Boris 4: stesse intenzioni, formula diversa

Questo revival vuole riportare la strampalata troupe ai giorni nostri, ci riesce seppur con risultati inaspettati. Voto UVM: 4/5

 

La fuori serie italiana torna dopo 11 anni dall’ultimo episodio della 3° stagione per cercare di accontentare tutti i fan ma soprattutto torna per aggiornare la situazione televisiva italiana dopo un’era in cui tecnologia e pubblico sono stati ben diversi. Grazie alla permanenza sulla piattaforma di Netflix di qualche anno fa, le prime 3 stagioni di Boris ebbero una seconda vita e quando la Disney ne acquisì i diritti, annunciò il 16 Febbraio 2021 il revival di questa serie.

Boris si è contraddistinto fin dall’inizio per i suoi personaggi caratteristici e per le sue citazioni. Di ogni puntata ne è rimasta la memoria fino ai nostri giorni, grazie anche alla loro durezza nei confronti del sistema italiano. Una satira capace di colpire in pieno tutte le debolezze nostrane in fatto di politica e di produzioni televisive. Sarà così anche per questo mondo un po’ più smart e politicamente corretto?

Lo streaming e il Lock

Da un po’ di tempo non si parla più di rete ma di piattaforma. Le multinazionali estere sono economicamente stabili e portare a loro un progetto significa arrivare a grossi e stabili guadagni per tutti i componenti della produzione. Bisogna però, come prima cosa, ottenere il Lock, ovvero l’approvazione del progetto ottenibile solo quando verranno rispettati tutti i requisiti richiesti dall’algoritmo. Insomma, un mondo nuovo porta a nuovi problemi che in Boris vedremo sviscerati, uno ad uno, nello stile a cui siamo stati abituati.

Boris tra inclusivity e TikTok

Ferretti: “DAI DAI DAI” “Ma che è successo?  [Alyson] Mi è sembrata incupita…”

Sceneggiatore (A. Sartoretti): “René le hai detto die die die, significa muori muori muori!”

Il mondo va avanti ma, come sappiamo, tutto rimane immobile in Italia. Si parla di inclusione per le minoranze e il numero di followers è quello che ora mai più conta per un personaggio di spicco. La troupe de “Gli occhi del cuore” e “Caprera” dovrà scontrarsi con un nuovo linguaggio che li tartasserà (soprattutto Biascica, interpretato da Paolo Calabresi) durante il lavoro. È importante utilizzare u finale per riferirsi a qualsiasi sostantivo per essere più inclusivi ed è anche necessario avere nel cast almeno un cinese e un africano per rispettare i requisiti minimi dettati dalla piattaforma.

Inoltre, è importante come ci si mostra: non solo di fronte alle telecamere ma anche sui propri social network. È importante pubblicare in brevi video momenti della vita privata e mostrarsi estroversi e simpatici. Magari con dei balletti divertenti o aforismi banali. Insomma tutte cose in linea con le personalità di Renè Ferretti (Francesco Pannofino) e Biascica, giusto per fare due esempi lampanti.

Boris
Frame dal trailer di “Boris 4”. A sinistra Diego Lopez (Antonio Catania), a destra Renè Ferretti (Francesco Pannofino). Regia: Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo. Distribuzione: Disney.

 

Boris: libertè, ugualitè e fraternitè

Troveremo i nostri beneamini invecchiati, cambiati ed alcuni anche scomparsi (si, deceduti sia realmente che nel mondo di Ferretti). Dopo pochi minuti dall’inizio del primo episodio la nostra amata troupe verrà a sapere della morte di Itala (Roberta Fiorentini) che commemoreranno in ricordo di tempi ormai andati. Inoltre, verrà anche omaggiata la scomparsa di uno dei 3 sceneggiatori della serie di Boris, il caro Mattia Torre, grande amico degli altri due autori, ovvero Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, ma sulla sua commemorazione ci torneremo più tardi.

Biascica: “E si’ oggi Itala è morta è de tristezza… Perché nel nostro mondo è cambiato tutto. ‘E merde diventano capoccia… e allora io mi chiedo: dov’è finita la poesia de’ i set de na vorta?”

Ciò che è stato affrontato in parte dalla narrazione riguarda il ribaltamento di alcuni ruoli a noi ben noti, ma siamo stati abituati da sempre alla filosofia del “cambiare tutto per non cambiare niente” e infatti la conclusione di ogni personaggio è quella: la conferma che tutto sommato le cose devono rimanere com’erano.

