problemi con il suo giovane apprendista. Infatti questo lo tradirà rubandogli la sua creazione più grande insieme al libro che custodiva i segreti delle sue creazioni. A salvare la situazione ci sarà la nipotina Journey, questa farà ritrovare la speranza al nonno e riuscirà a salvarlo dalla situazione grazie ad una vecchia invenzione da lui dimenticata. Ma niente sarà facile!

Krampus – Natale non è sempre Natale

Questo film dell’Universal Pictures, uscito nel 2015, è una commedia – horror che vede alcuni attori come Toni Collette (Sarah Engel) e Adam Scott (Tom Engel) e come regista Michael Dougherty.

Fonte: themacguffin.it

Mancano pochi giorni al Natale e tutta la famiglia si riunisce. Max, figlio di Sarah e Tom, crede in Babbo Natale e vorrebbe che in famiglia ci fosse lo spirito natalizio che invece manca. Durante una cena le cugine di Max leggono ad alta voce – e davanti a tutti – la lettera da lui scritta per Babbo Natale, provocando così uno scatto d’ira che lo porta ad urlare di odiare il Natale, strappando la lettera. Improvvisamente una bufera di neve causa un blackout; strani esseri iniziano ad invadere la casa attaccando i membri della famiglia, ma ancor peggio, arriverà il Krampus, un demone che punisce chi perde lo spirito del Natale. Riuscirà la famiglia a salvarsi da lui ed i suoi mostruosi scagnozzi?

Klaus – I segreti del Natale

Film d’animazione e avventura spagnolo di Sergio Pablos, distribuito da Netflix, uscito nel 2019 con un cast di voci (nella versione italiana) che comprende Francesco Pannofino (Klaus) e Marco Mengoni (Jesper).

Fonte: nerdevil.it

Jesper, figlio di un ricco padre esperto nel mercato postale, è incapace di compiere il lavoro da postino; così viene spedito dal padre nella piccola cittadina di Smeerensburg, un’isola deserta e ghiacciata, con il compito di consegnare 6000 lettere in un anno. Con gli abitanti divisi in due fazioni, da sempre in lotta tra loro, non è un’impresa facile. Nel corso della missione si imbatte in Klaus, un vecchio falegname con una casa isolata e piena di giocattoli (da lui creati) e in Alva, una maestra che vendendo pesce fa di tutto per risparmiare per andare via da lì. Klaus, vedendo un disegno fatto da un bambino triste, inizia insieme a Jesper la consegna di regali a tutti i bambini che attraverso le loro lettere chiedono la felicità. Cosa combineranno?

Nailed It / Sugar Rush 

Serie TV statunitensi trasmesse su Netflix dal 2018/19. Delle tanti edizioni e da numerosi Paesi troviamo anche le edizioni dedicate al Natale!

Fonte: news.newonnetflix.info 

Dei pasticceri, principianti e non, si sfideranno ai fornelli per aggiudicarsi il premio di 10’000$. A giudicare le loro preparazioni un team di giudici esperti. Ne combineranno delle belle!

La preghiera di un passero che vuol fare il nido sull’albero di Natale

Avete presente quando fuori fa molto freddo e le braci sono quasi spente? Ebbene, ecco un ciocco di legno per ravvivare il fuoco del caminetto!

 Fonte: fotografia di Rita Gaia Asti

La preghiera di un passero che vuol fare il nido sull’albero di Natale è una poesia di Gianni Rodari, edita da Einaudi Ragazzi e tratta da Il secondo libro delle filastrocche del 1985.
L’autore – insignito del premio Hans Christian Andersen per la narrativa per l’infanzia – racconta la storia di un passerotto infreddolito che scorge dal davanzale di una finestra una famiglia in procinto di fare l’albero di Natale. La invita quindi a lasciarlo entrare, perché possa non solo fare il nido sul loro abete e scaldarsi, ma anche dare gioia ai più piccoli di casa, che apprenderanno l’importanza di accogliere e proteggere anche la più piccola tra le creature viventi:

E per il vostro bambino
pensate domani che gioia

trovare tra i doni, dietro
una mezzaluna di latta,
fra la neve d’ovatta
e la rugiada di vetro.

Trovare un passero vero,
con un cuore vero nel petto

E’ una lettura adatta al periodo natalizio, accompagnata da illustrazioni gradevoli, capace di rasserenare l’animo e scaldare il cuore di grandi e piccini; particolarmente indicata per quei momenti di sconforto nei quali si avverte l’esigenza di alleviare le preoccupazioni.

                                                                                                                                                                                              Samuele Vita e Rita Gaia Asti

“Ragazzi sto per raccontarvi una storia: quella di come ho conosciuto HIMYM”

Chi non conosce How I Met Your Mother? Vale ancora la pena guardarla o consumare fiumi di inchiostro sulla sitcom più vista e citata negli ultimi vent’anni? Se siete piuttosto scettici, come direbbe il nostro Barney Stinson, la sfida è accettata!

Perché è diversa dalle altre sitcom

Nonostante ci troviamo immersi nelle classiche vicende di un gruppo di cinque amici a New York (una trama che superficialmente potrebbe apparire piuttosto scontata), sono notevoli gli elementi che differenziano questa sitcom dalle altre. Primo fra tutti la geniale dinamicità con cui si intersecano i diversi piani temporali: il background principale è costituito dal racconto che il protagonista Ted Mosby (Josh Radnor) fa nel 2030 ai figli adolescenti su come ha conosciuto la loro madre.

“Ragazzi sto per raccontarvi una storia incredibile: la storia di come ho conosciuto vostra madre” ( 1×1)                                               Fonte: hallofseries.com  

La narrazione torna indietro ai primi anni 2000 in cui abbiamo un Ted – quasi trentenne – alle prese con la ricerca dell’anima gemella e con una carriera da far decollare. Queste vicende si intrecciano con quelle dei suoi quattro amici in un gioco di dilatazioni e contrazioni temporali che alternano flashback e flashforwardUn altro elemento distintivo sono i dialoghi marcati da sarcasmo e ironia, una prontezza di battute argute che lasciano in alcuni tratti un’amara leggerezza, il tutto accompagnato da una ritualità di gesti spesso compiuti dai protagonisti; una dialettica nelle argomentazioni dei vari personaggi che si dimostra di gran lunga superiore rispetto a quella degli “storici rivali” Friends e New Girl.

