Stranger Things 4 parte I: tra realtà e fantascienza

      Una serie avvincente che lega fantascienza e realtà ad un unico filo – Voto UvM: 5/5

 

Esser felici dura il tempo di un ballo
Fra Dustin e Nancy
(La Storia Infinita – PTN)

Una strana atmosfera avvolge Netflix, i colori si sono spenti, è tutto sotto sopra, giochi da tavolo come Dungeons & Dragons vengono rispolverati. Strane cose avvengono sulla piattaforma streaming.

Dopo tre anni finalmente ritorna Stranger Things con la prima parte della quarta stagione. Ritardo dovuto soprattutto all’emergenza pandemica che ha più volte costretto il regista a rimandare le riprese. La seconda parte della stagione debutterà il 1 luglio 2022 con altri due episodi ma non sarà l’ultima! Netflix ha infatti già annunciato una quinta stagione per il gran finale.

Con l’annuncio di questa quarta stagione internet è esploso. I fan ormai aspettavano l’uscita della serie, il 27 maggio, più di ogni altra cosa. Non saranno mancati i rewatch di una terza stagione che ci aveva lasciati col fiato sospeso, del duetto di Dustin e Suzy sulle note di Neverending Story, canzone tratta da La Storia Infinitafilm che ha ispirato i Pinguini Tattici Nucleari nella realizzazione dell’omonimo brano. Abbiamo capito che la serie TV è entrata nei cuori di molte persone. E per i più nostalgici sarà un colpo al cuore vedere i protagonisti che da teneri bambini sono diventati dei veri e propri adolescenti isterici. È proprio in casi come questi che la vecchia che è in te penserà: “Ai miei tempi queste cose io non le facevo”.

Da sinistra verso destra gli attori: Caleb McLaughlin (Lucas), Gaten Matarazzo (Dustin), Finn Wolfhard (Mike),  Milly Bobby Brown (Unidici). Fonte: Netflix

Un tuffo nel passato

Ritorniamo indietro nel tempo: con le stagioni precedenti abbiamo avuto modo di conoscere tutti i personaggi. Li abbiamo visti scappare in bici dai “cattivi” che trattavano Undici come un topo da laboratorio. E abbiamo visto nascere i primi amori, come quello tra “Undi” e Mike o quello tra Max e Lucas. E poi, chi non ha mai desiderato creare l’alfabeto, costruito da Joyce nella prima stagione, per ritrovare Will?

“Gli amici non mentono”

Ci siamo innamorati di Stranger Things per la sua storia avvincente che lega fantascienza e realtà ad un unico filo. Autentico, perché ci mostra l’interiorità di ogni personaggio. Ci fa scoprire il mondo del Sottosopra, una dimensione alternativa, “arredata” di flora e fauna. Sono quest’ultime ad allevare e controllare il Mind Flayer, un super organismo e villain principale della serie, che produce i Demogorgoni, creature alte 3 metri, con corpi antropomorfi e con una “carnagione” verdastra – che nemmeno con un po’ di sole di Agosto si può rimediare – e una testa che sembra un simpatico fiore di tulipano.

Undici che combatte contro il Demogorgone. Fonte: Netflix

Il Ritorno

Stranger Things con la sua storia avvincente ha affascinato tutti – nerd e non – rendendola una delle serie TV più amate di tutti i tempi. L’opera tiene lo spettatore incollato allo schermo anche grazie ai tanti temi trattati: amore, amicizia, mistero, ecc…

“Solo l’amore ti rende così folle e così dannatamente stupido”

La quarta parte è composta da 7 episodi e il Sottosopra ritorna a minacciare gli abitanti di Hawkins. Nuovo mostro, nuova avventura!
I ragazzi come dei segugi cercheranno di risolvere il mistero, per salvare la loro cittadina, che sembra essere diventata la nuova Salem – ma con i Demogorgoni al posto delle streghe! In questa stagione un nuovo cattivo fa il suo debutto. Stiamo parlando di Vecna, un “demone” che minaccia i cittadini.

La nuova stagione è come un puzzle: all’inizio lo spettatore si sente confuso e non capisce cosa sta accadendo ma andando avanti, pian piano, riceve delle risposte.

The Hellfire Club. Fonte: SmartWorld

Stagione nuova, personaggi nuovi

Nel cast troviamo delle new entry, come l’affascinante Jamie Campbell Bower, che interpreta Peter Ballard, un uomo empatico che lavora come assistente nel laboratorio del Dottore Martin Brenner, (Matthew Modine) colui che tiene sotto osservazione i bambini e i ragazzi come Undici (Milly Bobby Brown). Ci sarà poi  Joseph Quinn, a vestire i panni di Eddie Munson, un liceale, leader del Hellfire Club.

I protagonisti principali sono ormai cresciuti, sono cambiati, e anche il gruppo questa volta non sarà unito “fisicamente” come nelle stagioni precedenti. Ognuno di loro affronterà un’avventura diversa. Ma anche se in Stati diversi, tutti lotteranno per lo stesso scopo.

Joyce, interpretata dalla bellissima Winona Ryder, volerà in direzione Alaska, assieme a Murray Bauman (Brett Gelman), per salvare Hopper (David Harbour). Nancy, Lucas, Steve, Dustin, Max e Robin, rimasti ad Hawkins, cercheranno indizi per salvare la loro città. Mentre Mike, Will e Jonathan, saranno alla ricerca di … non ve lo dico, dovrete guardare la serie!

Alla fine abbiamo Undici, che tornerà nel laboratorio, da cui in passato era scappata, per cercare di riacquistare i propri poteri. Tre gruppi, tra cui Undici che sarà sola, dovranno affrontare mille avventure accomunate dallo stesso obiettivo.

“Non avevano bisogno di me. Avevo bisogno di loro”

Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair), Priah Ferguson (Erica Sinclair), Sadie Sink (Max Mayfield) e Gaten Matarazzo (Dustin Henderson). Fonte: Netflix

Musiche

L’opera è amata per tante ragioni, a partire dall’ambientazione: i mitici anni ’80, un’era di capigliature eccentriche, outifit stravaganti ma sempre alla moda, e una musica che ha creato leggende. È proprio grazie a Stranger Things che sono tornate alla ribalta canzoni come “Every Breath You Take” dei The Police, “Beat It” di Michael Jackson, “Girls Just Wanna Have Fun” di Cyndi Lauper o “Should I Stay Or Should I Go” del mitico gruppo The Clash , vere e proprie colonne sonore dei mitici anni ’80 che ci fanno alzare dalla sedia e ballare. Con la quarta stagione la canzone Running Up that Hill di Kate Bush, si è posizionata al primo posto tra i brani più ascoltati sulle piattaforme digitali.

Darling you got to let me know
Should I stay or should I go?
If you say that you are mine…
(“Shoul I Stay Or Sholud I Go” -The Clash)

Una serie TV che riesce a dare spazio a tutti i suoi personaggi, anche a quelli secondari, mostrandoci le loro fragilità e paure. Dopo un’attesa durata tre anni, noi fan possiamo ritenerci soddisfatti e pronti a rivedere, fra un paio di settimane, le avventure dei ragazzi di Hawkins.