Quello che ha reso “Boris – La fuori serie italiana” un cult è stata una scrittura fortemente ispirata al mondo italiano visto con un occhio critico ma rassegnato. Le sue prime stagioni caratterizzate da semplici sketch e una regia limitata dal budget riuscivano a trasmettere con grande impatto il dietro le quinte di un mondo da sempre sconosciuto agli occhi dei telespettatori. Prima di questo revival sembrava quasi che fosse stato detto tutto. Gli autori Ciarrapico e Vendruscolo sono riusciti a mostrare nuove criticità ed anche nuove speranze in chi crede nell’arte e nella qualità. Abbiamo notato quanto gli autori abbiano provato a cambiare rotta senza stonare con lo spirito iniziale, seppur il citazionismo e la satira si sprecano ad ogni scena.

Che stamo a di’

sceneggiatore 1: “collega com’è l’inferno?”

sceneggiatore 2 (V. Aprea):“mah, ti dirò alla fine non è male. è pieno di quarte stagioni”

Credo che non si possa parlare di una 4° stagione di Boris senza il confronto con il passato. Anche solo parlare dei significati dietro lo sceneggiato non sarebbe bastato – comunque ce ne sarebbe molto da dire solo per quelli – e soprattutto il finale di stagione riporta un messaggio immenso per chi ama l’arte e per chi l’arte la fa. Si potrebbe quasi dire che l’intera stagione sia stata scritta in memoria dello sceneggiatore Mattia Torre, tanto amato sia dal cast che da Vendruscolo e Ciarrapico. E crediamo che lo abbiano commemorato nel migliore dei modi possibili. A proposito di nuove speranze, è qui che gli autori di Boris hanno voluto dare uno spiraglio di luce dalla cima di un pozzo che sembrava davvero lontana. La follia, la tenacia e un po’ di capacità prensile potrebbero aiutare a infrangere gli schemi e provare a compiere una fatica dai risultati insperati.

Boris
Frame dal trailer di “Boris 4”. Da sinistra: Duccio (Ninni Bruschetta), Backstage, Renè Ferretti, Biascica (Paolo Calabrese), Arianna (Caterina Guzzanti). Regia: Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo. Distribuzione: Disney.

 

Arianna: “Vuoi girare la scena del battesimo vero? Oggi non ce la facciamo… mi dispiace, te lo dico.”

Ferretti: “… ce la facciamo, Arianna. Alla fine ce la facciamo sempre.”

 

Crediamo che questa stagione non abbia lo stesso animo da “meme” tanto amato dai fan, quello su cui hanno voluto puntare questa volta è stato un prodotto ben orchestrato che lascia un senso di malinconia ma anche di rivalsa. Lascia un’energia contagiosa, una voglia di poter ribaltare le sorti mettendoci un pizzico della nostra locura. Infine, crediamo che questo prodotto confezionato da Disney non sarà ricordato nelle future generazioni per la sua irriverenza, ma per il suo animo unico e carismatico.

 

Salvatore Donato

“Emily in Paris 2” : everything coming up roses

Serie family friendly, adatta ad ogni fascia d’età, ma con qualche piccola sbavatura – Voto UVM: 4/5

 

«Everything coming up roses» recitava una vecchia canzone. Una frase tra l’altro già sentita e pronunciata da Emily Cooper (Lily Collins), protagonista della serie tv di successo mondiale Emily in Paris, produzione targata Netflix. Il significato sembra racchiudere perfettamente quello che è il carisma, la grinta, la passione e la positività della protagonista.

Come ci eravamo lasciati?

Tra una storia d’amore giunta al termine e l’incontro con un’evidente nuova fiamma, lo chef francese Gabriel (Lucas Bravo), Emily riesce ad affermarsi, stravolgendo le regole dell’azienda in cui lavora, nonostante sia un’americana sbarcata a Parigi che –  come ormai risaputo – è terra di veri patriottici duri a staccarsi dai propri costumi e dalle proprie convinzioni, anche in ambito lavorativo.

Nuove amicizie, nuove prime volte e l’eccessivo entusiasmo, però, portano la protagonista a fare scelte sbagliate, come quella di tradire la propria amica, Camille (Camille Razat), andando a letto con il suo fidanzato.