How I Met Your Mother scatenerà nel corso degli episodi una riflessione su temi esistenziali, tra cui il destino, entità misteriosa e indomabile che “gioca” con i protagonisti: sarà il destino che porterà all’incontro con l’anima gemella o forse è l’universo che invia segnali che non sempre siamo pronti a vedere?

E poi ancora, spicca un simbolismo costruito ad arte. I momenti cruciali e di svolta sono sempre accompagnati dalla pioggia: questa è come se purificasse e cancellasse il superfluo così da permettere di chiarire situazioni che precedentemente apparivano ingarbugliate.

Ted Mosby ( Josh Radnor) consola l’amico Marshall Eriksen ( Jason Segel) – Fonte: hallofseries.com

Insomma una tecnica narrativa di alto livello rispetto all’idea di sitcom a cui siamo abituati.

Perché è ancora attuale? Polemiche e controversie

Durante il primo lockdown tanta gente ha pensato bene di riscoprire il fascino di questa serie e tra questi c’è anche chi si è fiondato alla ricerca del suo tallone d’Achille. Ma, come spesso accade, tutte queste polemiche hanno solamente scatenato l’effetto contrario, facendo tornare How I Met Your Mother tra gli argomenti più gettonati da un po’ di mesi a questa parte.

Le critiche mosse alla serie – sceneggiata da Bays e Thomas – sono state tante: da chi ha attaccato il controverso e attesissimo finale (che non intendiamo svelarvi ma che ha deluso molti fan), fino a chi la definisce come brutta copia della più storica Friends, in quanto riproporrebbe il solito copione dell’allegra combriccola di personaggi stereotipati che se la spassano sullo sfondo di New York e dintorni.

Maschilismo? Ma mi faccia il piacere!

Una su tutte – e forse la più assurda – è l’accusa di maschilismo mossa dall’improbabile popolo di femministe del web. É vero, non mancano le battute poco politically correct (come in qualsiasi commedia che si rispetti), ma di certo questo non è un pretesto per assaltare una sitcom che utilizza termini del linguaggio medio e quotidiano: l’esempio cruciale è il «bitch» di Marshall (Jason Segel) Robin (Cobie Smulders). Perché lo stesso non viene detto ai personaggi maschili?

Semplice: perché “bitch” è un termine prettamente femminile nel dizionario inglese, non maschile. Quindi, care femministe, pensate a riscrivere il vocabolario e non saltate all’assalto di una sitcom solo per l’utilizzo di termini ormai diventati di uso quotidiano nel linguaggio medio.

Infatti, scavando sotto la superficie, come pensate si possa considerare maschilista una serie in cui ci vengono presentati modelli così diversi di donne (a partire dall’intraprendente e indipendente Robin alla più tradizionalista ma furba Lily) senza che su nessuna di loro venga pronunciato un definitivo giudizio moralistico?

Barney Stinson ( Neil Patrick Harris) col suo “Playbook”. Fonte: aminoapps.com

Se c’è forse un personaggio su cui ricade una sentenza è al contrario Barney Stinson ( Neil Patrick Harris), il donnaiolo simpatico ma impenitente che si vanta senza pudore delle sue conquiste compulsive.  È proprio lui che dovrà subire un’evoluzione nel corso del racconto, è lui che dovrà crescere e dire addio ai suoi giochetti da playboy. Come lo farà non saremo noi a svelarvelo.

Il vero amore o l’amore reale?

Ma la polemica che colpisce più profondamente i fan HIMYM è quella per cui la serie sarebbe l’ennesima storia televisiva che porta in scena l’amore malsano, il classico – e pessimo – esempio per un’intera generazione di giovani, cresciuta a pane e false aspettative sull’anima gemella. La strada che porterà Ted (e il pubblico) a conoscere la madre dei suoi figli è lunga e piena di incroci, di segnali d’arresto e importanti deviazioni; una su tutte Robin, il colpo di fulmine e l’amore impossibile della sua vita.

Il giovane architetto è uno di quelli che sogna ad occhi aperti e tenta di progettare la vita tassello per tassello proprio come se si trattasse di un edificio, un ragazzo simpatico, ma a tratti un po’ pesante. Al contrario Robin è più leggera e definita dallo stesso Ted come «fluttuante»: vive e non pianifica, agisce e non sogna, è una donna sarcastica e indipendente che sembra avere come unico obiettivo la carriera. Come possono due persone così diverse avere un amore “sano”?

“E lei era là”: l’incontro di Ted con Robin ( Cobie Smulders). Fonte: insider.com

La loro storia infatti sarà tutt’altro che semplice e priva di peripezie.  Molto più tranquilla e lineare, e per questo esempio di “vero amore” (a detta di qualche dente avvelenato del web) la storia dell’altra coppia, Marshall e Lily (Alyson Hannigan). Ma la realtà non abbonda di rapporti «platoneschi» (come dice nella serie lo stesso protagonista) e storie tormentate alla Ted e Robin, piuttosto che di teneri idilli alla Marshall e Lily?

Ed esiste davvero un amore totalmente sano, se spesso ci si accorge d’amare proprio nel momento in cui l’altro ci fa soffrire?

In realtà i tira e molla di Ted e Robin non fanno che aggiungere pepe a una relazione che altrimenti risulterebbe noiosa e poco coinvolgente agli occhi del pubblico. Del resto è il tipico copione da commedia, dall’antichità fino ad oggi: il protagonista attraversa tanti temporali prima di veder rispuntare il sole.

E nella stupenda costruzione armonica di How met your mother le piogge non mancano, ma nemmeno gli ombrelli!

Una delle scene più iconiche di HIMYM: la folla di ombrelli gialli. Fonte: hallofseries.com

 

Angelica Rocca, Ilenia Rocca

 

Consigli per Halloween: film e serie TV per sopravvivere alla notte delle streghe

La notte delle streghe è arrivata.

