Intervista a Monica Calcagni in occasione della Giornata Mondiale dell’Endometriosi: la conoscenza come arma di prevenzione

Leggendo il libro edito da Sperling&Kupfer ”Cose da donne che anche gli uomini dovrebbero sapere” di Monica Calcagni, una frase in particolare ha attratto la mia attenzione: ”Voglio raccontare la medicina per come la conosco e la vivo io, esprimermi in merito alle cose da donne come diretta interessata, e aprire una breccia nel muro che separa medico e paziente”.
Condividendo a pieno il pensiero e seguendo la dottoressa da tempo sui social, in collaborazione con UniVersoMe ho invitato la dottoressa per discutere su delle tematiche che molto mi stanno a cuore, al fine di far conoscere a ragazzi e genitori patologie come l’endometriosi e sensibilizzare gli adolescenti e le famiglie al dialogo interpersonale su ”questioni” che ancora oggi risentono di quel fantomatico velo ”storico” di castità.

  1. Chi è Monica Calcagni
  2. Perché è stata istituita la giornata mondiale dell’endometriosi? E soprattutto, di cosa si tratta?
  3. Fin da bambine ci sentiamo ripetere che è normale avere mestruazioni dolorose. E’ veramente così? 
  4. L’ endometriosi è una patologia congenita o si sviluppa a seguito di un evento scatenante? Quali fattori possono attivare il campanello di allarme nei genitori o nel soggetto stesso?
  5. Secondo la sua esperienza, pensa che l’endometriosi sia una patologia così comune? Generalmente, quale terapia viene somministrata?
  6. L’endometriosi è una patologia prettamente femminile?
  7. Nell’approccio interpersonale, cosa consiglia di non dire a chi ha l’endometriosi? 
  8. Perché secondo lei le patologie legate all’apparato riproduttore non sono soggette al dialogo familiare e scolastico?
  9. Da professionista e madre, cosa sente di dire ai ragazzi e ai genitori che ci seguono? 
  10. Conclusioni

Chi è Monica Calcagni

Monica Calcagni è una dottoressa laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma ”Tor Vergata” e specializzata in Ginecologia e Ostetricia presso la medesima. Oltre a svolgere il lavoro per cui ha studiato, è anche una nota influencer che, con i suoi contenuti, ha debuttato sui social come ”ginfluencer”, raggiungendo oltre 250K persone su Instagram fino a 1MLN su TikTok. E se con i social ha raggiunto la popolarità tra i ragazzi, con la pubblicazione del suo libro è riuscita ad entrare nelle case degli italiani. Il suo curriculum è vasto e meritevole di nota, ma oggi preferiamo concentrarci su una patologia poco discussa e che rappresenta ancora un tabù, l’endometriosi. Oscura e non sempre silenziosa, affligge solo in Italia il 10-15% di donne in età fertile e oltre il 40% delle donne che hanno difficoltà a concepire.

 

Dottoressa Monica Calcagni

 

Dottoressa, perché è stata istituita la Giornata Mondiale dell’Endometriosi? E soprattutto, di cosa si tratta?

La Giornata Mondiale dell’Endometriosi è stata istituita al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa patologia che può essere fortemente invalidante e che in Italia colpisce quasi tre milioni di donne. Probabilmente i numeri sono molto più alti, perché la diagnosi può arrivare anche dopo 8-10 anni.
Si tratta di una malattia infiammatoria pelvica che fino a qualche anno fa si pensava fosse dovuta alla localizzazione extra uterina dell’endometrio, il rivestimento interno dell’utero. Studi recenti hanno invece dimostrato che si tratta di un tessuto simile all’endometrio e, pertanto, si comporta più o meno come tale.
La sua localizzazione può avvenire a livello di organi pelvici, come utero e ovaie, ma anche di organi ben più distanti, come l’intestino.
Da non troppo tempo è stata inserita nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), per cui si può avere un’esenzione per poter effettuare un percorso diagnostico-terapeutico. Durante la giornata mondiale dell’endometriosi fioriscono una serie di iniziative finalizzate a sensibilizzare non solo le donne, ma anche gli uomini su questa importante patologia.

Fin da bambine ci sentiamo ripetere che è normale avere mestruazioni dolorose, quasi come se la cultura del dolore prevaricasse su quella della conoscenza. Mi rivolgo a lei, è veramente così? E’ normale avere dolori mestruali talvolta invalidanti e debilitanti?