Nonostante ciò, Emily continuerà a vivere godendo appieno la vita, e facendo quasi sentire questo senso di totale leggerezza anche agli spettatori. Se trasmettere questa sensazione al pubblico era l’intento dei produttori, si può dire che ci siano riusciti alla grande!

Primo selfie di Emily a Parigi 

Ecco cos’è cambiato nella seconda stagione

Sempre più francese, ma senza mai abbandonare le radici, i valori e le strategie (di marketing) del proprio Paese, Emily è ancora più determinata nel proprio lavoro, pur vivendo un crescendo di fatiche e difficoltà. Rimasta imbrigliata nel triangolo amoroso con Gabriel, nonché suo vicino di casa, e la sua prima amica conosciuta a Parigi, Camille ( ex o “quasi” di Gabriel), la vita di Emily andrà a sfociare in un susseguirsi di eventi negativi. Diverrà dnque meno “rosea”, seppur vissuta sempre con il sorriso in volto e il coraggio di mettersi in gioco.

Sarà Alfie ( Lucien Laviscount), affascinante inglese, suo compagno a scuola di francese, a portare grandi cambiamenti nelle sue giornate. Ma ancora una volta gli sceneggiatori decideranno di lasciarci col fiato sospeso. La stagione termina infatti con una difficile scelta che deve compiere la protagonista, scelta che può incidere sulla sua futura carriera (e anche sulla vita privata). Ci tocca aspettare un po’ per sapere come andrà a finire.

Da sinistra a destra: Lucien Laviscount, Lily Collins e Lucas Bravo nella foto promozionale di “Emily in Paris 2”

To be continued…

Passerà un anno, o forse più, prima dell’uscita della terza stagione già ufficialmente confermata insieme alla quarta  (quest’ultima del tutto inaspettata).

Per cui, cari fan, se avete passato una brutta giornata, questa è un’ottima notizia per cui gioire.

Inoltre, sono molte le voci che girano riguardo ad un’interessante aggiunta nel cast: si tratta di Kim Cattrall (la seducente Samantha di Sex and the City), che dopo aver rifiutato di partecipare all’attesissimo sequel And Just like that, sembra voler approdare proprio nella Parigi di Emily.

Un po’ meno per i detrattori di una serie che ha toccato il gradino più alto del podio delle tendenze mondiali, divenendo in poco tempo una delle produzioni Netflix più amate e redditizie degli ultimi anni.

Petra e Madeline: pregiudizi o solo ironia?

“Nella serie c’è un’inaccettabile caricatura di una donna ucraina. Un vero e proprio insulto. Ma è così che vengono visti gli ucraini all’estero?”

Una tra le tante voci critiche arriva dall’Ucraina: il ministro della cultura Oleksandr Tkachenko ha sottolineato come il personaggio di Petra (Daria Panchenko), compagna di classe di Emily nel corso di francese, sia costruito sul solito vecchio stereotipo degli abitanti dell’est Europa. È possibile che nonostante la globalizzazione e il multiculturalismo, ci si fermi ancora a questo genere di pregiudizi?

Ad ogni modo, possiamo notare come effettivamente molti personaggi della serie siano un po’ caricaturali: Madeline (Kate Walsh), ad esempio, rappresenta quella che potrebbe essere considerata l’americana tipo che non rispetta gli usi francesi e pretende di imporsi con arroganza su tutti ( tralasciando i suoi modi molto poco fini).

Per quanto gli stereotipi che riguardano la figura di Madeline siano certamente meno offensivi di quelli che caratterizzano  il personaggio di Petra, è chiara una tendenza in tutta la serie alle generalizzazioni facili.

Petra ed Emily fanno shopping. Fonte: New.Fox-24.com

Serie da vedere tutta d’un fiato

Emily in Paris – la prima come la seconda stagione – è una serie leggera, piacevole da seguire, con tutti i suoi intrighi amorosi, i suoi grandi eventi ed outfit alla moda (fin dai primi episodi non si è potuto fare a meno di notare lo stile di Emily).

Allo stesso tempo, però, è molto interessante il multiculturalismo presentato: nonostante alcune forzature (come nel caso di Petra), la serie gira tutta intorno a come Emily riesce ad integrarsi nella società francese, sempre però mantenendo una sua individualità.