Questo 2020 fa molta paura già di suo, ma inevitabilmente anche quest’anno ci tocca affrontare la notte di Halloween.

Abbiamo scelto pertanto di non parlare dei più spaventosi film horror della storia, come li ha definiti uno studio pubblicato da poco. Andremo invece ad analizzare film e serie TV che rendono giustizia a questa festa anche se non suscitano vero e proprio terrore durante la visione.

Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter

Un film che all’epoca in cui uscì scatenò una paura frenetica negli spettatori. Ad oggi difficilmente potrebbe terrorizzare qualcuno, tuttavia resta il capostipite assoluto dei cosiddetti slasher movies (genere di film in cui un uomo mascherato uccide solitamente un gruppo di adolescenti).

Il film è ambientato nella città di Haddonfield, divenuta una vera e propria icona di questa festa.

Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) conduce una vita abbastanza tranquilla fino a quanto uno strano uomo mascherato non comincerà a perseguitarla. Si tratta proprio del crudele Michael Myers (Nick Castle); il criminale che, 15 anni prima, proprio nella notte di Halloween, aveva ucciso la sorella maggiore Judith.

Viene quindi arrestato e trasferito in un ospedale psichiatrico dove è sottoposto alle cure del dottor Sam Loomis (Donald Pleasence). Il medico tuttavia dopo qualche anno decide di non curare più il paziente in quanto ritiene che sia il male fatto persona.

Quest’anno però Michael è riuscito a scappare dal manicomio ed è pronto ad effettuare una carneficina.

Michael Myers leggermente arrabbiato – Fonte: noidegli8090.com

Il film con un budget di 300.000 dollari, in soli 20 giorni ne incassò 70 milioni.

Oltre la trama, ciò che rende questa pellicola un capolavoro dell’orrore è sicuramente la celebre ed inquietante colonna sonora ideata dallo stesso John Carpenter. Straordinarie anche le tecniche di ripresa messe in pratica dal regista, mediante le quali riesce ad alimentare una forte tensione (utilizzate ancora oggi nei più famosi film horror).

Halloween – La notte delle streghe conta la bellezza di 9 sequel e di un prequel, ha dato perciò origine ad una vera e propria saga.

Nightmare before Christmas (1993), Henry Selick

Film realizzato in stop-motion diretto da Henry Selick, ideato e prodotto da Tim Burton. Per i bambini, ma non solo, si tratta di una delle pellicole migliori da vedere nella notte di Halloween (volendo anche a Natale).

Il film narra la storia di Jack Skeletron: uno scheletro molto amato nel Paese di Halloween (il mondo cui vive) dove riveste il ruolo del re delle zucche.

Jack Skeletron in una scena del film – Fonte: ohmy.disney.com

Dopo i festeggiamenti del 31 Ottobre, questa volta Jack è infelice. Si ritrova immerso in uno stato di insoddisfazione personale e comincia a camminare nel bosco per meditare. Ad un certo punto si ritrova davanti ad una serie di alberi di cui ognuno ha disegnato rispettivamente il simbolo di una festa. Jack decide di aprire quella che lo catapulterà nel regno del Natale. Attratto dalle luci, dai regali e dalla figura di Babbo Nachele si innamora perdutamente di questa festa.

Tornato infatti nel suo regno natio è deciso a voler festeggiare il Natale, anche se in un modo del tutto suo, incontrando non poche avversità.

Il film (considerando il periodo in cui uscì) era molto all’avanguardia nell’utilizzo degli effetti speciali. Venne infatti candidato agli Oscar del 1994 nella rispettiva categoria; la scenografia e le musiche sono altri punti di forza.

Le gotiche e tenebrose ambientazioni creano una perfetta atmosfera burtoniana ed enfatizzano esponenzialmente lo stile orrido della pellicola; mentre le canzoni orecchiabili vengono adoperate perfettamente per narrare il racconto ed introdurre nuovi personaggi.

The Hauntig of Hill House/Bly Manor (2018, 2020), Mike Flanagan

La serie tv che vi consigliamo è in realtà un “doppio titolo”: dopo la prima stagione di successo, la serie antologica The Haunting fa il bis con l’attesissima seconda stagione. Pur avendo alcuni punti in comune, tra cast e il topos classico della casa, le due stagioni presentano trame completamente differenti.

Hill House è la casa infestata più famosa degli USA: i fratelli Steve, Shirley, Theo, Nell e Luke Crain si troveranno ad affrontare nuovamente i fantasmi del passato, dopo essere cresciuti nella villa fino a un tragico avvenimento che li ha fatti disperdere in giro per il paese. Di nuovo riuniti (e sempre in occasione di un evento grave) i ricordi d’infanzia si mescoleranno con il presente, in 10 puntate da guardare tutte d’un fiato.

Da sinistra a destra: Theo (Kate Siegel), Steve (Michiel Huisman). Nell (Victoria Pedretti), Luke (Oliver-Jackson Coen) e Shirley (Elizabeth Reasel) di fronte ad Hill House- Fonte: netflix.it

Nella seconda stagione, un lungo flashback dell’educatrice americana Dannielle “Dani” Clayton ci porta nell’Inghilterra di fine anni ’80: la giovane viene assunta da Lord Henry Wingrave per fare da istitutrice ai due nipoti, residenti a Bly Manor. I bambini hanno infatti vissuto una duplice esperienza traumatica, legata alla grande villa in campagna, che ha influito pesantemente sui delicati anni dell’infanzia. La strada per convivere con i bambini e con Bly Manor si rivelerà piena di ostacoli per Dani, che però non si arrenderà facilmente.

Da sinistra a destra: Flora Wingrave (Amelia Bea Smith), Dani (Victoria Pedretti), Miles Wingrave (Benjamin Evan Ainsworth) – Fonte: universalmovies.com

Pur suscitando paura in alcune scene, la vera forza di questa serie risiede nella trama, nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, che avvolgono completamente lo spettatore nelle difficili vite dei protagonisti, facendoli sentire realmente parte dei fatti narrati. Tutte rarità nel panorama horror ordinario.