Alessia Orsa

Tra le pagine della vita di Sheldon Cooper

Divertente ma che lascia spazio alla riflessione, ottimo per passare del tempo in famiglia e con gli amici. – Voto UVM:5/5

 

Chi non ha adorato il personaggio di Sheldon Cooper (Jim Parsons) nella sitcom americana The Big Bang Theory? Probabilmente un po tutti abbiamo apprezzato la sua ironia, seppur un tantino tagliente, come anche il formidabile e divertente quartetto di scienziati insieme a Penny (Kaley Cuoco), Amy (Mayim Bialik) e Bernadette (Melissa Rauch). Bene, perché non è finita qua!

Personaggi principali di “The Big Bang Theory” in una delle consuete serate in compagnia a casa di Sheldon e Leonard. Fonte: Chuck Lorre Productions, Warner Bros.

I produttori Chuck Lorre e Steven Molaro ci hanno deliziato con una serie dedicata interamente a questo personaggio. Nata come spin off e prequel della serie “madre”, Young Sheldon è incentrata sull’infanzia dello scienziato. Arrivata in Italia nel 2018 attraverso la piattaforma streaming Infinity Tv, oggi entrerà a far parte del catalogo di Netflix.

Nella vita di Sheldon

Ambientata in Texas, troviamo un giovane Sheldon, interpretato da Iain Armitage, dell’età di nove anni, che, grazie alla sua innegabile intelligenza, si ritrova nei panni di uno studente liceale. In una famiglia in cui si sente poco a suo agio: tra una madre convinta credente sempre pronta a citare Dio, un padre allenatore della squadra di football del liceo, e due fratelli che non perdono tempo nel prenderlo in giro.

Poster Young Sheldon. Fonte: senzalinea.it

La sua intelligenza e la sua mancata emotività lo portano ad essere escluso sia all’interno che all’esterno del contesto domestico. Molto spesso, infatti, per via dei suoi comportamenti inusuali tende a mettere la famiglia in difficoltà agli occhi della comunità ma, nonostante ciò, vengono fatti vedere alcuni momenti di affetto, in cui tutti i membri della famiglia dimostrano il loro volergli bene. Con la voce narrante di Sheldon da adulto, ci viene rivelata un’analisi retrospettiva degli eventi mostrati negli episodi, con qualche dettaglio della serie originale.

Rapporto madre figlio…e non solo

Dato il rapporto conflittuale che ha sempre caratterizzato la scienza e la religione, ci si potrebbe aspettare una certa severità dalla madre Mary, interpretata da Zoe Perry, nei confronti di Sheldon. Ma non è questo che ci mostra la serie. Sua prima sostenitrice, Mary è sempre pronta ad aiutarlo e a confortarlo, sembra quasi essere l’unica a preoccuparsi del suo effettivo benessere. Non dimentichiamoci, inoltre, di “Dolce Kitty”, la ninna nanna che il piccolo scienziato le chiedeva di cantare quando stava male. Gesto rimasto anche nei panni di uno Sheldon adulto.

Mary e Sheldon in un momento affettuoso. Fonte: Chuck Lorre Productions, Warner Bros.

Un ruolo importante è giocato anche dalla nonna Connie, o “nonnina” come è solito chiamarla Sheldon. Contrariamente alla figlia è una donna irresponsabile e ciò porta alla nascita di molti conflitti con Mary. Ma quando si tratta del suo nipote preferito, è disposta a mettersi in gioco, dando del filo da torcere a chiunque.

Ultimo, ma non per importanza, è il padre George, interpretato da Lance Barber. Personaggio che trasmette l’idea classica di padre-allenatore che non desidera altro che il figlio giochi nella propria squadra di football. Viene mostrato un rapporto controverso con una percettibile sensazione di imbarazzo, ma nonostante ciò non mancano le dimostrazioni di affetto reciproco, evidenti soprattutto nell’incoraggiamento del padre verso i successi accademici di Sheldon.

Il piccolo Sheldon: perché guardarlo?

A sinistra Iain Armitage a destra Jim Parsons, entrambi interpreti del ruolo di Sheldon Cooper. Fonte: serietivu.com

Iain Armitage nella sua interpretazione riesce a mostrare benissimo i tratti distintivi dello Sheldon adulto di Jim Parsons, compresa la sua faccia inespressiva.

La serie molto apprezzata dal pubblico, in grado di essere vista anche da chi disconosce il mondo di ‘Big Bang’, è leggera, fluida e divertente ma non lascia fuori i problemi sociali e relazionali tipici di quegli anni. In conclusione, è un’ottima serie che vale la pena guardare. Detto ciò, Sheldon vi aspetta su Netflix!

Bazinga! a tutti.

Giada D’Arrigo

Scrubs: la serie che ci fa ridere ed emozionare allo stesso tempo

“Con il cuore di JD e la testa di Kelso” (AntartidePTN)

Fin da piccola ho avuto una passione: quella del cinema, della musica e dello spettacolo. Non come interprete, ma come osservatrice: guardo, analizzo e mi commuovo. Essendo un amore il mio, ho visto tante opere, alternando il mio interesse verso più direzioni. Scrubs è quella serie tv che mi ha colpito particolarmente. Ideata dal regista Bill Lawrence, la serie ha ottenuto una fama internazionale, andando in onda dal 2001 al 2010: 9 anni, 9 stagioni e 182 episodi che hanno coinvolto il pubblico.

Scrubs ha lanciato la carriera dell’attore Zach Braff, che interpreta il Dottor John Michael “J.D.” Dorian. (Curioso sapere che proprio oggi la star della fortunata serie spenga 47 candeline).

Da sinistra a destra: Turk (Donald Fraison) Elliot (Sarah Chalke) Carla (Judy Reyes) e JD (Zach Braff). Fonte: Disneyplus

Di cosa parla Scrubs?

“Un saggio disse che lo spirito umano può superare ogni ostacolo… Quel saggio non aveva mai fatto triathlon”

Le vicende avvengono all’Ospedale Sacro Cuore con “sale bianche”, mascherine, medici e pazienti che corrono da una stanza all’altra. Nei corridoi possiamo notare il tirocinante John Dorian, un ragazzo dal cuore d’oro, fresco di laurea, alle prese con questo mondo nuovo – fatto non solo di lavoro, ma d’amore e amicizia – composto di attimi di paura e felicità. John comincerà questa nuova avventura assieme al suo migliore amico Christopher Turk (Donald Fraison).

Nel primo episodio farà la conoscenza di tutte le persone che entreranno a far parte dalla sua vita. Come il Dottor Cox (John C. McGinley) nonché il suo mentore, poi l’amore della sua vita Elliot Ridd (Sarah Chalke), l’inserviente (Neil Flynn) di cui non si saprà mai il suo vero nome e che renderà la vita di JD un vero inferno. Abbiamo il Primario di medicina, il Dottor Kelso (Ken Jenkins), più interessato ai soldi che alla cura dei suoi pazienti, e infine troviamo la Capa infermiera Carla Espinosa (Judy Reyes), una specie di “madre” per tutti i nuovi arrivati.

Le prime otto stagioni sono interamente narrate dal punto di vista di JD, ad eccezione di alcuni episodi.

I personaggi principali di Scrubs. Fonte: Disneyplus

Sigla e titolo

Il titolo è un gioco di parole: “scrubs” indica le divise indossate da medici e infermieri. E come ci ha insegnato la pandemia, sappiamo che è importante lavarsi le mani accuratamente, strofinando per bene. Medici e chirurghi devono eliminare ogni tipo di germe prima di compiere qualsiasi operazione. “To scrub”, in italiano, vuol dire proprio “strofinare”.