A questo punto direi che non ci resta che aspettare – con ansia! – la terza stagione per scoprire le nuove avventure di Emily. Au  revoir!

Ilaria Denaro, Marco Abate

 

 

Due chiacchiere con Giulia Dragotto, la protagonista di “Anna”

“Selvaggia e disorientante”. “Una fiaba per adulti”. “La serie tv italiana più coraggiosa mai realizzata”. Queste sono alcune delle tante espressioni utilizzate per definire la serie tv “Anna“, tratta dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti (Premio Strega 2007 e regista della serie), ambientato in una Sicilia post-apocalittica, dove la popolazione adulta è stata sterminata da un virus altamente letale, “La Rossa“. La serie è disponibile su Sky Atlantic e su Now Tv ed è prodotta dalla Wildside, del gruppo Fremantle.

Ammaniti racconta la vicenda della tredicenne Anna, impegnata principalmente a proteggere e -ad un certo punto- a salvare il piccolo fratellino Astor. L’interprete dell’impavida eroina è la giovanissima e bravissima attrice palermitana Giulia Dragotto, con la quale abbiamo scambiato due chiacchiere per telefono.

Giulia Dragotto, interprete della protagonista Anna

In che modo sei stata selezionata per il ruolo di Anna e quali sensazioni hai provato sapendo di dover interpretare il ruolo della protagonista al tuo esordio come attrice?

Tutto in realtà è nato per caso: era l’estate del 2019 e mia mamma su Facebook trovò un annuncio di un casting per il film “Le sorelle Macaluso”. Quando mi chiese se l’avessi voluti fare io accettai subito; lo feci per gioco, non avrei mai pensato di arrivare a tutto ciò. Quindi feci i provini, mi dissero che ero troppo grande per il ruolo che cercavano e mi avrebbero chiamato non appena avrebbero trovato una situazione adatta a me. Tempo dopo, infatti, mi chiamarono “Anna”: ho fatto tantissimi provini e tantissimi laboratori con la moglie di Niccolò Ammaniti, Lorenza Indovina. È stato un percorso veramente faticoso, ma ad oggi posso dire che ne è valsa assolutamente la pena. Non mi dissero subito che sarei stata Anna, ma ho capito di esserlo quando mi hanno convocata a Roma.

A quale attrice o personaggio ti sei ispirata maggiormente per interpretare al meglio il tuo ruolo? Quali sono i tuoi modelli principali nel mondo del cinema?

Per il ruolo di Anna non mi sono ispirata ad un’attrice in particolare; però posso dire che ne apprezzo tantissime, in particolare Millie Bobby Brown -molto classica come attrice preferita dalle ragazze- e Kristen Stewart.

Anna e il fratellino Astor (Alessandro Pecorella)

Chi è Anna? Chi è, invece, Giulia? Quali sono le maggiori differenze tra te e Anna?

Anna è una ragazzina cocciuta e parecchio coraggiosa, che vive in una situazione catastrofica, qualcosa che non riuscirei ad immaginare. Io, invece, mi ritengo la persona più imbranata di questo mondo e non penso ci sia essere vivente più impacciato di me. Questo ritengo sia una cosa che mi rende molto diversa da Anna. Devo dire che il personaggio di Anna mi ha lasciato molto, soprattutto per quanto riguarda la determinazione, grazie a lei ho compreso quali sono le difficoltà vere e non mi faccio più abbattere da sciocchezze. Il coraggio, invece, ci accomuna, anche se parliamo di due vite completamente diverse.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai vissuto durante le riprese? Quali, invece, i momenti più belli e significativi che hai vissuto e non dimenticherai mai?

Le difficoltà erano all’ordine del giorno; sono stata sempre messa davanti a situazioni difficoltose. Per esempio, ho dovuto rifare una scena in cui correvo nelle scale tante volte perché io non riuscivo a sincronizzare i piedi. Una scena abbastanza difficile sicuramente è stata quella girata sull’Etna alle quattro e mezza del mattino: là sopra c’erano -4 gradi ed è stata veramente dura. Non ci sono stati momenti più belli e significativi; posso dire che è stato uno splendido percorso dall’inizio alla fine.

Giulia sul set

Chi ha guardato la serie ha sicuramente apprezzato anche la tua interpretazione della bellissima canzone napoletana “Core ‘ngrato”. Quando è nata la tua passione per il canto e come l’hai coltivata nel tempo?