Non vi resta che mettervi comodi e seguire i nostri consigli per questa notte di Halloween: spesso è difficile trovare qualità nel genere horror, ma siamo certi che l’enorme mole di pellicole e serie tv prodotte saprà tenervi la giusta compagnia.

 

Vincenzo Barbera, Emanuele Chiara

 

Immagine in evidenza: casalenews.it

5+1 serie tv per farvi innamorare della (fanta)scienza

Tra le series più ricercate ci sono quelle tecnologiche e fantascientifiche, chissà perché!

Che siano forse troppi i nerd? O che siano forse tante le offerte del settore?

Sin dagli anni ‘60, da quando Star Trek – con Spock sulla navicella USS Enterprise – cominciò ad appassionare milioni di telespettatori e a rendere la sua idea di spazio e di futuro, fino ad arrivare ai giorni nostri, la scienza ha mantenuto un certo appeal. Che siano supereroi, storie vere o possibili realtà future, una cosa è certa: la scienza fa intrattenimento.

Così abbiamo scelto cinque (+ una) delle serie che meglio la rappresentano, in ogni suo aspetto e sfaccettatura.

1)The Big Bang Theory

Leonard, Sheldon, Howard e Raj, nel 2007 ci hanno fatto entrare nelle loro vite (e nel loro appartamento), presentando al mondo i nerd  e reclutando un esercito di ragazzi che – come i protagonisti – adorano i fumetti e indossano magliette dei supereroi,  ottenendo un successo strepitoso.

Fonte: over-blog-kiwi.com – Sheldon cita Star Trek

I quattro, alle prese con la quotidianità da cervelloni, dovranno fare i conti con Penny: una giovane aspirante attrice che, estremamente diversa da loro,  creerà un mix esilarante tra teoria delle stringhe e frivolezze.

È una serie cult ormai, premiata ma finita. Lascia un prequel, Young Sheldon, che racconta il genio del protagonista sin dalle scuole elementari, ma sappiamo che non basta: siamo sicuri, che The Big Bang Theory ci mancherà!

2)Rick and Morty

Ah, che belli i ricordi con i nonni! E questo,  Morty potrebbe dirlo più di tutti.

In un Cartoon, Netflix racconta il particolare rapporto nonno–nipote, riuscendo a condensare i temi più disparati: attualità, credenze mistiche e futuri impensabili.

Fonte: steamuserimages. com – Una tipica passeggiata nonno e nipote

La nonchalance di Rick  e l’insicurezza di Morty si armonizzano perfettamente e si addicono ad ogni avventura, che non sarebbe la stessa se non venisse vissuta con questo mix.

Tra un briciolo di gelida realtà e l’immensa comicità che la contraddistingue, è una serie da guardare e da riguardare, venti minuti di scienza esposta in modo (molto) poco convenzionale.

3) Stranger Things

Con un velo di nostalgia per gli anni 80, ci immergiamo in un atmosfera spielberghiana, in cui, per  quattro ragazzini, cominceranno una serie di eventi molto strani.

In coincidenza di un incidente nucleare, che creerà una breccia tra il nostro mondo e una dimensione non ben conosciuta, si perderà Will ma si conoscerà Undi, una ragazzina molto strana, appena scappata dalle forze governative.

Fonte: media.giphy.com – Will, Mike, Dustin, Lucas alla sala giochi

Nel giro di tre stagioni, vediamo come i nostri protagonisti riusciranno a combattere contro un upside down  misterioso – e spaventoso – e contro forze soprannaturali.

Questa serie ha avuto la capacità di far innamorare chiunque la guardasse, dai più giovani ai più adulti e, in attesa della quarta stagione, non si può far altro che un rewatch.

4) Orphan Black

Cosa fareste se vi ritrovaste davanti una persona identica a voi? E se poi questa si scoprisse essere un clone?

Sarah Manning e le sue sorelle scopriranno di esserlo, e – come se non bastasse – scopriranno di essere la punta dell’iceberg  di un progetto ben più complesso, che ha per obiettivo modificare e riprogrammare l’umanità.

Fonte: mediaite.com – Clone Dance/ Clone Club

In un contesto di scienza usata per un fine estremista, spicca il talento di Tatiana Maslany: già solo per questo varrebbe la pena guardare i quaranta minuti di ogni episodio.

L’estrema bravura di una sola attrice, che riesce ad essere copia di se stessa ma diversa in ogni atteggiamento e battuta.  Un capolavoro, in Italia purtroppo sottovalutato, che ci fa rendere conto di quello che potrebbe succedere quando l’uomo supera i limiti dell’etica e della scienza stessa.

5) Black Mirror

Lo specchio nero dei nostri dispositivi, ora più che mai è la fonte più vicina di scienza che abbiamo.

Quello che Black Mirror fa, e che giustifica il suo enorme successo, è rendere evidenti le crepe del rapporto uomo–macchina e mostrare da ogni punto di vista come l’evoluzione tecnologica stia andando più veloce di quella dell’uomo stesso.

Fonte: monstermovieitalia.com – logo BM originale Netflix

È una serie antologica difficile da classificare: distopica, attuale, horror, fantascientifica.  Non c’è niente di specifico per descriverla; le stagioni sono sconnesse tra loro, nonostante ci sia un sottile filo conduttore e le puntate non hanno un ordine ben preciso.

Quello che ha attratto milioni di telespettatori dunque,  è l’aver denunciato l’uso della tecnologia esasperato e l’aver mostrato come  le conseguenze che si avranno, saranno importantissime e disastrose.

5+1) Futurama

Da sempre , Bender, Fry e la loro ditta di consegne intergalattiche ci hanno tenuti incollati alla tv all’ora di pranzo.

La prima volta che l’uomo, la macchina e la galassia si sono uniti, in una sitcom disegnata dal celebre Matt Groening e che ha letteralmente posto il ventunesimo secolo in uno scenario nuovo: nel futuro anno 3000.

Un millennio in più, che però non è bastato a modificare le problematiche della società, ma ne ha solo mascherato l’evidenza e cambiato i protagonisti, includendo robot, alieni e mutanti.