La sigla della serie è Superman, un brano della band musicale Lazlo Bane. Durante la canzone vediamo i protagonisti, in sequenze alternate, passarsi un radiogramma che infine viene poggiato su un diafanoscopio. La canzone rappresenta non solo la serie ma tutto il mondo della medicina perché molte volte pensiamo ai dottori come a degli “eroi”, un po’ come quelli dei fumetti. Ma si sa, anche Superman ha la sua Kryptonite.

“Ma non posso fare tutto ciò da solo
No, lo so non sono Superman”

Perché è diversa?

“È per questo motivo che l’emicrania non le passa: qui vede, questo si legge “analgesico”, non “anale-gesico”. Signore, le prenda per bocca…”

Per anni è andato di moda il genere medical drama. Si pensi a Doctor House o a Grey’s Anatomy. Tutte opere che suscitano un grande interesse nel pubblico, ma che purtroppo sembrano essere sempre uguali tra di loro: serie in cui il contenuto viene meno e si pensa solo all’immagine commerciale. Ed è proprio in questo caso che troviamo quegli episodi che vanno avanti solo per l’audience generata da un “senso di attaccamento” del pubblico.

Anche a me, quando finisco una serie, un libro o un film, succede spesso che mi salga un senso di angoscia, avendo in qualche modo creato un legame con la storia o con i personaggi. L’unica serie che si distacca dai gusti del mercato globalizzato è proprio Scrubs. Anch’essa è legata agli stessi elementi del genere medical, ma la trama, che più si avvicina alla realtà, è allo stesso tempo più leggera. Un paradosso se ci pensiamo! La vita in sé non ha attimi prolungati di felicità e di quiete: il nostro tempo è costituito soprattutto da istanti di infelicità e solitudine. Quindi perché Scrubs è cosi leggera?

Fonte: DisneyPlus

Scrubs è una delle poche serie che riesce a legare comicità e “dramma”, rendendole una cosa sola. Nel giro di 20 minuti, ridi e subito dopo scoppi in lacrime. Ogni particolare, anche il più piccolo, rende lo spettatore partecipe alla storia, mettendo in mostra “il reale” che viviamo giorno per giorno. Ricordandoci che alla fine, per quanto si possano incolpare gli altri, la persona con cui bisogna prendersela davvero è soltanto una: noi stessi. I pensieri di JD, i monologhi del Dottor Cox, e le azioni degli altri personaggi ci insegnano che tutti siamo fragili ed è normale sbagliare.

Per questo, di fronte a situazioni tragiche non dobbiamo abbatterci. A volte è giusto chiedere aiuto, ma non bisogna mai arrendersi. Scrubs è quella serie che lega il riso e il pianto in unico filo: due reazioni che scaturiscono da due stati d’animo opposti, ma che appartengono ad ogni essere umano. Bisogna mostrare le proprie fragilità e ammettere di avere paura: nessuno di noi è Superman, come dice la sigla.

  Alessia Orsa

Incastrati: un giallo siculo

 

Un giallo comico, dipinto con i colori della Sicilia – Voto UVM: 5/5

 

Anno nuovo vita nuova. Lo stesso vale per il duo comico Ficarra e Picone, che sono sbarcati su Netflix il 1 gennaio con la loro prima serie TV.

Un nome una garanzia:  i due siciliani sono sempre pronti a deliziarci col loro umorismo- non quello banale e volgare alla Pio e Amedeo– ma quello che fa riflettere e porre domande, sempre pronti a difendere i diritti degli italiani con l’arma dell’ironia.

 

Ficarra e Picone in una scena della serie Fonte: tvserial.it

Una storia ricca di imprevisti

“Voglio una vita piena di imprevisti”. Queste sono le parole che pronuncia Salvatore che voleva sfuggire dalla monotonia, avere una vita come il commissario di una serie tv, in cui non esiste la parola noia, ma solo tante avventure. Come non detto, il suo desiderio verrà esaudito, ma di certo non come aveva immaginato. Il caro Salvatore dovrà ricredersi. Per quale motivo? Andiamo a scoprirlo. 

Incastrati è una serie scritta e diretta da Ficarra e Picone- composta da sei puntate di 30 minuti ciascuna- e racconta l’avventura di Salvatore (Ficarra) e Valentino (Picone), due riparatori di elettrodomestici che col loro furgoncino girano di casa in casa.

Da un lato abbiamo Salvatore, sposato con Ester (Anna Favella), ossessionata dallo yoga e dalla vita salutista, che impone pure al povero marito, dall’altro Valentino (fratello di Ester e cognato di Salvatore), un uomo ingenuo ma dal cuore d’oro, che vive ancora con la mamma morbosa, che vuole il figlio tutto per sé e fa di tutto per tenerlo lontano dalle donne, viziandolo come un bambino.

I due, oltre ad essere cognati, sono pure grandi amici e, un giorno come un altro, si recano in una casa per lavoro, ma finiscono nei guai: si ritroveranno dentro la dimora di un ex mafioso, ammazzato dalla mafia stessa in quanto pentito.

Da quel momento in poi per i protagonisti inizierà veramente una vita piena di avventure e imprevisti. I due per non essere incolpati si cacceranno ancor di più nei guai e da semplici testimoni rischieranno di passare per probabili assassini.

Non piangere,  che le lacrime contengono DNA


Cast, luoghi e folklore

La serie è ricca di personaggi, interpretati da: Leo Gullotta (Procuratore Nicolosi), Marianna di Martino (Agata Scalia), Anna Favella (Ester), Tony Sperandeo (Tonino Macaluso), Maurizio Marchetti (il Portiere Martorana), Mary Cipolla (Antonietta), Domenico Centamore (Don Lorenzo), Sergio Friscia (il giornalista Sergione), Filippo Luna (vicequestore Lo Russo), Sasà Salvaggio (Alberto Gambino) e Gino Carista (Frate Armando).

Un cast che con il talento fa divertire il telespettatore, utilizzando un’ironia tutta siciliana.

Ficarra e Picone in una scena della serie Fonte: Today

La mafia viene descritta per quello che è: una barzelletta fatta di uomini stolti, privi di etica, un’organizzazione poco furba ma allo stesso tempo pericolosa.

Nota di merito va per la sceneggiatura che descrive nei minimi dettagli la terra del sole: Ficarra e Picone disseminano i tipici luoghi comuni che il sud è condannato a indossare a causa delle menti più arretrate. I due comici però ci offrono anche paesaggi immensi, strade abbellite da cittadini col loro accento, i loro colori, il cibo, e tanto altro che solo il mezzogiorno può offrire.

Un messaggio nascosto?

Usiamo il crimine per farvi ridere

Cosa vuol dire questa frase? Cosa vogliono farci intendere i due attori? La serie va vista non solo come una produzione comica, ma bisogna avere un occhio critico. Come citato sopra, al centro vi è il tema della mafia, un morbo della nostra società.

Forse i due comici ci vogliono portare un esempio di “pornografia del dolore”, che ipnotizza gli individui anche con scene drammatiche, scene agrodolci che deliziano gli animi delle persone, facendole rimanere inermi davanti alla prepotenza? I due protagonisti però non rimarranno di certo immobili e faranno trionfare la giustizia. Un dovere a cui pochi riescono ad adempiere.

Una serie così piacevole, che la si vede tutta in un colpo solo. Ci erano mancati Ficarra e Picone, due comici che hanno portato su Netflix non solo la loro ironia, ma anche la sicilianità, fatta di arancini(e), culture e paesaggi da far invidia al mondo intero.

