Diario di una fuorisede superstar 6° parte

“Sentirsi grandi

Eravamo giovani, e stanchi di sentirci dire – dovete crescere -.
Eravamo belli, annoiati di dover prenderci la vita oppure lei avrebbe preso noi.
Fuori dai cassetti tutti i sogni, gettati poi nei cassonetti.
E via con le lauree, i lavori, i master, il matrimonio e la dipendenza da serie TV e da quel bar.
Avevamo paura di crescere ma eravamo più terrorizzati all’idea di rimanere piccoli per sempre.
I nostri sogni ci tormentavano, ci facevamo l’amore insieme agli appunti degli esami, le notti opache, svegli fino alle quattro con le cuffie alle orecchie e quel messaggio non visualizzato.
Visualizzavamo gli obiettivi a lungo termine e ignoravamo quelli a termine breve.
La colazione fuori, un caffè e una sigaretta.
Il tramonto oltre i tetti.
Un 30 senza lode.
Un amore ricambiato ma sciupato in poche sere.
Quell’amore disgraziato ma bandito dalle sue stesse crepe.
Poche cose ci rendevano felici ma molte insoddisfatti, non leggevamo più lettere scritte a mano, eravamo troppo distratti.”

-È bellissima, Oscar- Penny lo guardava, erano seduti sul divano della casa di lui; fuori pioveva.
Penelope gli restituì la poesia; Oscar l’aveva scritta in un foglio a quadri, strappato da un vecchio quaderno.
-Beh, tu di più- disse lui poco prima di baciarla.

Ilaria Piscioneri

L’alba di un nuovo giorno o il tramonto di una gran bella serata!

E così è arrivato il tanto atteso 2018.
Mi immagino sempre le persone il 1 Gennaio del nuovo anno, pesarsi sulla bilancia, correre a iscriversi in palestra, buttare via il pacco di sigarette, rimettersi a studiare, scrivere canzoni o libri, imparare una nuova lingua, imparare a suonare un qualsiasi strumento, dire “Ti amo” e tutte quelle cose che “con l’anno nuovo lo faccio!”, e invece siamo tutti quanti a dormire per smaltire la pesante sbornia del capodanno, così ci ritroviamo il 2 gennaio che già abbiamo mandato a monte tutti quei buoni propositi e un totale disorientamento.

Personalmente sono anni che mi sveglio alle 11:30 del mattino, anche se magari sono rientrata da poco e non riesco a capire se è l’alba di un nuovo giorno o il tramonto di una gran bella serata, e penso.

Prima cerco di ricordare la serata, mentalmente ripasso prima la cena e poi tutti i drink che ho bevuto, cerco di ricordare i nomi delle persone che ho conosciuto (non so come è possibile ma a Capodanno si conoscono sempre persone nuove) e le vecchie conoscenze che ho incontrato. Dopodiché passo in rassegna tutti i ricordi che ho dell’anno passato, del 2017 in questo caso, penso ai vecchi buoni propositi e a quanti di questi ho portato davvero a termine, poi penso alle persone che mi sono lasciata alle spalle, alle “lezioni della vita”, perché no anche agli ex, e a proposito fammi controllare gli ultimi messaggi del telefono … Si rischia sempre di fare il madornale errore di scrivere a qualcuno! O che qualcuno ti scriva.

Poi ci sono quelle che persone che sin dal mattino (anzi, alcuni già dal 31 dicembre) controllano ogni tipo di oroscopo (ok, lo ammetto, lo faccio anch’io). Credo non ci sia nulla di male ad affidarsi alle stelle.

Io sono Sagittario, spirito ribelle a cui il cambiamento non fa paura, a volte un po’ capriccioso (giusto un po’). Dovrei essere già sposata, con figli, essere in carriera e potrei pensare di cambiare città. PENSARE, appunto. Ma la domanda più grande è: quando arrivo alla parte in cui sono su uno yacht a lanciare via i miei soldi come fa Di Caprio in un film (The wolf of Wall Street, per i cinefili)?

Probabilmente non capiterà mai, così mi rigiro sul fianco sinistro e torno a pensare ai miei vecchi buoni propositi del 2017, così da fare un po’ il punto della situazione.

Dunque … innanzitutto ricordo di essermi detta di mettermi sotto con lo studio e seguire tutte le lezioni universitarie. Decisamente fatto, ma è un proposito da rinnovare per il 2018.

Svegliarsi presto al mattino. Insomma … non sempre.