Fonte: reactiongifs.us – Bender, Fry, Leela, professor Farnsworth sulla Planet Express

Sempre attuale e futuristica allo stesso tempo. Beh, adesso che è disponibile su Amazon Prime Video, non possiamo far altro che tornare a quel capodanno del 2000 e ibernarci con Fry!

Dunque, vediamo come questo argomento così complesso si mostra invece leggerissimo e fonte di intrattenimento (la cui lista sarebbe chilometrica).

Non è detto che la scienza sia noiosa, anzi tutt’altro, e non è detto che sia solo per cervelloni o per nerd, si presta a chiunque e ad ogni momento delle nostre vite e giornate.

Barbara Granata

After Life, il ritratto comico del dolore e della solitudine

Il dolore e la solitudine sono i claim emotivi di After Life, lo show Netflix magistralmente scritto, diretto e interpretato da Ricky Gervais.

Tony Johnson è un giornalista, che più cinico non si può, del Tambury Gazette un piccolo quotidiano di provincia.

Dopo la morte della moglie Lisa (interpretata da Kerry Godliman), Tony scivola nel baratro di una profonda depressione, e gravita in un triste vuoto esistenziale, tentando invano di metabolizzare il distacco traumatico dalla compagna di vita.

Fonte: www.upcomingseries.it

Il tentato suicidio, sventato con tenerezza dal cane Brandy, è il punto più basso ed il turning point della serie.

Tony trasla la malinconia in una adrenalinica fame di vita e di riscatto da questa: le conseguenze non contano.
Dodici episodi che rappresentano uno slancio verso la vita, e che ci consentono di osservare l’alterità con sarcasmo da una prospettiva completamente inedita.

Un uomo che cerca di reagire come può a un dolore che sembra insuperabile.

Guardare i video della moglie lo fa ancora soffrire tantissimo, ma quasi senza accorgersene, Tony si apre sempre di più al mondo.

Prova a stare dietro al cognato Matt sull’orlo di una crisi di nervi, si occupa del padre Ray (David Bradley) affetto da demenza e assistito in una casa di cura.

Sempre più sensibile ai sentimenti degli altri, inizia ad elaborare il lutto spostando il focus egoistico dal proprio dolore a quello altrui.

Fonte: www.bestshows.com

«Non si tratta solo di noi, ma anche delle altre persone, alla fine, no?» diceva, a ragione, il personaggio di Penelope Wilton nella prima stagione.

Ricky Gervais è tenero e vero nell’incarnare Tony che riscopre l’importanza del contatto umano e trova un nuovo equilibrio nella bilancia della propria vita.

After Life custodisce la propria potenza narrativa nel racconto intimo, sebbene apparentemente comune, della perdita di una persona cara.

Fonte: www.netflixshow.com

Non ci si può abbandonare all’oblio dell’eccesso, non ci si può discostare dalla realtà sebbene triste e troppo vera.

Quando chi ami di più se ne va, il mondo ti cade addosso. Eppure, allo stesso tempo il mondo va avanti e Gervais lo racconta con una semplicità brutale.

Tony imparerà, a fatica, le  piccole grandi sfide quotidiane, che sono il carburante che ci permette di andare avanti nella vita, anche quando pensiamo non abbia più valore.

La linearità narrativa della serie permette di cogliere quel dolore che sembra abbia strappato via un pezzo di noi, ma del quale il mondo che ci circonda non sa nulla.

Fonte: www.tvzipmedia.com

Ricky Gervais è riuscito a dare nuova linfa ad un prodotto che sembrava concluso, senza snaturarlo. La seconda stagione approfondisce il finale della prima e completa la chiusura circolare del percorso di Tony, attraverso dialoghi originali e brillanti, interpretazioni snelle e credibili, ed una trama scorrevole e coerente.

Il pungente black humour di Gervais smaschera le ipocrisie e le falsità dell’essere umano.

Il ritratto del lutto di Tony è di una forza emotiva straordinaria, alcuni monologhi sono strazianti, spaccati introspettivi di una persona che ha perso il centro di gravità della sua vita.

Se volete piangere dalle risate, e subito dopo fare lo stesso per la tristezza e lo sconforto, After Life fa per voi.

Antonio Mulone

 

 

Self-Made: il coraggio di credere in sè stessi

La vita di successo di alcune personalità è stata spunto d’ispirazione per libri, film e serie prodotti negli anni.
Le capacità emotiva di superare gli ostacoli, non abbattersi, sapersi rialzare dai cazzotti che la vita tira hanno sempre connotato con fascino narrazioni, che probabilmente non l’avrebbero avuto.

Self made: la vita di Madam C.J Walker, che è chiara fin dal titolo (fatta da sé), ci porta a ripercorrere le tappe fondamentali della carriera e della vita di Sarah Breedlove (interpretata da Octavia Spencer).

La storia di un’imprenditrice, filantropa e attivista statunitense considerata la prima donna americana (di colore) diventata milionaria.

Fonte: www.greenme.com

La forza di credere in sé stessi, il coraggio di investire nelle proprie idee, partire da zero e costruire un  impero solido: questa è la storia di Sarah Breedlove, e della sua evoluzione, umana ancor prima che imprenditoriale in Madam C.J Walker.

Lo show originale targato Netflix, che trae riferimenti letterari dalla biografia On Her Own Ground di A’Leila Bundles, racconta la trasformazione di un sogno in realtà e una vita, vissuta con tenacia, spirito e passione, che offre allo spettatore uno spettro ampissimo di spunti di riflessione e di coinvolgimento emotivo.

Sarah, incarnata con mirabile efficacia da Octavia Spencer, è un’afroamericana che lavora come lavandaia per sopravvivere ad una vita che la relega ad una prigione di sofferenze immense, dalle quali pare non possa esserci via d’uscita.

Fonte: www.movietime.com

Emotivamente toccante è la perdita dei capelli di Sarah, momento che più di ogni altro nella serie trasporta il drammatico dolore di vivere della protagonista nel cuore di chi la guarda.