Ho sempre avuto la passione per il canto: sin dall’asilo ho cantato sempre nelle recite scolastiche e a casa cantavo spesso le canzoni -tra gli altri- di Elisa e dei Negramaro. Dato che mi ritenevano abbastanza intonata i miei genitori decisero iscrivermi ad un’accademia di canto, per darmi modo di poter coltivare questa mia passione. Ho iniziato a studiare canto a otto anni e ho smesso verso i dodici.

Quali sono state le sensazioni che hai provato le prime settimane di lockdown a causa di una pandemia per certi versi abbastanza simile all’epidemia presente nella serie?

Inizialmente avevo sottovalutato la situazione perché ero molto presa dal set, che impegna molto. Quando arrivò invece la notizia ufficiale fu una bella botta e subito notai la coincidenza con il romanzo di Anna, uscito nel 2015, ma ambientato proprio nel 2020. Una coincidenza che ti fa fare due domande. La cosa traumatica fu quando tornai a casa e, abituata alle giornate ricche di emozioni, mi sono detta “che faccio adesso?”, “quanto durerà questa situazione?”, “riprenderemo a girare?”. Ho avuto un sacco di paranoie, perché ho saputo che molti set sono stati interrotti e avevo paura che tutti i sacrifici fatti da me, i miei amici e tutte le persone dello staff si vanificassero. L’unico aspetto positivo è che anche il lockdown mi ha fatto crescere molto.

Sull’Etna

Quali sono i tuoi progetti nel breve periodo? Hai qualche lavoro in cantiere? Come ti vedresti, invece, tra dieci anni? Vorresti continuare su questa strada oppure ti piacerebbe fare anche qualcos’altro?

In realtà ancora no, ma spero di poter vivere altre esperienze del genere, perché ti lasciano tanto. La recitazione non la considero -almeno per adesso- un lavoro, ma l’ho sempre definita un divertimento, uno svago, un qualcosa di liberatorio. Sinceramente non so come mi vedrei a 24 anni; sicuramente spero di essere felice. Intanto mi metto molto sotto con lo studio perché so che mi servirà, anche perché mi piacerebbe fare l’Università.

Perché un/a giovane siciliano/a -e non solo- dovrebbe guardare la serie “Anna”?

Perché è una serie che arriva al cuore; lo penso perché chi l’ha vista mi ha detto che trasmette davvero tanta emozione. Non dovrebbe essere presa esclusivamente come una serie su una pandemia, cosa che potrebbe non invogliare il pubblico visto il periodo che stiamo vivendo. Ho sentito spesso dire questo, ma chi l’ha detto si è poi ricreduto, perché Niccolò utilizza il virus solo come mezzo per arrivare ad un altro concetto, quello della speranza. Il virus lo senti all’inizio, ma nell’evoluzione della storia percepisci tutt’altro. Questa è la cosa bella di Anna.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Giulia sui social:

instagram.com/_giulia_dragotto_

 

Si ringrazia Federica Ceraolo per averci fornito le foto

 

Caro BoJack Horseman, ti racconto

Voto UVM: 5/5

Nel 2014 andava in onda il primo episodio di BoJack Horseman, serie animata creata da Raphael Bob-Waksberg, composta da sei stagioni. Vincitrice di un Golden Globe e di tanti altri premi, senza dimenticare le numerose nomination, la serie è ambientata in una Hollywood popolata da umani e animali antropomorfi: a primo impatto può sembrare un show per passarsi una serata e magari per distogliere l’attenzione dalla realtà, ma la serie produce l’effetto contrario nello spettatore.

Il protagonista è BoJack un cavallo antropomorfo, star della serie tv Horsin’ Around, che ormai ha chiuso i battenti da un paio di anni. BoJack, stanco di non essere considerato una star come ai vecchi tempi, cerca di riaffermare la sua immagine, accompagnato dalla sua agente Princess Carolyn, una gatta, il suo strano – ma dal cuore tenero – coinquilino Todd e Mr. Peanutbutter un labrador, attore e sua nemesi. Infine, Diane, una ghostwriter, cercherà di riportare alla ribalta il nostro protagonista scrivendo la sua biografia.

 

Già dal primo episodio vediamo come il nostro protagonista abbia seri problemi con la società che lo circonda: difatti, si rifugia nell’alcool, nella droga e nelle feste per nascondere la sua depressione. Ed è proprio la depressione  il tema centrale di questa serie tanto strana ma allo stesso tempo veritiera, che ci mostra la discesa di un individuo verso l’autodistruzione.