Veniamo da un’educazione per cui la donna deve soffrire ‘’partorirai con dolore e con dolore avrai le mestruazioni’’. Qualsiasi ragazzina, io stessa quando avevo dolori mestruali, venivo tranquillizzata con la frase ‘’Abbiamo sofferto tutte, prima o poi passerà, aspetta di partorire’’ ma, in realtà, non è così.
Il dolore mestruale non è una cosa normale o che dobbiamo tollerare, piuttosto deve spingere a fare degli accertamenti. Nonostante questo, non significa che dolore mestruale voglia dire necessariamente endometriosi che è, invece, una patologia a volte silenziosa.
Il messaggio che io vorrei arrivasse non è finalizzato soltanto alle ragazze ma anche ai genitori. Non chiudete gli occhi, non evitate di portarle dal ginecologo perché avete paura che così possano essere autorizzate a fare qualcosa che voi non volete facciano. Piuttosto, pensate alla loro salute e fate in modo che possano vivere il rapporto con le mestruazioni in serenità e non come un dramma.

L’endometriosi è una malattia attorno alla quale ruotano svariate teorie. Ma facciamo un po’ di chiarezza. Dottoressa, l’endometriosi è una patologia congenita o si sviluppa a seguito di un evento scatenante? Quali fattori possono attivare il campanello di allarme nei genitori o nel soggetto stesso?

Sull’endometriosi si sa ancora molto poco. E’ recente lo studio che dimostra come la causa dell’endometriosi sia su base genica. Infatti, la probabilità di manifestare la malattia è dovuta alla mutazione di un gene che, inoltre, è stato rintracciato famiglie in cui c’era più di qualche caso di endometriosi. In commercio è possibile trovare un tampone salivare, l’ Endotest, che permette la diagnosi con un buon grado di affidabilità.
Tuttavia, non significa che l’unica causa sia la genetica. Un po’ come in tutte le malattie da una parte ci vuole la predisposizione, dall’altra degli agenti esterni come lo stile di vita, lo stress, lo smog, alterazioni ormonali che possono indurre la manifestazione  della malattia.
Il sospetto si ha quando i dolori mestruali sono invalidanti, quando si ha difficoltà ad avere una gravidanza o quando si soffre di stitichezza. Potenzialmente si potrebbe avere una localizzazione endometriosica a livello dell’intestino e invece non avere sintomi ginecologici. Quindi, fate i controlli a prescindere, perchè la maggior parte delle volte la scoperta dell’endometriosi è puramente casuale.

 

Fonte: wikiversity.org

Mi piace ricordare ai nostri lettori che fin dalla più tenera età ha coltivato il desiderio di essere medico delle mamme e, crescendo, delle donne. Secondo la sua esperienza, pensa che l’endometriosi sia una patologia così comune? Generalmente, quale terapia viene somministrata?

La diagnosi di endometriosi non è semplice. Spesso non si vede con l’ecografia o con risonanza magnetica, a meno che il tessuto non sia localizzato sulle ovaie o sul corpo uterino. L’unico esame che ci dà una diagnosi certa è la laparoscopia, una tecnica chirurgica.
Reputo che l’endometriosi sia una patologia più frequente di quanto si pensi. Sappiamo che colpisce il 10% delle donne in età fertile e quasi tre milioni di donne in Italia, ma bisogna considerare che c’è una grande fetta di donne a cui non viene diagnosticata perché sono asintomatiche e riescono ad avere gravidanze senza problemi.
Nella mia vita professionale ho diagnosticato tante endometriosi e di tante altre c’è il sospetto.
Purtroppo, ad oggi, non disponiamo di terapie che la curano, ma esistono quelle che permettono la gestione dei sintomi, come le terapie ormonali o l’utilizzo di dispositivi intrauterini.
Nelle donne asintomatiche, inoltre, è possibile somministrare anti-infiammatori che permettono di spegnere i focolai di flogosi.

L’endometriosi è una patologia prettamente femminile?

Gli ultimi dati ci dicono che l’endometriosi non è soltanto una patologia femminile ma può colpire anche gli uomini. E’ stato osservato il caso di un uomo con dolore addominale. La massa è stata asportata e, in seguito all’esame istologico, si è visto essere tessuto endometriale. Ci sono degli studi in corso atti a capire quali sono i sintomi che potrebbero manifestare gli uomini con endometriosi, così da trovare terapie finalizzate alla loro gestione. Ancora però bisogna fare molta strada, perchè purtroppo di questa patologia si conosce molto poco.

Nell’approccio interpersonale, cosa consiglia di non dire a chi ha l’endometriosi? Cosa vuole dire alle coppie?