                                                                                                 Alessia Orsa 

 

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: top o flop?

“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” (2021) non sarà al pari di film e romanzo, ma non così mediocre come tutti affermano – Voto UVM: 3/5

Dopo quaranta anni ritorna in scena Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino nella veste di una serie tv disponibile su Amazon Prime Video e Sky Q.

Il film e il libro hanno sconvolto varie generazioni, sono opere entrate a far della storia non solo del cinema, ma anche della società, quindi di tutti noi. Difatti raccontano la vera storia della protagonista Christiane F e del suo periodo buio  nella Berlino degli anni 70, tra droga, discoteche e primi amori col sottofondo musicale della voce indimenticabile di David Bowie.

La serie tv è approdata nella piattaforma streaming il 7 Maggio 2021 ed è il secondo adattamento del romanzo, uscito a puntate nel 1979 sulla rivista tedesca Stern. Questa nuova versione della storia di Christiane F. ha fatto subito parlare di sé, ma non è stata accolta in modo positivo né dalla critica e né dal pubblico. Per quale motivo? Cosa non ha funzionato? Ma soprattutto è davvero così mediocre questa produzione?

La protagonista Christiane F (Jana McKinnon) – IFonte: today.it

Noi, ragazzi dello zoo di Berlino (2021): tre ragioni per guardarla

Si imparava in maniera del tutto automatica che tutto quello che è permesso è terribilmente insulso e che tutto quello che è vietato è molto divertente.

Grande attesa e grandi spersanze si prospettavano, ma la serie non ha avuto la critica sperata: difatti, dopo meno di 24 ore, gli haters più accaniti, come fossero Zorro in prima linea col loro smartphone, si sono riversati sui social e hanno detto la loro: c’è chi ha elogiato la serie, chi l’ha definita una produzione da quattro soldi, c’era anche chi si era svegliato con la luna storta ed era spinto a demolire accompagnato più da un gusto personale che da reale senso critico. O forse, ancor meglio, la maggior  parte degli utenti ha seguito la massa dei pareri negativi.

Ma ora fermiamoci un attimo e immaginiamo: se la serie avesse avuto recensioni positive, gli utenti social l’avrebbero comunque criticata? Io credo di no. Ma voglio dire la mia: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (2021) a pieno neanche me, ma, analizzandola nei minimi dettagli, è un’opera che ha il suo perché . Per ben tre ragioni:

1) Si presenta allo spettatore in modo onirico, narra una realtà che non tutti noi possiamo capire se non la viviamo in prima persona o come testimoni diretti.  Come i suoi due “antenati” (film e romanzo), mostra alle nuove generazioni a cosa possa portare la droga e come pian piano possa distruggere non solo il proprio corpo ma anche l’anima.

2) Non c’è solo la storia di Christiane a 360 gradi, ma anche quella degli altri ragazzi. Nel film vediamo nello specifico solo il racconto della protagonista, mentre la serie mostra la storia dei ragazzi dello zoo, dimenticati dai propri genitori, abbondonati per ore e ore in una metropoli come Berlino.

3) C’è un ritorno al passato degli anni ’70, tra rock e mode del momento, niente cellulari e social, ma solo un mondo fatto di maggiore realismo e meno immagini.

I sei “ragazzi dello zoo di Berlino” – Fonte: today.it

Promossa o bocciata?

E’ vero, la serie non presenta quel crudismo dei suoi “predecessori”: non notiamo la sgradevolezza di quei ragazzi distrutti o il disgusto che si riversava nello zoo, ma ci troviamo di fronte a un racconto che si è più adattato alle generazioni attuali.

Forse proprio per questo la serie non rimarrà nella storia: perché è andata a perdere quel senso di empatia che manca alla nostra società attuale. Che lo si voglia o no, ricordiamoci però che mette in scena le vite di quelle persone abbondanate o cacciate di casa, persone che non sanno cosa fare, persone sole, che si rifugiano in un mondo psichedelico perché troppo spaventati da un mondo che non sentono loro, mentre davanti ai loro occhi passano famiglie felici che rientrano nella loro case calde.

Insomma Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino non sarà al passo con i propri “genitori”, ma è comunque una serie che merita di essere guardata e capita fino in fondo.

L’amore è come l’eroina: «che mi fa un solo buco?» e ricadi nella dipendenza totale, «che mi fa un solo sguardo?» ed eccoti qui a piangere di nuovo.

                                                                                    Alessia Orsa

 

 

 

Lucifer: 48 ore alla nuova stagione

Finalmente ci siamo. Dopo quasi ormai un anno di attesa, la seconda parte della quinta stagione di Lucifer è alle porte.

Dobbiamo resistere 48h per gustarci i tanto desiderati nuovi episodi di una delle serie più avvincenti di Netflix.Nel frattempo, noi di Universome vogliamo rendere omaggio a Lucifer andando ad analizzare quelli che a nostro avviso sono i suoi punti di forza.

Il protagonista Lucifer Morningstar (Tom Ellis) – Fonte: nerdlog.it

Tom Ellis

L’attore britannico è l’elemento fondamentale su cui si articola quella macchina perfetta che è questa serie.

Ogni volta che appare Lucifer Morningstar (Tom Ellis) sullo schermo, tutto diventa secondario: lo spettatore volente o nolente viene letteralmente rapito dall’interprete grazie principalmente al suo incommensurabile charme ed al suo impagabile carisma.

Per ottenere questo risultato, Tom ha svolto un lavoro da attore di top di gamma.

Innanzitutto l’immedesimazione nel personaggio ovviamente è di primaria importanza ed è percepibile anche durante i “piani d’ascolto” (in gergo cinematografico, si ha un piano d’ascolto quando un interprete per l’appunto “ascolta” le battute del proprio partner). L’attore non recita solo quando parla, ma da quando parte il motore fino a tre secondi dopo la chiamata dello stop.

Nel corso di queste stagioni sono innumerevoli le scene girate tra Lucifer e la detective Chloe Decker (Lauren German).Prendete come esempio una di queste ed osservate costantemente Tom Ellis anche quando parla la collega: potrete notare sguardi, microespressioni e sorrisetti, emblematici del livello d’immedesimazione dell’attore.

Lucifer e Chloe – Fonte: telefilm-central.org

Altra caratteristica che rende il protagonista uno dei personaggi più amati dal pubblico internazionale è sicuramente il suo accento inglese.Ora, sentire Satana parlare come la regina Elisabetta è alquanto singolare, ma anche divertente. Specificatamente, la scelta del british aggiunge un tocco in più alla figura di Lucifer, donandogli quella classe necessaria per potersi porre continuamente in una condizione di superiorità con qualunque interlocutore.

Nella versione italiana logicamente questo discorso non vale a causa del doppiaggio, il quale comunque – come sempre – è di primissimo livello.

Tom Ellis ci ha regalato un personaggio straordinario, capace di far ridere, commuovere ed entusiasmare senza calare mai d’intensità. Certamente alcune stagioni sonoforse  meno avvincenti di altre, ma ciò non è di certo imputabile alle performances dell’attore.

Gli altri interpreti del cast hanno svolto fino ad oggi un lavoro encomiabile. E’ del tutto normale che dinnanzi ad un’interpretazione sontuosa come quella del protagonista si faccia fatica a spiccare singolarmente, ma recitare nel migliore dei modi, anche solo per favorire un collega, è sinonimo di grande professionalità.