La svolta, quasi inaspettata, arriva dall’incontro rivelatore con Addie Munroe ( Carmen Ejogo), che le offre i suoi prodotti per capelli in cambio dei suoi servizi come lavandaia.

Madam C.J, con commovente temerarietà d’animo, comprende che quella vita la sta soffocando, come una scintilla privata dell’ossigeno per poter bruciare.

Dopo essersi sposata con Charles James Walker (Blair Underwood), che le darà parte del nome, espande la propria attività manifatturiera, costituisce la Madam C.J. Walker Manufacturing Co.

Le sofferenze, le sconfitte, ed il coraggio di mettersi in gioco saranno benzina emotiva per quella fiamma alla quale era stata, da sempre, preclusa la possibilità d’accendersi.

Presto Madam Walker diviene una figura rilevante nella comunità afroamericana, un esempio concreto di emancipazione tutta al femminile, in un periodo nel quale essere di colore era un ostacolo in più.

Fonte: www.hallseries.com

Sarebbe stato affascinante avere una prospettiva di indagine sulla persona, oltre che sulla donna d’affari.

La miniserie (contenuto al quale Netflix riserva sempre più investimenti) dedica alla parte più dura e probabilmente più rilevante della vita di Sarah soltanto una parte del primo capitolo.

Uno spettro di visione forse limitato che, invece di analizzare le profondità della anima di Madam C.J, si accontenta di mostrarci la scalata inarrestabile al successo. Un’emozione, forse un po’ strozzata, che non ha tempo di venir fuori nella successione di eventi che lasciano poco spazio alla scoperta intima dei personaggi.

La regia e la fotografia si attestano su un  buon livello tecnico, con alcune scelte inedite per un prodotto seriale (lunghe sequenza di ripresa).

Altrettanto originale la presenza di alcuni brani hip hop che scuotono ritmicamente lo svolgimento della narrazione.

Il vero plus della serie esprime la propria potenzialità mediante il trasporto emotivo suggestionato dalle interpretazioni delle attrici protagoniste.

Se siete in cerca di un contenuto alternativo e di qualità, Self-Made fa assolutamente per voi.

Antonio Mulone

Unorthodox: il fascino della vulnerabilità

La serie Netflix Unorthodox svela allo spettatore gli aspetti più intimi e privati della fede chassidica, ci racconta da un prospettiva inedita la vita quotidiana e le usanze di una cultura ancora oggi sconosciuta.

Seguendo Esty (interpretata dalla bravissima ed intensa Shira Haas) e la sua famiglia nelle loro giornate, scopriamo, infatti, tutte le dinamiche di un’educazione ancora legata ad un patriarcato radicato, nel quale il corpo della donna diviene recipiente procreativo.  Se non sei madre, nella comunità, non sei nulla.

Fonte: www.newseries.com

Ma, accanto alle usanze e alle cerimonie più tradizionali, Unorthodox ci racconta anche il desiderio di affermarsi e di seguire la propria strada. Il coraggio di chi vuole essere l’unico artefice del proprio futuro, a discapito di ogni cosa.

Nel quartiere di Williamsburg (NY) vive una folta comunità di ebrei ultra-ortodossi discendenti delle vittime polacche e ungheresi dell’Olocausto, della quale la miniserie sviscera le realtà del quotidiano e le ipocrisie.

Un tipo di fede profondamente ancorato a tradizioni arcaiche, che entra, inevitabilmente, in contrasto con le realtà culturali contemporanee.

Nella fede chassidica le donne ricoprono un ruolo gravemente subalterno rispetto agli uomini, non hanno il diritto di poter leggere la Torah o ricevere una educazione completa.

Il loro unico mantra è sposarsi e generare figli. Quando questo, per normalissime cause, si complica, si scoprono le fragilità di una realtà incapace di confrontarsi con la vulnerabilità delle cose.

Fonte: www.ciakclub.com

Esty, sposatasi da poco e convinta per questo di aver toccato con mano la bramata felicità, non riesce a rimanere incinta.

Avvilita da questa difficoltà, soffre anche per il frustante paragone con la madre, donna forte e carismatica.

Nonostante le difficoltà che è costretta ad affrontare, Esty dimostra la propria ribelle tenacia: decide di iniziare una nuova vita a Berlino, scrollandosi di dosso lontano le rigide gerarchie nelle quali, senza scelta, è cresciuta.

Un viaggio, un cambiamento che le farà riscoprire sé stessa; solo adesso infatti Esty prende coscienza dei suoi sogni e dei suoi istinti.

Berlino, accogliente e moderna, diventa  una meravigliosa metafora del superamento delle regole e dei pregiudizi imposti dal suo vecchio mondo.

Fonte: www.passionecinema.it

Una nuova realtà, lontana dal matrimonio e dalla vita di privazioni che ha condotto fino ad allora; un nuovo amore, quello per la musica e per il canto, che diventerà il motore della sua vita.

Un’ulteriore metafora, nella quale la protagonista riesce a far sentire al mondo la sua voce  come donna, prima che come cantante.

Questa è l’ultima ribellione di Esty, la liberazione definitiva dalla vecchia sé. Può finalmente intraprendere la nuova vita senza, però, dimenticare da dove proviene; una storia unica eppure simile a quella di tante altre donne (ma anche uomini) che hanno deciso di lasciarsi alle spalle una vita asfissiante.

Lo show targato Netflix mette in luce il rapporto complesso che intercorre tra la propria educazione, chi siamo e chi siamo destinati ad essere.

Un grido all’indipendenza e al coraggio, al fascino della vulnerabilità.

Antonio Mulone

Docuserie Netflix, l’ibrido che funziona

Quando la narrazione incontra lo stile, il ritmo avvincente ed il linguaggio tipici dei contenuti seriali, avviene la magia: le docuserie.

Genere, che per anni è stato (ingiustamente) snobbato dalle piattaforme di streaming e dai grandi network, negli ultimi tempi ha fatto registrare (non con poca sorpresa) un exploit – in termini di views, di investimenti, ed di attenzione – che ha portato in auge il fenomeno “docuserie originali Netflix”.