E no, la serie non è caratterizzata solo da momenti tristi, al contrario offre al pubblico il classico umorismo, ma anche umorismo nero e satira. Il nostro cavallo davanti ai suoi amici e colleghi si mostra come un cinico narcisista, ma allo stesso tempo divertente. Nonostante le apparenze, nasconde dietro di sé una crisi esistenziale, caratterizzata dalla poca autostima e dalla continua paura di rimanere solo,tema particolarmente evidente nell’ultima stagione.

BoJack in analisi durante la disintossicazione (stagione 6)

BoJack allontana sempre tutti da lui, allontana chi gli vuole bene, ad eccezione di Sarah Lynn, che al contrario di BoJack non ha bisogno di riaffermare la sua immagine, essendo una delle star del momento, amata e voluta da tutti. Tuttavia,  la ragazza soffre di una crisi esistenziale, non si sente amata veramente e vede in lui sé stessa e si rifugia nel protagonista. BoJack con la ragazza avrà una strana relazione caratterizzata da un rapporto padre e figlia, come ai tempi della serie Horsin’ Around. Ed è proprio con lei che il nostro protagonista capisce che in lui c’è qualcosa di sbagliato, qualcosa di marcio. Sarah rappresenta la fragilità dell’immagine, un’immagine costruita solo per il mondo dello spettacolo. Dove a nessuno importa veramente chi sia lei come persona ma a tutti importa chi sia lei come star.

Sai non ho mai capito cosa fosse l’amore, ma in questo momento non ho bisogno di capire niente. Lo sto vivendo. (Sarah Lynn 3×11)

BoJack e Sarah Lynn

Tutti i personaggi della serie nascondono un velo di tristezza:  lo stesso Mr. Peanutbutter, che agli occhi di tutti appare come la felicità, rappresenta la totale indifferenza ad ogni avversità che gli si rappresenta.  Rispondendo sempre “sì ok, va tutto bene” davanti sia una situazione positiva e negativa, diventa un suddito della società stessa.
“L’universo è solo un vuoto crudele e indifferente, la chiave per la felicità non è trovare un significato, ma tenersi occupati con stronz*te varie fino a quando è il momento di tirare le cuoia.” (Mr. Peanutbutter 1×12)

La serie mostra anche il mondo “reale”, non solo quello hollywoodiano. L’esempio più lampante è Beatrice, madre di BoJack. Una cavalla fredda, narcisista e egoista come il figlio, che dovrebbe amare suo figlio ma non fa altro che ricordagli che tutti i mali che ha, sono per colpa sua . Beatrice rappresenta una vita fatta di malinconia e rimpianti, segnata da tanti episodi negativi. Una vita che l’ha costretta a cambiare e l’ha resa cinica e anaffettiva. Beatrice rappresenta la sfortuna.

 

Ma cosa rappresenta BoJack?

Rappresenta l’immagine del mondo attuale, una società che corre troppo veloce, senza soffermarsi sulla morale, in cui l’identità dell’individuo non è più prodotta dal suo essere ma dal mondo che sta intorno.

Ecco perché BoJack fa muovere in noi quei meccanismi umani, perché ci tocca e ci fa capire che corriamo senza pensare e capire chi siamo veramente o per cosa stiamo vivendo.

Come ha potuto questo semplice cartone toccarci così nel profondo?

Ci ha fatto capire che – alla fine – la causa di tutti i mali che abbiamo, come dice Todd a BoJack, sei tu”. BoJack si nutre dell’immagine che Hollywood ha prodotto di lui, non è il vero sé, è solo costruito.

Ma nell’ultima stagione vediamo il nostro protagonista con un velo di speranza: cercherà in tutti i modi di cercare di essere qualcuno per sé stesso, e non essere qualcuno per qualcun altro.

La seconda parte dell’ultima stagione della serie sarà distribuita sulla piattaforma Netflix il 31 Gennaio 2020: non so cosa aspettarmi, non so cosa capiterà al nostro vecchio BoJack; so solo che ci ha accompagnato per 6 intere stagioni con il suo pessimismo comico e non siamo pronti a dirgli addio.

Perché alla fine siamo tutti un po’ BoJack.

Alessia Orsa