C’era una volta in America: un sogno durato una vita

 

Parthenope
C’era una volta in America: un viaggio tra amore, amicizia e criminalità lungo quarant’anni. Voto UVM: 5/5

 

C’era una volta in America ha da poco compiuto 40 anni dalla sua prima uscita in Italia, nel 1984, tornando al cinema in versione restaurata in 4K.

Il maestro Sergio Leone, definito “l’italiano che inventò l’America”, autore di pellicole del calibro di C’era una volta il West e della famosa Trilogia del dollaro, termina la sua carriera con questo capolavoro senza tempo. Accompagnato dalla magnifica colonna sonora di Ennio Morricone.

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA: TRAMA

Il film narra la storia di Noodles (Robert De Niro), di Max (James Woods) e dei loro amici, ragazzini ebrei che inizieranno ad avere a che fare con la malavita nella New York degli anni ’20 e i quali ricordi riaffioreranno in vecchiaia, all’arrivo di una misteriosa lettera…

L’INFANZIA DELLA GANG DI MAX E NOODLES

«Guarda, sono le 6 e 34 e io non ho tempo da perdere!»

L’infanzia di Noodles, segnata dalla vita di strada e dalle esperienze negative alle quali deve far fronte, non è di certo ideale. Ciò che fa riflettere però è che quando i personaggi sono piccoli, a volte non si rendono conto di ciò verso cui vanno incontro.

La scelta di rimarcare che, nonostante le azioni mature, i ragazzi rimangano innocenti, viene direttamente dal regista che a proposito mette in scena una delle sequenze, a mio parere, più belle di tutta la storia del cinema: Patsy, uno dei ragazzini che fa parte della gang di Noodles e Max, compra una Charlotte Russa con la panna a Peggy, una ragazzina del quartiere, per cercare di ottenere qualcosa in cambio da lei, ma mentre la aspetta fuori dalla porta si fa ingolosire dal dolce, inizia con l’assaggiare un po’ di panna e finisce con il mangiarlo tutto rimanendo a mani vuote davanti a Peggy, alla quale dirà in modo imbarazzato: “Sarà per un’altra volta”.

C'era una volta in America
Gli amici di Noodles durante la loro infanzia.

LO SGUARDO POETICAMENTE CRUDO DI LEONE

Per l’intera durata del film ci si sente immersi, grazie alla messa in scena impeccabile, alla fluidità data dai movimenti di macchina e dal montaggio, e alla bellezza delle immagini, in un sogno lungo più di quarant’anni.

Per tutti i 240 minuti della pellicola abbiamo la sensazione di vivere un’altra vita, come se stessimo assistendo anche noi in prima persona alle vicende dei personaggi.

Ad ogni modo, tutta l’armonia e la meraviglia viene alternata a momenti di pura violenza e orrore, che riguardano soprattutto le azioni spregevoli dei protagonisti, sia nei confronti delle vittime nell’ambito malavitoso, che delle donne che amano e che non sanno rispettare poiché “figli” della violenza.

Grande critica sociale mossa da parte di Sergio Leone durante tutta l’opera che mostra i più grandi problemi della società americana, raccontandocene la storia e gli sviluppi dagli anni ‘20 agli anni ‘60, passando per il proibizionismo e per le lotte del movimento operaio.

Sergio Leone sul set di “C’era una volta in America”.

IL PASSARE INESORABILE DEL TEMPO E L’IMPORTANZA DEI RICORDI

«Sono le 10 e 25 e non ho più niente da perdere… Un amico tradito non ha scelta, deve sparare».

Verso il finale del film, Max, mittente della misteriosa lettera, incita più volte Noodles ad ucciderlo. L’esortazione a sparare può essere interpretata come una metafora che indica l’essere “costretto” a eliminare i ricordi genuini della giovinezza condivisa dai due dopo essere venuto a conoscenza del tradimento subito. 