‘’Avrai difficoltà ad avere bambini’’ o ‘’non diventerai mai madre’’.
Esistono quattro stadi dell’endometriosi, da quello più ‘’lieve’’ fino a quelli devastanti, che colpiscono non solo l’apparato riproduttore, ma anche l’intestino o organi lontani dalla pelvi. Questi ultimi portano a fare degli interventi chirurgici anche demolitivi, ma non vale per tutte le donne.
Quindi state tranquille, avere l’endometriosi non vuol dire avere un bollino rosso in fronte che etichetta come sterili o che implica l’intervento con certezza.
Molte donne hanno gravidanze senza alcuna difficoltà, alcune riescono ad avere una gravidanza a seguito di un percorso terapeutico. Altre, purtroppo, non riusciranno a realizzare il loro sogno.
Ai compagni consiglio di supportare le compagne soprattutto dal punto di vista emotivo e psicologico.

Perché secondo lei le patologie legate all’apparato riproduttore non sono soggette al dialogo familiare e scolastico?

E’ un problema di cultura. Si pensa che l’educazione sessuale sia equiparata all’ educazione pornografica, ma si tratta di due cose completamente diverse. Molte volte chi come me parla di sessualità e salute sessuale viene cancellato dai social, ma non ci arrendiamo! Speriamo pian piano che questa cosa venga superata, perché sensibilizzare alla sessualità significa anche prevenzione e conoscenza di patologie importarti come l’endometriosi che, molte volte, viene diagnosticata tardivamente perché appunto non si sospetta di avere.

Da professionista e madre, cosa sente di dire ai ragazzi e ai genitori che ci seguono?

Cari genitori, quello che mi sento di dire è di rispondere in maniera coerente a tutto quello che vi chiedono i ragazzi. Se su alcuni argomenti non siete preparati o non sapete come affrontarli, ammettete la vostra ignoranza e cercate insieme le informazioni. Sono certa che lo apprezzeranno.
Cercate di non sottovalutare i sintomi che vostri figli vi manifestano, non cercate di gestirli con il fai da te e con i rimedi della nonna. Piuttosto, andate da un professionista.
La stessa cosa fate con i vostri ragazzi, perché pian piano stiamo riuscendo a sensibilizzare i genitori sulle patologie femminili, ma ancora c’è un grandissimo tabù sui maschi che troppo poco vanno a fare la visita andrologica.

Conclusioni

“La libertà deriva dalla consapevolezza, la consapevolezza deriva dalla conoscenza, la conoscenza deriva dall’informazione, dallo studio e dalla lettura senza pregiudizi”.

Stefano Nasetti

Redattori UVM

 

Francesca Umina

Disney Plus va verso il politically correct e vieta alcuni classici ai minori di sette anni. Ecco dove e perché

Disney Plus vieta la visione di alcuni cartoni ai bambini di età inferiore ai 7 anni. La casa di produzione americana applica la via del “politically correct”.

Disney Plus vieta tre Classici ai minori di sette anni –Fonte:metropolitanmagazine.it

La restrizione –per ora prevista solo nel Regno Unito- consiste nell’inserire un disclaimer che precede l’inizio del film per spiegare che alcuni contenuti sono dotati di stereotipi su popolazioni e culture minori. I “classici d’infanzia” fino ad ora segnalati sono Dumbo (1940), Le avventure di Peter Pan (1953) e Gli Aristogatti (1970).

Questi non sono stati eliminati dal catalogo, ma per poterli vedere è necessaria la presenza di un genitore, che ha la possibilità di scegliere se far guardare i suddetti cartoni ai suoi figli più piccoli.

Politically correct: cos’è e cosa comporta

La definizione della politically correct, viene fuori da un’espressione angloamericana che designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Le espressioni pertanto dovranno apparire prive, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona.

Politically correct –Fonte:limonata.blogspot.com

Una maggiore attenzione su queste tematiche ebbe inizio negli Stati Uniti d’America per poi diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo occidentale. Nasce negli anni trenta del secolo scorso, per poi ampliarsi ottenendo posizioni più rilevanti alla fine degli anni ottanta, a seguito della sua trasformazione in una corrente d’opinione. Questa era basata sul riconoscimento dei diritti delle culture e mirante a sradicare dalle consuetudini linguistiche, usi ritenuti offensivi nei confronti di qualsiasi minoranza. Fu proprio in quella circostanza che l’espressione “Afro-americani” sostituì i precedenti appellativi black, nigger e negro per designare i neri d’America.

Per porre una disciplina del comportamento linguistico sono stati stilati dalle università americane i speech codes, volti a scoraggiare l’uso di epiteti ingiuriosi e offensivi.