Titoli, proposte ed idee originali, che hanno conquistato anche gli spettatori più reticenti e indisposti, si sono ritagliati uno spazio rilevante nel catalogo internazionale di Netflix.

Proprio per queste ragioni il colosso dello streaming made in Usa, ha deciso di investire sempre di più in questi prodotti, aprendo l’orizzonte persino a collaborazioni inedite con la rivista scientifica Vox ed il celebre NewYork Times.

Si sa, gli ibridi, che hanno sempre avuto l’incompiutezza come colpa piuttosto che come caratteristica, nono convincono mai a pieno.

L’idea (ardita) di mescolare il documentario e la serialità è un azzardo: due dimensioni antitetiche – apparentemente – non avrebbero dovuto trovare un equilibrio sul piano della novità e del coinvolgimento.

Il progetto delle docuserie, costato a Netflix diversi milioni di dollari, si è dimostrato tutto fuorché utopico.

Netflix, come sempre ha dimostrato comprensione e lungimiranza prima di qualsiasi altro competitor.

Eccovi una lista di sette titoli che vi orienterà nell’infinito catalogo di Netflix.
Mettetevi comodi, ce n’è davvero per tutti i gusti.

1) Making a Murderer

Fonte: Netflixseries.com

Firmata e scritta da Laura Ricciardi e Moira Demos, ed insignita di quattro Emmy, Making a Murderer racconta le controverse vicende giudiziarie del 57enne americano Steven Avery.
La sua è una storia a limite della fantascienza, così assurda e paradossale da trascinare lo spettatore in vortice tra dubbi e mezze verità che lo terranno incollato allo schermo.

Dopo 18 anni di carcere per un’ingiusta accusa di stupro, Avery viene nuovamente sbattuto dietro le sbarre con l’accusa di aver freddato una giovane donna i cui resti erano stati recuperati proprio nel suo giardino.
La prima stagione della docuserie parte da qui e segue con occhio attento le disavventure che hanno portato l’americano all’ergastolo.

L’avvocatessa Kathleen Zellner, protagonista indiscussa della seconda stagione, tenterà di dimostrare l’innocenza di Avery, vittima di un gioco fatto di inganni e sotterfugi mirati a incastrarlo.
Una maestosa docuserie giornalistica fatta per chi ama la suspense.

2) In poche parole

Fonte: Skycinema.it

Abitiamo una contemporaneità che corre veloce e che, spesso, fagocita chi non regge il passo di questo ritmo così frenetico.

Questo prodotto originale Netflix realizzato in collaborazione con la testata scientifica Vox, propone risposte e chiarimenti su una selezione di argomenti che più disparati non si può.

Ogni episodio, infatti, è dedicato a un tema specifico: dall’economia alla fisica, dalla musica alla matematica.

Una voce narrante femminile chiara e lineare, supportata da un’impostazione grafica accattivante e da un archivio di immagini e filmati straordinariamente ricco: una sorta di enciclopedia 4.0 che arricchisce il nostro bagaglio personale.
Se siete curiosi e rompiscatole (un po’ come me) è perfetta per voi.

3) Diagnosis

Fonte: Ciakclub.it

Sette affascinanti episodi, basati sulla storica rubrica che la dottoressa Lisa Sanders tiene da anni sul più celebre quotidiano d’America, ci portano in un viaggio scientifico tra malattie misteriose e storie irrimediabilmente strappate alla vita.

Non si tratta di infotainment, le vicende sono reali, ma mai trattate con un occhio morboso, con le lacrime e la frustrazione (che sarebbero legittime) di chi non riesce a comprendere cos’abbia di male il proprio corpo.

I medici, protagonisti della scena come meriterebbe, mostrano quanto il lavoro di team e la determinazione possano, spesso, restituire speranza e luce a chi è stato costretto ad abituarsi al buio.

Tra i casi presi in esame, c’è anche quello di una giovane infermiera americana affetta da gravi crisi muscolari: un rompicapo medico brillantemente risolto da una laureanda dell’Università di Torino, la 26enne Marta Busso.

Se avete amato Dr. House e le sue stravaganti diagnosi, adorerete questa docuserie nata dalla partnership tra Netflix e il New York Times.

4) La nostra storia

Fonte: Perugiaonline.it

Nel caso in cui Morgan Freeman non fosse già un’ottima ragione per guardare La nostra storia, eccovene qualche altra.

In un’era in cui le differenze vengono demonizzate,le culture diverse dalla nostra ghettizzate, il viaggio dell’attore americano in giro per il mondo dimostra quanto la diversità (presunta) non sia altro che una leggenda metropolitana, sconfessata dalle abitudini incredibilmente comuni dei popoli che si pongono le stesse domande e che si lasciano guidare dalle stesse forze.
Dinamiche emotive essenziali come la fede, l’amore, la ribellione, la libertà e la sete di potere abbattono muri e barriere, accomunando tutti gli uomini.

La forza narrativa de “La nostra storia” sta nella sua semplicità, che convince lo spettatore ad analizzare la realtà da prospettive inedite, ad accantonare i pregiudizi e rimettersi in discussione.

5) Conversazioni con un killer: Il caso Ted Bundy

Fonte: Crimecinema.com

L’intuizione di un giornalista, una conversazione, un libro ed infine una docuserie Netflix.

È da questi presupposti concettuali che nasce Conversazioni con un killer: Il caso Ted Bundy.

Un prodotto che inizia già col piede giusto: il primo episodio, infatti, si apre con la voce di Stephen G. Michaud, il reporter che, nel 1977, inaugurò un lungo ciclo di interviste a Ted Bundy, il serial killer per eccellenza, accusato di aver commesso più di trenta omicidi tra il 1974 e il 1978.

Una parabola inquietante, rievocata anche dalla voce dello stesso protagonista che, spesso, sembra parlare delle proprie imprese con una tranquillità e un’ironia in grado di far accapponare la pelle.

I nastri originali delle conversazioni, fotogrammi di repertorio e gli interventi del braccio destro di Michaud, Hugh Aynesworth, regalano rigore ed attendibilità allo show.
Potrebbe urtare la vostra sensibilità.