La vita del protagonista è ormai stata rubata, per trent’anni, da quello che definiva il suo migliore amico. La donna che amava, i soldi, la fama, gli sono stati sottratti senza possibilità di rimediare.

Nonostante tutto, Noodles decide di fingere di non riconoscere Max, chiamandolo continuamente “Mr. Bailey”, nome della sua nuova identità, e fa come se nulla fosse cambiato rispetto a poco prima della scoperta, come se ormai la giovinezza non appartenesse nemmeno più alla sua vita e non volesse macchiarla ulteriormente.

La spensieratezza mostrataci durante l’infanzia dei personaggi è direttamente proporzionale alla nostalgia provata da Noodles durante la vecchiaia, parte montata intelligentemente in modo discontinuo durante il film cosicché si alternasse con le diverse linee narrative della storia e che rendesse al meglio le sensazioni espresse in modo eccellente da Robert De Niro.

TUTTO TORNA ALLE ORIGINI

C’era una volta in America si conclude nello stesso luogo in cui vediamo Noodles per la prima volta all’inizio del film, in un teatro cinese, che è anche una fumeria d’oppio. Si è fatto un salto indietro al 1933, a subito dopo che Noodles legge su un giornale la notizia che riguarda il colpo in banca della sua gang che lui stesso ha provato a sventare chiamando la polizia. L’inquadratura che chiude il film e sulla quale passeranno i titoli di coda consiste in un primissimo piano di Noodles che sorride, inebriato dall’oppio, che fa quasi nascere nello spettatore il dubbio che tutto ciò che ha visto sia stato solo un “sogno oppiaceo” di Noodles che rappresentava una realtà alternativa nella quale Max non era davvero deceduto durante quel colpo.

L’inquadratura finale con Noodles che sorride.

Consiglio in modo spassionato la visione di questo capolavoro, attualmente disponibile in abbonamento su Now Tv e sui canali premium di Prime Video.

 – Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?
– Sono andato a letto presto. 

 

di Alessio Bombaci

Elezioni 2018: un altro stallo alla messicana?

Se vi è mai capitato di vedere quel capolavoro assoluto del cinema italiano e internazionale che è “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone, sicuramente ricorderete benissimo la magnifica scena della resa dei conti finale. Nello spazio centrale di un cimitero che somiglia quasi a una arena di gladiatori, si fronteggiano i tre personaggi principali, appunto, il Buono, il Brutto, e il Cattivo. In palio c’è un grande tesoro ed ognuno di loro sa di non potersi fidare dell’altro. É un teso gioco di sguardi in cui i tre personaggi si tengono di mira, in attesa di capire chi sparerà per primo, e a chi, mentre in sottofondo le note di Morricone incalzano e la cinepresa indugia sui primissimi piani degli occhi, delle mani che fremono sfiorando le fondine delle pistole.

É quello che in gergo cinematografico si chiama “Mexican standoff”, stallo alla messicana: tre uomini armati che si tengono di mira l’un l’altro, senza sapere di chi fidarsi o meno, senza poter capire chi sparerà per primo.

Ok, questa non è la rubrica Recensioni; ma la sensazione di trovarsi al centro di uno stallo alla messicana è fortissima.

I giochi elettorali si sono conclusi e ci consegnano dei risultati tutt’altro che netti e definiti. Abbandonato ormai il bipolarismo che lungo tutti gli anni 2000 aveva caratterizzato inequivocabilmente il dibattito politico italiano, gli esiti delle elezioni vedono a fronteggiarsi, ancora una volta, proprio come nel “triello” di leoniana memoria, tre grandi avversari: la coalizione di centrodestra, il Movimento 5 Stelle e la coalizione di centrosinistra. E, se è vero che il verdetto elettorale ci consente comunque di decretare dei vincitori e degli sconfitti, è anche vero che comunque, tutte le forze in gioco sono ben lontane da quella tanto agognata maggioranza parlamentare, quei famosi 315 seggi alla Camera, che rappresentano il cutoff fondamentale per la formazione di un governo stabile.