Senza i coprotagonisti infatti, Tom Ellis non avrebbe potuto mostrare in toto il suo talento!

Sceneggiatura

La serie è ispirata ad un fumetto del 1989. Fin dalla prima stagione, la storia di Lucifer coinvolge profondamente lo spettatore. Ogni episodio racconta un caso diverso, portando avanti contemporaneamente la trama principale: ciò che affascina di più sono sicuramente le vicende personali e gli scontri celestiali tra i vari personaggi.

Lucifer ed il fratello Amenadiel (David Bryan Woodside) – Fonte: lucifer.fandom.com

Gli sceneggiatori sono stati estremamente abili soprattutto nel plasmare gradualmente la figura del diavolo, facendolo evolvere da un’entità maligna e terrificante ad un essere che è fortemente sensibile e sostanzialmente buono, ma eccessivamente vendicativo.

Viene ribaltata quindi la concezione biblica di Satana come l’incarnazione di ogni male che affligge la Terra, perché in Lucifer viene rappresentato come una vera e propria vittima traumatizzata dal suo passato, che cerca nel proprio inconscio una redenzione personale mediante l’aiuto della psicologa Linda Martin (Rachael Harris).

Lo spettatore arriverà addirittura ad empatizzare con il diavolo in persona!

Produzione

Pensare che Lucifer teoricamente doveva finire con l’ultimo episodio della terza stagione fa rabbrividire, considerando che tale stagione terminava con un cliffhanger ( un finale di stagione aperto e tale da lasciare i fan con il fiato sospeso) molto emozionante.

Le prime 3 stagioni erano prodotte dalla Fox, la quale, dato il calo di ascolti della terza stagione, a causa dell’eccessivo numero di episodi e quindi di una sceneggiatura inutilmente prolissa, aveva deciso di interrompere la serie.

La reazione dei fan era un po’ come quella di Lucifer e Mazikeen (Lesley-Ann Brandt) in foto – Fonte: tvline.com

Si scatenò una delle rivolte social più famose di sempre: il pubblico, accompagnato dall’intero cast capitanato da Tom Ellis in persona, fece partire l’hastag #savelucifer. Mamma Netflix decise di acquistare i diritti della serie e di produrre una nuova stagione riducendo la quantità di episodi per puntare maggiormente sulla qualità. Scelta vincente considerando che il pubblico ha richiesto a gran voce anche una quinta ed una sesta stagione che Netflix ha immediatamente prodotto.

Le aspettative sono altissime per questa prossima stagione. Molti nodi probabilmente verranno sciolti, mentre per altri dovremo aspettare l’ultimo capitolo (già le riprese sono state ultimate).

Gustiamoci lo show e speriamo di assistere nuovamente ad uno spettacolo mozzafiato.

Vincenzo Barbera

 

 

 

Nudes: “Non ho calcolato le conseguenze”

“Nudes” descrive con grazia una delle insidie dell’adolescenza 4.0 – Voto UVM: 4/5

Vuoi fare un brutto scherzo a un’amica? Questo è l’invito che un gruppo Telegram, nato a fine ottobre e arrivato in poco tempo a più di 10mila membri, rivolge ai suoi utenti affinché condividano materiale pornografico e dati di contatto di loro conoscenti.

Questo è il revenge porn: la divulgazione d’immagini e/o video sessualmente espliciti senza il consenso del soggetto ritratto. Indipendentemente dalle motivazioni – che possono andare dalla vendetta verso l’ex partner al ricatto- si tratta di una violenza fisica a tutti gli effetti, amplificata dall’umiliazione pubblica che ne consegue. Ad oggi, sebbene la costante e allarmante crescita, solo alcuni Paesi (tra cui l’Italia) hanno introdotto una specifica normativa per la repressione del reato.

La serie tv Nudes

Dal 20 aprile, in esclusiva su RaiPlay, è disponibile la prima serie tv italiana che affronta il tema del revenge porn. Adattamento dell’omonimo teen drama norvegese, Nudes (prodotta da Bim Produzione e Rai Fiction) racconta le vite di tre adolescenti diversi sconvolte dalla diffusione online di immagini e video della loro intimità e del conseguente tentativo di riprendere in mano la situazione. I dieci episodi, diretti da Laura Luchetti, sono ambientati nell’hinterland bolognese ma mancano di chiari riferimenti alla città emiliana, quasi a voler sottolineare come il fenomeno abbia portata globale.

Gazzelle e copertina dell’album “OK”.

Perfetta, perché tanto discreta quanto incisiva, è poi la colonna sonora Un po’ come noi. Undicesima traccia dell’album intitolato OK di Gazzelle, conferma la capacità del cantautore di coniugare le sonorità melodiche a temi mai banali, come l’amore e i patemi quotidiani.  

Nuda come una foglia in un giorno di pioggia
Mentre scende la sera o mentre mangi una mela
E pensi “questa vita è una galera”

La trama e i personaggi

Che cosa succederebbe se vedessi la ragazza che ti piace appartarsi con un altro dopo aver rifiutato proprio uno come te? E se vedessi la tua migliore amica preferire la compagnia di un ragazzo alla tua? E se un ragazzo, più volte, ti chiedesse di fargli vedere quanto sei bella?

I protagonisti:Sofia (Fotinì Peluso),  Ada (Anna Agio) e Vittorio (Nicolas Maupas)

Vittorio (Nicolas Maupas) ha diciotto anni e tutte le carte in tavola per essere un “vincente”: dall’aspetto carismatico al supporto dei fedeli amici e della fidanzata Costanza (Giulia Sangiorgi). La sua vita perfetta però cambia quando è invitato a comparire in questura perché, durante una festa, avrebbe postato online un video pornografico ritraente l’allora minorenne Marta (Geneme Tonini).

Sofia (Fotinì Peluso) ha sedici anni e, incoraggiata da nuove amicizie, si allontana dalla sua comfort-zone e dalla storica compagna di arrampicata Emilia (Anna Signoroldi). Durante una festa, realizza il sogno di fare l’amore per la prima volta con Tommi (Giovanni Maini), il ragazzo per il quale ha una cotta. Il sogno si trasforma in un incubo quando, la mattina seguente, scopre che qualcuno li ha filmati e ha diffuso in rete il video.

Ada (Anna Agio) ha quattrodici anni e, a differenza delle coetanee e della migliore amica Claudia (Alice Lazzarato), non è ancora pronta a diventare una donna. Per gioco e per sentirsi meno sola, s’iscrive a un sito d’incontri, dove attira subito l’attenzione di Mirko che le chiede di inviargli delle foto intime. Poco tempo dopo, uno sconosciuto la informa che le sue foto circolano nel Web e si offre di risolvere la questione senza coinvolgere i suoi genitori.

Un “grillo parlante” ma non giudicante

Nudes racconta quel momento di passaggio, dall’infanzia all’età adulta, in cui tutto cambia e in cui una scelta apparentemente banale può avere delle conseguenze imprevedibili. Descrive abilmente quel limbo tra bene e male, tra vendetta, curiosità e purezza, tra scatti d’ira e pianti sotto la doccia che tutti gli adolescenti, di ogni dove e tempo, vivono.

I protagonisti di Nudes

Entra con delicatezza, seppur spesso in modo troppo repentino e semplificatorio, nelle vite dei ragazzi della Generazione Z, costretti a crescere in una società brutale e irruenta com’è quella odierna. Mostra l’emotività dei nostri ragazzi che, per quanto facciano il possibile per sembrare già “grandi”, rimangono esseri ancora fragili in perenne equilibrio tra ciò che dovrebbero (a detta degli adulti) e ciò che vorrebbero fare.

Tuttavia non c’è paternalismo perché mostra senza mai giudicare. La serie, infatti, esplora la realtà moderna con l’obiettivo non tanto di demonizzare le nuove tecnologie o la società ricca d’insidie bensì di aprire gli occhi, a ragazzi e adulti, sui rischi connessi a un’adolescenza vissuta in simbiosi con uno smartphone in una realtà in cui il pericolo è dietro l’angolo, ma ove basta veramente poco per “dormire sereni”. Lascia intravedere, inoltre, l’esistenza di strumenti legislativi di tutela per le vittime, anche se nella serie (purtroppo) non si arriva mai a fare giustizia se non per il pentimento spontaneo dei protagonisti.

Condividete le emozioni, non le foto

La frase «Non ho calcolato le conseguenze», che uno dei protagonisti pronuncia in Nudes, non è una giustificazione. Lo sappiamo tutti, dai tempi della scuola: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.  Nel caso del revenge porn, le conseguenze possono essere davvero drammatiche…

Lotta al revenge porn

Come ti sentiresti se il tuo migliore amico raccontasse a tutti un tuo segreto? Tradito? Umiliato? Ingenuo? Adesso immagina che il tuo “amico” lo racconti su un social network o ai tuoi familiari… Ecco, adesso, come ti senti? La regola è semplice: se crei o ricevi del materiale intimo o sessualmente esplicito, non sei autorizzato a condividerlo con altri. Mai. Condividete le emozioni, non le foto!

Angelica Terranova

Màkari: una nuova “brezza” di sicilianità

 

Una serie che fa assaporare una Sicilia differente – Voto UVM: 4/5

Ormai un po’ tutti sappiamo che quest’ultimo anno ci ha privato di tanto, dalle persone care al libero arbitrio passando per le esperienze uniche che non vivremo mai. Ci ha però ricordato che gli esseri umani hanno l’innata- e spesso dimenticata- capacità di trasformarsi e di ripartire, anche da zero, quando si tratta della propria serenità.

E proprio di cambiamento e di rinascita tratta la nuova serie televisiva italiana Màkari, tratta dalle opere di Gaetano Savatteri, aventi per protagonista il giornalista e investigatore “per caso” Saverio Lamanna (Claudio Gioè). La fiction, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, è diretta da Michele Soavi ed è andata in onda dal 15 marzo 2021 su Raiuno.

La trama e i personaggi

Saverio Lamanna (Claudio Gioè), un siciliano trapiantato a Roma per assumere l’importante incarico di portavoce al Viminale, vede la sua vita travolta da uno stupido incidente lavorativo e, nel tentativo di sfuggire alla vergogna, decide di ritornare nella natia Sicilia.

Proprio a Màcari, circondato dai ricordi d’infanzia, da vecchie e nuove conoscenze, dagli affascinanti paesaggi, Lamanna riscopre la sua più grande passione: oltre a quella per le belle donne (da “buon terrone” qual è), quella dello scrittore, in una cornice cittadina in cui le storie da raccontare non mancano mai… oppure è lo stesso Lamanna a fare da “gufo del malaugurio” disseminando tragedie al suo passaggio ?

Spinto da un’inarrestabile curiosità, che spesso lo rende una “camurria” e lo mette in pericolo, s’improvvisa investigatore non lasciandosi sfuggire l’opportunità di ripartire, cosi come sono costretti a fare tutti i Saverio Lamanna moderni che, dopo essere stati sconfitti, si rialzano.

Claudio Gioè in una scena della serie. Fonte: Palomar, Rai Fiction

Si assiste alla metamorfosi del protagonista che da giornalista cinico privato del complesso della provincialità siciliana, senza soldi e futuro, riscopre il suo vero Io di scrittore, la sua terra e i valori perduti.

Claudio Gioè: Lamanna mi somiglia molto, è un uomo che torna a vivere a Palermo dopo tanti anni, proprio come me. Forse, questo ha fatto sì che ci mettessi un po’ una quota di emotività in più.

Ad accompagnarlo in questo percorso troviamo tanti altri personaggi. In primis, l’eccentrico amico d’infanzia Peppe Piccionello (Domenico Centamore), rigorosamente in infradito e t-shirt pro-Sicilia, che rappresenta, oltre all’anima comica della fiction, la “genuina sicilianità” attaccata alle sue secolari tradizioni sempre moderne come le “massime” che lo stesso spesso recita. A completare lo scanzonato trio c’è, inoltre, l’intraprendente studentessa Suleima (Ester Pantano) che, pur non essendo la solita femme fatale, conquista il cuore del protagonista non lasciandosi sopraffare da quest’uomo più grande di lei e realizzato sia personalmente sia professionalmente.

Nel cast troviamo anche tanti altri noti nomi siciliani, come Antonella Attili (Marilù), Sergio Vespertino (il Maresciallo Guareschi), Filippo Luna (il Vicequestore Randone), Tuccio Musumeci (padre di Saverio), Maribella Piana (Marichedda) e così via.

La Sicilia, protagonista silenziosa ma non troppo

Gaetano Savatteri: Ritengo che il successo vada ricercato anche nell’ambientazione, ovvero la Sicilia, nella tensione tra la luce che ammalia e la complessità, per questo non ne siamo mai sazi in letteratura, al cinema e in tv […] credo che la Sicilia raccolga in sé tutta la profondità dell’essere italiano.

Dopo il grande successo ottenuto (forse) dall’ultimo episodio de Il commissario Montalbano, Raiuno punta ancora una volta sulla Sicilia. La miniserie, ripresa negli ultimi mesi dello scorso anno, è ambientata a Palermo e nel trapanese. I suggestivi scorci che sono stati gelosamente catturati in tutte le scene invitano calorosamente, superata la pandemia, a visitare la Sicilia occidentale, culla di tradizioni e monumenti ancestrali lasciati dai vari popoli succedutisi nel tempo.

Tonnara di Scopello. Fonte: wikimedia.org, creativecommons.org

A valorizzare ancora di più la Sicilia è anche la meravigliosa sigla iniziale scritta da Ignazio Boschetto (originario di Marsala) e interpretata dal gruppo di “tenorini” Il Volo.

Ignazio Boschetto: È una canzone che racconta la mia Sicilia, terra di saggi, terra di stolti, fatta di diavoli e santi. E’ una canzone attaccata alle tradizioni […].

Lamanna come Montalbano? Màkari come Vigàta? Savatteri come Camilleri?

Lo scrittore Andrea Camilleri. Fonte: citazioni.it, creativecommons.org

La serie, sulle cui spalle poggia la responsabilità (e, perché no, l’onore) di diventare la legittima erede de Il Commissario Montalbano, ha avuto una partenza lenta ma si è certamente ripresa nel corso delle quattro puntate, intitolate rispettivamente I colpevoli sono mattiLa regola dello svantaggioÈ solo un gioco e La fabbrica delle stelle.

In attesa dell’annuncio ufficiale della seconda stagione, si possono però segnalare alcune defaiances narrative da correggere. Innanzitutto la sceneggiatura si presenta, sin dalle prime battute, caratterizzata da fin troppa frettolosità nel tentativo probabilmente di dare una svolta alla vita del protagonista ed è spesso sopraffatta dall’intrigo sentimentale che nasce e si sviluppa quasi forzatamente tra i protagonisti. Si notano poi alcune ingenuità e leggerezze che potevano essere evitate, come la facilità con cui i colpevoli si lasciano sfuggire degli indizi assai rilevanti per il nostro “sbirro di penna”.

Non è sicuramente l’ennesimo poliziesco ispirato a Montalbano & Co e rappresenta il tentativo di proporre ai telespettatori un prodotto più fresco e frizzante a cavallo tra il giallo e la commedia, il melò e il grottesco sullo sfondo di una Sicilia dolceamara e differente da scoprire e – per chi già la conoscesse – da riscoprire.

Racconta temi contemporanei, facilmente stereotipabili, ma mai banali: dagli incidenti agli omicidi premeditati, dalla disperazione alla vendetta, passando per il movente economico. Màkari presenta un’istantanea dell’attuale situazione italiana, non solo siciliana, che stenta a ripartire e di come la ripartenza non può che cominciare dal singolo che ha il desiderio, ma spesso non il coraggio, di reinventarsi e di riscattarsi.

Angelica Terranova

Serie TV e flashback, come il passato scandisce il nostro presente

A circa un anno dal lockdown, i social cominciano a mostrarci i ricordi con “ accadeva un anno fa…” allegando foto in pigiama, immagini di pane fatto in casa e videochiamate. Sicuramente la pandemia ci ha reso più nostalgici e vedere le cose che si potevano fare è ormai  parte della routine quotidiana. 

Siamo tutti più avidi di ricordi: riusciamo a trovare sollievo nel passato e questo ci strappa un sorriso; ma ci sono serie tv che hanno fatto di eventi del passato – sotto forma di flashback – i loro punti di forza, usandoli come pretesto per raccontare o dare senso alle vicende o come vera e propria struttura narrativa. Da nuove uscite a grandi classici (come l’intramontabile How I Met Your Mother), il throwback non è solo la tendenza del momento.

Lost, 2005-2010

Quando si parla di flashblack, non possiamo non citare la serie cult per eccellenza. Lost probabilmente è stata la prima serie ad essere diventata un fenomeno di massa: le – fin troppo – complesse vicende che seguono lo schianto dell’aereo di linea 815 della compagnia Oceanic Airlines su un’isola sperduta, si snodano di fatto attraverso le storie precedenti dei naufraghi, con un continuo utilizzo dei flahsback. Il fascino dell’utilizzo di questa tecnica in Lost  è dovuto in gran parte al riflesso che le vicende passate sembrano inesorabilmente avere sulla vita presente dei superstiti toccando la sfera del paranormale.

Cast della serie; in primo piano due dei protagonisti principali: Jack Shepard (Matthew Fox) e Kate Austen (Evangeline Lily) 

Ma se l’isola di normale sembra avere ben poco, fino ad essere considerata un’entità “viva e consapevole”, la trama non può che rispecchiare questo leitmotiv: procedendo attraverso eventi sempre più strani e inspiegabili, lo spettatore si rende presto conto di come tutto sembra non avere – come si suol dire – né capo né coda. A “cominciare” dal finale, molto discusso e oscuro alla maggior parte del pubblico, continuando con una serie di sempre meno credibili colpi di scena, Lost sembra rispecchiare proprio il concetto di flashback: del resto, cos’è la memoria se non uno spazio immaginario, quasi teatrale, onirico, sempre più confuso e distante, dove vanno in scena inevitabilmente sempre gli stessi personaggi?

Mr. Robot, 2015-2019

Altra serie che meriterebbe un intero articolo , apparentemente potrebbe sembrare la più off topic. In realtà, nel capolavoro nato da un’idea di Sam Ismail,  il significato più profondo della vita complicata del protagonista, l’hacker Elliot Alderson (un eccezionale Rami Malek), risiede interamente nei suoi ricordi di infanzia. Mai come prima, una serie tv “moderna”, rivoluzionaria e per certi versi anche inquietante, ha nascosto così bene il suo animo più intimo, facendo di fatto ruotare gran parte delle emozionanti vicende intorno a un tema: i rapporti tra Elliot e i suoi familiari (e i pochissimi amici), ma soprattutto con il padre. 

Celebre scena (prestata in passato a molti meme) nella quale Elliot ( Rami Malek) esulta a Times Square. 

Per questo la serie non è soltanto un must per tutti gli appassionati di spionaggio e informatica, rivoluzionari e amanti dei thriller in senso lato: il racconto di come un gruppo di hacker ha provato a cambiare il mondo è una storia fatta di antieroi, ciascuno con la propria fragilità e il proprio vissuto.

Un passato che lascia ferite ben più profonde di una crisi monetaria globale, ma che, allo stesso tempo, rappresenta una fonte inesauribile di energia (anche se non sempre positiva).

Dark, 2017-2020

Passato, presente e futuro in un cerchio. D’altronde è vero: tutto si ricollega e ritorna al proprio posto, ma cosa succede se l’ inizio è la fine stessa?

Beh, in Dark è possibile vederlo: questa serie – che richiede più attenzione di quanto crediate – si fa strada nel tempo e nello spazio, dimostrando l’importanza dei rapporti umani, delle scelte e il peso delle loro conseguenze. Ogni episodio, a se stante, è come una goccia nel mare o come la goccia che fa traboccare il vaso, quindi è essenziale per capire il quadro generale ma anche per poterlo risolvere.

Presente, futuro, passato. Fonte: lascimmiapensa.com

È sicuramente innovativa, ben fatta, ma molto difficile da capire. Bisogna mettersi lì, a creare alberi genealogici e mappe per poter uscire dal labirinto delle vicende, cercando di comprendere come quello che succede è conseguenza e causa stessa di ciò che è accaduto.

Il flashback, qui, diventa reale. Andare indietro nel tempo e poi tornare di nuovo al presente, per poi arrivare verso il futuro… Che sia questo schema narrativo un monito per noi? Magari questo è il modo giusto di affrontare la vita? A voi la risposta.

Lupin, 2021 – in corso

La storia del ladro gentiluomo prende il volto di Assane (interpretato da Omar Sy): un moderno Lupin immerso nella Parigi del 2020, raccontato da Netflix con estrema leggerezza ma – allo stesso tempo – con una narrativa accattivante.

La storia del protagonista la si conoscerà a poco a poco. Saranno proprio i flashback a permetterci di conoscere il piccolo Assane e vedere come costruisce la sua identità di gentiluomo.

Primo bottino del gentiluomo. Fonte: Netflix

La trama sarà diversa da quella di «Lupin, Lupin, l’incorreggibile» perché dietro si nasconderanno problematiche differenti, attuali ma da sempre presenti: il potere del più forte, il sacrificio dei genitori e la discriminazione. Tuttavia, nonostante le critiche, la serie ha ottenuto un grandissimo successo.

Con lo stampo della – più fruttuosa – Casa De Papel, il protagonista raffigura un genio della truffa e tutto quello che ottiene sarà frutto di uno studio attento della situazione, delle conseguenze delle sue azioni; inoltre non perderà mai di vista l’obiettivo: vendicare il padre.

Ancora una volta, ci costringono ad ammirare il “cattivo” e a metterci dalla sua parte, per cui viene da chiedersi chi sbaglia: il carismatico e creativo ladro o coloro che lo inseguono?

L’estate in cui imparammo a volare (Firefly Lane), 2021 – in corso

La nuovissima serie tv proposta dalla grande N è un capolavoro che, purtroppo, non profuma di successo. 

La storia, riadattata dall’omonimo romanzo, è quella di due amiche che la vita ha reso sorelle e il cui legame indissolubile verrà confermato dagli innumerevoli salti temporali: dagli anni ottanta ai duemila, le vedremo da preadolescenti ad adulte crescere insieme e – nonostante provenienti da ambienti diversi – diventare le donne che sognavano.

 Tully e Kate ’80s. Fonte: rollingstone

Ad interpretare le due ragazze saranno due mostri sacri del piccolo schermo quali Katherine Heigl e Sarah Chalke meglio conosciute come Izzie (di Shondiana memoria) e Elliot di Scrubs; la loro bravura trapelerà in ogni episodio dando consistenza alle storie. La vicenda rende vera quella scritta «amiche per sempre» che non mancava sui diari delle nostre compagne di banco: nel loro caso la promessa viene riconfermata ogni anno che passa.

Il throwback, qui ben strutturato, ci dà la consapevolezza di quanto le protagoniste siano state importanti l’una per l’altra e di come le scelte prese a quindici anni abbiamo un riverbero anche a trentacinque.

L’importanza del passato quindi è inevitabile: il piccolo schermo non fa altro che accattivarci impacchettando le nostre necessità sotto forma di comodi episodi da divorare a nostro piacimento.

Che ci piaccia o no, tutto ciò che accade assume senso alla luce di ciò che lo ha preceduto.

Emanuele Chiara e Barbara Granata 

Normal People: storie di vita, di crescita, d’amore

 

5/5. Un adattamento brillante e coinvolgente che ha saputo rendere onore all’opera originale

 

«Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.»

Fonte: sentieriselvaggi.it

Così scriveva il poeta mistico Rumi attorno al XIII secolo. Versi eterni, che colgono l’essenza della vita stessa e la condensano in un componimento breve e d’impatto.

A me piace pensare che quel campo di cui parla Rumi sia l’amore. Un amore che trascende le logiche della giustizia per fondarsi come unica certezza e garante della vita eterna; uno spazio incontaminato ove si può finalmente prendere una pausa dalla repentinità dell’esistenza.

A tal proposito, credo che non esista serie tv che riesca a cogliere meglio il carattere così puro dell’amore. Normal People (2020) parla, per l’appunto, di questo: ma lo fa con umiltà, sottovoce, tra le pieghe di un libro (della scrittrice Sally Rooney) divenuto pellicola. Non è una serie che grida ai gesti di romanticismo estremi né t’induce ad idealizzare il sentimento. Al contrario, chi guarderà questa serie odierà un po’ la sensazione di aver amato. Ebbene, l’effetto a mio avviso è azzeccatissimo. Ma entriamo più nel dettaglio.

La trama e i personaggi

La serie, composta da una sola stagione di 12 episodi, disponibile sulla piattaforma streaming Prime Video, tratta le vicende dei protagonisti Connell (Paul Mescal) e Marianne (Daisy Edgar-Jones). I due, conoscendosi sin da ragazzini, inizieranno a stringere un rapporto durante gli ultimi anni del liceo e di lì seguiremo le loro peripezie fino al college.

Ciò che lega Connell e Marianne, inizialmente, è la loro solitudine: il primo è il classico ragazzo popolare che si cela dietro una maschera perché sa che altrimenti non sarebbe apprezzato dagli altri; la seconda è un personaggio schivo, a tratti passivo-aggressivo, che dalla vita ha sempre ricevuto poche gioie e certezze.

Per via di questa complicità diverranno amanti. Ma non cantate vittoria, perché il mondo li metterà davanti a molte sfide. Ed allora li vedremo arrancare per riuscire nel – non così scontato – compito di capirsi. Questo perché, per quanto il sentimento che lega due persone possa essere forte, ha sempre bisogno di fondamenta: fondamenta che si trovano nell’amicizia, in quel contatto d’anime che rende unici agli occhi dell’altro.

È il dramma dell’incomunicabilità: ci viene presentato attraverso il personaggio di Connell, a cui dovremmo fare ben attenzione prima d’incappare in giudizi affrettati. Egli è infatti estremamente complesso, con sfumature che vanno ad incupirsi man mano che si procede nella visione.

«Tu sei sempre consapevole di ciò che pensi. Per me non è così», dice a Marianne in confidenza. Se esiste una persona con cui può essere sé stesso, con cui ha il diritto di avere un’opinione, quella è proprio Marianne.

Focalizzandoci su questo punto, è importante tener conto dell’apporto positivo che i due si offrono: scambiandosi idee, parlando del più e del meno, ma soprattutto facendo sentire reciprocamente le voci che, al di fuori del loro rapporto, nessuno è interessato ad ascoltare. E questo li aiuta a maturare caratterialmente, ad acquistare sicurezza sul valore delle proprie opinioni – soprattutto per Connell.

D’altro canto, Marianne è una persona molto insicura perché – come dicevamo – non ha mai avuto molte certezze nella vita. A dirla tutta, la sua unica certezza sarà quella di comprendere la profondità del legame con Connell ed essere cosciente della dipendenza che la lega a lui.

Fonte: ok.co.uk

«Potrei sdraiarmi qui e tu potresti farmi ciò che ti pare». Parole affilate come una lama, fendenti che trafiggono sia l’interlocutore che lo spettatore. Sono le armi di chi non ha paura di rivelare ciò che prova e che urlano alla codardia dell’altro.

Ma perché? Perché Connell, nella sua timidezza, mirerà sempre a cercare la normalità. Rapporti normali, amicizie normali, tutto ciò che insomma Marianne non è. Né lo è il rapporto che li lega. E più tenterà di ricercare la normalità, più sarà privato della serenità.

Ecco perché Normal People, oltre ad essere una storia d’amore, è un percorso di crescita. Una storia che ci scuote per dirci che amare non è una passeggiata.

Ecco, mettiamola così.

Un consiglio per la visione

Ricollegandoci al nostro leitmotiv di giusto e di sbagliato: se volete guardare questa serie, siate certi di esservi prima spogliati dei pregiudizi che affliggono la comune percezione delle relazioni interpersonali. Pensare all’interno dei nostri schemi mentali ci blocca inevitabilmente, non permettendoci di cogliere quelli che sono i messaggi profondi offerti da questa serie. Primo tra tutti: ognuno ha il proprio “campo”. Ognuno può trovarlo, ma per farlo deve trascendere la propria individualità ed accettare la proficua dipendenza (assolutamente non quella tossica) che deriva dal sentimento.

Fonte: cinematographe.it

In secondo luogo, che non si nasce perfetti l’uno per l’altro/a. Così Marianne afferma, ad un certo punto: «Non trovo ovvio ciò che vuoi», come a dire che non è semplice comunicare né comprendersi e non bisogna mai darlo per scontato.

È importante tenere a mente la sensazione di angoscia che ci si trascina durante la visione di questo show. Ma è giusta anche quella, perché alla fine se ne uscirà arricchiti.

«Staremo bene», dice Marianne a Connell durante una scena della serie. Perché l’amore è questo: perdersi per ritrovarsi, laggiù, dove c’è quel campo.

 

Valeria Bonaccorso