6) Seven Days Out

Fonte: Movietime.com

Le lancette si muovono, le ore (impietose) passano e non c’è tempo da perdere.
Questo il mantra di 7 Days Out, la docuserie che ci porta a scoprire cosa accade nei sette giorni che precedono sette grandi eventi live del mondo della moda, del food, dello spazio e dello sport.

Ad aprire la docuserie Netflix, lo show primavera-estate 2018 della maison Chanel e dell’iconico Karl Lagerfeld, purtroppo defunto. La serie ci porta nel backstage, dalla preparazione dell’imponente collezione fino alla sfilata al Grand Palais, trasformato per l’occasione in un meraviglioso giardino botanico.
Quel che incuriosisce di più di questo format è, sicuramente, avere l’opportunità di vedere da vicino, dotando lo spettatore di una lente d’ingrandimento, la macchina organizzativa che porta allo sviluppo del prodotto finito.

Lo show enfatizza l’estro di chi è sempre un passo avanti, di chi non ha paura di alzare la posta in gioco e superare il limite.

7) Chef’s Table

Fonte: Newseries,com

Nata nel 2015 ed ancora in produzione, Chef’s Table porta una ventata d’aria fresca nell’infinito palinsesto di programmi dedicati alla cucina.
Rimodulando tutte le caratteristiche del racconto sul cibo, la docuserie interseca l’intervista principale allo chef protagonista dell’episodio con una serie di interventi di critici culinari di fama internazionale.

Una duplice prospettiva, che pone quasi una dimensione competitiva, alla quale si integrano le immagini dei piatti e degli ingredienti necessari per assemblarli.

Quello che ha reso il format di successo è stata la scelta di guardare allo chef come persona e non come personaggio.

Il risultato è un racconto emotivo delicatissimo, arricchito da paesaggi mozzafiato e piatti da mangiare, anche se soltanto con gli occhi.

Antonio Mulone

Ozark 3: ad un passo dalla fine , ma con un occhio al futuro

Mettere in piedi uno show che tenga il pubblico col fiato sospeso, che funzioni a più livelli d’intrattenimento e allo stesso tempo riesca a scrollarsi di dosso la patina di deja vù e noia che spesso avvolge i contenuti seriali, non è tra le operazioni narrative più semplici da compiere.

Vuoi per l’incalzante competitività delle piattaforme streaming e delle serie, vuoi per l’aspettative sempre crescenti dettate dal livello culturale.

Ozark ne è, probabilmente, uno tra gli esempi più fulgidi e lampanti, nonostante sia fin dal primo episodio bloccato nel limbo del paragone scomodo con uno show forse troppo grande per tutti, Breaking Bad.

Che il paragone con Breaking Bad abbia aleggiato fin dai primi istanti di vita della serie è inevitabile: un uomo comune, un americano medio che si ritrova nel vorticoso circolo della criminalità e del narcotraffico, ed una famiglia coinvolta fa si che il rimando allo show di culto Breaking Bad sia automatico.

Fonte: skycinema.it

Sebbene abbattere un paragone (a colpi di episodi) non sia assolutamente scontato, Ozark ha saputo trovare la sua dignità contenutistica, il suo spirito narrativo, ed i suoi punti di forza tanto da persuadere il colosso Netflix a puntarvici, spendendovi risorse importanti per l’evoluzione della serie giunta alla terza entusiasmante stagione.

Si torna dunque nel Missouri, nella regione degli Ozarks che conferisce allo show un’aura maestosa e malinconica, con le caratteristica fotografia che si adagia alle tinte di blu, e che esalta la fascinazione del lago.

Si rivede Jason Bateman anche in veste di regista (i primi due dei dieci episodi della terza stagione portano la sua firma registica).

Fonte: movieplayer.it

Al terzo giro di boa, Ozark non demorde nel raccontarci la situazione non facile della famiglia Byrde, in particolare dei coniugi Martin (Jason Bateman) e Wendy (Laura Linney), costretti a vedersi regolarmente con Helen Pierce (Janet McTeer), l’avvocato che rappresenta gli interessi del cartello messicano per il quale Martin deve riciclare denaro sporco nel Missouri.

La coppia crede di avere tutto sotto controllo, gestendo gli affari con meticolosità e cercando di prevedere possibili errori.

Un ospite inatteso, una dinamica imprevedibile, Ben Davis (Tom Pelphrey) fratello di Wendy ed affetto da concreti disturbi psichici, rischia di mettere a repentaglio tutta l’operazione e pone un importante quesito sullo sfondo della terza stagione: saranno in grado di gestire un elemento problematico così intimo?

L’improvvisa introduzione di Ben rappresenta il paradosso dello show, costantemente in bilico sulla sottile linea tra precisione e banalità.

La struttura narrativa generale è molto solida, sorretto da una trama efficace ed degli interpreti in stato di grazia, senza dimenticare la componente visiva che, nei momenti giusti, aggiunge un velo di magia.

Fonte: ciakclub.it

L’improvvisa presenza dell’intruso enfatizza il percorso d’evoluzione dei personaggi e delle interpretazioni.
In particolare, Laura Linney continua a brillare, esplorando nuove profondità psicologiche ed emotive con una storyline intrigante proprio perchè continuamente proiettata al futuro della serie (al momento non è stato confermato una quarta stagione).

Janet McTeer, promossa a membro del cast fisso in questa stagione, ruba la scena a dimostrazione di come le figure femminili siano spesso le più affascinanti in un universo apparentemente dominato dagli uomini.

Questo vale anche per Julia Garner, già premiata con un Emmy per la seconda stagione, che si fa carico della dimensione più cruda e pulp dello show.

La stagione si evolve con coerenza, facendo tesoro delle incongruenze per giungere allo sviluppo dei due episodi finali che ritornano a livelli alti e, soprattutto, ponendo le basi per un’eventuale quarta stagione che promette di arrivare a nuovi inediti scenari.

Fonte: hollywoodvideo.it

Una fase che, alla luce del finale, sulla carta potrebbe essere la migliore di tutta la serie.

Del resto l’ansia di non sapere quello che succederà è il motore della serialità.

Antonio Mulone