Non starnutire quando metto il mascara. Fatto. A costo di avere una paresi facciali con gli occhi più fuori che dentro.

Trovare la mia taglia durante i saldi. FATTO!!

Ascoltare la musica su Youtube bloccando il cellulare. No! Dannazione no! Perché????

e poi … e poi … e poi tutti quei buoni propositi che non riusciamo completamente a portare a termine, come essere più gentili con il prossimo, più disponibili, seguire la dieta, passare più tempo con gli amici, con la famiglia. Viaggiare, fare nuove esperienze, non inquinare, imparare a cucinare, fare volontariato, mettere un po’ di soldi da parte.

La verità è che vorremmo sempre migliorarci, darci da fare per cambiare, raggiungere nuovi risultati, lasciare tutti a bocca aperta, ma non riusciamo a mai a seguire completamente questi stupidi buoni propositi. Procrastiniamo ogni cosa e poi, un bel giorno, prendiamo in mano la nostra vita e qualcosa di buono la facciamo. La strada sotto i nostri piedi ci porta verso obiettivi che non sapevamo di avere, verso giorni di spudorato coraggio.

Ciò che non cambierei di questo 2017, e probabilmente di tutta la mia vita, sono quegli interminabili secondi in cui prendo decisioni senza rifletterci, senza pensare a eventuali conseguenze o “vabbè magari lo faccio un’altra volta”, le solite “minchiate” (perdonate il francesismo) che alla fine tanto minchiate (perdonate pt. 2) non sono. E probabilmente è questo il mio unico buon proposito 2018: non ci pensare, agisci.

Così si sono fatte le 13:00, nessuno è venuto a buttarmi giù dal letto ma si sente un profumino arrivare dalla cucina, che come una mano invisibile mi tenta. Fa anche un po’ salire al naso il retrogusto di Sambuca. Mi alzo e do una sbirciata al mondo fuori dalla finestra. Nulla è diverso da ieri, in fondo nemmeno io. Mi rendo conto di essermi coricata con il vestito della serata, onestamente non ho il coraggio di specchiarmi.

Apro l’armadio per cercare qualcosa da mettere e la mia attenzione viene bloccata dalle foto attaccate da sempre nell’anta: i miei genitori che si tengono per mano, io da piccola vestita in modo strano, i disegni … mi rendo conto che gli anni passano e non sono i buoni propositi che facciamo il 1 gennaio a cambiarci. Sarà il movimento perpetuo dell’universo, sarà Saturno, o la Luna piena di ieri sera …

Mia madre appare dal corridoio e mi ritrova a fissare l’anta dell’armadio come Andreotti, ancora con il vestito della sera prima e dalla porta sono sicura starà sentendo la puzza di fumo che impregna i capelli tutte le volte che vado a ballare.

Fa una smorfia alla Marge Simpson col suo rauco “Mmmh” e aggiunge “la riscaldo la pizza?”

-Non ci pensare, agisci!-

Serena Votano

Una Commedia veneziana.

Accompagnato dalla dolce melodia di un flauto, il sipario del teatro, come se danzasse sulle note dello strumento, si aprì e lasciò la scena del palco ad una maschera dal bianco volto e dal vestito nero.
Questa, in una nuvola di fumo denso, avanzò tre passi verso il pubblico in platea e rivolto un inchino riverente ai convenuti, iniziò presto ad introdurre:

“In questa sera particolare io voglio narrarvi una storia lagunare! E poiché il fatto può solleticare la morale del pudore, non me ne abbiano per questo le signore!

Siam nella Venezia Serenissima, Repubblica di mare e di mercanti! Al tempo dei gran doge e dei viandanti vi era per le calle un gran problema: tutte le tose lamentavano il patema per cui alla dama mancava il cavaliere! Era sovente, infatti, allor poter vedere i cortigiani andarsene a braccetto al buio a vicenda e, talvolta, poi scambiarsi anche un bacetto! Certo, ad oggi è guisa dell’attual costume non distinguer la natura dell’amore, ma poiché agli antichi esso fu un problema in seno, io voglio parlarvi come loro senza censurar di meno!