Politica attuata da Disney Plus

Disney Plus e il politically correct –Fonte:staynerd.com

L’uccisione di George Floyd, le manifestazioni Black Lives Matter attive in tutto il mondo e la rimozione di Via col vento dal canale HBO MAX, hanno sicuramente sensibilizzato e fatto riflettere The Walt Disney Company sull’impatto dannoso che alcuni contenuti possono causare nella giovane mente di un fanciullo. L’azienda americana perciò ha voluto mirare la sua azione nella creazione di storie e temi ispiratori che includano la ricca diversità dell’esperienza umana.

Le produzioni incriminate

Le maggiori critiche sono suscitate dai cartoni come:

  • In Dumbo, sono presenti un gruppo di corvi rappresentati con voci nere stereotipate. Il nome Jim Crow attribuito al principale volatile, si riferisce ad una serie di leggi segregazioniste dell’epoca presenti nel Sud degli Stati Uniti. Questi pennuti infatti raffigurano un omaggio ai Mistrel Shown, ossia gli spettacoli con attori bianchi dal volto colorato di nero che impersonavano, attraverso caricature, la vita degli schiavi neri.
Disney e disclaimer –Fonte:latestamagazine.it
  • In Peter Pan, invece gli indiani sono identificati con l’appellativo di “pellerossa”, prettamente offensivo e razzista. Questo atteggiamento denigratorio non si limita solo alla loro denominazione, ma abbraccia anche i contesti e i modi in cui vivono. Questi infatti vengono ritratti come dei selvaggi vestiti con abiti barbari, inclini a usanze primordiali e privi di alcun linguaggio, che all’orecchio dell’ascoltatore risulta incomprensibile.
Disney mette il bollino “razzista” –Fonte:corriere.it
  • Sia nell’opera Gli Aristogatti che in Lilli e il Vagabondo, le vittime degli stereotipi sono i cinesi. In ambedue i film vi sono dei gatti di razza siamese, Shun Gon nel primo e Si e Am nel secondo, i quali si svagano cantando la celebre canzoneSiam Siamesi” con chiaro accento orientale mentre distruggono la casa.
Disney censura Lilli e il Vagabondo –Fonte:cinema.fanpage.it

È bene precisare che le opere sopradescritte sono figlie di un’epoca storica totalmente differente rispetto a quella che siamo soliti conoscere, i cui ideali e obiettivi di una rappresentazione per bambini risultano molto distanti da ciò che viviamo oggi. Bisogna inoltre ammettere che difficilmente un fanciullo si sofferma sul significato celato dietro le scene incriminate, poiché ancora privo di quella conoscenza e logica necessaria per comprendere a pieno determinati processi, che ancora non conosce.

 Sensibilizzazione della Disney

Il messaggio di apertura delle “opere accusate” cita

“Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture”

risulta essere innegabilmente giusto, al fine di mostrare come la Disney sia sempre stata cosciente della presenza di messaggi sbagliati. Ciò mostra la necessità delle continue lotte contro il razzismo e gli atti offensivi, che sottolineano un raccordo non con un passato lontano, bensì con un presente logorato da discriminazioni ed intolleranze che ancora oggi si affermano con grande asprezza ed amarezza.

La Disney renderà i suoi film politically correct – Fonte:drcommodore.it

L’azione di sensibilizzazione promossa eviterà all’azienda di ricevere critiche negative e perdite di pubblico, ma funge principalmente all’inserimento di scopi specifici che vanno oltre l’intrattenimento. La Walt Disney però, con gli stessi film su cui si sono mosse le principali accuse, ha insegnato ai più piccoli a rispettare e ad amare chi è diverso da noi, ad avere fiducia e rispetto nell’umanità e a credere in se stessi. Con le sue produzioni ha preparato i bambini ad essere forti e caparbi per combattere gli ideali in cui si crede, a superare le insicurezze e ad apprezzare e comprendere a pieno il senso di famiglia; risorse necessarie per compiere al meglio il complesso progetto di crescita personale.

Inclusività

Nel corso degli anni la casa di produzione americana non si è solo impegnata a filtrare i contenuti attraverso l’uso dalla politically correct, bensì sulla base del progresso della società si è sempre più focalizzata nella realizzazione di opere inclusive che rispecchino la società attuale. Vi sono innumerevoli esempi:

  • Il film Zootropolis, in cui si affronta il tema odierno dell’uso della paura come strumento di governo
  • La creazione nel 2009 di una principessa di colore nel cartone La Principessa e il Ranocchio
  • La scelta dell’attrice Halle Bailey per il live action de La Sirenetta che dà avvio ad una nuova politica multirazziale.
Disney Plus –Fonte:mondotv24.it

“Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo riconoscerlo, imparare da esso e andare avanti insieme per creare un domani che oggi possiamo solo sognare”

Si evidenzia così la necessità di un’evoluzione sociale, che si cela dietro il cambiamento, al fine di evitare di ripetere gli stessi errori che nel corso della storia hanno lasciato macchie indelebili nel tessuto collettivo.