La coalizione di centro destra, con le sue due anime, quella leghista e quella berlusconiana, si attesta al 37% alla Camera e al Senato: un soffio da quel 40% che gli consentirebbe una maggioranza stabile. È senza dubbio una vittoria: lo sa bene Matteo Salvini, leader della Lega, che è riuscito in pochi anni a trasformare il suo partito da partitello indipendentista padano a primo partito della destra nazionale. Ma non basta a riposarsi sugli allori, e se da un lato è proprio Salvini a proporsi come leader di un esecutivo di centro-destra, dall’altro non sono comunque pochi i seggi che mancano alla coalizione per poter garantire stabilità al proprio governo.

Il Movimento 5 Stelle, benché presente sulla scena politica ormai da tempo, continua a rappresentare una grande incognita. Fino ad adesso ha basato gran parte del suo successo sul suo proporsi come “eterna opposizione”, canalizzando il dissenso di una ampia fascia di cittadini che non si riconoscono più nella classe politica dei grandi partiti. Le loro prese di posizione sui temi caldi del dibattito politico, molte delle quali ampiamente discusse e stigmatizzate in campagna elettorale (immigrazione, euro, vaccini) sono state finora sempre delle scelte poco nette, dai margini sfumati, sia dal punto di vista dell’elettorato, che dell’intero gruppo politico. Il loro risultato, intorno al 32%, è senza dubbio un exploit: sono il primo partito d’Italia. Ma continuano a non avere le carte in regola per governare, tanto più se si tiene conto del loro autoimposto diktat “niente alleanze politiche, solo alleanze programmatiche”.

Con chi potrebbero essere queste alleanze programmatiche? Forse con la Lega, con la quale in effetti potrebbero trovarsi diversi punti in comune. Sarebbe senza dubbio l’incubo delle sinistre, fedeli alla tesi della “deriva populista” che hanno cavalcato a lungo (e a dirla tutta senza troppo successo) in campagna elettorale. Ma se da un lato questa ipotesi pare essere stata scartata dallo stesso Salvini, dall’altro potrebbe essere una scelta rischiosa in termini di credibilità, se consideriamo che la cassaforte dei voti del Movimento in Italia pare essere proprio il Sud Italia, dove molti elettori non hanno certo dimenticato le origini dichiaratamente anti-meridionaliste della Lega.

C’è poi la coalizione di centro sinistra, chiaramente a trazione PD (come confermano i risultati da prefisso telefonico ottenuti dalle varie liste civetta, +Europa, Lorenzin ecc). Il totale è circa il 23%: si tratta chiaramente di una disfatta che dovrebbe essere, sportivamente, ammessa e corredata da una sana autocritica da parte della dirigenza PD. Ma anche qui, l’ultima parola è tutt’altro che detta: se i 5 Stelle sono chiaramente il primo partito d’Italia, con il loro 19% il PD è il secondo, e vale la pena ricordare che, preso singolarmente, ha ottenuto più voti tanto della Lega (17%) quanto di FI (14%). Ha dunque ancora molto da dire, e gli esiti del futuro governo potrebbero in gran parte dipendere da una sua presa di posizione. Ma a favore di chi? Forse dei 5 Stelle, ma le differenze di intenti sono state fin da principio chiarissime in campagna elettorale. Oppure della coalizione di centro destra; ma attenzione, perché una ennesima maggioranza di “larghe intese” potrebbe rappresentare il definitivo colpo di grazia alla credibilità del PD e la chiave per una futura vittoria ancora più schiacciante del Movimento.

Staremo dunque a vedere, nei prossimi giorni, chi farà la prima mossa e come, a cominciare dalle elezioni dei presidenti della Camera e del Senato. Nel frattempo, continuiamo a seguire col fiato sospeso la danza macabra di questo stallo alla messicana; con la consapevolezza che stavolta, al centro dell’arena, col rischio di prendersi i proiettili da tutti, potrebbe esserci la volontà degli elettori. 

Gianpaolo  Basile