E dunque nel tornar nella Laguna, dico che non v’era più donzella alcuna ch’era lieta delle corti dei baldanti, giacché questi, avvezzi al lusso ed al piacere, stavano distanti tanto dai tradimenti che dai sacrifici di nascondersi nei vicoli delle meretrici! A questo aggiungo che, nell’anno del Signor milletrecento, i capi di contrada, a tal intento di volerne limitar gli affari delle donne di piacere, cinse queste in una sola strada spenta al sole, ai lumi e ai fari, ove però, segretamente, si poteva fare l’amore! Esse furono recluse, infatti, nelle case dei defunti signori Rampani e presto dal siddetto Vico Carampani, si poterono notare, in bella vista, i seni delle giovani fanciulle in cerca di attenzioni di uno sguardo senza svista! Poiché ancora non bastava il gaudente stratagemma, il governo costruì per i passanti un ponte da cui ognun potea guardar la mesta somma delle donne del terrazzo alla ricerca del piacere di un ragazzo!”.

La maschera, con un elegante gesto di riverenza della mano fece un altro inchino verso il pubblico femminile in prima fila e, fatti tre passi indietro verso la nuvola di fumo che avvolgeva il palco, proseguì nel suo racconto in versi:

“Si dà in questo contesto la vicenda di un avvenimento tosto! Dal Carampani, infatti, presso l’anno di grazia millecinquecento, passava per Venezia un marinaio siciliano ma dal lineamento berbero. Il capello burbero e la barba mora incolta non pesavan mai una volta sul viso gentile da giovinotto che con le vele da Messina giunse in seno alla Laguna. Nel via vai dell’elegante Piazza oggi di San Marco, il forestiero giunto da uno sbarco non passava inosservato ed era oggetto di piacenti sguardi di balordi, di donnette e cortigiani. Ma egli mai una volta volse gli occhi suoi castani e alle attenzioni lussuriose della gente e continuava indifferente il suo cammino alla ricerca di un preciso gran mercante di sete preziose.

Ma quand’egli giunse sotto un balcone delle case dei Rampani, una vecchia meretrice lo vide simile a un guascone e a sé lo volle per le mani! Per attirare lo straniero essa prima masticò una dolce essenza con la bocca e poi, di questa, ne sputò una parte sulla ciocca di quel forestiero. Questi, intesa la flagranza che dal ciel gli era piovuta, cercò la stanza della sua padrona per poter intender se la sua natura fosse buona tanto come quel profumo celestiale bello ed inusuale! La vecchiaccia allora si celò dietro una tosa senza udito e dai seni scoperti e gli gridò: “Vieni qui che ti diverti!” – e quando il moro vide la rosa fresca che lo avvicinava, credendo di esser dalla giovane lui attenzionato, sentì dentro un fuoco pronto che lo tormentava.

“Voi troppo bella siete perché abbiate il prezzo di una mercanzia!” – disse dolcemente il forestiero – “E giacché vengo da una terra di cortesi e di poesia, vi cingerei quei seni se voleste far di voi la sposa mia e abbandonar così quegli usi poco ameni!”.

La vecchia si sorprese del valor della proposta ed avanzò la sua risposta: “Oh giovane di grande garbo io non vorrei porvi riserbo, ma è costume ch’io non possa rivelarmi oltre la casa prima che la volontà vostra  abbia compiuto una spiacevole e dovuta cosa: poiché mi avete visto e avete speso la promessa, dovete andare dalla mia padrona affinché possa, su lauto riscatto, avere il suo consenso per tal fatto e andarvi presto in sposa! Ma poiché questa adesso non è in casa, prego e vi scongiuro di tornar domani, è più sicuro completare in questo modo il vostro intento senza frodo!”.

Il giovane rispose allora più baldante: “Tornerò qui domattina, lo prometto in questo istante e contrattato ogni mio affare verrò qui a pagare il pegno dell’amore! Tornerete insieme a me nella mia isola lontana, dove la donna per la casa e per lo sposo è la devota sua sovrana!”.

La vecchia, andato via il berbero straniero, per far si che tutto rispondesse al vero, chiamò a sé un’altra perfida comare e, fatta complice del malaffare, la istruì di farle da padrona quando lei, celando con i veli il vero aspetto di battona raggrinzita, avrebbe poi seguito in matrimonio il giovane spedita, al quale aveva estorto sia il suo amor che il patrimonio.

E quando giunse il giorno stabilito, il giovane tornò sotto il balcone e vide la padrona che, su di un bastone, lo invitò a trattar comodamente sopra una poltrona.

