Frammenti di quotidianità

I miei occhi, nomadi, ingoiano raggi di luna,
andati di traverso per la gola
e si incastrano nella pupilla dell’infinito.

Un uomo, trascinandosi il cielo in spalla,
si nasconde dietro il sole in silenzio,
inventa passi di luna e mi strizza l’anima dal pianto.

Vene rotte mi cadono a terra, brontolano le mani,
strappo le viscere del cielo e me le infilo in tasca,
mi brucia la pelle, sento le stelle battermi nelle vene.

Sbircio dentro: ho lo stomaco pallido e l’universo in subbuglio.

Domenico Leonello

Un Picasso sopra le righe

“Scrivi una pagina di diario di un personaggio storicamente esistito tralasciando ciò che le biografie dicono già.”

Parigi, 8 marzo 1916

Caro diario, giusto?

Credo si faccia così, no? Trovo sciocco dare del tu a un quaderno, come se potesse ascoltarmi. Per questo motivo spero di non offendere i tuoi sentimenti da mero oggetto privo di vita dicendoti che probabilmente, quando non mi servirai più, verrai bruciato. Sarebbe davvero disdicevole se un giorno, dopo la mia dipartita, queste pagine finissero nelle mani di un biografo. Cosa penserebbe il mondo se venisse fuori che passavo le notti solitarie a piagnucolare? Imbarazzante. Non che mi interessi un granché del parere altrui, ma è questione di orgoglio personale: senza offesa, ma sono largamente superiore a queste fragilità d’animo… Di solito… Oggi però ho bisogno che qualcuno mi ascolti e non che mi compatisca inquinando l’aria con parole a vanvera. Non ho necessità neppure di consigli distratti (soprattutto quelli). Ammetto quindi che in certi casi è più proficuo rifugiarsi in un angolo di foglio che con amici che sanno solo metterti nei guai! Come quel fesso di Apollinaire che un paio di anni fa era stato accusato di aver rubato la Gioconda e fece scaltramente il mio nome in tribunale. Io, chiamato in causa, dichiarai di non aver mai visto quella carogna!

Ma veniamo a noi. Stamattina nel mio atelier due signori ben vestiti si sono fermati a lungo di fronte a una delle mie ultime creazioni: Eva sul suo letto di morte. Quei minuti interminabili hanno creato un’atmosfera tale da portarmi a rivivere la gravosa perdita. Non ero capace di prendere ampio respiro e un chiodo in fiamme penetrava la mia gola a ogni apprezzamento stilistico. Strano. I miei quadri rivelano sempre squarci di vita vera costellata da intimità di donne possedute… Potrebbe sembrare un’arma a doppio taglio… Ma in realtà quando vengono poste sotto attento esame estraneo, provo solo un immenso compiacimento.

Condividere le mie dee e permettere a questo mondo fatto di inetti- incapaci anche solo di guardare donne di questo calibro – di assaggiare le loro curve tramite l’arte, è un atto di generosità. Meglio, carità.

Per me la crème francese: donne dai musetti squisiti e gambe lunghe.

Per loro, squallidi zerbini. Donnacce. Volgari prostituèe.

Puoi forse tu giudicarmi? Ho solo un gran fiuto per tutte le avventure esotiche che si nascondono per le strade di Parigi, apparentemente fredda cittadina europea, ma ardente nelle passioni come me.

In ogni caso uno dei due, decisamente il più insipido, ha tentato a un certo punto di comunicare con me chiedendomi quale fosse il male che affliggeva la fanciulla dipinta e la mia risposta è stata coincisa: L’Enfer. Non credo esista parola più azzeccata per identificare la malattia che ha portato via Eva, la prima tra tutte le donne, mia quasi sposa e la mia dolce sorellina di soli sette anni, Conchita. L’Enfer è la bastarda tubercolosi. Ogni volta che osservo quel quadro io, tra quei lineamenti esangui, intravedo anche quelli di Conchita. Durante gli ultimi giorni della sua misera vita, io avevo tredici anni e mi sono messo in ginocchio facendo un solenne patto con Dio: se davvero voleva prendermi qualcosa, doveva portare via la mia arte e lasciarmi lei. Se l’avesse risparmiata, io non avrei più toccato un pennello.

Per vostra fortuna, l’ha uccisa.

Tengo a quella tela in quanto bravo fratello maggiore, oltre che fedele vedovo.

In ogni caso, cacciati via i due intrusi che non avevano alcuna intenzione, o possibilità, di aprire i portafogli, come non potresti mai immaginare io… sono piombato nell’appartamento di Irene. L’ho presa impetuoso appena mi ha aperto, vedendola maledetta con addosso una blusa bianca e delle civettuole mutandine camì e… Abbiamo fatto l’amore per due ore. Questo non significa che non ami più o non sia in lutto per la mia quasi moglie deceduta. Anzi. Sopperisco la mancanza con abbondanti pasti.