Giovanna Sgarlata

 

Prevenire è meglio che curare: la diagnosi precoce oncologica

   Indice:

I programmi di screening oncologici si rivolgono alla popolazione apparentemente sana, sottoponendola a specifici test diagnostici. Essi hanno l’intento di scoprire un’eventuale neoplasia in fase precoce. Tali metodiche costituiscono un intervento di grande importanza sociale, in grado di ridurre incidenza e mortalità per neoplasia.

Attualmente sono unicamente tre i programmi di screening validati, cioè quelli che hanno mostrato un positivo rapporto costo-beneficio nel corso degli anni.

Il primo è rappresentato dallo screening per le neoplasie della mammella, che si rivolge a donne di età compresa tra 50 e 69 anni (in realtà la popolazione target è stata ampliata, da 45 a 74 anni).

Esso è seguito dal programma di screening per il tumore della cervice uterina, rivolto alle donne tra i 25 e i 64 anni.

Più di recente, tra i programmi accertati è stato introdotto lo screening per il cancro del colon retto, che coinvolge anche la popolazione maschile tra 50-69 anni.

L’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), in collaborazione con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), pubblica il report annuale “I numeri del cancro 2019” che traccia la geografia dei tumori, con un livello di dettaglio regionale.

Questi dati sanciscono l’importanza delle metodiche di screening, che possono davvero fare la differenza nell’approccio terapeutico di una neoplasia.

D’altra parte emerge però la scarsa sensibilizzazione della popolazione, restia a sottoporsi in maniera costante a tali iter di diagnosi precoce.

Dai più recenti dati Aiom-Airtum, si evince indirettamente che al Nord c’è maggiore attenzione verso lo screening, invece al Sud la popolazione difficilmente si sottopone a tali metodiche. Ciò pone il personale medico-sanitario del Sud a doversi confrontare spesso con casi più difficili, di frequente in fasi avanzate.

Ovviamente, cambiare tali atteggiamenti di diffidenza rappresenta uno tra i più validi mezzi a disposizione per combattere il cancro.

Se da un lato sono riportati i dati relativi alle neoplasie di cervice, color retto e mammella, dove occorre continuare a non abbassare la guardia, per massimizzare i benefici degli screening, dall’altro troviamo neoplasie per le quali di rado si effettua una diagnosi precoce.

Di seguito, verranno proposte nuove strategie di screening per neoplasie che continuano a mietere numerose vittime. Ciò è spesso il frutto della scarsa consapevolezza dilagante fra tutte le fasce della popolazione, che porta a sottovalutare stili di vita scorretti e a non prestare attenzione agli interventi di sensibilizzazione.

CANCRO AL POLMONE: IL “BIG KILLER”

Il carcinoma polmonare rappresenta la causa più frequente di morte per cancro nella popolazione, nonostante il miglioramento delle metodiche diagnostiche e terapeutiche.

Nella maggior parte dei casi, esso è correlato ad agenti cancerogeni inalati attraverso il fumo di sigaretta. La cessazione del consumo di tabacco rappresenta la prima norma da seguire, al di là ogni programma di screening. Solo attraverso tali misure preventive si potrà fronteggiare tale “big killer” nei prossimi anni.

Il ruolo dello screening nei pazienti ad alto rischio, come fumatori abituali o ex fumatori con età maggiore di 50 anni, è molto dibattuto.  I primi studi di screening in cui veniva utilizzata la radiografia del torace non hanno portato alla riduzione della mortalità per cancro.

I successivi studi hanno impiegato la  TC del torace low dose (LDCT), permettendo di rilevare un elevato numero di tumori in stadio iniziale, quindi potenzialmente curabili. In particolare, lo studio statunitense “National Lung Screening Trial” ha evidenziato per la prima volta una riduzione di mortalità specifica per tumore del polmone del 20% grazie all’utilizzo della LDCT in confronto alla RX torace.

Inoltre, lo sviluppo di biomarcatori innovativi offre nuove prospettive che guardano al futuro. Infatti, per il carcinoma polmonare si fa strada la possibilità di impiegare dei marcatori specifici , noti come microRNA. Infatti, alla luce degli studi dell’Istituto Nazionale dei Tumori, supportati dall’ AIRC, tali sequenze di RNA non codificante hanno un importante ruolo nell’oncogenesi.

L’immagine è  tratta da uno  Studio Clinico che ha considerato i miRNA espressi  in pazienti con carcinoma polmonare. I miRNA over-espressi sono raffigurati in giallo, mentre i microRNA down-regolati sono indicati in blu.

Pertanto, gli ultimi tentativi hanno coniugato l’ impiego di miRNA circolanti e LDCT , mostrando risultati positivi.  Si spera, dunque, di ottenere rapidi progressi da tale metodica, affinché in futuro possa essere fruibile per la popolazione.

Immagine tratta da International Journal of Cancer: ” Circulating mir-320a promotes immunosuppressive macrophages M2 phenotype associated with lung cancer risk”

CARCINOMA PROSTATICO

Anche per il cancro alla prostata la diagnosi precoce è un passo molto importante, sia per la valutazione clinica del paziente che per la successiva terapia.

Il dosaggio dell’Antigene Prostatico Specifico (PSA) costituisce, ad oggi, l’unica indagine dirimente per la valutazione della ghiandola prostatica.

Negli anni si è però capito che il test non è specifico, poiché i livelli di PSA possono variare in risposta ad altre condizioni, sia fisiologiche che patologiche.

Così, anche in tale ambito, lo studio dei meccanismi molecolari dei miRNA ha portato verso nuove conoscenze. Infatti, nel cancro alla prostata si osserva una alterazione nella regolazione di diversi miRNA, i quali potrebbero agire come soppressori tumorali o oncogeni.

E’ emerso un marcatore denominato EXO-Psa.

Si tratta dell’antigene prostatico specifico che circola nel sangue all’interno di esosomi, piccole vescicole che si staccano da tutte le cellule del nostro organismo, fungendo da “messaggeri molecolari”. In caso di malattia oncologica, però, a rilasciarle nel circolo sanguigno sono soprattutto quelle tumorali.  Ed è proprio questo il principio su cui si fonda l’elevata affidabilità del nuovo test indicato.

CARCINOMA PANCREATICO

Le statistiche più recenti descrivono un aumento anche dei casi di carcinoma pancreatico. Inoltre, in tale caso i dati AIRTUM mostrano una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi solo dell’8%, tra le più drammatiche.  Si tratta di un impatto rilevante, dovuto al fatto che molti pazienti risultano asintomatici, almeno nelle fasi iniziali.

E’ indispensabile, pertanto, individuare metodi per la diagnosi precoce almeno nei soggetti ad alto rischio, più suscettibili per familiarità o predisposizione genetica. Questo perchè in simili situazioni la sorveglianza attiva potrebbe fare la differenza, più che in ogni altro caso.

Sono significativi i dati ottenuti da uno studio pubblicato sull’American Journal Of Gastroenterology. Esso ha coinvolto soggetti a rischio di sviluppare la neoplasia. I risultati sono stati ottenuti attraverso due metodiche diagnostiche note come CP-RM ed ecoendoscopia.  Esse hanno consentito di riscontrare anomalie in molti dei soggetti esaminati permettendo, pertanto, un migliore iter terapeutico successivo, che si traduce in maggiori possibilità di sopravvivenza.

Dopo aver preso in rassegna le neoplasie con decorso più drammatico, per le quali non esistono ancora programmi di screening riconosciuti, risulta pertanto necessario attenersi quanto meno a quelli oggi validati.

Invece, si dovranno attendere i prossimi risvolti per innovazioni rivolte all’individuazione precoce delle altre neoplasie esaminate.

Indubbiamente, però, la sensibilizzazione della popolazione costituisce senza dubbio il punto principale da considerare, affinché divenga il fulcro per lo svolgimento della corretta esecuzione dei programmi preventivi e dell’aderenza agli stessi.         

                                                                                                                                                                                                                        Federica Tinè

Bibliografia:

Associazione italiana di oncologia medica (AIOM),  Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), Report annuale “I numeri del cancro in Italia 2019” 

Livelli plasmatici aumentati di esosomi che esprimono PSA distinguono i pazienti con carcinoma prostatico dall’iperplasia prostatica benigna: uno studio prospettico.

Mariantonia Logozzi et al. Cancro (Basilea) . 2019 :  https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31569672/

Screening LDCT del cancro del polmone e riduzione della mortalità: prove, insidie ​​e prospettive future.
Matthijs Oudkerk ,ShiYuan Liu ,[…]John K. Field
Nature Reviews Clinical Oncology ( 2020 )

La giornata del rene spiegata dal professor Domenico Santoro

17 marzo 2019. Messina. Piazza Cairoli.  La Scuola di Nefrologia dell’Università di Messina dalle ore 9:00 alle 17:00, con un gruppo di medici, coordinati dal professor Domenico Santoro, professore associato di Nefrologia nonché dirigente medico dell’UOC Nefrologia e Dialisi presso il Policlinico universitario, per offrire alla città informazioni gratuite e screening sulla funzione dei propri reni, in occasione, appunto, della Giornata mondiale del rene 2019.

Il professore Santoro, per primo, ci ha fornito alcuni dettagli di approfondimento in merito all’evento attraverso un alternarsi di domande e risposte:

Professor Santoro, come mai oggi ci troviamo qui, in piazza?

“Come ogni anno, dal 2008, si dedica una giornata al rene, che prende il nome di giornata mondiale del rene, GMR, e ogni anno propone un tema diverso.  Il tema del 2019 è: “Salute per i Reni per ciascuno ed ovunque – Kidney Health for Everyone Everywhere”. Si dedica questa giornata perché le malattie renali sono più comuni di quello che si pensi, e in generale, colpiscono l’8/10% della popolazione. Nel sito internazionale della GMR ci sono numeri interessanti, che dovrebbero far allertare la popolazione, infatti, 825 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di insufficienza renale cronica. Se noi facessimo un confronto con diabete, malattia molto più conosciuta, ci renderemmo conto che colpisce molte meno persone, solo 380 milioni, ma ha comunque un eco maggiore tra la popolazione. L’insufficienza renale è una malattia con una mortalità abbastanza importante, basti pensare, che ogni anno muoiono 2,4 milioni di persone di insufficienza renale cronica. Poi è presente la forma acuta della malattia (IRA): 13 milioni di persone al mondo, ne soffrono. Con una mortalità molto più alta: il 13%. L’85% dei pazienti con questa malattia proviene dai paesi poveri, ergo, con più difficoltà all’accesso all’acqua, poiché i reni funzionano se si ha un determinato apporto idrico. Anche le classi sociali meno abbienti presentano percentuali più alta di rischio di contrarre tale patologia. Il tutto si riallaccia al tema di quest’anno “disuguaglianza in sanità”. L’allerta che noi vogliamo dare è soprattutto di cercare di portare la salute dei reni per ciascuno e ovunque come cita il nostro motto Kidney Health for Everyone Everywhere.”

Cosa fate in piazza per l’esattezza?

“Facciamo dei controlli gratuiti, accessibili a tutti. Per controllare se si è affetti da malattie renali basta veramente poco: controllare la pressione arteriosa, un esame delle urine, la misurazione delle creatinina e un’ecografia ai reni. Per fare uno screening sulle malattie renali ci vuole un attimo. Ricordo che l’8-10% ne soffre. Penso che sia davvero importante farlo annualmente.”

Ha qualche appello da fare?

“Sì. Si dice che la sanità dev’essere uguale per tutti, ma questo non è così. Soprattutto al sud. Ed è un problema. Non qualitativo, il problema non è un’incapacità della classe medica del meridione, ma la questione è di tipo politico nazionale. Un settore che risulta molto carente nel nostro territorio è quello dei trapianti di reni. Il trapianto renale costituisce la migliore arma che abbiamo quando la funzione renale tende a spegnersi e costituisce sicuramente la più valida alternativa alla dialisi. E mentre siamo in grado di affrontare ogni sfida nel nostro territorio per cercare di salvare la salute dei reni quando arriva il momento della terapia sostitutiva, per ottenere un trapianto siamo costretti nuovamente a viaggi della speranza. L’attività dei trapianti si presenta fortemente disomogenea sul territorio nazionale. Esiste una forte differenza territoriale nella attività di donazione che genera profondi divari regionali.“

Oggi qui con voi c’è il sism?

“Sì. Oggi, qui con noi, c’è il Sism. Roberta Minasi, presidentessa del Sism, ci accompagna da alcuni anni insieme al gruppo della Nefrologia. Presente anche la fondazione del rene policistico. Ed il rappresentante della fondazione è qui con noi.”

Le ultime, preziose, informazioni ce le da Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina che si ricollega con il discorso del Dottor D. Santoro ponendo nuovamente l’accento sulle disuguaglianze sociali:

“Oggi di sente tanto parlare di “disuguaglianza in salute”, Lo stato di salute di un individuo o di una popolazione è determinato da molteplici fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita. È come se il posto occupato da ciascuno di noi in relazione a tutti gli altri sia rilevante…chi si trova sopra di noi nella scala sociale gode di una salute migliore, chi sta sotto soffre di condizioni peggiori. Avere uguaglianza nell’accessibilità alle cure significa ridurre le disparità dei tenori di vita dei membri della società. Attraverso dunque questa attività di prevenzione “primaria” in piazza, chiunque può avere la possibilità di ricevere informazioni, consigli, chiedere un parere ad un professionista… In fondo, la “mission” che ci proponiamo è proprio questa: Affrontare tematiche di salute in maniera semplice, con linguaggio comune cercando di superare o abbattere totalmente il muro del timore e del disagio che tanto spesso si rileva come altro ostacolo per le proprie cure: l’instaurazione di una proficua relazione tra individuo e professionista sanitario.”

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Grande successo per l’evento del SISM di Messina: “La salute scende in piazza”

 

Sabato 16 febbraio dalle ore 9:30 sino alle 19:30 a Messina, a Piazza Cairoli, si è tenuto un evento fortemente voluto da diverse associazioni no profit messinesi (SISM, Cambiamenti APS, Croce Rossa Messina, Admo, Aido, Avis, Unicef, UICI, AISO, A.G.D. Messina e Nonno Ascoltami).

È Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, a fornirci delucidazioni in merito all’evento:

“Già da tempo, grazie anche al prezioso aiuto del policlinico di Messina, il SISM Messina organizza iniziative di sensibilizzazione su tematiche specifiche con lo scopo di educare la popolazione alla conoscenza di alcune tematiche attuali di rilievo nell’ambito della salute e della sanità pubblica.

Il SISM, come ogni anno, si è fatto portavoce de “La salute scende in piazza”, un evento di salute pubblica, che si pone l’obiettivo di portare all’attenzione della cittadinanza sia il vero significato di “salute”, sia i suoi principali determinanti. In tal modo si rende la popolazione capace di conoscere e di conseguenza riconoscere eventuali comportamenti nocivi, facendo sì che gli stessi cittadini diventino fautori della diffusione di tale ideale.

Si tratta di un evento dedicato non solo all’intera popolazione, dai progetti per i più piccini agli screening per adulti ed anziani, ma mirato anche alla crescita e formazione degli studenti di medicina, consapevoli dell’importanza della prevenzione.

Numerose le associazioni che, già da tempo, hanno lavorato e lavorano in sinergia con il SISM e che sono scese in piazza, come la Cri Messina, che in occasione della giornata di sensibilizzazione è presente con un importante progetto: “Non sono un bersaglio”.

Il presidente del Comitato di Messina della Cri, Dottor Dario Bagnato, dichiara attraverso un’intervista che:

Sono 3.000 i casi di violenza a operatori sanitari italiani registrati nel 2018, a fronte di sole 1.200 denunce all’Inail: aggressioni a medici e infermieri in ospedale, nei Pronto Soccorso e nei presidi medici assistenziali.

Altro drammatico aspetto è quello delle aggressioni agli operatori delle ambulanze e dei danneggiamenti ai mezzi stessi. Basta leggere i giornali e troviamo frammentate ma cicliche notizie al riguardo, da nord a sud.

Ecco perché, tenendo conto dei logici distinguo, la Croce Rossa Italiana ha deciso di realizzare una campagna per denunciare, oltre a quanto accade in scenari internazionali, una realtà pressoché sconosciuta o spesso sottovalutata che ci coinvolge da vicino e che riguarda anche (e non solo) i volontari CRI: quella delle violenze ai danni dei nostri operatori e/o strutture sanitarie. Così nasce “Non sono un bersaglio”.

Il Dottor Bagnato ricorda che chi aggredisce un operatore socio-sanitario si sta precludendo la possibilità di essere curato. È come se si stesse aggredendo da solo, come suggerisce l’immagine stessa scelta per la loro locandina. Pertanto, fa appello alla coscienza di ogni cittadino onde evitare il perpetuarsi di altre violenze.

I volontari delle varie Onlus partecipanti hanno realizzato dei punti informativi affinché ogni cittadino potesse avere tutte le notizie desiderate sulle attività svolte dai gruppi associativi e più in generale sulla tutela del bene salute. Durante la giornata è stato possibile effettuare vari test di screening come quello dell’HIV (sia ematico sia salivare). È stata inoltre dedicata una particolare attenzione a due progetti, interamente indirizzati ai più piccini: lo Smile-X (progetto dei dottor clown, che effettuano ogni giovedì clown therapy al policlinico), e l’Odp, cioè l’Ospedale Dei Pupazzi: un progetto di sensibilizzazione volto a ridurre il timore dei più piccoli nei confronti del camice bianco e dell’ambiente ospedaliero: la paura viene esorcizzata attraverso dei peluche che vengono curati dai più piccoli su dei tavoli da gioco.

 

 

Gabriella Parasiliti Collazzo