“Mi sia fatta la grazia di concedermi quella fanciulla dai bei seni giovanili, che ogni cifra al mio potere sia nulla pur di toglierla alle servili sue mansioni! E’ così bella da soffiare al cuore i venti dei Monsoni, tanto è dolce da inchiodarmi nelle fulgide passioni che mi spingono oltre il razionale! La prego di pensare, dunque al bene e di non scegliere di lei il suo male!”.

La comare si commosse alle parole dell’innamorato, ma avendo ancor più a cuore il maleficio del tranello, con mestiere del prestigio, gli mostrò velata e di filato, la fanciulla reclamata, senza fare trasparire come sotto quelle vesti, vi erano gli intenti disonesti della vecchia dal bianco capello.

Quando la vide, il giovane si emozionò talmente che cambiò pensiero di repente: “Poiché il ritorno avrà un lungo tragitto, io voglio qui sposarla e adempiere al contratto! Sia chiamato dunque il prelato! Voglio porle adesso il mio anello al suo bel dito!”.

La proposta colse le vecchie impreparate e la comare, per far le cose più affrettate, chiamò il padre sacrestano della chiesa più vicina, poiché un uomo da lontano aveva fretta di sposarsi alla mattina. Ma non era il cuor di pietra ai petti nudi delle altre tose della casa e intenerite dall’amor sincero di quel forestiero, andaron dalla sorda fanciulletta e gli parlarono alla buona di quella disdetta consumatasi al suo oscuro. “Destino duro! Non posso udir quelle parole e col mio male mi hanno gabbato! In questo modo perdo il cuore del mio innamorato!”. In grande pianto ella scoppiò senza alcun freno, ma una delle donne ebbe un pensiero non da meno: “Ti conceremo in ugual modo alla balorda sì agghindata e accompagnandoti alla chiesa, ti rimpiazzeremo nel trambusto che noi causeremo all’accadere di una cosa!”.

“Ma io non odo un suono alcuno! Come posso acconsentire alla promessa chiestami dal sacrestano?”.

Volle il caso che, in quell’occasione, passasse sotto quel balcone il diavolo nei panni di un mercante, il quale, udita la trama del malaffare e inteso il dunque dell’inganno, volle trarre dal malanno un suo guadagno. Così raggiunte le fanciulle disse il maligno: “Io toglierò l’udito a quella vecchia strega e darò a te il suo dono affinché tu possa andar da chi ti prega! In cambio voglio solo il nero cuore della vostra buia padrona e della sua comare! Giacchè per niente il diavolo dona  qualche cosa su cui poi poter lucrare!”. La fanciulla accettò il patto ed immediatamente udì la voce di una consorella, poi dell’altra, poi di quella! Era commossa e adesso l’ultima sua mossa sarebbe stata quella di conciarsi come sposa somigliante alla megera da cogliere in fragrante! Giunto il corteo di meretrici alla chiesetta dove si accingeva la vecchietta che si penava, nel contempo, di esser sorda al fianco del bel forestiero, si inscenò la truffa alla balorda: una delle ragazze si gettò in terra urlando e dimenando di esser posseduta dal demonio! Di lì a breve si creò un bel pandemonio! Il sacrestano accorse prontamente nel favore della peccatrice, mentre un’altra meretrice, di repente, sostituì al fianco dell’innamorato la vecchia dall’udito muto con la giovane dalla sanata orecchia. Al cenno della complice, la meretrice impossessata finse la grazia ricevuta e disse di voler, perciò, omaggiare gli innamorati con una benedizione. Così celebrata la funzione e rivelato il primo “si” alla formula matrimoniale, svelata la consorte, a tutti apparve la gioviale donzelletta che rispose acconsentendo in tutta fretta al desiderio dell’amore eterno. In quel momento dalla porta della cattedrale un tuono aprì una botola terrena! Olà la vecchia come si dimena insieme alla comare mentre il diavolo le prende nell’andare e le conduce al rogo dell’inferno! Quando si chiuse la voragine del triste inverno, tutti tornarono ai due sposi, i quali, ricevuto il benestare, si scambiarono, affettuosi, i primi baci dell’amore.

Con questa storia vi ho narrato delle meretrici di Venezia e di un mercante siciliano che, nell’anno della perdizione del vico Carampani, fecero vincere l’astuzia e anche l’amore che li unì per giorni eterni sino all’ultimo domani”.

Fatto un ulteriore inchino, la maschera uscì di scena nascosta nel fumo del palco, davanti al quale, dietro l’applauso della platea, si chiuse il sipario.

Francesco Tamburello