Infatti tengo a precisare: Irene la odio. Irene Lagut, la bestia. Volubile. Frivola. Capricciosa. Scapestrata di dubbia moralità. Buffa, anche, come i pagliacci che scarabocchia su tela. Ho un’idea per un nuovo quadro…

Dopo l’atto, allora ho preso le sue pantofole e le ho gettate dalla finestra per confinarla a letto con me tutto il giorno (simbolicamente sì, perché lei camminerebbe scalza pure sul fango). La sua reazione? Una grossa e grassa risata. Ha riso di me, parecchio, raccontandomi poi con un inverosimile nonchalance dei seni di una signorina conosciuta la sera prima a teatro. Su tutte le furie ho ragionato di ucciderla col revolver. Sai… è sempre con me. Fuori dalla rabbia le ho dato un secco schiaffo e ho sputato per terra, congedandomi.

Durante tutto il tragitto fino a casa ho pensato a come io abbia passato questi ultimi mesi tra le gambe di una donna dissoluta quando vorrei essere tra le braccia della tenera e mansueta Eva mia.

Lei che si prendeva cura di me. La prima donna. I love Eva. Colei che non ha conosciuto né il mio disamore né il mio disprezzo. Io che continuo a dipingerla con colori più vivi che mai nonostante mi abbia lasciato solo e con tanta voglia di amare.

Così io nel lusso di una passeggiata infinita ho riflettuto che ogni giorno mi aspetta la sconfinata lunghezza di una notte senza richiamo, senza torpore, ma soprattutto senza senso di spogliarsi in fretta non riposando più addosso a un corpo innamorato che mi aspetta.

E quindi, je t’aime Eva- ovunque tu sia- je t’aime.

Jem’Eva. Io sono Eva.

E caro diario forse tu sei me e non posso evitare di apprezzarti almeno per questa notte.

Un abbraccio.

 

Isabel Pancaldo


Immagine in evidenza: Illustrazione di Isabel Pancaldo e Marco Castiglia

Il Silenzio

Ogni brivido sulla pelle, ogni
goccia di vento che cade senza perdono
e mai scuserò quegli occhi rossi di rabbia,
poche volte l’indifferenza ha regnato,
in mezzo al nulla.
Una volta attraversato il fiume rosso,
più ha cambiato il suo sguardo.

Geme un canto disordinato
e nella confusione del suo desiderio
non agisce più per ragione
ma per spavento,
e il mio lamento, che soffoca il respiro…

Non voglio più capire
e solo sentire le sue parole
sembra inebriare l’anima di nero,
cieco ma sento ancora
ogni tuo verbo di disprezzo,
stringi a te il silenzio che manca.

Lardo Benedetto

 

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Benedetto Lardo

Tacito accordo

Arte.
Travolgente,
arriva lenta, resta sopita per un po’,
non urla, non è un vulcano in eruzione.

Arte.
Arriva silenziosa, si infiltra dove trova una porta rimasta socchiusa.
Smonta certezze,
crea domande.
Riempie un vuoto per crearne un altro subito dopo.

Guardando tra le pennellate
si scorge qualcuno che ha vissuto come me,
qualcuno che è stato me prima di me.

Io, immobile, davanti a un Picasso,
che urla in silenzio senza colori
la pece nera della guerra.

Io, immobile, davanti a un Kandinskij,
che scardina l’ordine imposto dal mondo
nel momento stesso in cui è nato.

Io, immobile, davanti a Bernini,
che dona il soffio al marmo,
corpi vivi intrecciati più autentici degli uomini.

Semplici artisti?
Forse qualcosa di più.
Si sentono urla anche se tutti stanno in silenzio.

Diventa un gioco di fiducia,
un tacito accordo,
un patto mai davvero siglato:
accetto di ritrovarmi in te
perchè so che conservi qualcosa per me
tra le veloci pennellate,
tra le pieghe del marmo.

Un delicato urlo,
un gioco di scacchi.
A ogni quadro il suo spettatore,
a ogni spettatore il suo artista.

Pur restando in un museo deserto,
non potrebbe mai esserci solo silenzio.
Mille voci si accavallano,
attendono solo un orecchio attento.

 

Giulia Cavallaro

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Istinto e ragione


Ci pensi mai
a quante avventure
avresti vissuto
se solo non ti fossi fatto
frenare dalla paura?

Quanti luoghi
avresti visitato
se solo
ti fossi lasciato andare.

 

Quanti mari
avresti solcato.
Quanti tramonti
avresti visto.

Quanti sogni
hai lasciato
nel cassetto
per paura?
Quanti ‘’no’’
hai detto?

Quante volte
la razionalità
ha avuto la meglio
sull’istinto?

Segui il tuo cuore,
buttati a capofitto
nella vita.
Perché essa è solo una,
la giovinezza scorre veloce.

Non avere paura.

 

 

 

 

 

 

Chiara Fedele

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia